mercoledì 27 dicembre 2023

I lai degli antenati

 di Marco Alimandi.







L’importanza delle genealogie è testimoniata non solo dai «carmina antiqua» di cui parla Tacito ma anche da testi giuridici che in epoca altomedievale sancivano il potere dei re germanici. Spesso in questi venivano riportate genealogie della stirpe. Esempio principe è il prologo dell’Editto di Rotari del 643  contenente l’elenco dei re della stirpe longobarda e dei loro legami di sangue. In un artificio retorico di grande potenza è lo stesso re longobardo Rotari a evocare i nomi e le stirpi di tutti i re longobardi in un lungo elenco:


Fuit primus Agilmund rex ex genere Gugingus.
Secundus Lamisio.
Tertius Leth.
Quartus Geldehoc, filius Leth.
Quintus Godehoc, filius Geldehoc.
Sextus Claffo, filius Godehoc.
Septimus Tato, filius Claffoni. Tato et Winigis filii Claffoni.
Octabus Wacho, filius Winigis, nepus Tatoni.
Nonus Waltari.
Decimus Audoin ex genere Gausus.
Undecimus Alboin, filius Audoin, qui exercitum ut supra in Italia adduxit.
Duodecimus Clef ex genere Beleos.
Tertius decimus Authari, filius Clef.
Quartus decimus Agilulf Turingus ex genere Anawas.
Quintus decimus Adalwald, filius Agilulf.
Sextus decimus Arioald ex genere Caupus.
Septimus decimus ego in Dei nomine qui supra Rothari rex, filius Nanding ex genere Harodus.


Segue la traduzione it. dell’autore di questo saggio – i nomi verranno riportati nella loro versione latinizzata:


Il primo re fu Agilmund della stirpe di Gugingus.
Il secondo fu Lamisio.
Il terzo fu Leth.
Il quarto fu Geldehoc, figlio di Leth.
Il quinto fu Godehoc, figlio di Geldehoc.
Il sesto fu Claffo, figlio di Godehoc.
Il settimo fu Tato, figlio di Claffo. Tato e Winigis erano entrambi figli di Claffo.
L’ottavo fu Wacho, figlio di Winigis, nipote di Tato.
Il nono fu Waltari.
Il decimo fu Audoin della stirpe di Gausus.
L’undicesimo fu Alboin, figlio di Audoin, che condusse l’esercito sino in Italia.
Il dodicesimo fu Clef della stirpe di Beleos.
Il tredicesimo fu Authari, figlio di Clef.
Il quattordicesimo fu Agilulf il Turingio della stirpe di Anawas.
Il quindicesimo fu Adalwald, figlio di Agilulf.
Il sedicesimo fu Arioald della stirpe di Caupus.
Il diciassettesimo sono io, Rothari, re per grazia di Dio, figlio di Nanding della stirpe di Harodus.


Quest’elenco verrà ripreso e ampliato nella di poco successiva Origo gentis langobardorum (Lat. per ‘Origine della stirpe dei Longobardi’) dove la storia del popolo longobardo va a coincidere con la genealogia dei suoi re. È curioso notare come uno dei tre manoscritti che tramanda l’Origo gentis lango-bardorum  contenga al suo interno la stessa generatio gentium di cui si è parlato in I.1. I legami di sangue sono di fatto la chiave di volta utilizzata dalle genti germaniche per esprimere la propria storia – sia in forma orale, come ricordato da Tacito, che in forma scritta.



Estratto dal saggio "I lai degli antenati" di Marco Alimandi, "La via dell'etenismo", AA.VV., Midgard Editrice 2023





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venerdì 22 dicembre 2023

Intervista a Rocco Di Campli

 




Buongiorno, come nasce questo tuo romanzo?

Racconto volentieri “il romanzo del romanzo”. L’idea originale derivò dalla partecipazione all’edizione 2013 del concorso letterario ScartDrama a Peschiera del Garda, organizzato dall’eclettica regista e autrice Federica Carteri. Quell’anno il tema proposto era “Il fantasma della rocca”, ispirato alle apparizioni realmente documentate di Paolo Alboino della Scala. Sarò sempre riconoscente alla Carteri per aver fornito lo spunto iniziale. Il racconto che presentai era l’antenato del romanzo. Un paio d’anni dopo ripresi in mano la storia e ne realizzai lo sviluppo. Fu quella la vera genesi dell’opera, che tuttavia rimase nel cassetto per anni, poiché non ne ero del tutto soddisfatto. C’era ancora del potenziale inespresso. Infine di recente sono tornato sulle pagine una terza volta, per la versione definitiva. 
Paolo Alboino fu una figura marginale, che non lasciò un segno profondo nella storia. È triste dirlo, ma furono le circostanze della prigionia e della violenta morte a dare “luce drammatica” ad un personaggio altrimenti dimenticato. Ho scelto di raccontare il protagonista immaginando una carriera di cavaliere. In questo senso il romanzo “Il leone scarlatto” di Elizabeth Chadwick e il breve saggio di Franco Cuomo sulla storia della cavalleria mi hanno aiutato molto.  



Quali sono le tematiche più importanti del libro?

Il tema di fondo è il fratricidio. Più in generale, cerco di analizzare il complesso rapporto tra fratelli. Poi ci sono i cupi misfatti di Ezzelino, crudelissimo personaggio, perno della parte “esoterica” del romanzo. L’altro tema fondamentale è l’amore, che si protrae oltre la morte. L’amore e l’odio fratricida rappresentano, ai poli opposti, le ragioni fondamentali che giustificano la comparsa del fantasma: a richiamare l’anima inquieta sono appunto la rabbia, e quindi la vendetta o la ricerca della giustizia (anche postuma), e l’amore. Come quasi tutti i miei scritti, anche “La torre echeggiante” presenta l’intervento dell’elemento Soprannaturale.



Hai impiegato molto tempo a raccogliere il materiale sugli Scaligeri?

Si trattò di una ricerca relativamente breve ma abbastanza impegnativa, condotta principalmente sul portale Scaligeri.com. Obiettivamente lo scenario storico-politico dell’Italia medievale non è semplice da analizzare. Attingendo le notizie mi resi subito conto che la situazione descritta (fitta di intrighi, tradimenti e alleanze che si susseguivano a rotazione) era così complessa e dinamica che sarebbe stato difficile tracciarne un quadro organico e coerente. Il suddetto sito mi ha fornito un contributo decisivo. Forse, senza la consultazione di questo straordinario sito, oggi il romanzo neppure esisterebbe.  Il portale, curato dalla relativa associazione storica, mi ha permesso di familiarizzare con l’albero genealogico degli Scaligeri e conoscere le imprese dei personaggi più illustri. Questa miniera di informazioni mi ha consentito di immaginare come potesse svolgersi un’ipotetica “giornata-tipo” di Paolo Alboino Della Scala. 



Che scrittori ti piacciono e ti ispirano?

Le fonti d’ispirazione sono sempre molte e in effetti gli autori che mi hanno influenzato sono numerosi. Alcuni nomi brillano più di altri nel mio firmamento letterario. Il mio autore preferito in assoluto è Terry Brooks. Il celeberrimo scrittore americano rappresenta la ragione che mi ha convinto a riprendere e coltivare la scrittura da adulto, cercando di  trasformare la passione in un lavoro. Trovo straordinaria la sua capacità di introspezione, come il clima di pathos che si respira nei suoi romanzi, caratterizzati da un’alta intensità emotiva. Tolkien e Brooks hanno scritto, ciascuno a proprio modo, una moderna “epopea omerica”. Altra colonna portante è H. P. Lovecraft. Amo anche Oscar Wilde, Guy De Maupassant, Edgar Allan Poe, Sandor Marai, Philip Dick, Wilbur Smith e Nicholas Sparks. Tra i contemporanei mi piacciono Ann Perry, Ken Follett e Carrie Bebris. Tra gli italiani cito Susanna Tamaro e, nell’ambito del thriller, Fabrizio Santi e Matteo Strukul, entrambi bravissimi. Vorrei avere la loro capacità di coinvolgimento. 





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martedì 19 dicembre 2023

Il viaggio dell'eroe nel mito germanico e indoeuropeo

 di Halfdan Fjallarsson.







Nell’immaginario collettivo moderno, la figura dell’eroe ha assunto contorni ormai indistinti e fumosi. 
Spesso sostituito da personaggi improbabili o da anti-eroi. 
Questo “archetipo” è stato “demansionato” e ridimensionato al punto da essere considerato “perdente” piuttosto che un modello ispiratore quale era per le generazioni precedenti all’attuale “era dell’informazione”. 
Oggi l’eroe è colui o colei che riesce nell’ardua impresa di cavalcare le mode del sistema uscendo da condizioni di miseria materiale fino a divenire una cosiddetta “icona-pop”. 
Condizione che lo eleva a tal punto da divenire una sorta di oracolo dei social-media (vedi anche influencer). 
Spesso però questi acrobati del web, difettano terribilmente in più di una qualità umana e la loro influenza nuoce gravemente alla salute mentale del loro pubblico e del portafoglio di quest’ultimo. 
Neanche la letteratura fantasy di genere “heroic” e i fumetti di supereroi occidentali risultano essere isole felici per la figura arcaica dell’eroe. 
Opere che dovrebbero essere di puro intrattenimento sono diventate uno degli strumenti più subdoli del politically correct e del pensiero dominante. 
Lo stesso non possiamo dire però della controparte orientale, ovvero degli “Anime” e dei manga, dove il modello eroico è rimasto ben preservato ed attuale ma sempre ancorato alla tradizione del Sol Levante, che vuole comunque l’eroe anche se scanzonato e anticonformista, pronto al sacrificio per il bene comune e per le persone a lui care. 
In un’epoca come la nostra dove il confronto uomo-macchina sembra sempre più imminente, le gesta di personaggi come Fionn mac Cumhaill , Beowulf, Sigfrido  o Arjuna  sembrano lontanissime più che nel tempo e nello spazio, quanto proprio al pensiero e allo spirito. 
In una società che ha ormai venduto il sacro e la spiritualità come se fossero cosmetici, sembra quasi impossibile veder venire alla luce esseri spiritualmente evoluti, scelti per questa loro caratteristica a divenire “la mano del Fato” che giunge in soccorso ai deboli, ai disperati e agli oppressi. 
Ed è forse proprio questo il compito dell’omologazione di massa forzata, impedire che nascano degli eroi. 
Perché l’eroe è tale dalla nascita anche se non ha ancora intrapreso il “viaggio” che lo porterà a diventare ciò che è. 
La sua natura a metà tra l’umano e il divino è già palese in tenera età e per questo spesse volte il fanciullo viene nascosto dalle minacce incombenti per essere poi addestrato dal mentore nel suo compito sacro.  
Il modo di vedere gli eroi, comunque, non è mutato soltanto in questa epoca, ogni cultura ha avuto la sua interpretazione a partire dalla cosiddetta “era degli eroi” fino all’avvento del monoteismo che li trasforma in “santi” e martiri. 
In ogni caso gli eroi non sono spariti, attendono lì, in quel luogo mistico e senza tempo, dove essi sono ancora celebrati e riveriti, attorniati da chi li ha preceduti, forse in attesa di un evento cosmico che li riporterà in azione o forse soltanto in contemplazione delle meraviglie dell’universo, ricompensa più che meritata per chi ha incarnato il massimo potenziale dell’essere umano e si è opposto al caos strisciante che domina nella nostra epoca...


Estratto dal saggio "Il viaggio dell'eroe nel mito germanico e indoeuropeo e i riflessi nella società moderna" di Halfdan Fjallarsson, "La via dell'etenismo", AA.VV., Midgard Editrice 2023




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martedì 12 dicembre 2023

Il calendario eteno

 di Fabrizio Bandini







L’ottava festa della Ruota dell’Anno è la Festa di Yule, la Festa di Mezzo Inverno, Midwinter, il Solstizio d'Inverno.
Il Sole, la dea Sunna, dopo essere scesa nelle profondità delle tenebre invernali, trionfa sull'oscurità, e riprende la sua ascesa.
Deus Sol Invictus, Dio Sole Invitto, lo glorificavano i romani.
Nella tradizione nordica la festa è dedicata in modo particolare a Óðinn, Njörd, Freyr, Freyja, Sól e Baldr.
È il trionfo degli Dèi e delle Dèe sulle forze del caos.
È il trionfo della Luce sulle tenebre.
Trascorsa la notte del Solstizio invernale, la notte più lunga dell’anno, la dea Sól, la potente Sunna, porterà in Cielo il carro del Sole, vittoriosa sull'oscurità.
Nel calendario anglosassone antico il mese di Dicembre è chiamato Ærra Gēola, prima di Yule, e Wintermonaþ, il mese d'Inverno, mentre Gennaio è denominato Æfterra Gēola, dopo Yule.
La celebrazione centrale di questo periodo, lo Yuletide, è la Mōdraniht, la Notte delle madri, ovvero il Solstizio d’Inverno vero e proprio.
La festa, molto importante in tutta Europa sin dall’età più arcaica e non solo in ambito germanico, – gli allineamenti di vari monumenti neolitici e megalitici verso il Solstizio d’Inverno sono lì a dimostrarlo –, era celebrata un po’ ovunque.
In ambito nordico è riportata nella Snorra Edda, nella Hervarar saga ok Heiðreks e nell’Heimskringla di Snorri Sturluson.
A Roma si celebrava il Dies Natalis Solis Invicti, il Giorno di nascita del Sole Invitto.
La cristianizzazione delle popolazione europee è dovuta scendere a patti anche con questa grande festa pagana, trasformandola nella nascita del Cristo, il Natale cristiano, ma senza eliminare gran parte del folklore antico e svariati simboli a esso legati, come l’albero di Yule, il ceppo di Yule, il canto di Yule, il vischio di Yule, l’agrifoglio di Yule, il maiale di Yule – il maiale sacrificato a Freyr, di cui narrano le saghe –, che vengono chiaramente dalle antiche tradizioni pagane.
Molte di queste tradizioni folkloriche le ritroviamo ancora oggi non solo in ambito nordico-germanico, ma anche nella nostra Italia – che ha componenti etniche italiche, germaniche e celtiche, non ci scorderemo mai di ripetere – e praticamente in tutti gli altri paesi europei.
Il termine inglese Yule discende all’antico anglosassone ġēol, ġēohol, ġēola, ġēoli, che indica i dodici giorni della festività, lo Yuletide, il tempo di Yule, divenuto poi Christmastide, il tempo del Natale.
Jól in antico norreno, Jiuleis in antico gotico, Jul in danese, svedese e tedesco, Jul o Jol in norvegese.
Il nome della festa viene fatto derivare dal termine in antico norreno Hjól, che significa ruota, descrivendo con questa simbologia il punto più basso della Ruota dell’Anno prima della sua risalita.
Una simbologia similare la ritroviamo anche nella runa del Solstizio d’Inverno, Jera, di cui parleremo fra poco.
Óðinn, il Padre degli Dèi, è fra le divinità più celebrate in questo blót.
Uno dei suoi nomi, Jólnir, quello di Jól, lo evoca in maniera molto precisa.
Óðinn torna protagonista anche in un’altra tradizione arcaica di Yule, ovvero la Caccia Selvaggia o Schiera Furiosa, un corteo notturno di esseri sovrannaturali che attraversa il Cielo e la Terra in questo periodo dell’anno.
Troviamo questa tradizione folklorica in tutta l’Europa settentrionale, centrale e occidentale, dalla Germania alla Britannia, dalla Scandinavia alle Alpi.
Óðinn/Wotan, appare come dio psicopompo nelle sacre notti di Yule – i cosiddetti dodici giorni di Jól, dello Yuletide – a cavallo di Sleipnir guida il corteo delle anime dei guerrieri morti in battaglia.
In Inghilterra la spettrale cavalcata notturna si chiama Wild Hunt, in Scozia Sluagh, in Germania Wilde Jagde e Wutenden heer, in Francia Chasse Arthur e Mesnie Hellequin, in Svizzera Struggele selvaggia, in Italia Caccia Morta, Caccia del Diavolo, Corteo dla Berta, Càsa d'i canètt, Caza selvarega, Caza noturna, Caça selvadega, Ciaza Mata e Caça Selvadega.
Sono evidenti in questi nomi il successivo trasformarsi del folklore europeo, con l’ingresso di nuove figure alla guida del corteo, dovuto alla cristianizzazione e al tentativo di demonizzare un fenomeno arcaico e pagano totalmente estraneo alle nuove autorità religiose.
La Caccia Selvaggia in ogni caso ci ricorda la particolarità del periodo invernale intorno a Yule, la cosiddetta crisi solstiziale, con lo sprofondare del Sole, della dea Sunna, nelle tenebre dell’Inverno, il finire dell’Anno, l’assottigliarsi del velo fra i mondi.


Estratto dal saggio "Il calendario eteno" di Fabrizio Bandini, "La via dell'etenismo", AA.VV., Midgard Editrice 2023




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martedì 5 dicembre 2023

Tratti osceni in luogo del pubblico

 di Riccardo Piazza.







Tratti osceni in luogo del pubblico

Tratti osceni in luogo del pubblico.
Mi abituo presto al giro successivo e non conservo quasi nulla di tutto il resto.



Pesante

Il tuo peso è direttamente proporzionale alla tua mancanza di illusioni.
Quando resti delusa sei leggera come una piuma.



Camminare

Terrore di errare, ma senza l’orrore non puoi camminare.



Voci

Le voci nella testa, il capo altrove, fuggire attraverso viali di ombre e chiese abbandonate.







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