martedì 9 dicembre 2025

Intervista a Claudio Michelazzi

 





Buonasera, come nasce il saggio Macbeth?

Il saggio nasce da un’intuizione che mi ha accompagnato per anni: Macbeth non è soltanto una tragedia teatrale, ma una drammatizzazione del sogno, o meglio dell’inconscio in tumulto.
Non è un’opera che si limita a narrare un regicidio, un’ambizione o una caduta morale: è una rappresentazione simbolica di ciò che accade quando l’Io viene travolto dalle immagini archetipiche che emergono dal profondo. La scintilla iniziale è stata questa domanda: “E se tutto Macbeth fosse un sogno sognato dal protagonista?” Man mano ho compreso che quella domanda apriva un orizzonte immenso. Leggendo l’opera con attenzione psicologica, emerge che il paesaggio è onirico fin dall’inizio, i personaggi funzionano come figure interiori (Ombra, Anima, doppio, Sé, persecutori), la progressione drammatica coincide con un decorso psicopatologico: allucinazioni, perdita del sonno, delirio, inflazione dell’Io, dissociazione. Il saggio nasce, dunque, dall’idea che Shakespeare metta in scena non un dramma storico, ma un sogno  che si converte in psicosi, e che quel sogno abbia valore non soltanto letterario, ma antropologico e psicologico. È un tentativo di andare oltre l’interpretazione accademica, per entrare nel cuore dell’immaginazione simbolica occidentale e mostrarne la profondità abissale.



Quali sono le tematiche principali di questa tua opera?

Il saggio si muove su più livelli, come una spirale. Le tematiche sono molte, ma tre emergono con particolare forza. Macbeth come sogno archetipico, quindi l’intera tragedia è letta come un viaggio nell’inconscio, dove la Scozia non è un luogo geografico, ma una mappa psichica. Protagonista e vittima del proprio mondo interiore, Macbeth sogna figure profetiche (le streghe), immagini persecutorie (Banquo fantasma), simboli di colpa che diventano corpo (il sangue sulle mani),
alterazioni del tempo e dello spazio. La scena teatrale diventa la camera oscura della psiche. La discesa psicopatologica: dal desiderio alla psicosi. Una seconda tematica centrale è l’analisi del Macbeth come progressiva disintegrazione mentale: allucinazione del pugnale, voce che lo condanna a non dormire più, paranoia verso Banquo, delirio di grandezza, incapacità di interpretare simboli (le profezie), isolamento e automatizzazione dell’azione.
Il regicidio non è solo un atto morale: è un gesto di rottura psichica, l’uccisione del Sé interiore, del principio ordinatore della personalità. La tragedia non è solo politica: è clinica, interiore, psichica. Altra tematica centrale: La dimensione mitica, Macbeth come re-sacrificato secondo la Tradizione indo-europea. Il saggio recupera anche la dimensione arcaica e mitologica del dramma: Macbeth incarna l’antico archetipo del re usurpatore destinato alla morte rituale, le streghe appartengono alla triade delle Parche / Norne, la foresta di Birnam è la natura sacra che corregge l’eccesso umano,
il sangue è miasma che contamina il mondo, la regalità usurpata è sempre regalità di tenebra. Questo permette di collegare Shakespeare alle strutture profonde della mitopoiesi europea: il re che non rispetta il limite, il re che rompe il patto cosmico, il re che deve cadere per ristabilire l’equilibrio.


 
Come va inquadrato il tuo testo nella nostra epoca?

Oggi viviamo in una fase particolare  che il mondo della Tradizione definisce Età del Lupo: un’epoca in cui l’Io è sovraesposto, inflazionato, scollegato dalla dimensione simbolica del Sacro e dagli equilibri interiori. Il mio testo si colloca proprio qui. Macbeth è un dramma del Seicento, ma parla con una precisione chirurgica del nostro tempo: della proiezione dell’Ombra, della perdita del sonno e dell’interiorità, del potere inteso come dominio, come pensiero unico, come omologazione globalista, dell’erosione del sacro, della frantumazione dell’identità, della trasformazione del desiderio in delirio.
Viviamo in una società che spesso confonde immagine e realtà, opinione e verità, ambizione e vocazione. Proprio come Macbeth confonde simboli e certezze, desiderio e destino. Il mio saggio si rivolge quindi al lettore contemporaneo non come analisi letteraria, ma come specchio psicologico e collettivo. Macbeth siamo noi quando smettiamo di ascoltare l’inconscio, quando trasformiamo il sogno in strumento, quando rinneghiamo il limite, il confine, quando l’Io diventa l’unico orizzonte. In questo senso, il testo è un invito: a recuperare la funzione simbolica, l’attenzione alle immagini interiori, la capacità di dialogare con il profondo prima che il profondo si trasformi in sintomo. 
Chiudendo voglio fare un ringraziamento particolare a Fabrizio Bandini e alla casa editrice Midgard per l'importantissimo lavoro che svolgono. 





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