giovedì 26 novembre 2020

Intervista a Giordano Gerundio

Intervista a Giordano Gerundio, autore del volume illustrato “La banda del vecchio orologiaio e altre storie d’amicizia”, edito nella Collana Fiabe della Midgard Editrice.







Buongiorno, parlaci della tua opera, come nasce? 

I racconti che formano la raccolta hanno genesi diverse: ad esempio Nerone è una storia autobiografica; si racconta del forte legame tra mio nonno e un puledro, Nerone appunto. Una storia tante volte raccontata da mio nonno, che in questo modo teneva vivo il ricordo del suo cavallo e di quel legame che lo aveva segnato profondamente. Anche le immagini del racconto, a differenza delle altre, sono aderenti alla realtà come la vecchia foto dell’ultima pagina che sta a testimoniare la veridicità dei fatti narrati. Pure “Il vecchio pittore” nasce da una mia lontana esperienza di vita. Da bambino, un pittore era venuto ad abitare in una bella villa proprio accanto alla mia casa. Dopo diversi anni ho scoperto per caso che quel pittore, che io non ho mai conosciuto, ma di cui conservo per un caso fortuito alcuni bozzetti, era un pittore famoso. Mentre “Di mestiere faccio ridere” si ispira alla straordinaria esperienza del clown Miloud e dei suoi ragazzi divenuti ormai famosi in tutta Europa grazie ai loro spettacoli, che io sono fiero di aver conosciuto. Quei ragazzi, come il mio personaggio Thomas, erano ragazzi di strada che prima di conoscere Miloud vivevano di elemosina ed espedienti e si rifugiavano nel sottosuolo della loro città, vicino alle fogne. Ma forse la domanda fondamentale non è tanto come nasce una storia ma perché abbiamo bisogno di nutrirci di storie. La risposta la dà mio nonno con le parole della grande scrittrice Karen Blixen: “Le storie si raccontano da sempre, e senza storie gli uomini sarebbero morti come sarebbero morti senza acqua”.    



Quali sono le tematiche più importanti dei tuoi racconti?

 Ho la profonda convinzione che scrivere come leggere debba essere un’esperienza significativa, che permetta di arricchirsi e modificarsi: non amo la letteratura di puro intrattenimento. Le tematiche a me care si possono identificare con ciò che credo nella vita di un uomo come già di un bambino conta: l’amore in tutte le sue forme, l’amicizia, la fratellanza, la curiosità di conoscere e comprendere il mondo che ci circonda. 



Come è stata la collaborazione con le illustratrici?

La collaborazione con le illustratrici, con Alessandra e Cinzia ci conosciamo da tempo e insieme abbiamo collaborato a diversi progetti, si è basata sulla stima e fiducia reciproca. Io ho esposto loro le mie idee riguardo alle immagini da illustrare, ma poi ho lasciato ampia libertà creativa, sicuro del fatto che le immagini abbiano la stessa rilevanza e dignità delle parole. 



Che scrittori ti piacciono e ti ispirano?

Sono tanti gli scrittori che amo e a cui idealmente mi ispiro: anche un maestro ha bisogno di maestri. Tra questi vorrei sicuramente ricordare Luis Sepulveda ma anche David Grossman con la sua invidiabile capacità di scrivere libri per bambini, ragazzi e adulti e il suo pacato ma instancabile impegno civile. Come non menzionare poi la straordinaria collaborazione tra Gianni Rodari e Bruno Munari e ancora Roberto Piumini e le bellissime rime di Bruno Tognolini e di Gek Tessaro. In ultimo vorrei ricordare il capolavoro di Jiuri Norstein “Il riccio nella nebbia” che con disarmante semplicità arriva dritto al cuore di bambini e adulti per parlarci del bisogno fondamentale dell’amicizia.   

 

http://midgard.it/labanda_delvecchioorologiaio.htm

 

martedì 24 novembre 2020

Intervista a Margherita Merone

Intervista a Margherita Merone, autrice del volume illustrato “Le divertenti storie della stella Luce”, edito nella Collana Fiabe della Midgard Editrice.








Buongiorno, parlaci della tua nuova opera, come nasce? 

Ciao Fabrizio, la mia opera nasce come sempre avendo come musa ispiratrice mia sorella Cecilia, che è venuta a mancare per colpa di una brutta malattia quando era piccola. Quando penso a lei  mi vengono in mente sempre tante storie, ti dico solo che prima di morire mi ha regalato una penna, per questo ho sempre pensato che desiderasse che scrivessi delle favole per i bambini. Anche se adesso certamente i tempi sono cambiati i bambini amano sempre ascoltare delle belle storie. Le avventure della stella Luce sono sempre divertenti. 



Quali sono le tematiche più importanti dei tuoi racconti?

Sono tutte storie che hanno un carattere pedagogico, parlano dell’amore, dell’amicizia, della famiglia, dei rapporti tra le persone, di tutto ciò che riguarda la nostra vita. La stella Luce insegna ai bambini a fare il bene e a comportarsi sempre in modo esemplare. Fa capire loro quando sbagliano ma in un modo sempre allegro e delicato. Solo i bambini possono vedere la stella Luce perché hanno un cuore puro e buono.

 

Come è stata la collaborazione con l’illustratrice Valeria Bucefari?

Valeria non è solo una grandissima disegnatrice, è un’amica e una donna stupenda.
Grazie ai suoi disegni tutte le storie acquistano valore e danno prestigio al libro. La stimo molto perché è veramente bravissima.



Progetti futuri?

Nel futuro conto di scrivere altre storie per i bambini perché mentre le scrivo mi emoziono e spero che questo accada anche ai bambini che le leggono.
Ciao Fabrizio ti ringrazio tanto. 

venerdì 20 novembre 2020

L'eco delle mie emozioni

 di Andrea Troiani





A qualunque costo


Ho scelto la tempesta,

disertando la quiete...

Mi sono innamorato delle spine,

ancora prima della bellezza...

E se il tuo amore fosse inferno,

che io sia dannato.



Il vaso rotto


Se dovessi scegliere un vaso...

Beh sceglierei un vaso rotto...

Esteticamente è bello uguale e in Giappone ha un significato che va ben oltre l’usanza.

Viene riparato con venature dorate che uniscono i pezzi frantumati…

Kintsugi, è il nome di questa tecnica…

la tecnica che chiude le cicatrici con l’oro.

Queste “cicatrici” sono metaforicamente il nostro cambiamento,

la nostra crescita e valorizzano la nostra vita.

Un vaso rotto è già caduto più volte e ormai sa come affrontare il dolore...

Non si aspetta nulla,

non chiede niente,

anche se ne vorrebbe di carezze e sorrisi dopo tutte quelle sofferenze.

Vorrei vedere le crepe del nostro cuore,

quanto hanno resistito nei momenti difficili,

anche lui è stato spaccato più volte,

ma come il vaso si è rinsaldato con più forza e con più coraggio.

Se dovessi scegliere...

Sceglierei un vaso rotto.



Perso di te


Ho perso quel volo…

Non sono arrivato in tempo alla stazione e ho perso quel treno…

Ma non mi sono dato per vinto…

Sto arrivando a piedi

e se non ti avrò amato a vent’anni.

lo farò a trenta.

Avremo tante cose da fare e tutte insieme,

ma sarò perso di te come un adolescente.



Ti sento vivere


Una rosa è molto più di un fiore…

È vedere il tuo volto meravigliarsi…

È uscire dalle giornate frenetiche e dedicare tempo alla tua felicità…

È sentirmi più sicuro davanti al tuo sorriso disarmante…

Una rosa è un modo per dirti,

che nella quotidianità,

ti sento vivere.


Estratto dalla raccolta poetica "L'eco delle mie emozioni" di Andrea Troiaani, Midgard Editrice 2020


http://midgard.it/leco_dellemieemozioni.htm




mercoledì 18 novembre 2020

Intervista a Giulio Volpi

Intervista a Giulio Volpi, autore del romanzo “La colpa imperfetta”, edito nella Collana Narrativa della Midgard Editrice.





Buongiorno Giulio, parlaci della tua nuova opera, come nasce? 

Nel mio terzo romanzo “Antares” avevo creato le premesse per poter iniziare a scrivere qualcosa di giallo facendo nascere, in uno dei miei personaggi, il desiderio di entrare in polizia. Così Enzo, protagonista dei miei primi tre racconti, è diventato il giovane Commissario Cantoni, impegnato a risolvere il suo primo caso a Firenze, una città che conosco bene per averci abitato diversi anni. 


Questa volta hai scritto un romanzo prettamente giallo, come è stato confrontarsi con il genere?

Ci ho messo un po’ ad entrare nella giusta atmosfera ma poi tutto è diventato facile e mi sono divertito molto a scrivere. 


Ci sono alcuni scrittori di romanzi gialli e noir che ti hanno ispirato nello scrivere questa tua nuova opera?

Ho letto molti gialli, Camilleri, Manzini, Malvaldi e tanti altri. Adesso sto leggendo Jo Nesbo, ma quando scrivo non mi riferisco a nessuno in particolare. Vorrei creare un mio genere personale in cui poter inserire anche personaggi improbabili per il genere giallo classico.  


Progetti futuri?

Per ora un altro giallo, poi forse anche qualcosa di nuovo.


venerdì 13 novembre 2020

Isabel. Meraviglia e dramma

 di Paola Micoli e Corrado Solari.





Da ragazza mi ero coricata, più o meno come farfalla, (ma le farfalle non si coricano, posano) pensai. Così posai io, fra il tenero cespugliame, a foglia larga, del mio bosco, ad aprirmi l’anima, da dove si entra, per viaggiare e cercare nei paesaggi interiori color pastello, a me tanto familiari, le persone che mi avrebbero chiarito disarmonie sentimentali o incomprensioni lasciate in sospeso. Che bel pensare. Quel giorno ero sull’albero dell’altalena, “mastro albero”, che sapeva così bene come cullarmi, mentre nel cuore mi dondolava una domanda: “Perché ho sempre aiutato a viaggiare gli altri e non l’ho mai fatto per me?”

Pencolando avanti e indietro mi ricordavo le parole di mamma che severamente accorata mi avvertiva: “Isabel, non andare oltre mi raccomando! Il tuo posto è qui e il posto “loro” è là!

Non devi disturbare le anime in travaglio! Se tu lo fai per il solo scopo di alleviare la fatica, i torti o le amarezze di persone che conosci, in modo di acquietarne i tormenti per il resto della vita, è una cosa benevola e la puoi fare. Ma astieniti dal portarci qualcuno tanto per portarlo e nemmeno tu dovrai passare di là se non per motivi veramente importanti!”

Mi guardavo i piedi, che dondolavano, fra tante riflessioni, volti accennati, sentimenti, fantasie...

Quanto riflettevo sulle cose che non c’erano più e sui nuovi modi di bisticciare o non bisticciare, sul dire o meno a mamma, anzi di non dirle più; piuttosto a Eveline... o forse a mamma... o forse meglio Eveline... uffa che fatica decidere! Mi ciondolavo avanti e indietro, ero smarrita, mentre il corpo oscillava in avanti, l’anima andava indietro. E non si incontravano mai... c’era il rischio di non rientrare più o di trovarsi dissociati come se l’anima prima rincorresse e poi sfuggisse il corpo: “Ehilà dove corri, fermati, devo rientrare! Non sono ancora morta!” Mi ripresi subito da questa grulla immaginazione e tornai a riflettere se “addentrarmi” o meno “nel di là”.

Chiusi gli occhi: “Cosa potrebbe succedermi se io ora volessi andare oltre, così, solo per curiosità? È cosa ben fatta, giudiziosa, avventata... destinata?” Mi domandai.

Eveline... magari ci fosse ancora fra noi, avrei potuto chiedere a lei cosa ne pensasse, lei che aveva una risposta a tutto. Se adesso lo rivelassi a mamma che desidererei andare oltre mi sgriderebbe di santa ragione?

Don, don... e poi don, don... don-do-la-vo sull’altalena a macerarmi dubbiosa.

Cosa faccio? Vado non vado, mi stavo agitando. Dio mio, era come se una vocina dentro mi stesse chiamando: “Prenditi coraggio, vieni, vieni!”

Cosa era quella voce di vento o di bimba, dolce bimba, che sentivo in me? Non saprei dire da dove sentivo chiamarmi, dalla mente, dal cuore o dallo stomaco. Mi dondolavo sempre più lentamente fino a fissarmi in un torpore ipnotico, curioso, presa com’ero dal diavoletto dell’incanto. E precipitavo nel pensiero del viso di una donna dalla pelle candida, di pallor celeste, con gli occhi invasi di sorridenti lacrime, discrete ma gonfie.

“Quante volte ho sognato quel viso! Ma ora basta” mi dissi. Balzai dall’altalena, che continuava a roteare sbilenca, e mi piantai a terra. Con un silenzioso fervore gridai dentro di me: “Voglio scoprire quello che ancora non so! Non so il perché ma ora devo decidermi e correre a scoprirlo.”

Ero tutta protesa, con tutti i miei pochi anni, con tutti i miei pensieri, tutta intera. Ero quella che sogna, lo volevo fare con tutta me stessa.

Mi precipitai saltellando da un sasso all’altro sull’acqua, fino a salire i pioli della mia casetta sul fiume. Entrai, presi fiato, anzi lo feci scorrere fino a quietarsi. Mi sdraiai come sapevo fare, con la testa leggermente ripiegata all’indietro. Stesi teneramente le mani sul pavimento di legno, chiusi gli occhi e portai la mia mano destra sul mio petto, dove mi concentravo sul respiro e sul cuore.

Ad occhi chiusi respiravo profondamente, piano piano, sempre più flebile, quasi apnea, fino quando il respiro, andava a dissolversi, mentre mi vedevo salire. “Vi è mai successo di staccarvi e di guardarvi dall’alto?”

La mia anima si sollevava in una atmosfera ovattata, quasi rosa e luminosa, in qualcosa che preludeva lo svelarsi di cose segrete. Il corpo invece rimaneva lì, come abbandonato sul pavimento della mia casina.

Fluttuai lentamente giù ai piedi dell’albero, e poi al torrente, il mio Carezza, luogo da dove il sogno, l’intento, mi trascinava come sempre, come per tutti coloro che portavo con me verso il viaggio, che ora, almeno per una volta, lo dedicavo a me, irrefrenabile e acceso.

Osservavo i miei piedi, che volavano lenti, aerei, controcorrente alle acque del fiume, fino a giungere a quella grande fenditura, una delle magiche fenditure: ingressi misteriosi fra il mondo fisico e il di là, nell’albero magico, nelle radici o nella roccia incorniciata di muschio, accogliente, dolce guardiana dei miei “ingressi” verso il trasparente, il nulla, l’oltre. Albero protettore, entità sempre auspicante di buone cose.

“Coraggio Isabel, ora tocca a te!” mi dissi.

Entrai cauta e guardinga. Quanta luce!

Dopo essere barcollata più volte, mi trovai alla spiaggetta, che a vederla era fatta di morbida sabbia e a camminarci sopra si faceva d’erba. Era qui che facevo incontrare tutti con i loro amati. Ma ora non c’era nessuno per me. Vi ero giunta che non volavo più ma camminavo, senza lasciare orme sulla sabbia. Da lontano vidi un essere che emanava dei colori, stava di spalle, vestiva una mantella chiara da monaco cappuccino.

Mi avvicinai e trovai la forza di toccare lievemente la sua schiena, ma le dita non sentirono nulla poiché il corpo era fatto di luce. Lo attraversavo!

Nello stesso istante l’essere si voltò: era Eveline!


Estratto dal romanzo "Isabel. Meraviglia e dramma" di Paola Micoli e Corrado Solari, Midgard Editrice 2020.


http://midgard.it/isabel.htm

mercoledì 4 novembre 2020

La Divina

 di Beatrice Massaini.





Cosa lascia detto una persona quando prende la decisione di morire? E io? Io cosa dovrei  scrivere? Ma, soprattutto, dovrei scrivere qualcosa? In fondo bisogna considerare che morirò d’infarto e che nessuno scrive un biglietto d’addio prima di un infarto. Oh cielo, la voglia disperata di non lasciare detto un bel niente e consentire che il mondo se la sbrighi un po’ come gli pare! Tuttavia la coscienza mi pungola e io sento il dovere morale di non lasciare questa terra senza prima metterti in guardia. 

Io non so chi tu sia, non so cosa ci fai in casa mia ma, se stai leggendo queste righe, probabilmente troverai anche il  foglio con la ricetta.

Ti prego, per amore di tutto quello che ti è più caro, stai lontano da quella maledetta ricetta! Non lasciare che i tuoi occhi nemmeno la sfiorino ma, al contrario, prendi quel foglio,  deponilo a faccia in giù in qualche angolino nascosto, e poi prega Dio che ti faccia la grazia di dimenticarti della sua esistenza.    

Sì, lo so, ti domanderai perché, se era così importante per me che nessuno lo leggesse,  io non l’abbia distrutto. Ci ho provato, credimi. Ho cercato di bruciarlo, di seppellirlo, di scioglierlo nell’acido e addirittura di ingoiarlo, ma aprendo gli occhi la mattina dopo, ogni volta me lo ritrovavo sul comodino perfettamente integro e senza il minimo segno di danneggiamento, neanche fosse stato appena scritto. Immagino che una cosa del genere sia dura da credere, vero? Ma è la pura verità, te lo giuro. 

Certo, mi rendo conto che  dire a una persona che non deve assolutamente fare una cosa è rischioso che, nella maggior parte dei casi, è come invitarla a commettere l’atto che la stai supplicando di non fare e poi, in fondo, perché dovresti darmi credito? Non sai nemmeno chi sono. Per questo ho deciso di lasciarti questo scritto. Lì troverai tutti i motivi che mi hanno spinta a inoltrarmi su una strada oscura e le ragioni per cui sto cercando di salvarti. Spero che tu lo legga con attenzione, spero che tu mi creda, spero che non strapperai questi fogli senza nemmeno leggerli per poi buttarli nel cassonetto dell’immondizia.   

Posso fidarmi di te?


Storia di Angelica de Patre

Per fortuna l’unica ad accorgersene, quando ero ancora piccolissima, era stata mia madre. Quando mi aveva vista gattonare verso il telefono, prima ancora che squillasse, e mi aveva intesa farfugliare il nome della persona che si apprestava a bussare alla nostra porta, aveva capito che la maledizione di famiglia si era perpetrata in me e, da quella donna saggia e avveduta che era, aveva cercato in tutti i modi di coprirmi, di  fare sì, insomma, che nessuno arrivasse a intuire quello che ero.

Poi, quando ero stata abbastanza grande da capire, mi aveva presa in disparte e mi aveva fatto un discorso, molto articolato, su quanto fosse poco opportuno che io manifestassi certe capacità, su quanto corressi il rischio di venire emarginata perché giudicata un fenomeno da baraccone e che “Quelle come me” (aveva detto proprio così “Quelle come te”) erano destinate a fare una brutta fine se non si davano una regolata. Dopodiché, tenendolo con la punta di due dita neanche fosse composto da materiale radioattivo, mi aveva allungato un libricino dalla copertina ammuffita e le pagine incartapecorite. “Questo è stato scritto da una tua antenata. Un cimelio di famiglia che tua nonna mi ha fatto promettere di conservare, mentre se fosse stato per me …” e qui aveva scosso la testa e atteggiato la bocca a una smorfia di disgusto per farmi meglio comprendere quanto la ripugnasse il vetusto libello che mi stava porgendo. “Io non so cosa contiene e, per dirtela tutta, nemmeno lo voglio sapere, comunque sia, se avrai la voglia di leggerlo, forse ti renderai conto di quanto disgraziata sia stata la vita di quella povera donna e di quanto essere quello che era, e non essere stata capace di nasconderlo, l’abbiano rovinata”.

Titubante avevo afferrato il piccolo quadernetto, ripensando a quello che avevo sentito dire sul conto di quella mia fantomatica ava. Qualcosa sul fatto che, dopo essere stata processata come strega, aveva incontrato una morte orribile bruciando sul rogo.

“Vuoi che capiti anche a te? Eh, lo vuoi?” la voce di mia madre, a quel punto, era diventata stridula e incalzante. Avevo scosso il capo vigorosamente. Non che io temessi di finire a mia volta su un rogo naturalmente, ma avevo capito il senso di quel discorso e i pericoli che correvo, se non avessi tenuto a bada certe “ manifestazioni”. 

E così avevo cominciato a soffocare il mio lato stregonesco. A ignorare le mie visioni, a non sussultare ogni volta che incontravo una persona di cui individuavo il destino infausto e a usare i miei poteri solo per avvantaggiarmi in piccole cose pratiche, tipo sapere in anticipo quando sarei stata interrogata a scuola e prepararmi di conseguenza o, più banalmente, a premurarmi di prendere l’ombrello quando prevedevo un acquazzone improvviso. Quanto al quaderno della mia trisavola, lo confesso, non avevo avuto il coraggio di leggerlo, tuttavia l’avevo avvolto in una custodia di cellophan e l’avevo riposto con cura in un cassetto in camera mia, presentendo che, presto o tardi, mi sarebbe tornato utile.

Credo che mia madre, col tempo, si fosse convinta che le mie capacità si fossero spente. Probabilmente nel vedere che mi comportavo come una normalissima ragazza di vent’anni che studiava con profitto, che frequentava gli altri ragazzi, insomma che dimostrava di essere bene integrata nel tessuto sociale, si era fatta l’idea che la mia diversità non fosse più presente, ed era stato probabilmente per questo motivo che non mi aveva dato ascolto quando le avevo detto di non andare a fare quel viaggio che lei e mio padre avevano programmato per festeggiare le loro nozze d’argento.

Forse avrei dovuto insistere di più, ricordarle che, anche se lei si ostinava a negarlo, io ero pur sempre quella che ero, descriverle nel dettaglio l’incidente che avrebbero avuto, così come l’avevo visto, ma non so se sarebbe servito. Come si suole dire: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire o peggior cieco di chi non vuol vedere o qualcosa del genere.

Comunque sia ecco come era stato che, a vent’anni, mi ero ritrovata orfana, con un misero gruzzoletto derivatomi dall’indennizzo che mi era stato corrisposto dall’assicurazione, una casa che non riuscivo più a mantenere e l’urgenza di trovarmi un lavoro.

Un lavoro, una chimera sarebbe stato più corretto definirlo. Un qualcosa di impossibile e inesistente, soprattutto per una che sul curriculum non è che ci potesse mettere chissà cosa: Diploma di liceo classico, un paio d’anni di università e, alla voce esperienze precedenti, un bello spazio bianco che più bianco non si poteva. In un mondo dove gente con due lauree e quattro lingue parlate e scritte faceva fatica a sistemarsi, figuriamoci una dalle scarse competenze come ero io.

A volte ero talmente disperata da accarezzare il pensiero di riempire le righe accanto alla dicitura: altre capacità e conoscenze, con l’elenco delle mie effettive doti. Come ci sarebbe stato un bel altre capacità: veggente, sensitiva, indovina, strega?

Non ne avevo fatto niente, naturalmente, lo spauracchio della fine orrenda che era occorsa alla mia antenata era sempre lì, presente e incombente. Nondimeno un’idea, frutto di tutte quelle riflessioni estenuanti, aveva cominciato a germinare nella mia mente.

Insomma come si nasconde una strega? Qual’era il modo migliore di sfruttare, perlomeno in minima parte, le mie capacità senza dare nell’occhio?

La trovata era talmente bislacca che poteva perfino funzionare. E poi, non era così che dicevano tutti quei depliant che mi avevano dato all’ufficio collocamento? Quegli opuscoli dove si invitavano i giovani a trovare delle occupazioni alternative, a diventare imprenditori di sé stessi?

Devo ammetterlo, gli inizi non erano stati confortanti. Nonostante il pretenzioso cartello, appeso fuori da casa mia, che riportava in lettere gotiche la scritta: “Madame Angelica- chiromante. Legge il passato, il presente, il futuro. Prezzi modici”  per almeno un mese nessuno si era presentato alla mia porta. Cominciavo già a disperare quando, un gruppo di ragazze commesse nel vicino centro commerciale, aveva deciso di regalarsi un pomeriggio divertente e così erano venute da me.


Estratto dal racconto "La Divina" di Beatrice Massaini, Vincitore Premio Giallobirra 2017, dall'ebook Giallobirra 4, Midgard Editrice 2020.

http://midgard.it/giallobirra4_ebook.htm