martedì 16 dicembre 2025

Intervista a Rossella Bruzzone

 





Buonasera, come nasce il saggio Un giorno di pioggia?

Tempo fa, un'uggiosa mattina d'autunno, accesi la televisione e con grande sorpresa ho scoperto che su Italia 1 veniva trasmesso un anime che guardavo durante la mia infanzia e adolescenza. È stato un piacevole tuffo del passato e da questa  nostalgica emozione è nato il desiderio di scrivere queste pagine per ricordare e condividere le storie delle protagoniste dei cartoni animati degli anni Ottanta. Questo decennio infatti più che ogni altro è stato assegnato dall'importanza culturale dei cartoni animati televisivi importati dal Giappone e sono diventati la culla di un fenomeno mediatico rivoluzionario, diventando patrimonio popolare- culturale e pietra miliare dell'infanzia di una generazione che non potrà mai dimenticare le eroine dei shojo.


Quali sono le tematiche principali di questa tua opera?

In questo breve saggio ho cercato di analizzare le figure femminili più significative e anche i generi più significativi degli anime anni Ottanta, partendo dalle antesignane Heidi e Anna dai capelli rossi, per passare alle maghette, agli anime sportivi, a quelli strappalacrime, ai grandi successi come Candy Candy, Georgie, Kiss me Licia e molti altri. Le tematiche affrontate sono numerose: innanzitutto la difficoltà a diventare grandi, dall'infanzia all'adolescenza abbiamo spaziato in epoche molto diverse, ma trattando sempre termini universali come il desiderio di essere accettati, le prime pene d'amore, il rapporto con i genitori, naturali o adottivi, visto che molte protagoniste sono purtroppo orfane, ma soprattutto la necessità di trovare il proprio posto nel mondo seppur a costo di grandi rinunce e sacrifici.

 
Degli anime che ci citi quali sono i tuoi preferiti?

I miei preferiti sono senza dubbio Heidi perché rappresenta un tenero ricordo d'infanzia e mi commuovo tutt'ora quando mi capita di vederne qualche puntata, inoltre da educatrice trovo in questo cartone animato tantissimi spunti veramente interessanti e profondi. Lady Oscar è l'eccellenza dal punto di vista grafico linguistico e narrativo è forse secondo me l'anime più bello che sia stato realizzato in quegli anni ebbe anche il grandissimo merito di aver fatto conoscere a una generazione la Rivoluzione francese e e poi lei…la Cenerentola del Monte Fuji…la dolcissima Licia io ho adorato Kiss me Licia perché è l'elogio della semplicità, romantico ma non sdolcinato, almeno non troppo, è l'anime che forse tutt'ora guardo con maggior tenerezza, proprio perché identificarsi con la giovane protagonista era molto facile per noi ragazzine….Però non voglio dirvi altro altrimenti non avrete più alcun interesse a comprare il mio libro….




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martedì 9 dicembre 2025

Intervista a Claudio Michelazzi

 





Buonasera, come nasce il saggio Macbeth?

Il saggio nasce da un’intuizione che mi ha accompagnato per anni: Macbeth non è soltanto una tragedia teatrale, ma una drammatizzazione del sogno, o meglio dell’inconscio in tumulto.
Non è un’opera che si limita a narrare un regicidio, un’ambizione o una caduta morale: è una rappresentazione simbolica di ciò che accade quando l’Io viene travolto dalle immagini archetipiche che emergono dal profondo. La scintilla iniziale è stata questa domanda: “E se tutto Macbeth fosse un sogno sognato dal protagonista?” Man mano ho compreso che quella domanda apriva un orizzonte immenso. Leggendo l’opera con attenzione psicologica, emerge che il paesaggio è onirico fin dall’inizio, i personaggi funzionano come figure interiori (Ombra, Anima, doppio, Sé, persecutori), la progressione drammatica coincide con un decorso psicopatologico: allucinazioni, perdita del sonno, delirio, inflazione dell’Io, dissociazione. Il saggio nasce, dunque, dall’idea che Shakespeare metta in scena non un dramma storico, ma un sogno  che si converte in psicosi, e che quel sogno abbia valore non soltanto letterario, ma antropologico e psicologico. È un tentativo di andare oltre l’interpretazione accademica, per entrare nel cuore dell’immaginazione simbolica occidentale e mostrarne la profondità abissale.



Quali sono le tematiche principali di questa tua opera?

Il saggio si muove su più livelli, come una spirale. Le tematiche sono molte, ma tre emergono con particolare forza. Macbeth come sogno archetipico, quindi l’intera tragedia è letta come un viaggio nell’inconscio, dove la Scozia non è un luogo geografico, ma una mappa psichica. Protagonista e vittima del proprio mondo interiore, Macbeth sogna figure profetiche (le streghe), immagini persecutorie (Banquo fantasma), simboli di colpa che diventano corpo (il sangue sulle mani),
alterazioni del tempo e dello spazio. La scena teatrale diventa la camera oscura della psiche. La discesa psicopatologica: dal desiderio alla psicosi. Una seconda tematica centrale è l’analisi del Macbeth come progressiva disintegrazione mentale: allucinazione del pugnale, voce che lo condanna a non dormire più, paranoia verso Banquo, delirio di grandezza, incapacità di interpretare simboli (le profezie), isolamento e automatizzazione dell’azione.
Il regicidio non è solo un atto morale: è un gesto di rottura psichica, l’uccisione del Sé interiore, del principio ordinatore della personalità. La tragedia non è solo politica: è clinica, interiore, psichica. Altra tematica centrale: La dimensione mitica, Macbeth come re-sacrificato secondo la Tradizione indo-europea. Il saggio recupera anche la dimensione arcaica e mitologica del dramma: Macbeth incarna l’antico archetipo del re usurpatore destinato alla morte rituale, le streghe appartengono alla triade delle Parche / Norne, la foresta di Birnam è la natura sacra che corregge l’eccesso umano,
il sangue è miasma che contamina il mondo, la regalità usurpata è sempre regalità di tenebra. Questo permette di collegare Shakespeare alle strutture profonde della mitopoiesi europea: il re che non rispetta il limite, il re che rompe il patto cosmico, il re che deve cadere per ristabilire l’equilibrio.


 
Come va inquadrato il tuo testo nella nostra epoca?

Oggi viviamo in una fase particolare  che il mondo della Tradizione definisce Età del Lupo: un’epoca in cui l’Io è sovraesposto, inflazionato, scollegato dalla dimensione simbolica del Sacro e dagli equilibri interiori. Il mio testo si colloca proprio qui. Macbeth è un dramma del Seicento, ma parla con una precisione chirurgica del nostro tempo: della proiezione dell’Ombra, della perdita del sonno e dell’interiorità, del potere inteso come dominio, come pensiero unico, come omologazione globalista, dell’erosione del sacro, della frantumazione dell’identità, della trasformazione del desiderio in delirio.
Viviamo in una società che spesso confonde immagine e realtà, opinione e verità, ambizione e vocazione. Proprio come Macbeth confonde simboli e certezze, desiderio e destino. Il mio saggio si rivolge quindi al lettore contemporaneo non come analisi letteraria, ma come specchio psicologico e collettivo. Macbeth siamo noi quando smettiamo di ascoltare l’inconscio, quando trasformiamo il sogno in strumento, quando rinneghiamo il limite, il confine, quando l’Io diventa l’unico orizzonte. In questo senso, il testo è un invito: a recuperare la funzione simbolica, l’attenzione alle immagini interiori, la capacità di dialogare con il profondo prima che il profondo si trasformi in sintomo. 
Chiudendo voglio fare un ringraziamento particolare a Fabrizio Bandini e alla casa editrice Midgard per l'importantissimo lavoro che svolgono. 





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Intervista a Giuliano Bruno

 





Buonasera, come nasce il romanzo Una fanciullezza rubata?

Una fanciullezza rubata nasce dall’esigenza profonda di ricomporre i frammenti della vita di mia madre, una vita segnata da un passato doloroso e tragico che ha inevitabilmente influenzato anche la nostra esistenza. Il suo dolore era una presenza silenziosa, un’ombra che ci accompagnava ogni giorno, e di cui conoscevamo i contorni senza comprenderne davvero l’intera storia.
Dopo la sua scomparsa ho sentito che ricostruire quel passato non fosse soltanto un atto d’amore, ma quasi una necessità. Mentre mettevo insieme i pezzi della sua vita, iniziavo a vedere le varie fasi della sua esistenza come personaggi veri, quasi reali: la bambina impaurita e maltrattata, l’adolescente triste e sola, la giovane donna fragile e insicura.
Mi sorprendevo spesso a desiderare di poterle abbracciare, una per una. È stato come incontrare mia madre sotto nuove forme, scoprendo la persona che era stata prima di diventare “la mamma”. E questo mi ha fatto capire quanto spesso i figli dimentichino che i genitori sono esseri umani con un vissuto, con ferite e fragilità che li hanno modellati.
Scrivere questo libro è stato quindi un percorso di amore e di comprensione: un modo per restituirle dignità, per darle finalmente quella voce che per troppo tempo era rimasta soffocata. E, allo stesso tempo, è stato anche un viaggio dentro me stesso, perché il suo dolore era, in qualche modo, lo specchio in cui mi sono sempre riflesso.
Da questo intreccio di memoria, emozione e ricerca della verità è nato il romanzo.




Quali sono le tematiche principali di questa tua opera?

Le tematiche centrali del libro ruotano attorno alle cicatrici che una disgrazia può lasciare su una famiglia. A volte un singolo evento è capace di cambiare il destino di tutti: non solo dei diretti coinvolti, ma anche delle generazioni future.
La storia affronta la separazione, l’essere strappati agli affetti più cari quando si è troppo giovani per comprenderne il senso; parla di perdita, come quella di restare senza genitori in un’età in cui la protezione è tutto.
C’è il tema dell’ingiustizia, dell’essere giudicati e puniti per colpe non proprie; quello del pregiudizio e dell’omertà, che in certi contesti diventano barriere invalicabili.
E poi la sofferenza di una famiglia divisa, gli abusi subiti, il dolore delle perdite ripetute e l’impotenza di fronte a verità che non si possono dire, pur sapendo che potrebbero cambiare tutto.
È un racconto che parla di ferite e sopravvivenza, di silenzi pesanti e di resilienza. Questi temi rappresentano il cuore pulsante della mia opera e legano insieme l’intera vicenda.


 
Ci sono scrittori o scrittrici che ti ispirano o che ti piace leggere?

Mi piacciono molto gli scrittori sudamericani: Paulo Coelho, Isabel Allende e Gabriel García Márquez sono tra gli autori che più hanno influenzato la mia sensibilità narrativa.
Apprezzo anche i grandi classici: Charles Dickens, le atmosfere romantiche e profonde di Jane Austen, e naturalmente Charlotte Brontë con Jane Eyre.
Tra gli autori contemporanei, mi ha colpito molto Khaled Hosseini, autore de Il cacciatore di aquiloni, così come ho amato le opere di Nicholas Sparks, capaci di toccare corde emotive molto intime.
E poi ci sono gli scrittori che hanno accompagnato il mio percorso di lettore, come Thomas Mann e Hermann Hesse.
In realtà sono tanti gli autori che mi ispirano: ognuno, in modo diverso, ha lasciato un segno nel mio modo di leggere il mondo e di raccontarlo.




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mercoledì 3 dicembre 2025

Intervista a Stefano Pischiutta

 





Buonasera, come nascono i Diari del Chewing Gum?

Buonasera a te. I Diari del Chewing Gum nascono dal desiderio di rendere espliciti i processi che una persona attraversa al di fuori dello studio di psicoterapia, mentre è coinvolta come paziente in un processo di trasformazione. Il mio desiderio, in quanto psicoterapeuta, è anche quello di fornire una sorta di “manuale” per futuri pazienti in psicoterapia, per far comprendere quello che succede alla persona, soprattutto nella sua vita quotidiana, come continuazione del lavoro svolto formalmente, nella seduta settimanale. Il mio scopo è anche mostrare come il processo sia generalmente rappresentabile come un percorso costituito di fasi molto simili per tutti, che vanno da: un inizio, in cui ci si conosce tra terapeuta e paziente, e insieme si costituisce un’alleanza per il lavoro da svolgere; l’esplorazione del passato, che si cerca poi sempre di riconnettere all’esperienza presente; l’emergenza delle resistenze, superare le quali costituisce la sfida dell’intervento psicoterapico; il risveglio, inteso come fase di ristrutturazione della personalità; la chiusura, che è una fase dall’esito affatto scontato.  
Per realizzare lo scopo che ho descritto, mi sono avvalso delle storie di pazienti che ho avuto in terapia, a cui mi sono ispirato e le cui caratteristiche ho cambiato per renderli completamente anonimi e non riconoscibili. In più, essi non vengono mai nominati all’interno del libro, per dare alla narrazione un carattere di maggiore universalità. Si tratta di due pazienti, un uomo e una donna, che non si conoscono né hanno nulla in comune, se non quella di condividere lo stesso psicoterapeuta, che facilita la loro trasformazione. Essi scrivono diari, dove narrano a sé stessi gli accadimenti connessi al loro processo di vita. Presento questi diari alternando i capitoli, uno per Lei, l’altro per Lui, allo scopo di creare un ritmo, in base al quale il lettore viene invitato a entrare e uscire, passando da una storia all’altra, cercando di immedesimarsi in esse e di rintracciare dei nessi tra di esse. Da qui il sottotitolo, “Intrecci azzardati”. 


Quali sono le tematiche principali di questa tua opera?

Il libro è un saggio narrativo. La parte saggistica del libro è costituita in prima istanza dall’introduzione, dove accenno alla teoria di Frederick Perls, uno dei fondatori della psicoterapia della Gestalt - approccio in cui sono formato -, che si basa su un concetto - innovativo per la tecnica psicoterapica rispetto alla psicoanalisi classica -, quello di mordere e masticare l’esperienza, per evitare di ingoiarla o restarne dipendenti. Da questa teoria, che ovviamente è ben più ampia dell’accenno da me qui fatto, è scaturito un nuovo modo (rispetto alla psicoanalisi) di lavorare in psicoterapia. Da qui il riferimento al chewing gum. All’interno del libro ne viene svelato un ulteriore significato, ancor più rilevante. La parte saggistica è inoltre esplicitata lungo l’intera narrazione, laddove intervengo molto discretamente, in corsivo e “fuori campo”, dando feedback ai vissuti dei miei pazienti, ma senza influenzare il corso della loro narrazione. Da questi rimandi si può intuire il significato e anche, in parte, il metodo psicoterapico adottato (ovviamente, è il mio, e non vi è alcuna pretesa di valore assoluto). 
Il tema dell’intreccio è strettamente correlato a quello del diario, come è espresso dall’opera indicata in copertina. Si tratta di una mia opera artistica, dal titolo “Log Intersected” ed è un quadro realizzato con strisce di tela colorata fissate su un telaio. “Log” è il diario di bordo, quello in cui si registra l’attività quotidiana, vista nel succedersi degli eventi, l’uno dopo l’altro, come lo è quella dei miei pazienti nel loro cammino di trasformazione, accompagnato dalla scrittura del diario.  

 
Ci sono scrittori o scrittrici che ti ispirano o che ti piace leggere?

Negli ultimi anni, anche per motivi legati alla professione e allo studio, ho letto e leggo molta letteratura saggistica. Nel passato, però, sono stato appassionato di letteratura russa, soprattutto Dostoevskij e Bulgakov, di letteratura inglese, in particolare Orwell, e di altri scrittori, come Hesse, dei quali ho letto buona parte delle opere. Tra gli scrittori italiani, mi sento particolarmente legato al Manzoni dei Promessi Sposi, a D’Annunzio e a Calvino. Ultimamente, ho apprezzato molto “La solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano e “Il corso dell’amore” di Alain de Botton.



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venerdì 28 novembre 2025

Intervista a Egidio Burnelli

 






Buonasera, come nasce Nascondere un cadavere?

Sinceramente non so come sia venuto fuori il racconto. È una storia brutta, come ce ne sono tante anche nella realtà. L’ambientazione è personale, è intrisa dei luoghi che ho vissuto: come il quartiere in cui abito o i campi coltivati dietro al “Privilege” che sono luoghi da me frequentati in quanto lì vicino abita mio padre. Dopodiché, le storie che racconto nascono all’improvviso e io le butto giù su carta dando un contesto a me familiare.



Quali sono le tematiche principali di questa tua opera?

In una parola il racconto è pura “tensione”. Il protagonista si ritrova immerso in una situazione complicata e sgradevole in un istante. Da una tranquilla serata a guardate la TV, si ritrova coinvolto in un omicidio. Tutta la storia si incentra su come il povero protagonista riuscirà a cavarsela. Sul come farà, in una situazione tanto al limite, a trovare il modo di defilarsi e dare giustizia alla povera vittima. Perché alla fine il vero carnefice è solo uno, Michele, mentre Luca e il protagonista sono complici, più o meno, a loro malgrado. La parte finale del processo serve come una coscienza interiore. Serve per rivalutare tutto quello che è avvenuto a freddo; con mente lucida e non più sotto la pressione cosante del tempo e del pericolo. Qui il pubblico ministero agisce come un grillo parlante, mette in evidenza tutte le altre opzioni che il protagonista ha scartato o non ha nemmeno preso in considerazione. Il tutto serve a far vedere che spesso, anche quando si tenta di fare la cosa giusta, si può sbagliare. Il lettore dovrà alla fine decidere da che parte stare. Sarà chi legge a decidere se il protagonista ha agito bene o abbia sbagliato.

 

Ci sono scrittori o scrittrici che ti ispirano o che ti piace leggere?

Io sono un avido lettore e leggo tutto quello che mi capita a tiro. Però, se devo fare un elenco mi piace molto leggere i fumetti di Batman, i racconti di Stefano Benni e le poesie di Charles Bukowski. Credo siano stati proprio questi a darmi ispirazione per “Nascondere un cadavere”. C’è la componente Batman sul tentare di fare la cosa giusta anche andando oltre le regole. C’è la tipica tematica reale e cruda di Bukowski che non lascia spazio all’immaginazione, ma ti porta in una realtà sporca che comunque è intrisa di umanità. Infine, c’è la componete di Benni, nella forma di racconto breve come l’autore emiliano ha fatto per raccolte di racconti; ad esempio “Il bar sotto il mare” o “Cari mostri”. Il mio libro è proprio un racconto breve, in poche pagine espone una vicenda cruda e brutale, che però ha al suo interno un barlume di speranza.




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lunedì 24 novembre 2025

Intervista a Bruno Basentini

 





Buonasera, come nasce questa tua raccolta poetica?

I versi presenti in questa raccolta sono nati quasi per caso: una sera d’estate ero sul terrazzo ad ammirare il sorgere della luna pensando alle persone e agli eventi che avevano lasciato un segno profondo nella mia infanzia e nella mia adolescenza. Proprio in quel momento ho iniziato a mettere nero su bianco tutti i miei pensieri attraverso la poesia.



Quali sono le tematiche principali delle tue poesie?

Nelle mie poesie affronto tematiche come la memoria, l’amicizia, la sofferenza, la malinconia e l’amore. In ogni verso si intrecciano tutti questi sentimenti, proprio come accade nella vita di ognuno di noi. Così le mie emozioni diventano le emozioni del lettore.



Ci sono poeti che ti ispirano o che ti piace leggere?

Uno dei principali poeti a cui mi ispiro è Raffaele Carrieri per il suo stile molto versatile e la sua grande sensibilità, in particolare mi piace molto la poesia “Il verme e il frutto”. Poi sono un ammiratore di Giuseppe Ungaretti, infatti il mio stile si rifà molto al suo riguardo l’assenza totale della punteggiatura. Infine, William Shakespeare è uno dei primi poeti che ho letto e ammirato fin da subito e il suo sonetto più famoso, che si intitola “My mistress eyes  are nothing like the sun”, è uno dei miei componimenti preferiti in assoluto.




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venerdì 21 novembre 2025

Intervista a Chiara Cenci

 






Buonasera Chiara, come nasce il romanzo Il mistero dell’orafo Luigi?

La mia passione per il genere giallo ha da sempre alimentato il desiderio di mettere alla prova le mie capacità logiche, di osservare personaggi spesso imprevedibili, di soffermarmi sugli indizi e di formulare ipotesi. In sostanza, il mistero ha costantemente stimolato la mia curiosità. Per tale ragione ho, infine, deciso di dar vita a un romanzo in cui emergono personaggi tormentati da un passato complesso, coinvolti in una vicenda dai contorni oscuri e inquietanti.



Quali sono le tematiche principali dell’opera?

La tematica principale è, ovviamente, il crimine da risolvere, il mistero da svelare, ma ad occupare una parte rilevante del romanzo è l’analisi psicologica dei personaggi, alcuni dei quali nascondono delle verità, indossando maschere che il lettore dovrà decifrare.  Una delle caratteristiche più interessanti risiede nella varietà dei rapporti tra i personaggi. Le relazioni che si instaurano spesso emergono in contesti di forte tensione e mistero, rivelando lati inaspettati della personalità di ciascuno. In altri casi, legami significativi nascono tra individui profondamente diversi per temperamento e valori.


 
Ci sono scrittori che ti hanno ispirato nello scrivere o che ti piace leggere?

Certamente, Agatha Christie, in primis, la più grande tessitrice di trame avvincenti, un’autrice capace di penetrare nella psicologia umana fino a dar vita a personaggi e intrecci indimenticabili. La sua scrittura mantiene costantemente viva l’attenzione del lettore, grazie a una suspense sapientemente calibrata e all’immancabile colpo di scena finale. Tra i protagonisti dei suoi romanzi spicca Hercule Poirot, investigatore iconico, elegante e teatrale nei gesti, dotato di un intuito infallibile e di una straordinaria capacità di cogliere anche i più minuti dettagli, quelli che agli occhi degli altri sembrerebbero insignificanti.





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mercoledì 5 novembre 2025

La setta del drago

 di Stefano Lazzari.







L’uomo alto scese rapido le scalette viscide all’estremità meridionale del porto, si strinse ancora di più nel lungo soprabito grigio, e senza guardarsi intorno si avviò a passo svelto verso il molo, una propaggine di pietra dilatata su quel braccio solare del Mediterraneo e luogo di elezione per le meditazioni adolescenziali di Guglielmo. 
Da lì, nelle giornate chiarissime solcate dal vento dell’entroterra, emergevano nette le coste dell’Africa, un incastro mirabile dell’orizzonte schiacciato fra l’azzurro tenue del cielo del sud e il verde blu del mare. Tuttavia, in quell’alba livida e ventosa che stentava a farsi giorno, quelle
immagini rimasero lontane da lui e oscurate da una malinconia che fluiva lenta e dolorosa, come un rito dell’anima da esaurire senza opposizione per rinascere più forte e consapevole di sé; ed essere lì in quel momento non significava altro per Guglielmo, altro che non fosse offrire al dolore tutto lo spazio di sé, perché defluisse come un’infezione uccisa dalla sua stessa violenza… 
Si mantenne al centro del molo per schivare gli spruzzi delle onde sulla doppia fila di scogli parallela al lato sinistro ed evitare di avventurarsi lungo il lato opposto, irregolare e scivoloso come lui ricordava da sempre.
Potrebbero pure dargliela, una sistemata, pensò oziosamente, respirando a pieni polmoni le folate oblique ed irregolari che ora più intenso rimandavano l’odore del mare imbronciato. Dopo qualche minuto Guglielmo giunse finalmente a ridosso dell’estremità del molo e si sedette su una panchina di pietra, sbreccata e grigia come il cielo confuso su di lui, sul lato destro. Era sorprendentemente asciutta, il vento intanto era girato di colpo e ora, lui seduto, soffiava direttamente alle sue spalle. 
Accese una sigaretta, e con lo sguardo sballottato fra le onde ancora alte e l’orizzonte frastagliato nel suo ruvido chiaroscuro si permise di rivivere il tormento degli ultimi sette giorni.
Sua madre era morta il mercoledì precedente. 
In quell’ultimo anno Guglielmo aveva fatto la spola fra Roma e Sciacca per assisterla, sacrificando molti fine settimana, chiedendo ferie e cambi di turni di guardia in ospedale senza concedersi pause e sperando, pur medico lui stesso, in chissà quale evento miracoloso… 
E dopo tutto questo nemmeno sono riuscito ad arrivare in tempo perché morisse con me vicino, pensò amaramente tirando con forza la sigaretta celata dalle mani a coppa. 
La zia Elsa l’aveva avvertito il martedì mattina che la mamma era improvvisamente peggiorata durante la notte precedente, ma lui non ce l’aveva fatta a trovare un imbarco per quel giorno stesso e così era partito con il primo volo della mattina successiva. 
Poco dopo le nove a Punta Raisi e poi, correndo come un pazzo, alle dieci e venti era arrivato a Sciacca soltanto per scoprire che sua madre aveva resistito fino alle otto e quaranta, quando lui ancora sorvolava il Tirreno. Essere giunto troppo tardi e subire il tormento di vedere il volto di lei così fine e delicato devastato dalla malattia non fu tuttavia per lui la peggiore delle prove. 



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giovedì 30 ottobre 2025

Intervista a Rachele Sabbadin

 





Buonasera, come nasce il romanzo La via Dell’Anima?

Sono sempre stata affascinata e allo stesso tempo contrariata dalla dicotomia dell’essere umano: bontà e cattiveria, gratitudine e ingratitudine, stima ed invidia. Ho sempre pensato che ogni individuo abbia una propria luce, una propria anima, intarsiata dalle cicatrici del percorso della vita. Così, un grigio giorno di ottobre, proprio come ora, guardando il mondo moderno fuori dalla finestra, nasce un’idea, un progetto ambizioso che non sapevo dove mi avrebbe condotta. Desideravo scrivere una storia avvincente, ma allo stesso tempo con una narrazione che sfumasse su concetti come il senso del sacrificio, l’altruismo, i valori, i principi, le emozioni, i sentimenti e la costante battaglia tra bene e male, tra bontà e cattiveria ed il desiderio di prediligere la realtà piuttosto che le finte apparenze. La storia si tesse nei confini della concretezza e si fonde con la fantasia, su chiave romantica.


Quali sono le tematiche principali dell’opera?

Una vita qualunque, una ragazza qualunque. Eppure un giorno tutto cambia, il destino tesse le fila ad una storia che valica i confini dell’universo dove due giovani sconosciuti collegati da un filo invisibile della stessa sostanza delle stelle, si trovano ad essere connessi dentro lo stesso disegno di vita, intrecciati tra apparenza ed inganno. Lui, dall’animo freddo e risoluto, rispecchia la concretezza; Lei, sognatrice piena di sentimenti, coraggio e redenzione. Poi la Luna, che resta l’ancora tra sogno e realtà. 


Ci sono scrittori o scrittrici che ti hanno ispirato nello scrivere o che ti piace leggere?

Mi piace molto leggere, spazio di libro in libro, i miei romanzi preferiti sono Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen, per poi arrivare alla bellissima frase tratta dal romanzo di Emily Brontë “Di qualsiasi cosa siano fatte le nostre anime, la mia e la sua sono la medesima cosa” in Cime Tempestose. Mi affascina l’epoca vittoriana, l’ottocento, intervallando l’arte poetica con Giovanni Pascoli, le sue poesie, alcune a memoria riecheggiano nella mia mente come X agosto, dedicata alla notte di San Lorenzo, o L’assiuolo, “Dov’era la luna? chè il cielo, notava in un’alba di perla”, e tutta la raccolta Myricae. Passando poi a Gabriele d’Annunzio tra Decadentismo e l’Estetismo.


Progetti futuri?

Sicuramente il libro avrà una continuazione, il seguito è nel cassetto pronto per essere terminato. Oltre alla scrittura continuerò con la formazione in ambito grafico pubblicitario, materie inerenti al mio lavoro di marketing manager, per potenziale ulteriormente le mie conoscenze e capacità. Mi piace pensare che non si finisca mai di imparare e migliorarsi, dopotutto non è tanto quanto la meta ma il percorso a dare le vere soddisfazioni. 



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mercoledì 29 ottobre 2025

Intervista a Giuseppe Gherardelli

 




Buonasera, come nasce il romanzo Il Disconoscimento?

Arrivato ad una età avanzata, ho avvertito in me il desiderio di cimentarmi nella scrittura di romanzi.  Il primo “ Silvia e Giovanni”, pur non potendolo definire autobiografico, fa  tesoro di sensazioni e di situazioni sa me vissute, che rielaborate attraverso la fantasia hanno contribuito a costruire una storia, che di sviluppa dall'adolescenza fino all’età matura dei protagonisti in una successione di eventi non sempre prevedibili.

In questo secondo romanzo “ Il Disconoscimento”, ho elaborato con la fantasia una storia in cui di susseguono eventi facilmente riscontrabili nella vita reale con riferimenti a luoghi e ad avvenimenti realmente accaduti in periodi storici passati e contemporanei inoltre le competenze e le esperienze  professionali mi sono state di aiuto nel trattare le vicende di ordine giudiziario presenti nello sviluppo della narrazione.


Quali sono le tematiche principali dell’opera?

Aleggia in tutto il romanzo l’amore  nelle sue diverse sfaccettature: quello ballerino,  tipico dell’ età giovanile, e quello più profondo per il partner , per i familiari e per i  veri amici.

Alla pluralità dei protagonisti si affianca la pluralità di  periodi storici  con la descrizione degli aspetti più salienti che li hanno caratterizzati.

Emergono così figure positive e negative,  anche estremamente negative, che finiscono per interagire condizionandosi a vicenda.

Lungo la trama del libro è  presente il  senso  profondo della giustizia,  perseguito fino in fondo con determinazione,  non tenendo conto dei rischi e delle conseguenze  in divenire.

La casuale scoperta delle radici familiari innesta in uno dei protagonisti un forte desiderio  di giustizia e la  ferrea volontà di riparare delle colpe, anche se colpe della famiglia. 

Il romanzo vuole essere un riconoscimento alla volontà e  alla tenacia di perseguire il  bene, capaci di trasformare, anche se con sacrificio e rimpianto, una situazione negativa, e avviarla in un percorso  positivo, pieno di amore e di gioia .

Si vuole così significare che  anche in un buio profondo non deve mancare  la fiamma della speranza e dell’ottimismo, grazie ai quali si può sfidare ogni contrarietà fino al raggiungimento di validi traguardi.


Ci sono scrittori che ti hanno ispirato nello scrivere o che ti piace leggere?

Il mio romanzo non  è ispirato a nessuno scrittore, come il primo è frutto di un parto spontaneo, che può essere influenzato dalla mia passione, maturata  in gioventù, per il genere neorealista. Ho piacevolmente letto opere di  scrittori come Moravia, Cassola, Pratolini.


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martedì 21 ottobre 2025

Intervista a Oscar Bigarini

 





Buonasera, come nasce Il Bosco dell’Alce?

Devo fare una breve premessa: il Bosco dell’Alce” è il mio sesto libro. 
I precedenti quattro sono romanzi di fantasia che si sviluppano su base storica reale, cioè su episodi realmente accaduti, oppure narrano vicende immaginarie che si svolgono su luoghi e/o monumenti realmente esistenti. 
Il quinto “la soluzione estrema”, è di fantascienza pura su base ecologista.
 Dopo questi romanzi è nato in me, lettore anche di opere ambientate nel Nord Europa, a sfondo inquietante, che tengono il lettore con il fiato sospeso, il desiderio di cimentarmi su una tematica estremante diversa dalle precedenti quale è appunto il genere thriller, e quindi è nato “Il Bosco dell’Alce.” 



Quali sono le tematiche principali dell’opera?

“Il Bosco dell’Alce”, come sopra detto è del genere thriller, ma con alcune sue peculiarità. 
Innanzitutto, come nelle mie opere precedenti, non manca un pizzico di scienza e tecnologia, di facile comprensione a chiunque, poi ho provato a narrare una storia alla portata di tutte le età, nel senso che, pur non mancando in essa suspence e brivido, non vi sono presenti situazioni atte a nuocere la sensibilità dei più giovani. 
Altra tematica importante è l’ottimismo che deve deriva nel credere in sé stessi, nel non arrendersi alle prime difficoltà della vita, argomento che trova la sua collocazione in alcune figure positive del romanzo.

 
Progetti futuri?

Di recente mi sono iscritto alla Facoltà di Fisica. 
Ho fatto questo passo per il desiderio di aggiornarmi sulle frontiere di questa scienza, in particolare la rivelazione delle onde gravitazionali e gli ultimi sviluppi della meccanica quantistica. 
Ho in mente di scrivere una storia che racconti le vicende umane, come aspettative, timori, delusioni ed esaltazioni, di personaggi impegnati nello studio e la ricerca nei nuovi orizzonti di conoscenza che si stanno aprendo nei nostri giorni.



(Disponibile sul nostro sito. Nei prossimi giorni ordinabile anche su Amazon, IBS, Unilibro, nelle librerie Feltrinelli e nelle librerie indipendenti.) 


lunedì 20 ottobre 2025

Intervista a Bianca Nannini

 




Buongiorno, come nasce Assenze?

Assenze è nato dal desiderio di onorare la famiglia di mio padre, di cui ho sempre sentito parlare più attraverso giudizi che ricordi. Quelle voci, spesso filtrate da sguardi severi o mezze frasi, mi hanno accompagnata a lungo, lasciando un vuoto e al tempo stesso una curiosità profonda. Ho sentito il bisogno di guardare oltre le etichette e restituire umanità a quelle figure. Scrivere questo libro è stato un modo per dare dignità e voce a chi non ha potuto raccontarsi da sé e per intrecciare la mia storia con la loro.



Quali sono le tematiche principali dell’opera?

Le tematiche centrali di Assenze ruotano attorno alla memoria familiare, a ciò che si tramanda attraverso racconti, silenzi e sguardi. Il libro è anche un viaggio nelle radici, nella ricerca di un’identità che si costruisce non solo attraverso ciò che ricordiamo, ma anche attraverso ciò che ci manca e continua, in qualche modo, a parlarci.



Ci sono scrittori o scrittrici che ti hanno ispirato nello scrivere o che ti piace leggere?

Non mi sono ispirata a nessun scrittore o scrittrice consapevolmente, però sicuramente mi è affine quella narrazione intima e psicologica, diretta e densa che vuole trasformare una memoria intima in racconto universale: Natalia Ginzburg, Annie Ernaux.




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venerdì 17 ottobre 2025

Riflessi di Tolkien. Saggi Hobbit

 di Edoardo Ferri.







Le donne, i cavalier, l’armi e gli amori
le cortesie, l'audaci imprese io canto.

Con questi famosi versi si apre l’Orlando Furioso, il poema cavalleresco di Ariosto, gemma del Quattrocento italiano e punto fermo dei programmi scolastici nostrani. Come ogni proemio che si rispetti, presenta fin da subito l’argomento: amore e guerra. Donne e amori si intrecciano a cavalieri e armi, in una struttura chiastica da manuale. In questo proemio si possono rintracciare le origini della figura canonica dell’eroe fantasy. L’eroe che “saves the day and gets the girl” (o the boy nel caso di protagoniste femminili). Nel canovaccio classico del fantasy, infatti, il tema bellico è spesso inframmezzato agli interessi sentimentali dei protagonisti. Insomma, pensiamoci seriamente: Harry Potter sarebbe piaciuto tanto a orde di ragazzine senza le storie adolescenziali del protagonista? E come avrebbe fatto Licia Troisi, se non avesse potuto descrivere l’amore di giovani ragazzine per uomini maturi e figure paterne?
In questo archetipo narrativo, tuttavia, Tolkien sembra caratterizzarsi come eccezione. Infatti, i suoi romanzi sono spesso noti (molte volte a torto) per la scarsità delle figure femminili e la secondarietà del tema amoroso. In questa osservazione c’è del vero. I protagonisti dei due romanzi tolkieniani più celebri, Bilbo e il nipote Frodo, non presentano interessi sentimentali. Nel romanzo de Lo Hobbit, poi, non compaiono proprio vicende amorose, al punto da costringere il regista Peter Jackson a “metterci una pezza” con il triangolo amoroso tra Kili, Tauriel e Legolas nell’adattamento cinematografico. Anche nel Signore degli Anelli non si può dire che il tema amoroso sia centrale; è vero che qua e là ci sono degli spunti sentimentali (con Eowyn come principale protagonista), ma sembrano relegati dal Professore allo sfondo. Insomma, Tolkien sembra poco interessato alle vicende amorose e, di conseguenza, pare avere poco da dire su questo tema.
In realtà, come spesso succede con Tolkien, le cose non sono come sembrano. Se è vero che il tema amoroso non è dominante nei suoi romanzi più celebri, è altrettanto vero che essi presentano notevoli ed interessanti spunti di riflessione su questo tema e che, ad ogni modo, l’amore ha un ruolo molto più forte se si considera il legendarium nel suo complesso, abbracciando anche quel mare sconfinato di leggende, confluite poi nel Silmarillion. Se si legge con attenzione Il signore degli anelli e si tengono in considerazione anche le storie del Silmarillion, allora, è possibile avere un’idea piuttosto chiara della concezione dell’amore di Tolkien.
Per approfondire questo tema, si possono seguire le storie d’amore di cinque coppie tolkieniane illustri: Beren e Luthien, Turin e Finduilas, Aragorn e Arwen, Aldarion ed Erendis e Faramir ed Eowyn. Tratteggiando queste coppie nel loro percorso amoroso, Tolkien rivela qual è la sua concezione amorosa. Scopriamola insieme.
Eros e innamoramento
Un primo elemento che balza agli occhi leggendo le vicende amorose presenti in Tolkien riguarda il modo in cui l’amore nasce. L’innamoramento in Tolkien è una realtà in cui la componente erotica, per quanto non assente, non ha un ruolo preponderante. Tutti i sintomi fisici che nel nostro mondo (il mondo primario come lo definirebbe Tolkien) caratterizzano l’innamoramento e il desiderio fisico passano in secondo piano. Quell’amore bruciante, paragonato a una fiamma interiore, non è presente in Tolkien. In Tolkien prevalgono invece l’apprezzamento estetico per la bellezza dell’amata, e sentimenti di affetto e tenerezza.



Estratto da "Riflessi di Tolkien. Saggi Hobbit" di Edoardo Ferri.


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mercoledì 8 ottobre 2025

Intervista a Silvana Di Girolamo

 





Buongiorno Silvana, come nasce Racconti di strada?

Le sollecitazioni che mi hanno indotto a scrivere il libro sono molteplici: ho sempre nutrito un grande interesse per le tematiche relative al disagio e alla marginalità sociale e, soprattutto, ho sempre provato una grande simpatia per i losers, i perdenti, gli sconfitti dalla vita. Si tratta quasi sempre di persone portatrici di svantaggi multipli, quelli economici che generano quelli educativi e  la scarsa istruzione, a sua volta, genera la povertà, un piano inclinato sul quale si scivola sempre più in basso, anche perché spesso ci sono fragilità connaturate che impediscono qualunque percorso di risalita.
Col libro, ho cercato di dare luce ai tratti più nascosti di queste persone che, quasi sempre, vengono identificate con il loro problema, che sia la tossicodipendenza o la malattia mentale, trascinano il fardello di uno stigma sociale che oscura tutte le numerose sfaccettature dell’umano.


Quali sono le tematiche principali della tua opera?

L’ambizione è stata quella di percorrere un vero e proprio itinerario nei luoghi dell’emarginazione della città, usando un linguaggio inclusivo, rispettoso e tollerante nei confronti di coloro che tali luoghi “abitano”.
Nel libro, ad esempio, parlo di villa Nanni che per molto tempo ha occupato le pagine di cronaca locale, quale emblema di degrado urbano; è stata sicuramente una sacca di miseria, percepita come luogo pericoloso, in realtà, si trattava più che altro di un’umanità più arresa e meno resiliente, e questa è una delle tante ingiustizie della vita, ci sono i combattenti che si rialzano sempre e ci sono i soccombenti,  quelli di villa Nanni, che al protagonista del libro sembrano creature notturne.
Nel libro dedico poi molto spazio alla stazione: anche quella di una città piccola come Perugia, al calare della sera subisce una mutazione antropologica, spariscono i viaggiatori e il popolo della strada si riappropria del luogo, qualcosa di simile ad una casa per la maggior parte di loro.
Un altra tematica che ho affrontato è quella della tossicodipendenza, e ho provato a descrivere il percorso che porta uno dei protagonisti all’abuso di sostanze, il “piano inclinato” di cui parlavo all’inizio; poi  parlo di prostituzione, di quella più miserabile, che è contigua alla povertà e alla tossicodipendenza, legate da un circolo vizioso che difficilmente può essere interrotto.
Uno spazio molto ampio lo dedico alla malattia mentale. Attraverso le vicende di uno dei personaggi ho voluto rendere omaggio a Mario Tobino, scrittore e psichiatra, direttore del manicomio di Lucca per più di 20 anni, dai primi anni ‘50. Tobino era uno psichiatra gentile che rifiutava i metodi coercitivi e nel libro ho immaginato che venisse ricordato come una figura salvifica.
La collocazione temporale di parte del racconto mi ha consentito anche di descrivere il clima politico pesante degli anni di piombo, in realtà, anche questo è un espediente letterario che mi ha permesso di parlare dei lasciti del ‘68, prima di tutto la legge 180, il superamento del manicomio e la nascita della psichiatria di territorio.
Infatti, oltre ai luoghi bui dell’emarginazione, il libro ospita anche dei punti di luce, i luoghi dell’accoglienza e della solidarietà, la progettualità degli operatori sociali e dei medici non ancora disincantati, ma anche il percorso di riscatto di coloro che avevamo dato per persi. Gli ospiti delle “Nuvole” che riseminano il loro giardino sono una metafora delle possibilità insospettate che possono essere espresse, bisogna saperle cercare e soprattutto saperle vedere.


Ci sono scrittori o scrittrici che ti hanno ispirato nello scrivere o che ti piace leggere?

Questa è la domanda più difficile, per una lettrice compulsiva scegliere alcuni Autori piuttosto di altri è una pratica dolorosa; potrei dire tutti, tutto quello che ho letto in modo famelico già dall’adolescenza. Sicuramente, dei contemporanei, amo molto Donatella Di Pietrantonio che, oltre tutto è una mia corregionale, mi piace molto il suo stile scabro e tuttavia molto impattante e viscerale, quanto ad esserne influenzata, mi piacerebbe moltissimo, ma ne sono ben lontana.
Degli Autori del passato, sono molto affezionata ai Naturalisti francesi, il Zola di “Germinale”, l’epopea dei minatori che si ritrova anche nella “Cittadella” di Cronin, altro autore che ho molto letto; naturalmente la corrente Verista, non tanto Verga, fin troppo noto, quanto quelli considerati di secondo piano come Luigi Capuana, nel suo “Marchese di Roccaverdina” la protagonista è una domestica che riunisce in sé un doppio svantaggio, quello dell’appartenenza di genere e quello dell’appartenenza sociale.
Poi Cesare Pavese, specialmente quello di “ Paesi tuoi”, il primo dei suoi romanzi. Infine, amo molto gli Autori americani contemporanei: lo Steinbeck  di “Furore” con le migrazioni  dei contadini scacciati dalle loro terre desertificate dalle tempeste di polvere, ma anche Faulkner in “Luce d’agosto” il protagonista è un nero nel sud razzista, ne “L’urlo e il furore” l’io narrante è il ragazzino debole di mente della famiglia.
Poi, non posso non ricordare il grandissimo Cormac Mc Carthy, che ci ha lasciato da due anni e ci mancherà sempre: di lui voglio menzionare non tanto “La trilogia della frontiera”, quanto quelli meno noti come “Il buio fuori”, la protagonista è una ragazza che vaga nei villaggi del Tennessee negli anni della Grande Depressione, reduce da un parto incestuoso.
Questi sono solo alcuni del mio pantheon personale, li ho menzionati soprattutto perché sono legati da un filo rosso, quello di dare una ribalta agli “ultimi”.  



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mercoledì 1 ottobre 2025

Intervista a Stefano Lazzari

 





Buongiorno, come nasce questa tua raccolta poetica?

In realtà, la raccolta nasce in modo estemporaneo, su riflessioni sparse nel mezzo inverno: momenti esistenziali, ma anche vita di tutti i giorni… e queste meditazioni sono poi state ordinate in un alfabeto, per avere poi agio a formulare il titolo adatto, appunto “L’ALFABETO DELL’ANIMA”. Evidentemente, queste riflessioni fermentavano da tempo nella mia mente: poiché il tempo di scrittura si è rivelato imprevedibilmente rapido, 50 poesie in 37 giorni… 



Quali sono le tematiche principali delle tue poesie?

Ho raccolto momenti di vita ordinaria, modi di essere, vizi e virtù: che, in vario equilibrio, sono patrimonio di ognuno di noi… ma evitando, per quanto possibile, coloriture didascaliche e/o moralistiche, e mantenere toni sereni, giudiziosi ma neanche troppo, e qualche sorriso di cauta indulgenza: anche riferito ai peccati capitali, dai quali, dopo tutto, ci si può anche emendare… 


 
Ci sono poeti che ti ispirano o che ti piace leggere?

Hesse, Goethe, Rilke, Coleridge, Byron, Leopardi… anche se poi, nessuno di questi  influenza in modo determinante e visibile le mie poesie .




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