martedì 23 marzo 2021

Jane Eyre ed Io

 di Monica Pica.






Il giorno prima dell’inizio delle vacanze di Natale della quinta elementare, mi avvicinai alla cattedra dove la maestra stava correggendo i nostri compiti di matematica. C’era un libro appoggiato sopra, dal titolo strano che non sapevo pronunciare. Provavo a ripetere il titolo sottovoce e quando la maestra se ne accorse mi disse: «Si pronuncia Gein Eir».

«E cosa significa?» le chiesi.

«È il nome di una donna. Il libro racconta la sua vita in Inghilterra. È la storia di una donna forte e coraggiosa», rispose, poi aggiunse «prendilo, leggilo durante le vacanze. Io l’ha già letto molte volte».

«E perché continua a leggerlo se conosce già la storia?» le chiesi con tono curioso.

«Per ricordare a me stessa che non bisogna mai arrendersi, anche quando la vita è difficile». Presi il libro tra le mani come fosse un lingotto d’oro, lo misi nella cartella e passai il resto della mattinata in attesa di poter tornare a casa ed iniziare a leggere. Camminai con passi veloci, tanto che le mie sorelle più piccole non riuscivano a starmi dietro.

Quel pomeriggio toccava a me badare al piccolo gregge. Mi sedetti sull’erba ed iniziai a leggere. La lettura mi prese completamente e non mi accorsi che mio padre era sopraggiunto alle mie spalle. «Come fai a badare alle pecore se hai la faccia coperta dal libro?» mi disse con voce severa e per nulla accomodante. Non ebbi il tempo di rispondere, mi strappò il libro dalle mani e se ne andò. Quella sera stessa, quando eravamo tutti a tavola per la cena, mio padre disse che aveva preso una decisione. «Finita la scuola, resterai a casa ad aiutare tua madre e tua nonna. Cinque anni di scuola sono sufficienti. Io ne ho fatti solo due e so badare a me stesso e a tutti voi».

Mi crollò il mondo addosso. Avevo gli occhi pieni di lacrime, ma non avevo il coraggio di rispondere a mio padre. Caterina e Matilde iniziarono a ridacchiare tra i baffi, finché lo sguardo fulminante di mio padre non le fece smettere.

Aiutai mia madre a sistemare la casa e me ne andai in camera. Mi nascosi sotto le coperte ed iniziai a piangere, cercando di non farmi sentire dalle mie sorelle, mentre nella stanza accanto sentivo mia madre parlare con mio padre, ma non riuscivo a capire quale fosse l’argomento della discussione.

Quando mi svegliai, la mattina dopo, trovai sul comodino il libro che mi aveva dato la maestra.

Andai in cucina e trovai mia madre che pelava le patate per il pranzo.

«Ho parlato con tuo padre. L’ho convinto a farti continuare gli studi. Annesi non ha le scuole medie. Dovrai andare a Parto con l’autobus. Ho dovuto promettergli che non trascurerai le faccende domestiche e le tue sorelle sono abbastanza grandi per poterti aiutare». Non sapevo se crederle. Mamma Teresa, sempre silenziosa e ubbidiente, era riuscita a far cambiare idea a mio padre e a farmi restituire il libro.

«Ora vestiti e vieni ad aiutarmi». Passammo le ore successive in cucina, l’una accanto all’altra, in silenzio. La stanza era riempita solo dalla voce di Carlo che si buttava addosso al povero Baldo che cercava un po’ di calore davanti al camino.

La Vigilia e il giorno di Natale le mie sorelle ed io eravamo sollevate dalle faccende domestiche. La Vigilia di Natale decidemmo di preparare dei biglietti di auguri per mamma, papà, nonna, Carlo e Baldo. Nonna Elvira non si era ancora alzata e mamma si recò nella sua stanza per assicurarsi che fosse tutto a posto. La sentimmo urlare e chiamare nostro padre che era fuori in cortile e non poteva sentirla. Uscii di corsa a chiamare papà che si precipitò in camera di nonna Elvira ed iniziò a chiamarla: «Ma’, mamma, ma’, mamma».

Nonna non poteva rispondere perché era morta. Si era dolcemente addormentata e non si era più svegliata. Il giorno di Natale ci fu un andirivieni di persone che venivano a porgere le condoglianze.

In occasione della morte di nonna Elvira, tornò ad Annesi zia Angela, sorella maggiore di papà che non avevo mai conosciuto. Zia Angela se ne era andata da Annesi molti anni prima per lavorare come governante in una famiglia di Roma. A volte veniva a casa nostra l’oste del paese ad avvisarci che zia Angela avrebbe chiamato ad una certa ora al telefono dell’osteria. Mamma e papà andavano insieme a salutare zia Angela e nonna diceva sempre loro: «Dite ad Angela di tornare a casa prima che muoia», ma questo non accadde. Era molto bella ed elegante. Quando vide noi bambini ci abbracciò forte e consegnò ad ognuno di noi un piccolo regalo. Ero affascinata da mia zia, dal suo sorriso, dalla collana di perle che portava al collo. Quando ripartì per Roma provai una profonda tristezza, perché era come se stessi perdendo l’unico legame della mia vita col mondo esterno, l’unico segnale che provava l’esistenza di una realtà fuori dai confini di Annesi.

Per tre sere, dopo il funerale che fu celebrato il 26 dicembre, tutto il paese si riunì in casa nostra e nel cortile per recitare il rosario.

«Finalmente Elvira ha raggiunto il suo amato sposo ed ora vivono nella Gloria del Signore», disse il prete durante l’omelia.

Cercavo di immaginare cosa si provasse a vivere nella Gloria del Signore. Immaginavo nonna Elvira e nonno Sergio mano nella mano mentre passeggiavano in un immenso prato verde e questo pensiero mi dava serenità.

Papà fu triste e taciturno più del solito per alcuni giorni, poi riprese la sua routine, un po’ meno taciturno. La stanza di mia nonna fu liberata da tutte le sue cose. Nel comò trovammo una scatola di legno con vecchie foto in bianco e nero, e tra queste ce n’era una in cui nonna posava con papà e zia Angela. Chiesi a mia madre di poter conservare la scatola e le foto di mia nonna. La riposi gelosamente nell’armadio e da quel giorno la scatola mi avrebbe seguito ovunque, insieme ad un altro piccolo tesoro.


Estratto dal volume "Jane Eyre ed Io" di Monica Pica, Midgard Editrice 2021


Il libro si può ordinare online su Mondadoristore, IBS e sul sito della Midgard Editrice, nelle librerie indipendenti e nelle librerie Feltrinelli.


 

 


mercoledì 17 marzo 2021

Stefullgass

 di Stefano Sensi.





Correvo libero per la strada, bagnato dal sole. 

Respiravo l’aria densa di profumi di fiori e foglie. 

Le sensazioni erano tante, non le potevo contare, e ne volevo sempre di più. 

Davanti a me si delineava una giornata intera di avventure, di gioie improvvise e inaspettate, di scoperte. 

Non vedevo l’ora di viverle, ero troppo felice. 

Camminando sentivo la consistenza della strada sotto di me, il calore del sole sulla fronte. 

Non c’erano pensieri, solo sensazioni. 

Le mie mani toccavano tutto ciò che i miei occhi potevano desiderare, per assaporare la consistenza di ogni oggetto. 

La ruvidezza delle cortecce, la superficie liscia della plastica, la forma imprevedibile delle pietre; e poi le foglie: quelle con una superficie levigata, quelle spesse, quelle sottili, quelle dure, quelle morbide, quelle aguzze; quelle profumate come l’alloro o della salvia. 

E poi il rosmarino! O il basilico. 

Quante cose da riscoprire in un giorno, e da rivivere. 

Mi perdo tra i sapori, gli odori, tra le gioie infinite che ogni giorno regala. 

Presi la bicicletta e scesi in picchiata lungo una discesa, iniziai a sentire quella solita sensazione di euforia. 

Non era la solita felicità che puoi provare quando accarezzi un gatto o guardi un tramonto la sera; era una sensazione forte, vigorosa, che ti creava un brivido capace di percorrere la schiena, e salire su su fino alla testa, farti sentire freddo e caldo allo stesso tempo.

Quella era una scarica di vita, di potenza. 

La velocità! 

La corsa, il mio corpo che si muove riempiendosi di forza. 

Come posso spiegare, c’è qualcosa che sento dentro di me quando aumenta la velocità: è una sensazione che mi avvicina a me stesso, che mi avvicina alla mia vera natura. 

E così scopro tutti i modi per andare più veloce: uso lo skateboard, corro a più non posso, pedalo come un matto, oppure monto su un trattore giocattolo che i miei mi hanno regalato e vado giù... per le discese... correndo come un matto. 

È come se mi concentrassi e mi perdessi allo stesso tempo. 

La mia attenzione su ciò che faccio aumenta ma le mie percezioni si espandono fino ad abbracciare l’intero paesaggio, facendomi diventare un tutt’uno con la natura circostante, gli animali, le piante. 

Ci sono anche io.


Estratto da "Stefulgass" di Stefano Sensi, Midgard Editrice


Il libro si può ordinare online su Mondadoristore, IBS e sul sito della Midgard Editrice, nelle librerie indipendenti e nelle librerie Feltrinelli.


sabato 6 marzo 2021

Tre saggi sulla tradizione nordica

 di Fabrizio Bandini.







I tre colori, il bianco, il rosso e il nero, nella tradizione germanica-nordica hanno ovviamente anche molti altri significati, oltre quelli legati alla tripartizione funzionale comune a tutti gli indoeuropei.

I colori, spiega Gianna Chiesa Isnardi, “rappresentano le diverse qualità dell’essere. La distinzione fondamentale è fra colori chiari e luminosi, simbolo di manifestazione del divino, e colori scuri, legati alle forze del caos e dell’oscurità, ma anche al passaggio dal mondo visibile al mondo invisibile” (16).

Il bianco “corrisponde ad uno stato di attesa, di disponibilità, di grazia. È emblema dei luoghi e dei momenti in cui si è pronti al mutamento e al sacrificio (hvítingar m. pl., sing. hvítingr, connesso a hvítr ‹‹bianco››, è il nome dato alle ‹‹vittime sacrificali››); simbolo tanto di chi sta per subire il cambiamento di condizione (che deve condurre ad un livello superiore di vita) quanto di chi compie all’esterno l’opera iniziatica.

È quindi altresì il colore dell’epifania, del momento cioè in cui l’essere umano riconosce e recepisce il messaggio divino che muterà la sua vita” (17).

Il bianco è anche il colore delle valchirie, “che rappresentano nel mondo nordico l’epifania del divino, sono le dee bianche e luminose per eccellenza” (18).

Similmente è il colore di altre donne sovrannaturali, che assumono la funzione di “mediatrici di segreti divini” (19), ed è il colore degli Elfi, il cui nome probabilmente deriva dalla radice indoeuropea *ALBH, “risplendere”, “essere bianco” latino albus, bianco (20).

Bianco è anche il colore dell’alba, sia quella quotidiana che l’alba dei tempi.

Esso, come colore dell’alba, è anche il simbolo dell’Est per molte civiltà e molte tradizioni, sottolinea giustamente Jean Chevalier (21).

Bianco è il colore del dio Heimdallr, “che resta al limite dello spazio e del tempo per vegliare su di essi” (22).

Anche Freya Aswinn sottolinea come il bianco brillante sia il colore del dio Heimdallr (23).

Il bianco, assieme al blu, è quindi il colore nella tradizione nordica che segnala il distacco dal mondo quotidiano e che rende possibile la manifestazione del divino.

Esso è anche “simbolo corrispettivo della luce, si veda ad esempio la descrizione di Baldr, dio luminoso per eccellenza” (24).

Gianna Chiesa Isnardi ci rammenta inoltre che la vicenda di Jarl, da cui discenderà la stirpe dei nobili, dei guerrieri, degli iniziati alle rune, è anch’essa “legata alla simbologia del colore bianco” (25).

Il bianco assume un significato nefasto nella tradizione nordica solo quando appare come pallore, “diviene allora il colore della morte, degli spiriti privi di colore perché negati alla luce” (26).

“Nel suo aspetto nefasto” spiega Jean Chevalier, “il bianco livido si oppone al rosso: è il colore del vampiro che cerca infatti il sangue – condizione del mondo diurno – che si è ritirato da lui. È il colore del sudario, di tutti gli spettri, di tutte le apparizioni” (27).

Edred Thorsson, nella sua analisi della simbologia dei colori della tradizione germanica-nordica, descrive il bianco come “the total expression of light as the sum of all colors – totality, purity, perfection, nobility, the disk of the sun” (28).

Ovvero: espressione totale della luce come somma di tutti i colori, totalità, purezza, perfezione, nobiltà, il disco del Sole.

Esso è legato anche ai colori oro e argento.

L’oro è simbolo della luce del Sole e della luce spirituale che emana da Ásgarðr, il mondo degli Æsir, della forza dell’Önd, simbolo di onore, reputazione e potere.

L’argento invece è simbolo del disco della Luna, del cambiamento, della trasmutazione, della conquista della conoscenza più alta, ed è una versione metallica del bianco (29).

Il bianco e l’oro sono quindi legati anche a Sól, dea del Sole, e il bianco e l’argento a Máni, dio della Luna.


Estratto da "Tre saggi sulla tradizione nordica" di Fabrizio Bandini, Midgard Editrice 2021


Il libro si può ordinare online su Mondadoristore, IBS e sul sito della Midgard Editrice; nelle librerie indipendenti e nelle librerie Feltrinelli.



mercoledì 3 marzo 2021

Il principe, le rose e i girasoli

 di Christian Ferdigg.





Una persona

Non te l’aspettavi così
l’amore
ti ha rubato la calma,
ti pretende
e ti porterà via tutto
la notte
per lasciarti nuda
in quella pace profonda
vera.


Amala

Amala
la vita. Amala.
Perché c’è chi per amore
ha accettato la croce.


L’intimità della nebbia

Non è solo una bella signora
ma anche poetessa
quell’anima che ci invita
a godere dell’intimità della nebbia.
E mi avvolgo in questo mare
e torno ad essere quello che sono:
una poesia.


La vita nuova

Quel desiderio
profondo
di essere nudi
al mondo.



Ti aspetterò lì
in mezzo ai nostri mari in tempesta
lontani da spiagge sicure
lì:
dove fioriscono le rose e i girasoli.


Estratto dal volume "Il principe, le rose e i girasoli" di Christian Ferdigg, Midgard Editrice 2020