venerdì 26 aprile 2024

Il segreto della saliera di Benvenuto Cellini

 di Stefano Lazzari.







Appena uscito  dal  portone,  sul  camminamento  verso  il  cancello  esterno,  Moreno  Sansovini  respirò  profondamente  il  delicato  zefiro  di  primavera  e  subito  esplose  in  una  serie  irrefrenabili  di  starnuti.
“Se questo  è  il  buongiorno  della  primavera,  chissà  che  succederà  a  maggio”  esclamò  una  voce  divertita  alle  sue  spalle.
“Faresti meno  lo  spiritoso,  al  posto  mio”  borbottò  Moreno,  mollando  una  robusta  pacca  sulle  spalle  del  cugino  Daniele.  “Ogni anno,  la  stessa  storia:  tutta  colpa  dei  troppi  fiori  del  Parco”.  Con il  pollice  indicò  il  verde  profilo  dei  pendii  alle  sue  spalle,  ancora parzialmente  in  penombra  a  quell’ora  di  mattina.
“Dai, facciamo  colazione  dal  tuo  solito  avvelenatore,  così  ti  passano  le  paturnie”.  Daniele strattonò  il  cugino  verso  il  cancello  esterno.
“Già, magari  con  una  ‘bomba’… di  sabato  ci  vuole  proprio”  dichiarò  Moreno,  soffiandosi  il  naso.
“Eccoli in  coppia:  Sherlock  col  suo  fido  Watson”.  Così Nando,  il  titolare  del  bar  in  piazzetta,  apostrofò  i  due  cugini.  Moreno, investigatore  privato,  si  avvaleva  spesso  della  collaborazione  di  Daniele,  architetto,  ma  anche  lui  appassionato  di  investigazione.
“Ah  bello, Watson  lo  dici  a  qualcun  altro”.  Daniele gettò  uno  sguardo  più  che  critico  al  vassoio  strapieno  di  paste,  ma  senza  nemmeno  l’ombra  delle  ‘bombe’. 
Senza replicare,  Nando  fece  comparire  da  sotto  il  bancone  un  piattino  con  due  superbe  bombe  alla  
crema.  “E poi  dite  che  non  vi  tratto  bene”  puntualizzò,  tutto  sostenuto.  “Anche perché  ho  come  il  sospetto  che  sarà  una  giornata  impegnativa,  per  voi due”. Il barista  ammiccò ispirato,  intanto  che  smanettava  rapidamente  sulla  macchina  dell’espresso.
Moreno, che  stava  per  addentare  avidamente  la  sua  bomba,  rimase  col  morso  a  mezz’aria.  “Siccome non  sei  credibile  nei  panni  dell’indovino,  sputa  il  rospo  senza  tanti  giri  di  parole”.  Con tutta  calma,  affondò  i  denti  nella  ‘bomba’,  subito  imitato  da  Daniele.
Nando piazzò  le  tazzine  dell’espresso  davanti  ai  due  cugini,  poi  si  chinò  in  avanti  con  aria  da  cospiratore.  “E   si tratta  proprio  di  un  bel  rospo… tutte  le  fortune,  certa  gente”  sospirò,  atteggiandosi  da  invidioso.  “Giusto dieci  minuti  prima  che  arrivaste  voi  due,  entra  una  tipa  sinuosa  come  una  ballerina,  cappellino  sulle  ventitré,  vestitino  così  stretto  che  con  un  respiro  più  lungo  si  sarebbe  scucito  in  un  amen… insomma,  dopo  aver  ordinato  mi  chiede,  con  una  vocetta  tutta  flautata,  se  per  caso  conosco  ‘il  famoso  detective  Sansovini’,  proprio  
così ha  detto…”.  Nando si  interruppe  un  attimo  per  passare  un  canovaccio  sul  bancone.  “Insomma, per  farla  breve,  le  ho  risposto  che  sì,  certo  che  lo  conosco,  ma  che  forse  è  ancora  troppo  presto  per  una  visita,  al  che  lei  ha  replicato,   con  una  risatina  tutta  aggraziata  da  nobildonna, ‘oh  non  importa,  ho  tutto  il  tempo  che  mi  occorre’… eh  certo,  la  signora  mica  si  deve  alzare  alle  cinque  e  mezzo  la  mattina,  per  guadagnarsi  la  sua  brava    giornata…”.  Nando sbuffò,  intanto  che  sorseggiava  un  caffè  anche  lui.  “Comunque  occhio  More’, questa  è  una  coi  soldi,  stai  sicuro”.  Ammiccò con  l’aria  dell’uomo  vissuto,  che  ormai  le  ha  viste  tutte.
“E visto  che  stamattina  ti  senti  tanto  ‘collaboratore  investigativo’,  quale  altra  raccomandazione  ti  senti  di  darci?”.  Stavolta fu  Daniele  a  replicare,  dopo  aver  ingurgitato  l’ultimo  pezzo  di  ‘bomba’.
Nando lo  guardò  torvo.  “Hai poco  da  fare   lo  spiritoso,  architetto… dopo  vent’anni  e  oltre  passati  dietro  questo  bancone,  ormai  faccio  diagnosi  ad  occhio:  e  la  nobildonna  che  vi  vedrete  arrivare  si  
porta appresso  soldi,  guai  a  carrettate,  e  pure  qualche  panzana… ha  proprio  l’aria  della  ballista  spergiura,  mi  ci  giocherei  il  bar”  dichiarò  spavaldo,  riponendo  le  tazzine  nel  lavabo.
Moreno finì  di  assaporare  con  tutta  calma  la  sua  ‘bomba’,  poi  fece  scivolare  una  moneta  da  cinquanta  centesimi  nel  barattolo  delle  mance.  “Per le  tue  preziose informazioni… se  si  riveleranno  azzeccate,  molto  presto  ti  riempiremo  il  dindarolo,  qua”.  Il Sansovini  moro  ammiccò  verso  il  cugino.
“Attento… ti  ammali  di  generosità  perniciosa”  ridacchiò  Nando,  scuotendo  il  barattolo.  “Comunque  tienimi  informato… sono  curioso  come  una  coppia  di  gazze”.
“Seeeh,  dilettanti  al  tuo  confronto”  eccepì  Moreno.  “Mo’  però  facci  andare,  non  è  da  gentiluomini  fare  attendere  troppo  le  signore…”.
Appena  imboccata  la  stradina  in  salita,  subito  di  fronte  al  bar,  la  videro  subito.  Proprio  accanto  al  
cancello  di  casa  loro,  che  sbirciava  alternativamente  il  camminamento  verso  il  portone  e  i  due  lati  della  strada.  E  Nando  non  aveva  esagerato  affatto,  nel  descriverla.  Capirai,  le  avrà  fatto  una  TAC  col  contrasto,  malignò  Daniele  scambiando  una  breve  e  significativa  occhiata  con  il  cugino.
Moreno  allungò  il  passo  e  arrivò  alle  spalle  della  donna  col  cappellino.  “Sta  aspettando  qualcuno?”  chiese,  senza  tanti  complimenti.
Lei  sussultò  per  un  attimo  nel  voltarsi  di  scatto,  poi  però  emise  un  sorrisino  salottiero.  “Sì,  il  detective  Sansovini… è  lei?”.  Pose  la  domanda  col  tono  di  chi  è  sicuro  della  risposta. 
“Precisamente”.  Moreno  presentò  Daniele,  e  fece  per  aprire  il  cancello.  “Lei  è  fortunata,  se  fosse  arrivata  una  mezzora  più  tardi  non  ci  avrebbe  trovato,  abbiamo  in  programma  uno  shopping  al  mercatino  di  S. Giovanni...  signora?”.
“Corinna  Bartoli”  rispose  lei,  semplicemente.  Tese  una  manina  affusolata  e  perfettamente  curata.  Da   vera  nobildonna… o  magari  escort,  malignò  Moreno  fra  sé,  per  scoprire  tuttavia  che  la  stretta  di  mano  non  aveva  nulla  di  suadente/seduttivo:  al  contrario,  era  decisamente  virile,  in  clamoroso  contrasto  con  la  voluttuosità  della  figura  che  il  detective  Sansovini  non  poté  esimersi  di  ammirare,  sia  pure  di  sguincio,  intanto  che  si  avviavano  lungo  il  camminamento.
Tipa  da  prendere  con  le  molle,  questa  qui:  mi  sa  che  Nando  ci  ha  azzeccato  in  pieno,  argomentò  Daniele,  pensando  per  un  attimo  al  dindarolo  del  bar  che  avevano  promesso  di  riempire…


Estratto del romanzo "Il segreto della saliera di Benvenuto Cellini" di Stefano Lazzari, Midgard Editrice




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martedì 16 aprile 2024

Lustro

 di Matteo Salvatti.






Michela: Ma Francy, ma perché sei ancora qui? Se si sveglia Andrea adesso è un casino. Li avevamo detti i patti: vieni qui stanotte, ma alle sei massimo sei e mezza te ne vai. Già Andrea ti sopporta a malapena nelle feste ufficiali, e lo sai, non veniamo a nasconderci, mi sembra te lo abbia fatto capire abbastanza chiaramente, ci manca che gli dico che mia sorella perché ha litigato l’ennesima volta con suo marito mi ha chiesto di dormire sul divano del suo studio. Feticista come è, poi. No no, silenzio di sopravvivenza, silence survivor. 

Francy: Appunto, quello che dovresti fare tu, silenzio. No, ma dico: vuoi svegliarlo apposta? Abbassa ‘sto cavolo di voce, è da quando andavi all’asilo che ti si riconosceva come scimmia urlatrice! Adesso mi vesto, mi cambio e me ne vado. Oh, parliamoci chiaro poi, sono arrivata qui a mezzanotte, non è che potevo dormire tre ore, e poi questi nuovi sonniferi che sto prendendo sono straforti, vuoi provarli? No, davvero, sono una bomba, praticamente degli anestetici. Oh, non lo diresti mai, sai chi me li ha prescritti? Tu hai presente Piera, la sorella di Angelo, ecco, pensa che…

Michela: Non me ne frega niente, piantala, guarda che io dormirei benissimo se non avessi una sorella che mi chiama a un quarto a mezzanotte chiedendomi un letto. Ma poi, scusa, mi spieghi perché non potevi venire prima?

Francy: Forse perché abbiamo finito a quell’ora di litigare? O meglio, perché io ho deciso di finire di litigare, perché se no, fosse stato per lui, saremmo andati avanti tutta la notte. Ma col cavolo che gli do questa soddisfazione, no no. Così poi si sfoga e si sente bene e poi i postumi della sbronza li porto io. Sai che dopo aver litigato lui è come se fosse uscito da un massaggio, io mi sento rintontita, sì, non fare battute sul fatto che lo sono sempre, a prescindere, davvero, mi sento ubriaca, ci vuole del tempo per tornare in mente. Senti, cambiando argomento, piuttosto ce l’hai ancora quel profumo che ti ha regalato Andrea? 

Michela: Ma era per il compleanno di tre anni fa! Certo che è finito, anche perché un po’ l’ho buttato, non era niente di che, in fatto di gusti, vabbè, lasciam perdere, e poi sbrigati che si sveglia e oltre tutto stai facendo fare tardi anche a me, mi raccomando, cambiati veloce e non passare dalla cucina, esci e non chiudere la porta che si accorge, al limite mi prendo la colpa di non averla chiusa bene io. Oddio si sta svegliando, corri, corri nel suo studio, io cercherò di distrarlo e di fare in modo che non ci vada prima di aver fatto colazione, appena senti che sbatto la porta della cucina vuol dire che siamo dentro a fare colazione, in un nanosecondo esci e te ne vai, ok? Adesso va’, va’, sbrigati, sempre nei casini mi devi mettere, ma deve finire ‘sta storia, però, lo sai che non puoi andare avanti così, vero? No perché non so tu, ma io non ne posso più, ma veramente, basta!


Estratto dal libro "Lustro" di Matteo Salvatti, Midgard Editrice




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martedì 26 marzo 2024

Intervista a Natalya Letyayeva

 




Buongiorno Natalya, come nasce questa tua opera poetica?

Ho iniziato a scrivere poesie a diciassette anni, quando mi sono innamorata per la prima volta.
Con il tempo, nel ciclo della vita, la poesia si è allontanata un po' da me, si è messa in secondo piano, senza precludermi di conoscere il mondo, vivere, sposarmi, partorire, lavorare, viaggiare, cadere e rialzarmi.
Ed ecco un giorno che la musa dell'ispirazione mi ha visitata di nuovo, avendo capito che ne avevo bisogno, e spero che non mi abbondonerà mai più.
Così è nata questa mia raccolta di poesie in italiano e in russo.



Quali sono le tematiche più importanti del libro?

In questo libro non c'è un tema definito.
Ho voluto solo trasmettere i miei sentimenti e le mie emozioni, che sono miei ma sono anche universali, in modo che ogni lettore possa trovare nelle mie liriche qualcosa di importante per sé.



Ci sono dei poeti che ti ispirano nella tua scrittura?
 
Mi ispirano soprattutto alcuni poeti russi: Aleksandr Pushkin, Marina Cvetaeva, Sergei Esenin e Aleksandr Blok.
Grazie molto per l'intervista.





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lunedì 11 marzo 2024

Intervista a Riccardo Tennenini

 





Buongiorno Riccardo, come nasce questa tua nuova opera?

L'intento di questo saggio nasce dal voler esprimere solidarietà ed essere una “voce fuori dal coro”, in un’epoca in cui l’uomo è quella categoria sociale più attaccata dalle femministe e dalla cultura woke. Nell’uomo vedono il capro espiatorio perfetto come se lui fosse la causa scatenante di tutti i mali della modernità. In quanto maschio è causa del sessismo, in quanto bianco del razzismo e in quanto eterosessuale dell’omofobia, transfobia, etc. Questo è kafkiano se ci pensiamo perché la società da un lato ci dice che bisogna amare e rispettare tutti e non discriminare nessuno in base alla razza, sesso e genere poi dall’altro lato odiare l’uomo bianco eterosessuale e solo quello diventa l’unica forma di “discriminazione positiva” accettata da tutti, anche da chi, dice di volersi opporre  a questa forma mentis.  


Quali sono le tematiche più importanti del libro?

Le tematiche principali affrontate sono quelle di analizzare i rapporti tra i due sessi in maniera ontologica e deontologica. Partendo dalla divisione dell’androgino platonico come forma archetipica dei due sessi prima della loro separazione. Poi sviluppando dall’apparizione dei due sessi nel mondo che, percependosi diversi in base alla differenza dei rispettivi organi riproduttivi sono in perenne conflitto, avendo perso e dimenticato quell’unità androgina archetipica. Questo conflitto si svolge nella contrapposizione di due modelli sociali propri dei due sessi: il patriarcato e il matriarcato. Evidenziando tanto quanto nell’antichità che nei giorni nostri quando prevale il primo modello sociale c’è la centralità del maschio in ogni aspetto della società. Viceversa quando prevale il secondo c’è la centralità della femmina. Il potere dei due modelli finisce quando; nel primo caso la donna attacca l’uomo, mentre nel secondo caso quando l’uomo attacca la donna. E non solo fisicamente, ma anche culturalmente, spiritualmente, politicamente etc. Questo evidenzia che oggi viviamo nel secondo modello sociale del matriarcato e non come ci vogliono far credere le femministe e la cultura woke. La prova è dettata proprio dalla reazione maschile nei confronti del potere femminile. 



Come tratti la questione della teoria Redpill?

L’intera questione Redpill come ogni questione maschile oggi se ne parla sempre di più in maniera estremamente negativa. Definendola una teoria misogina nata da un gruppo di uomini, soli e frustrati che non riescono ad avere nessun rapporto con l’altro sesso (Incel). In  realtà la questione è molto più complessa di così. Io la definisco come la risposta radicale alla misandria femminile. Sono sicuro che una simile teoria al tempo dei nostri genitori o vent’anni fa non sarebbe mai potuta esistere proprio perché i rapporti dei sessi erano molto più tranquilli e tradizionali. Oggi se è diventata così “famosa” soprattutto tra i giovani uomini è dettato dal fatto che nel “mondo rosa di Barbie” a Sanremo davanti a milioni di telespettatori di tutto il mondo si utilizza il palco dell’Ariston per veicolare una litania misandriaca carica di odio e rancore contro un intero genere sessuale arrivando a dire: “Le formiche tagliafoglie fanno agricoltura da 50 milioni di anni e non hanno rovinato niente. Noi facciamo agricoltura solo da 10 mila anni e abbiamo sfinito il pianeta”. E prosegue: “La regina madre sceglie il sesso dei nascituri e fa solo femmine, i maschi solo una volta all’anno per la riproduzione della loro specie, non gli fanno neanche buttare la spazzatura. Hanno il solo compito di fornire gli spermatozoi. Il loro compito è il volo nuziale, si accoppiano e dopo muoiono perché non servono più. Ma quanto sono avanti! Non hanno problemi a gestire gli ex e i maschi felici, perché la loro vita è un’unica grande sc***ta”.
I risultati di tale atteggiamento oggi sono sotto gli occhi di tutti.  




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lunedì 26 febbraio 2024

Intervista a Stefano Lazzari

 




Buongiorno Stefano, come nasce questa tua nuova opera?

Ho sempre desiderato scrivere una storia sul mondo dell’arte, in realtà l’idea è nata durante una estemporanea ricerca sul nostro Rinascimento: mi sono inoltrato sulle tracce della saliera del Cellini e la sua bizzarria artistica ha ispirato l’idea di una investigazione su un mistero, presunto, vecchio  di un mezzo millennio…



Quali sono le tematiche più importanti del libro?

Il gusto dell’investigazione su antichi misteri del tutto svincolata da ritorni economici e/o di celebrità, l’arte che proietta la sua ombra immortale sulla più variegata umanità che si possa immaginare – accademici, artisti ambigui, delinquenti, polizia non soltanto come entità istituzionale, investigatori privati – e i sogni di ognuno, più o meno leciti, sempre in bilico fra possibile realtà e delusione…



La storia narrata è completamente fantastica o è stata ispirata da eventi realmente accaduti?

Quando ho iniziato a costruire la trama della storia, che si dipana fra Roma e Vienna, passando per Rimini e Ravenna, non sapevo che la saliera del Cellini fu effettivamente trafugata dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, molti anni prima, nel 2003, e ritrovata tre anni più tardi in un bosco a 90 km da Vienna, dopo una fallita richiesta di riscatto di 10 milioni di euro. Partire senza coordinate si è rivelato un vantaggio, dalla messa in scena del furto stesso, fino alle insospettabili relazioni della saliera con altri misteriosi manufatti rinascimentali.






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sabato 17 febbraio 2024

Intervista a Matteo Salvatti

 





Buongiorno Matteo, come nasce questa tua nuova opera?

Ero a casa di Francesco Alberoni, era anziano, lucido ma sfibrato. Parlava in modo didascalico, accademico. Aveva saputo di me e voleva scrivessi sul suo nuovo magazine. Fu quasi un ordine: «Perché non hai mai parlato dell’amore? Scrivi un libro!» Io, dal più grande studioso al mondo di quel sentimento non potevo che prendere direttive, ma accantonai il progetto dedicandomi ad altri volumi di giornalismo di costume, il mio settore. Dopo la sua morte lo considerai un atto dovuto, qualcosa cui non potevo sottrarmi. Ho così realizzato un testo si rivolge a tutti perché l’amore tocca tutti, ogni età, ogni strato sociale, ogni persona, personaggio e personalità. Io non ne avevo mai scritto perché, come la vita, che o la si vive o la si scrive, io pensavo fosse un ambito da vivere (nel mio caso con eretismo psichico costante) poco incline ad essere esportato o condiviso.

 

Quali sono le tematiche più importanti del libro?

La teoria espressa in questo testo non l’avevo mai trovata e nemmeno mai applicata concretamente tra la gente che ho esaminato per comporlo, forse perché si è sempre partiti dal presupposto (anche con una overdose di ipocrisia) che l’amore sia l’ultimo baluardo di sacralità, un tabernacolo di innamoramento prima e buoni sentimenti poi dinanzi al quale prostrarsi silenti. Ma è del tutto evidente che l’intelligenza artificiale, la cosificazione dei corpi, la visione strumentale di ogni azione troppe volte in atto ci porterà a vivere quello probabilmente in forma embrionale e inconscia sta già accadendo e che io, mettendo i baffi alla Gioconda, ho voluto in qualche modo anticipare sottoforma di iperbole. L’innovazione è aver anche solo sussurrato che il re è nudo.



Qual è il tuo rapporto con la scrittura? Cosa significa per te?

Scrivere significa per me, in questo caso in particolare, vivere altre vite. Vite oltre la mia. Se da un lato mi è piaciuto mettere qualcosa di me in ogni personaggio (una battuta, un fraseggiare, un cinismo, una fobia) d’altro lato io cerco sempre di provare compassione per ogni attore in scena, il che significa immedesimarsi nel suo punto di vista, nei suoi punti di debolezza, nelle proprie fragilità, per cercare di presentarle al lettore/spettatore nella loro versione di ferite verso se stesso prima che verso gli altri. Non ho inscenato setting che presuppongano tifoserie, perché poi si cade nell’a-priori per cui “se la realtà non collima con l’idea che mi son fatto, beh, tanto peggio per la realtà, io l’idea non la cambio”. Se poi parteggiassi per qualcuno farei il suo male, lo renderei insopportabile, ad ogni modo esposto al giudizio, e nessuno sarebbe più capace di accompagnarlo, quindi di accoglierlo e infine dunque di capirlo. E a quel punto avrei fallito.




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martedì 23 gennaio 2024

Libertà vo cercando

 di Maria Sofia Rebessi.






Libertà, liberté, libertad, libertas, libertate, Freiheit, freedom (o “liberty” nella variante statunitense), eleutheria.
Già si denotano piccole differenze fra i termini a livello linguistico, basti pensare alle parole neolatine in cui la b intervocalica si è mantenuta uguale all’originale Libertas. 
Per ciò che riguarda l’etimologia dell’italiana libertà, nel Tesoro della Lingua Italiana delle Origini (in sigla TLIO) si trovano 1371 esempi dell’uso di tale lemma anche se, raccogliendo il TLIO attestazioni dei vari dialetti, chiaramente il modo in cui è scritto è diverso.
La più antica attestazione sta nelle Storie de Troia e de Roma, testo romanesco tradotto dall’originale latino fra il 1252 e il 1258, nel quale si legge: “Agamenon fece lo consilio et concedeo [concesse, ndr] libertate ad Elena e Casandra et feceli rendere onne cosa.”
Il primo esempio, invece, nella cosiddetta lingua volgare risale al 1263 nel registro di debitori e creditori di una compagnia commerciale di Siena che però operava in Francia: “Maiestro Piero calonacho [canonico, ndr] di Toli ebe libertà [ottenne il permesso, ndr] dal deto vescovo di richonoscere la deta [il debito, ndr] denanci a’ deti giudici. ”
In inglese e in tedesco, invece, ci sono i suffissi -dom e -heit che servono a indicare una condizione.
Ad ogni modo, queste parole provenienti da culture e modi diversi di pensare sono tutte quante volte a designare una specifica situazione, della quale è onestamente molto difficile spiegare l’essenza. Si potrebbe definirla come la capacità di autodecidersi, autodeterminarsi, di scegliere se fare o non fare una determinata cosa. Nel 1971, su ispirazione dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, il cantautore Fabrizio de André l’ha resa la protagonista indiscussa del brano Il suonatore Jones e specialmente nelle frasi “Libertà l’ho vista dormire nei campi coltivati a cielo e denaro a cielo ed amore, protetta da un filo spinato. Libertà l’ho vista svegliarsi ogni volta che ho suonato, per un fruscio di ragazze a un ballo, per un compagno ubriaco”.
Lo scopo di questo libro è quello di far riflettere sull’autentico significato di una parola per cui molte persone si sono sacrificate, ma naturalmente anche quello di calare suddetto termine ai giorni nostri e di riappropriarci del suo valore nella sua interezza. Il tutto è corredato da numerose citazioni relative alla storia antica, medievale e contemporanea, a dimostrazione del fatto che è un tema che ha sempre smosso le coscienze. 
Precisazione importante: il titolo, Libertà vo cercando, è un tributo a Dante Alighieri, il quale, nel verso 71 del Purgatorio, è un cercatore della suddetta esattamente come Catone Uticense, da questi posto al rango di guardiano del regno intermedio fra Inferno e Paradiso. La speranza, o meglio ancora l’esortazione, è che ogni lettore trovi la propria occasione per impegnarsi, con gli opportuni riadattamenti, a imitare il Sommo Poeta nella sua ricerca e a onorarla non solo col pensiero ma anche con le azioni.


Estratto dal libro "Libertà vo cercando" di Maria Sofia Rebessi, Midgard Editrice




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lunedì 15 gennaio 2024

La torre echeggiante

 di Rocco Di Campli.







Correva l’anno del Signore 1189 quando il Barbarossa si recò in Terrasanta, alla testa dell’esercito, per guidare la Seconda Crociata, che si risolse in una drammatica sconfitta per le milizie Cristiane, anche a causa del fallimento dell’assedio di Damasco. 
Il condottiero svevo vi tornò anche in quella successiva, due anni dopo, combattendo al fianco di altri forti e audaci cavalieri. 
Tra coloro che presero parte alla Terza Crociata c’era anche Riccardo Cuor di Leone (così chiamato in base al soprannome coniato dal menestrello Ambroise nel cantarne le gesta), che accompagnò Federico nel suo viaggio in Oriente. 
Ma per il Barbarossa la nuova impresa cavalleresca avrebbe rappresentato anche l’ultimo viaggio terreno. L’imperatore svevo, infatti, annegò nelle acque poco profonde del fiume Saleph, che scorreva in Turchia, forse a causa del peso dell’armatura o per un congelamento o per via di qualche oscuro incantesimo. 
Una leggenda narra che la sua misteriosa morte fosse legata alla Lancia del Destino, l’arma con la quale il soldato romano Longino aveva trafitto il sacro costato del Messia. 
Forse il destino aveva deciso che la preziosa reliquia appartenuta al legionario dovesse restare in Oriente. 
Qualunque fosse stata la causa (naturale o soprannaturale) del decesso dell’imperatore, il Barbarossa non ritornò dalla crociata.
Riccardo aveva dunque proseguito il suo viaggio alla volta del Santo Sepolcro, arrivando a destinazione e scontrandosi con l’esercito del prode Saladino, che dominava su un vastissimo regno, i cui confini si estendevano dall’Egitto fino all’Armenia. 
Durante l’assedio di Giaffa il sovrano Saraceno, stupito dal coraggio dimostrato dal Plantageneto nel corso della battaglia, di fronte alla temerarietà del nemico, avendo notato che il suo avversario era rimasto privo di cavalcatura, per consentirgli di combattere gli fece consegnare due destrieri bardati e protetti dall’armatura. Non poteva permettere, infatti, che un guerriero simile fosse spazzato via da una morte indegna del suo valore.
Il Sultano tributò così a Riccardo quel meritato onore, un solenne riconoscimento che il destino assegna e concede ai veri guerrieri, per consegnarli all’eterna memoria scritta nel libro della storia.
La guerra, come accade quasi sempre, rimase senza un vero trionfatore. Non furono decretati né vincitori né vinti e la pace fu sancita con un trattato tra Riccardo e i consiglieri del Saladino. 
Il re d’Inghilterra tornò a casa sano e salvo dalla spedizione, seppur molto provato, e contribuì a riportare dalla crociata un bottino misterioso, che faceva parte del carico dei beni confiscati in Oriente. Dunque, i cavalieri Cristiani, al ritorno in patria dopo l’impresa militare, non avevano condotto soltanto ori, denaro, spezie aromatiche e dolorosi (ma solenni) ricordi di gloria, bensì anche un affascinante mistero, legato ad un’arcana magia. 
Il sangue versato nella cosiddetta Guerra Santa era stato copioso.  L’alto tributo di vite umane, pagato e offerto come sacrificio in nome della causa, aveva macchiato la terra straniera e le metaforiche pagine della storia. Al di là dei clamori della gloria, sarebbero rimasti nella polvere e nella sabbia gli stendardi strappati e i cavalieri caduti, sepolti o lasciati marcire al sole. 
Numerosi Templari e Cavalieri dell’Ordine degli Ospitalieri erano periti nell’impresa della tentata conquista del Sepolcro.
Quelle gesta avrebbero trovato posto nei libri di storia e sugli arazzi. Sarebbero stati narrati e celebrati nei poemi, nei romanzi e nelle ballate, riverberando attraverso i secoli.


Estratto dal romanzo "La torre echeggiante" di Rocco Di Campli, Midgard Editrice 2023




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lunedì 8 gennaio 2024

Le pratiche della fede etena

 di Siegfried Blazesson







Allo stesso modo di altre Vie spirituali o religiose che siano anche la Via etena prevede delle pratiche che debbono essere messe in pratica nel compimento di un completo percorso di fede da parte di chi decide di seguirlo.
È necessario però fare alcune precisazioni prima di illustrare quali siano queste pratiche e come affrontarle e soprattutto come applicarle nella vita quotidiana dell'uomo moderno.
Innanzitutto è necessario chiarire l’eventuale dogmaticità delle suddette pratiche: la fede etena infatti non prevede la presenza di qualsivoglia obbligo religioso come si vedrà in seguito dunque anche la pratica è lasciata alla discrezionalità del sacerdote o del Pater Familias che ha l'onore e l'onere di sovrintendere le celebrazioni siano queste pubbliche o private.
Appreso questo concetto ci si trova inevitabilmente ad affrontare una diversa interpretazione dei paragrafi di seguito dato che appunto quanto troverete scritto non sarà un approccio dogmatico ma di apprendimento delle pratiche sia di origine storica che di culto contemporaneo.
Un'altra doverosa precisazione che si ricollega inoltre a quella precedente è in merito alla varietà delle pratiche etene che, appunto, in virtù di quanto già specificato sono diversificate anche in maniera significativa l'una dall'altra.
Nei paragrafi successivi si è dunque tentato di dare informazioni generalistiche e non specifiche di una precisa corrente etena, cercando appunto di lasciare a chi pratica (o avrà intenzione di praticare) la giusta libertà di interpretazione delle fonti storiche e la necessaria integrazione delle pratiche moderne.
Un altro aspetto da prendere in considerazione, dunque, è quello accennato poco sopra dell’integrazione tra le pratiche storiche e quelle contemporanee.
Nei paragrafi che seguiranno saranno specificate le fonti antiche mediante la bibliografia correlata mentre le altre, quelle “contemporanee” provengono dalla diretta conoscenza di chi scrive relativa alla propria esperienza personale ed allo studio di altre realtà etene anche particolarmente eterogenee.
Una prima domanda che potrebbe sorgere spontanea al lettore è se sia davvero necessario integrare le pratiche antiche e storicamente comprovate a quelle di moderna introduzione; la domanda è più che lecita e la risposta è tanto semplice quanto non banale: non è possibile praticare la Fede Antica senza introdurre ed integrare il culto con pratiche moderne in quanto le informazioni sulle tradizioni antiche sono frammentarie, spesso incomplete e sovente vittime di interpretazioni e rimaneggiamenti di epoca cristiana e dunque non sufficienti ad esprimere completamente tutto il potenziale che questa Via spirituale può e dovrebbe fornire.
Queste pratiche moderne, delle quali si parlerà in seguito, sono state introdotte a partire dall'inizio del '900 quando i primi occultisti in Austria e Germania si sono interessati all'antica Fede dei Germani  passando poi per gli anni '70 e '80 del 1900 con la nascita dei vari gruppi Ásatrú che non nominerò fino ad arrivare alle ultime e più recenti integrazioni messe in atto nel corso di quella che viene definita la "seconda ondata" dell'etenismo iniziata nei primi anni 2010 (complice l'interessamento di Hollywood) ed in corso ancora oggi.
Alcune tra le diverse pratiche moderne esistenti sono state qui inserite di proposito in maniera monografica e non enciclopedica, quelle presenti infatti sono state ponderate e studiate da chi sta scrivendo e solo alcune sono state mantenute in virtù di due aspetti fondamentali: la verosimiglianza storica e la coerenza con l'etica etenista.
In conclusione di questo paragrafo, fatte le dovute precisazioni in merito allo scritto, è necessario ribadire inoltre quanto non sia assolutamente utile prendere quanto troverete scritto qui e praticarlo in assenza di un lavoro personale di decristianizzazione morale, di crescita spirituale e di applicazione nella vita quotidiana dell'Etica germanica.
La Via etena è difficile anche e soprattutto a causa dell'approccio arcaico che noi, uomini e donne contemporanei, fatichiamo a comprendere ed assimilare e dunque necessità di passione, studio, sacrificio e impegno per modificare la parte più inattaccabile e profonda della nostra mentalità moderna e riplasmarla secondo le antiche usanze.
Se non farete ciò prima di cimentarvi nella pratica starete solo giocando ad accendere un bel fuoco nel bosco. 


Estratto dal saggio "Le pratiche della fede etena" di Siegfried Blazesson, "La via dell'etenismo", AA.VV., Midgard Editrice 2023

https://midgard.it/product/aa-vv-lavia-delletenismo/


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mercoledì 3 gennaio 2024

Intervista a Maria Sofia Rebessi

 





Buongiorno, come nasce questa nuova opera?

Buongiorno a te. È nata ormai 5 anni fa, quando ho iniziato a leggere “Il trattato del ribelle” di E. Jünger in data 3 gennaio 2019 e, in un secondo momento, a documentarmi sulla figura di Arminio. 
Progressivamente, ho ritenuto opportuno integrare le riflessioni summenzionate con precedenti scritti del 2018, opportunamente rielaborati. 
Purtroppo, a causa della pandemia, il manoscritto è rimasto nel cassetto per quasi quattro anni. Sono tornata a revisionare le pagine da maggio 2023, integrando anche l’apparato bibliografico e le note. Mi sono servita anche di miei precedenti scritti del novembre 2020.
Sicuramente la stesura definitiva dell’opera è diversa da quella del 2019 e non solo per mere ragioni temporali. 



Con quale criterio hai selezionato i personaggi storici del libro?

Ho pensato fosse buona cosa inserire un personaggio per ogni ruolo, così ho approfondito la figura di un letterato della storia antica, di uno della storia contemporanea, di un dignitario imperiale, di un soldato e di un comandante. 
A mio avviso, sono figure che ci possono aiutare a capire il senso profondo della parola libertà, la quale, nel mondo contemporaneo, viene drammaticamente e vergognosamente travisata.
All’inizio di ogni capitolo il lettore troverà una citazione di una canzone, di un film o di una serie televisiva: mi è sembrato un trait d’union efficace tra gli esempi da me scelti e chi si accinge a ripercorrerne le gesta con cui sono passati alla storia.



Fra di essi, quale ritieni più adatto per il mondo contemporaneo?

Sicuramente Jünger, con il suo “Anarca” e il suo “Trattato del ribelle”. I consigli che ci dà sono tremendamente attuali: mi riferisco alla rielaborazione di R. Paradisi avvenuta nel 2017, non tanto tempo fa. Detto ciò, la persona veramente libera è quella che vive nel mondo senza essere del mondo. 




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