martedì 26 luglio 2022

Come in uno specchio

 di Massimo Giachino.






«Buongiorno Cora, come stai?!» esordì il corpulento uomo, entrando nella bottega di antichità
«Ciao Tom, hai qualcosa per me?» rispose la ragazza, alzando gli occhi dal registro che stava compilando.
«Ho un carico di cianfrusaglie che ho recuperato dalla casa di una vecchia pazza, dai un’occhiata se trovi qualcosa di interessante!» rispose l’uomo, le cui folte basette provocavano da sempre in Cora un senso di repulsione. Era un uomo di notevole stazza ma dall’aspetto bonario. Cora non ricordava di averlo mai visto senza il suo berretto da baseball.
La ragazza scivolò via dal polveroso bancone in legno lavorato, uscendo all’esterno del negozio.
Si avvicinò al retro del camion e Tom aprì gli sportelli, per mostrarle il contenuto.
«Più che altro mobili, ma qualche pezzo sembra essere antico. Ho pensato di farteli vedere prima di rivenderli al solito rigattiere, d’altronde l’esperta sei tu…» disse Tom togliendosi il berretto, visibilmente accaldato. L’estate era ormai alle porte.
«Sembra che la proprietaria della casa sia morta in circostanze violente. Eppure fino al giorno prima tutti la dipingevano come un’anziana signora molto gentile. Dopo la morte del marito ha dato di matto…o almeno questo è quello che mi hanno detto i vicini» aggiunse Tom.
«Questo non è sufficiente per far salire il prezzo!» rispose Cora, con sarcasmo.
Tom scoppiò in una sonora risata, facendo apprezzamenti sulla tagliente ironia della ragazza. Cora sapeva bene che Tom aveva un debole per lei, e spesso cercava di far fruttare la debolezza dell’uomo a suo vantaggio.
«In ogni caso qui sopra hai un carico di ciarpame, l’unico pezzo interessante è quella grande specchiera ovale in ebano. Sicuramente non ha niente a che spartire con il resto della mobilia, deve essere un pezzo acquistato in un secondo momento dalla donna» disse Cora, mentre Tom l’aiutava ad eliminare l’imballo che lo proteggeva, passando ad esaminare minuziosamente quel pezzo d’arredamento così inusuale.
L’oggetto sfiorava i due metri di altezza e poteva ruotare su due perni laterali, in modo tale da poter trovare la posizione ideale dello specchio.
I due sostegni sulle fiancate presentavano degli intagli in cui erano raffigurate scene infernali, con fauni danzanti e anime dannate e sofferenti.
La spessa cornice che racchiudeva il vetro dello specchio rappresentava invece un anello di lingue fiammeggianti.
Pur considerandosi ormai un’esperta in materia antiquaria, Cora non riusciva a datare con certezza quel misterioso oggetto. Per un breve attimo ne restò quasi ipnotizzata, e decise infine di acquistarlo.
Non fu sorpresa di spuntare un prezzo a lei particolarmente favorevole, e si fece aiutare da Tom a scaricarlo e portarlo all’interno del negozio.
Una volta salutato l’uomo si premurò di cercare un telo per coprirlo, in modo che non prendesse polvere.
Tornata dietro al bancone poggiò i gomiti sul piano e chiuse le mani a pugno, posandone al di sopra il suo viso. Gli occhiali scivolarono sulla punta del naso, mettendo in evidenza i suoi occhi azzurri, fissi su quello specchio:
«Quali segreti mi nascondi?» disse, prima di riprendere il lavoro che amava di meno, ovvero la parte burocratica.
Cora aveva compiuto da poco 36 anni, era diventata maggiorenne per la seconda volta, come scherzosamente amava sottolineare lei stessa.
Fin da bambina era rimasta attratta dall’arte in tutte le sue forme, tanto da aver brillantemente conseguito una laurea in arti antiche, prima di buttarsi a capofitto nell’avventura dell’antiquariato, ramo che aveva da sempre stimolato la sua curiosità.
Da ragazzina non era raro che passasse i suoi pomeriggi in qualche sperduta bottega di Londra, alla ricerca di pezzi di cui il proprietario ignorava l’effettivo valore.
Al compimento del suo 18° compleanno suo padre le regalò un autentico uovo Fabergé, facente parte dell’antica collezione imperiale di 52 uova, commissionate dallo Zar Alessandro III di Russia in persona.
Non era mai riuscita a scoprire di come suo padre fosse venuto in possesso di un cimelio simile, ma Cora ricorda spesso con malinconia quel giorno.
Gli occhi di suo padre erano lucidi e pieni di fierezza quando le donò quell’oggetto, consapevole di quanto sua figlia fosse così simile a lui.
Ancora oggi le sembra di sentire quelle parole quando chiude gli occhi:
«Cora, oggi è un giorno molto speciale, non solo per te ma anche per me e per tua madre. Sei diventata ufficialmente una donna, anche se per noi rimarrai sempre la nostra bambina. Sei il nostro bene più prezioso, e come tale intendiamo farti un regalo all’altezza del tuo valore. Questo è un autentico Uovo di Fabergé, quello dell’orologio per la precisione. Non è tanto il suo valore venale che ha importanza, ma quello che rappresenta. Il tempo è il dono più raro e importante che abbiamo a disposizione. Non va sperperato, ma al contrario va vissuto in ogni singolo istante. Non vi è giorno che non venga assalito dal rimorso per non aver goduto più tempo insieme a te, e quel tempo ormai è passato, e niente e nessuno potrà riportarmelo indietro. Non commettere il mio stesso errore, insegui i tuoi sogni e sfrutta il tuo talento e le tue capacità, probabilmente non hai ancora coscienza di quello che puoi realizzare. Non dimenticare mai queste parole piccola mia, buon compleanno!».
Qualche giorno dopo, in un incidente stradale, i suoi genitori morirono lasciandola sola ad affrontare il mondo.
È passato molto tempo da allora, ma le ferite non si rimarginano mai del tutto, specialmente quelle così dolorose. Dopo quei tristi avvenimenti il carattere di Cora, prima così espansivo e pieno di vita mutò improvvisamente, chiudendosi al mondo esterno e vivendo in una sorta di confort zone in solitudine, l’unico ambiente che considerava sicuro, lontano da affetti e legami che avrebbero potuto provocarle altro dolore.
Dopo la morte dei suoi genitori, riuscì ad acquistare un locale in disuso, all’incrocio tra Shaftesbury Avenue e Wardour Street, in prossimità di una “Red Telephone Box”, oggetto che da sempre avevano avuto un’inspiegabile attrattiva per Cora. Quel locale abbandonato divenne in breve tempo il suo regno, di cui era l’indiscussa regina.
Il mattino seguente, dopo una notte agitata, Cora si alzò di buon mattino. Dopo essersi sciacquata il viso, restò per qualche attimo a fissare lo specchio.

Estratto dal racconto "Come in uno specchio" di Massimo Giachino, vincitore a parimerito del Premio Midgard Narrativa 2022, presente nell'antologia "Hyperborea 6", Midgard Editrice 2022.


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martedì 19 luglio 2022

Accordo di infinito

 di Calogero Curabba.







In cifre 

Ragione in cifre 
tagliate su misura 
un fantasma narrato 
per terra e addobbo,
della carne dimora 
che è l’altro spirare 
secche voci compiono
gesti davanti agli specchi,
niente è obsoleto
qui tutto è possibile
mimando se stessi.  


Fuori tempo 

Stagioni fuori nel vuoto 
tempo dall’altra parte 
del mattino, 
metri di distacco 
l’azzardo imputato su di me
rotazione esattissima 
e terminalità d’eventi,
una posa fissata 
come un centrotavola.


Nell’ore dell’alba 

Le attese nelle ore dell’alba 
l’orlo dove resti accovacciato 
e chiusi gli occhi densi 
in mucchi di foglie,
terra e tempo decretati 
ad ogni atto senza sognare 
solamente il midollo 
un martello vaneggia 
di corpi ambulanti chiusi nei nervi,
un peccato buono dall’altra parte del sole. 


Fuori portata di voce 

Dal buio dell’alba
il solstizio dei giorni
al vento, al coro
come la prova di un urlo
quando schiude 
un viso in silenzio,
la bella lontananza
nomina cose diverse 
dove l’ombra è la mia
fuori portata di voce. 


Estratto dal volume Accordo di infinito di Calogero Curabba, Midgard Editrice.


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martedì 12 luglio 2022

Radici indogermaniche

 di Marco Alimandi e Maria Sofia Rebessi.






L’arco e le frecce nel mondo scandinàvo

L’arco è l’arma caratteristica del dio Ullr, detto pertanto boga-áss  - dio dell’arco. Per questa ragione egli ricopre la «funzione di dio luminoso del cielo che nell’esercizio di quest’attività rivela la sua qualità fondamentale, dardeggiando, come fa il sole, le forze oscure e distruttrici» . Oltre che dio dell’arco, Ullr è anche ǫndur-áss - dio degli sci - e veiði·áss - dio della caccia.
L’incisione posta al centro della pietra runica di Böksta  rappresenta una scena venatoria dove un uomo armato di arco su degli sci osserva un cavaliere barbuto armato di lancia che, assieme ai suoi due segugi, insegue un animale che è attaccato da uno dei due volatili presenti sulla scena - l’altro volatile è appollaiato sull’anello runico che circonda l’incisione. Si è soliti identificare l’arciere sugli sci con Ullr, il cavaliere armato di lancia con Óðinn accompagnato dai lupi Geri e Freki e dai suoi due corvi, Huginn e Muninn . Sia questa una fattuale rappresentazione del dio Ullr, sia questa una semplice scena di caccia, in entrambi i casi l’incisione della pietra di Böksta mostra come la combinazione ‘sci e arco’ sia strettamente legata a un contesto venatorio.
All’arco si lega indissolubilmente la freccia. Simbolo divino e maschile, la freccia è emblema del superamento del materiale, di elevazione, di scelta avvenuta, di decisione immediata ed è per questa ragione che spesso le frecce vengono associate ai raggi del Sole e alle fiamme. Strali ineluttabili, le frecce nella mitologia germanica sono solite causare una morte immediata, basti pensare al fato di Baldr : «Hǫðr tók mistiltein ok skaut at Baldri at tilvísun Loka. Flaug skotit í gǫgnum hann ok fell hann dauðr til jarðar. Ok hefir þat mest óhapp verit unnit með goðum ok mǫnnum». (cfr. S. Sturluson, Edda - Gylfaginning, par. 49) 
In traduzione: «Hǫðr prese il vischio e al cenno di Loki lo scagliò contro Baldr. Il colpo lo trafisse ed egli cadde morto a terra. Si verificava allora la maggiore sciagura mai accaduta fra dei e uomini». Seppure qui non si parli di archi o di frecce, il verbo usato da Sturluson per descrivere il gesto di Hǫðr  viene spesso utilizzato per indicare il tirare una freccia con un arco.
Anche Skaði, moglie del dio Njǫrðr, è una dea cacciatrice armata di arco (cfr. S. Sturluson, Edda - Gylfaginning, par. 23).


L’arco e le frecce nel mondo indiano

Gāṇḍīva è forse l’arco più noto dell’epica vedica. Creato da Brahmā su richiesta del dio del fuoco Agní, fu da quest’ultimo donato all’eroe Arjuna allo scopo di assoldarlo per la conquista della foresta di Khāṇḍavaprastha. Arjuna continuò a servirsene durante la guerra di Kurukshetra di cui tratta il poema epico detto Mahābhārata ma fu da questi restituito agli dèi alla fine del Dvāparayuga.
Un diverso tipo di arco realizzato in canna da zucchero e capace di far innamorare le persone è quello di Kāma, dio dell’amore - è questo un leitmotiv proprio della mitologia indoeuropea, basti pensare al dio greco Eros e al suo equivalente romano Amor.
Il significante ‘arco’ viene poi menzionato nel canto XLII del Mārkaṇḍeya Purāṇa tramite le parole dell’avatara Dattātreya: 

Non appena la sillaba Om pronunciata raggiunge la mente, lo yogin  che è assorto nella meditazione dell’Om diviene un tutt’uno con Brahmā, lo spirito supremo. La vita è il suo arco, lo spirito la sua freccia: Brahmā è il sublime bersaglio e può essere colpito solamente da colui che è vigile - così facendo il suddetto riesce a entrare in comunione con Brahmā alla stregua di come la freccia si incunea nel bersaglio . 

Tramite la metafora dell’arco viene rappresentato il superamento di tutto ciò che è materiale e l’elevarsi della persona, nello specifico dello yogin. Ricordiamo che fu proprio Brahmā a realizzare l’arco Gāṇḍīva.

Estratto dal volume "Radici indogermaniche" di Marco Alimandi e Maria Sofia Rebessi (Midgard Editrice 2022).


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venerdì 8 luglio 2022

Gli eroi di Bellabetulla

 di Carmen Sossi.





Nelle incantate terre del Nord viveva una gigantesca betulla bianca secolare che dava riparo e nutrimento al mitico popolo dei Betulari, graziosi, intelligenti e bravi artigiani, che forgiavano gioielli meravigliosi grazie alle infiorescenze d’oro che la betulla donava loro.
Era il regno di Bellabetulla, dove la vita scorreva serena da sempre, perché i Betulari erano allegri e perché i loro magnifici gioielli erano famosi in tutti i regni.
Un giorno si presentò a corte un misterioso principe, giunto da molto lontano per chiedere in sposa la loro bella Regina. 
A suo favore vantava grandi ricchezze, vittoriose imprese militari e un regno sconfinato, abitato da un popolo laborioso tanto quanto i Betulari, se non di più. 
Ella, però, non fu convinta dalle sue parole e così rifiutò le attenzioni di quell’oscuro corteggiatore, del quale non aveva mai sentito parlare e che si mostrava poco attraente nell’aspetto e nei modi.
Purtroppo, però, il diniego della sovrana scatenò la rabbia del pretendente e la sua vendetta: – Vedrai di cosa sono capace! – minacciò.
Infatti, ben presto, costui si rivelò per quello che era: il malefico mago Fenicùrus.
Egli aveva architettato quello stratagemma con l’intenzione d’impadronirsi del regno di Bellabetulla e costringere i suoi abitanti a lavorare per lui e, rifiutato e offeso, scatenò sulla betulla magica un potente sortilegio. 
Ben presto la grande betulla si ammalò, perse il suo aspetto rigoglioso e divenne molto debole, peggiorando di giorno in giorno, finché smise definitivamente di maturare le sue preziose gemme.
Nulla poterono i saggi e i guaritori del regno che pur si affannavano a trovare e sperimentare le cure più disparate; il regno era in grave pericolo e la Regina era sempre più affranta, mentre il popolo impaurito le chiedeva di trovare presto una soluzione.
Il cuore dei Betulari si oscurava sempre più; era persa ormai la gioia e la spensieratezza di un tempo, poiché tutti già immaginavano l’inevitabile fine: morire di stenti o finire nelle mani del loro nemico. 
Il saggio Linné passava le sue notti insonni nella biblioteca reale consultando antichissimi scritti alla ricerca di una qualsiasi soluzione che salvasse il regno, quando una notte il suo cuore sussultò di fronte ad una pagina ingiallita, consunta e quasi illeggibile. 
Fu pervaso da un grande entusiasmo e, per mostrarle il testo trovato, corse subito dalla Regina, che non dormiva più neanche lei. – Legga Maestà, legga – le disse con grande agitazione.
La Regina, sorpresa e speranzosa, lesse la pagina a fatica: “Ogni male potrai cacciare, se l’antica betulla saprai nutrire con tre spighe del grande sole, che siano colte da mano innocente, nel giardino del buon Gigante.”

Estratto dal volume "Gli eroi di Bellabetulla" di Carmen Sossi (Midgard Editrice 2022)


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martedì 5 luglio 2022

Orazion picciola

 di Gianluca Ricci.






Colonne sonore per l’autunno

Se la lusinga di uno o più flauti traversi 
s’adegua di più ai bisbigli dei ghiacci 
che si sciolgono a primavera
tra tripudi di primule e gemme resinose, 
ora cercate di immaginare,
con un orecchio altrettanto raffinato,
il cigolio di un carro di ciarlatani,
con bandiere colorate e rulli di tamburi, 
quando cadono le chiome degli alberi 
ed un hurrà s’innalza al tramonto.
Muore il giorno, finisce la stagione 
e a noi rimane l’incanto osceno 
della luce che sfugge e nel buio
ci relega alla ricerca di un’altra via.

30.10.2018



Sia per me la notte, questa notte, 
l’isola che tu sollecita abbandoni 
per vivere le tempeste dell’esistenza,
quelle che nascondi tra i capelli sciolti 
sulle spalle e le mie braccia impudiche.

Era bastato non vederti un anno,
un mese, una settimana, un giorno,
che mi è sembrato il tuo corpo snello 
rinascere come un desiderio a primavera.

31.10.2018



Ancora tarocchi

La lama dei tarocchi 
che agiti sotto gli occhi 
non è chiara né oscura, 
onestamente ambigua,
come la vita che mi proponi 
di vivere con te.

Un giorno va
ed un altro viene 
come gli anni
che pure di certo 
vanno via
e nessuno sa dove 
e non c’è ritorno.

E questo ti rimane 
ancora di non appreso, 
che il senso delle carte
e della vita mai regalerà.

A condimento e consolazione 
non i colori delle carte
che furiosamente smazzi, 
ma la scommessa
che ognuno fa con se stesso 
ogni giorno dopo esser nato.

13.11.2018



Riti di passaggio

Drago o leone,
in un rito di passaggio 
dovrai affrontare te solo 
e soltanto te.

Allontanati quindi dai manubri, 
non salire sulla cyclette
o sul vogatore,
ringrazia piuttosto la tua età 
per aver ricevuto muscoli
e sufficiente elasticità,
al massimo ascolta più e più volte 
l’epico racconto
di chi già c’è passato, 
anche se gli sbruffoni 
non fanno mai testo, 
poi affrettati al bosco
o alla savana,
dove troverai la tua prova 
e anche il tuo coraggio.

Non drago o leone 
dovrai vincere,
ma te stesso in un rito di passaggio
che comincia oggi
e più non finisce, 
perché non si è mai stati
marinai per un solo viaggio
o sapienti per una notte appena.

24.2.2019


Estratto dal volume “Orazion picciola" di Gianluca Ricci, Midgard Editrice.


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venerdì 1 luglio 2022

Intervista a Calogero Curabba

Intervista a Calogero Curabba, autore del volume "Accordo di infinito", edito nella Collana Poesia della Midgard Editrice.






Buongiorno, parlaci della tua opera, come nasce? 

Questa raccolta di versi, ma più in generale, ogni mio scritto, trae ispirazione dagli affetti, dalle cose, dalla loro trasformazione o dalla loro perdita ed è per sottrarmi ad una sorta di nichilismo che nasce il bisogno di dire, di dirsi in una forma …quella poetica, per superare l’immersione nel senso comune in cui tutti parlano e nessuno parla (dice). È il tentativo di una riconversione del senso e del significato dell’esistere secondo il dire poetico.  



Quali sono le tematiche più importanti del libro?

Ciò che attraversa queste poesie è la separazione, l’interruzione dei legami coi luoghi, le persone, le cose, una tensione dalle domande come uno spazio aperto che non ha conclusione giacché viviamo in un accordo di infinito anche se vediamo solo il finito, l’angolo di incidenza della nostra esperienza dalla quale pure scrivo.  È il pensiero-sentimento che deve confrontarsi con una diade spietata: kronos: tempo cronologico, quantitativo e kairos, il tempo interiore, qualitativo e in questa possibilità di senso il segno della scrittura diventa, almeno per me, una risorsa, una messa in atto di una mappa da seguire. Accade prima nella parola ciò che ci cambia, una previsione  del dolore, della contraddizione, la parola che vuol essere atto, storia e non sempre stana la realtà. 



Ci sono poeti contemporanei o antichi che ispirano in modo particolare la tua opera?

I poeti che mi hanno accompagnato e che sento più prossimi sono Pavese, Montale, Sereni, Fortini e ancora Silvia Bre, Pasolini, Raboni, Pizarnik. Ma probabilmente questa enumerazione d’autori ha solo un carattere soggettivo, una trincea aperta dove il linguaggio è sempre fluido, diverso da ogni fonte magistrale.  



Qual'è il rapporto fra il tuo essere poeta e la vita di tutti i giorni?

La poesia ha una relazione intima con la vita quotidiana, con chi scrive, come potrebbe essere diversamente? Mi restituisce il senso di cura per la parola, per le cose e la vita stessa ormai mercificata; forse la riscoperta del valore sacrale (inteso in senso non chiesastico o assolutamente religioso) di ciò che facciamo, un mirino contro la realtà delle abitudini, del sonno e della veglia.