sabato 29 gennaio 2022

Il Diario del Viaggiatore

 di Angelo Cravero.







Guardavo quella distesa infinita d’acqua incresparsi contro la spiaggia, vicino alla mia casa.
Ero seduto sulla mia sedia a dondolo e mi dilettavo ad osservare quello splendore.
La natura di questa isola era un qualcosa di sorprendente. 
Con grande facilità riusciva a penetrare nel profondo dell’anima e a risvegliare interiormente le emozioni più importanti.
Cercavo di essere irremovibile, affrontando le situazioni complicate di ogni giorno con grande forza. 
Avevo costruito questa casa tutta di legno da solo, era stato un impegno non indifferente, 
ma alla fine la sua realizzazione mi aveva fatto sentire davvero felice.
Appena entrati sulla destra c’erano pile di legna ammonticchiata, poco distante un tavolo con quattro sedie, pronte a donare all’ambiente un’intimità particolare. 
Dopo alcuni metri c’era un divano di broccato nero, ricoperto di cuscini colorati, davanti ad 
un tavolino con alcuni libri. 
In fondo alla casa si trovava il mio letto con un piccolo comodino e sulla sinistra una grande finestra che mi mostra il mare infinito. 
In questa casa di legno avevo tutto ciò che mi serviva per vivere su questa isola senza problemi. 
Mi raggiunse il mio cane e cominciò ad abbaiare. 
Si voltò e mi incitò a seguirlo. 
Cosa voleva? 
Che stava succedendo?
Dopo un po’ decisi di alzarmi e di seguirlo.
Il cane mi condusse alla spiaggia. 
Qui disteso vi era un corpo femminile. 
La donna respirava, sembrava solo svenuta.
Mi chinai, la raccolsi e la portai in casa stendendola sul divano, cercando di farmi venire in mente come poterla far rinvenire.
Ammoniaca!
Ma in casa non ne avevo.
Un barlume si accese nella mia mente. 
L’urina contiene ammoniaca!
Presi un pentolino e ci urinai dentro. 
Un odore acre si diffuse per casa. 
Poi accostai il pentolino al suo viso.
Dopo un poco la donna cominciò a tossire. 
Tolsi il pentolino e lo appoggiai a terra.
 Lei mi osservò e mi disse: «Io mi chiamo Thenwa. Tu, come ti chiami?»
Parlava una lingua che conoscevo per fortuna.
«Mattia! Ora ti do un poco di acqua calda così potrai lavarti, ho anche una camicia pulita, che su di te potrebbe fare un figurone.»
Mi misi poi a cucinare qualcosa, mentre nel frattempo lei mi inondò di domande sul posto dove si trovava.
Le risposi con calma.
«Come mai abiti qui solo!?» mi chiese infine.
«Storia lunga ma te la racconterò. Ora puoi venire a tavola, ci faremo un bel pranzetto.»
Dopo mangiato lei iniziò a raccontare la sua storia.
«La vita nel deserto era sempre un’ardua lotta per sopravvivere, ma i miei genitori non mi facevano mancare nulla, così da potermi far vivere una vita serena. 
La vita nel deserto è complicata. 
Ero sempre ammalata e la mamma cercava sempre di sgravarmi dai lavori pesanti e farmi mangiare cose che nascondeva agli occhi degli altri. 
Vidi mio padre e mia madre che parlottavano in continuazione in ogni momento. 
La mattina dopo aver preso un dromedario, una pagnotta e un pezzo di formaggio stagionato, ci abbracciò e partì. 
Mia madre mi disse che andava a Schiban a trovare sua sorella e suo marito per parlagli se potevano ospitarmi per tenere sotto controllo la salute. 
Alcuni giorni prima che tornasse a casa, io mi sentivo strana, pensavo che fosse troppo 
sconvolgente quello che mi accadeva. 
Appena arrivò scese dal dromedario e ci abbracciò entrambe con un sorriso sulla faccia. 
Da lì capii subito che gli zii avevano accettato di accogliermi.
Questo mi rallegrò un poco, sentendomi sicura, a nessuno avrei permesso d’infrangere la mia vita. 
Mamma cucinò per me per farmi sentire serena. 
Il giorno dopo partii insieme a papà, senza alcuna agitazione, sentendomi bene.
Il viaggio non fu così disastroso. 
Riuscimmo ad affrettare i tempi. 
Arrivati a casa degli zii, tutto successe in fretta. 
La zia mi fece entrare e visitare la casa, mostrandomi la mia camera rettangolare. 
In alto vi erano delle barre metalliche con anelli, così da poter far scorrere le tende che accudivano la vita privata, e la cosa mi lasciò divertita. 
Dopo il pranzo con la zia, andammo in cortile e accendemmo il forno mettendoci a fare il pane. 
Mentre il pane lievitava, la zia mi portò al mercato. 
Qui feci conoscenza di suo nipote. 
Molto simpatico, si stava bene con lui.
I giorni trascorrevano sereni e io soprattutto stavo bene. 
Mi sentivo realizzata. 
Il ragazzo un giorno mi disse che voleva sposarmi e che avrebbe trovato i soldi per i dromedari. 
Non dovevo preoccuparmi di niente. 
Vivevo serenamente. 
Un giorno lo zio trovandosi in casa, mi disse che voleva parlarmi. 
Cominciò dicendo che suo nipote voleva sposarmi e per lui la cosa non creava alcun problema, ma bisognava vedere se fossi pronta.
Mi mise le mani sulle spalle, scendendo a poco a poco fino al seno, facendo cadere la mia veste per terra. 
Poi cominciò ad accarezzare le mie parti intime, stendendomi per terra e venendomi sopra, piano piano facemmo l’amore. 
Per parecchi giorni pensai a lui, per me era stata una storia nuova e la cosa mi rendeva serena. 
Cercavo sempre di essere dolce, ma questo a lui interessava molto poco. 
Un bel giorno cominciò ad essere violento, mi colpì con un frustino per dromedari, mettendomi il suo sesso in bocca. 
Decisi di scappare dopo aver visto l’altra faccia di colui che sembrava volermi bene e mi procurai cose da mangiare per resistere svariati giorni. 
Durante il viaggio incontrai una tribù di beduini che andavano fino al mare e così viaggiai con loro.
Raggiunto il porto ho trovato un lavoro come cameriera su una grossa nave. 
Ho viaggiato per un anno buono con questa. 
Poi l’altra notte la nave è incappata in una brutta tempesta ed è affondata. 
Mi sono trovata in acqua con il salvagente. 
Ho creduto di morire. 
Poi mi sono svegliata qui a casa tua.»
«Un’avventura incredibile, vedrai che qui ti troverai bene» la rassicurai. 
Poi la presi per mano e la invitai a fare una passeggita sulla spiaggia. 
Passo dopo passo ci rilassammo.

Estratto dal romanzo "Il Diario del Viaggiatore" di Angelo Cravero, Midgard Editrice.


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martedì 25 gennaio 2022

Dike Eusebeia

 



Il pianeta Tkash è situato a una distanza di 15 anni luce da Alpha Centauri. 
È un pianeta antico, ma, per le sue dimensioni ridotte, non evoluto. 
Le sue temperature oscillano tra i 35° di giorno e i -5° di notte. 
Le montagne dell’emisfero nord sono innevate, mentre quelle a sud verdissime. 
Vi è una piacevole alternanza di stagioni che rende la vivibilità del pianeta ottima. 
La flora è rigogliosa nella fascia equatoriale, mentre è assente ai poli. 
Gli abitanti, distribuiti uniformemente sulla fascia centrale del pianeta, coltivano la terra sfruttando al massimo ogni tipo di risorsa. 
L’energia è naturale. 
Esistono sistemi eolici e idraulici intorno alle città, che sono poche ma estese e non sovraffollate, perché ogni famiglia possiede vasti terreni da coltivare e molti animali da allevare secondo il regolamento del pianeta.
Questo è controllato da un presidente che ha largo spazio sulle decisioni locali, ma che deve rendere conto al Re delle Stelle, unico governatore di ogni pianeta. 
Al tramonto della stella più vicina s’intravedono dei pianeti, ma dopo 27 minuti, al calar della seconda stella più lontana, si distinguono tutte le stelle dell’universo con una chiarezza singolare. 
I giovani sono soliti restare lungo i fiumi a guardare le stelle…


Sophie chiuse il libro di conoscenza geografica e lo appoggiò sulle gambe, guardò le stelle dall’alta torre del suo casolare di campagna, circondato da animali in libertà. 
Era una ragazza dallo sguardo malinconico. 
Appoggiata al davanzale della sua finestra ascoltava la musica di sottofondo, con la luce spenta per vedere meglio il cielo. 
Viveva in quella casa con i suoi genitori, non si lamentava mai del suo lavoro, anche se per una ragazza della sua età era faticoso stare sempre a contatto con gli animali e il sole. 
La sua pelle chiara poteva risentirne, ma per fortuna non si era mai presa una scottatura. 
Era sempre attenta e volenterosa, rinunciava al divertimento per salvare qualche animale in difficoltà. 
I suoi genitori erano fieri di lei, spesso la invogliavano ad andare in giro a divertirsi, ma lei rinunciava per chiudersi nella sua stanza a leggere qualche libro o dipingere: questo le riusciva benissimo.
La gente del posto la conosceva per avere addomesticato i Lehmn, animali fantastici e feroci, forse perché mai entrati in contatto con l’uomo. 
Nessuno prima di lei era riuscito ad avvicinarne uno; si era persa in un bosco e, nel tentativo di rintracciare la strada, si ritrovò dinanzi a un Lehmn. 
La paura fu tanta, che non riuscì a muoversi: lo guardò. 
Quello sguardo bastò al Lehmn per addolcirsi e farsi accarezzare. 
Quando arrivarono i soccorsi la trovarono addormentata protetta dal Lehmn, che non appena vide quelle persone fuggì via. 
Da allora venne considerata una ragazza speciale.
Adesso stava guardando il cielo con tutte le stelle e si accorse che una di esse si faceva sempre più vicina. 
Spesso nel pianeta Tkash si vedevano piogge di meteoriti, spettacoli meravigliosi, forse più dei giochi pirotecnici, ma Sophie capì che quello non era un meteorite. 
Si lanciò fuori dalla finestra, per saltare sopra la sua moto J5, che era arrivata in un attimo silenziosamente dal garage. 
Sophie salì sulla moto e questa, per il peso della ragazza, raggiunse il suolo sottostante in meno di un secondo, fermandosi a pochi centimetri da terra, poi iniziò a inseguire l’oggetto cadente.
Sophie seguì la caduta dell’oggetto volante, schivando gli alberi e i recinti, attraversando terreni non di sua proprietà. 
Corse senza perdere di vista la scia luminosa che si avvicinò sempre più fino a toccare terra con un tonfo attutito. 
Avrebbe dovuto ancora superare la cascata e, continuando a correre, andò oltre il ruscello e attraversò un dirupo, fino a quando non fu vicina al meteorite. 
Si fermò. Guardò stupita, spense la moto: aveva corso per venti minuti e ormai era abbastanza lontana da casa.
Tutt’intorno era buio, si sentivano solo girare le pale delle eliche della centrale eolica vicina, un brusio continuo che le metteva ansia. 
Da lontano si vedevano le luci del casolare confinante al suo. 
Si era allontanata di molto da casa sua e per di più a un’ora non consentita, ma ormai era là e voleva vedere meglio. 
Si accorse che si era formato un cratere sotto quell’oggetto e che c’era ancora tanta polvere nell’aria. 
Si mise un fazzoletto sulla bocca. 
Il vento allontanava quella polvere che le impediva di vedere e si accorse di essere dinanzi a una piccola navicella chiusa ermeticamente. 
Si guardò intorno, nessuno doveva essersi accorto di niente, tutto taceva. 
Si avvicinò, toccò con la punta dell’indice la navicella per paura che scottasse, invece notò che era fredda. 
Sapeva dell’esistenza di autonavi personali, ma quella che vedeva era la prima. 
Non era enorme, ma era molto più alta di lei; la guardò tutta e camminandoci attorno vide un’incisione su di un lato. 
Si rese conto di riuscire a leggere quelle parole, nonostante non fossero scritte nella lingua del suo pianeta:

Per aprire senza recare danno alle persone: mettere la mano sulle cinque stelle e quando si accende la spia rossa, premere il pulsante verde che comparirà sulla vostra sinistra.


Sophie eseguì tutto senza pensarci: la navicella s’illuminò e si sollevò da terra, un ronzio cominciò a infastidirla, lo sportello si alzò verso l’alto e si sentì uno scricchiolio, l’apertura si allargò e cominciarono a formarsi dei gradini, dopo di che l’autonave ritornò a toccare terra cessando ogni tipo di rumore.
Sophie, che nel frattempo si era nascosta dietro un masso, si avvicinò e, un po’ tra l’incoscienza e la curiosità, cominciò a guardare rendendosi sempre più conto di cosa si trattasse. 
Era una stanza criocongelata: dallo sportello usciva fumo bianco e freddo che scendeva giù dai gradini e arrivava fino a terra, Sophie mise la testa dentro lo sportello aperto e, oltre alla luce che l’abbagliava, vide un ragazzo che dormiva coperto da un lenzuolo bianco.
Allungò la sua mano e toccò quella del ragazzo. 
In quell’istante una forte energia si sprigionò dalle loro mani illuminando la zona circostante ed emettendo un raggio di luce che partiva da loro e proseguiva verso l’alto all’infinito. 
Il ragazzo si svegliò e l’energia cessò all’improvviso. 
Si guardarono.
Il ragazzo avrebbe voluto alzarsi, ma si accorse di essere debole. 
Sophie lo aiutò a uscire dalla navicella e gli avvolse il lenzuolo in vita. 
Camminava, ma cadde su di lei; allora lo adagiò per terra.
«Chi sei? Come ti chiami?» chiese lei incuriosita.
«Josh… sono un messaggero del Regno delle Stelle…» si mise una mano sulla fronte «...un guerriero Dike, sono qui in cerca del principe Esaù…»
Detto questo svenne.
Sophie non sapeva cosa pensare: forse era matto? 
Magari era ricercato dalle guardie reali oppure era solo un astroviaggiatore: non lo sapeva. 
D’un tratto si rese conto che il bagliore di poco prima aveva senz’altro richiamato l’attenzione di qualcuno e pensò sarebbe stato meglio andar via. 
Non avrebbe voluto ritrovarsi addosso le guardie del governatore e dover rispondere di quella stella cadente di cui lei non sapeva nulla. 
Mentre il ragazzo era ancora svenuto per terra, Sophie riuscì a collegare la navicella di Josh alla sua J5. 
Non appena vicine, l’autonave e la moto, fusero i loro metalli e si accesero insieme. 
Sophie sollevò Josh da terra, lo stese con fatica dentro la navicella e con la sua moto si avviò verso casa.
Mora, la luna vicina, illuminava loro la via. 
Il casco copriva i begli occhi della ragazza, ma lasciava fuoriuscire i lunghi capelli lisci, castano chiaro, tra il biondo e la cenere. 
Attraversarono ancora una volta il ruscello e al loro passaggio l’acqua saltellò tutt’intorno. 
Sophie sin da piccola aveva sempre reagito d’istinto senza farsi domande, non aveva mai sopportato i soprusi; manifestava spesso nelle piazze e cercava di essere attiva grazie al comitato interspaziale. 
Ma il suo però era uno dei mondi più lontani e più piccoli del Regno delle Stelle, per cui non aveva voce in capitolo. 
Neanche la notizia di avere addomesticato alcuni Lehmn fece scalpore.
Adesso era sicura di aver infranto la legge, ma non poteva lasciare quel ragazzo nelle campagne a morire. 
Sarebbero arrivate le guardie scelte e lo avrebbero interrogato per poi arrestarlo. 
Avendo parlato del principe Esaù, sarebbe stato suo dovere consegnarlo alle guardie, ma voleva saperne di più. 
Quel rapimento aveva coinvolto gran parte dell’universo e ancora oggi non se ne sapeva nulla.

Estratto dal romanzo "Dike Eusebeia / I guerrieri Dike" di Massimiliano Vermi, Midgard Editrice 2011.


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venerdì 21 gennaio 2022

Poesie d'amore

 




Ho bisogno dei tuoi baci

Ho bisogno dei tuoi baci 
che per me sono fonte di esistenza primaria 
come l’aria, come l’acqua 
senza le quali non si vive.
E la tua sola presenza è fonte di gioia per
i miei occhi che vedono intorno a me
 tante cose spiacevoli e meschine.
La tua presenza mi ridona la gioia di vivere,
di assaporare, di rinnovare le piccole 
e le grandi meraviglie della natura.
Sei la mia musa ispiratrice 
e in te si ravviva l’anima mia.
Restami vicino, amore!


Incantevole creatura

Incantevole creatura non aver paura.
Incantevole creatura non aver ansia.
Incantevole creatura non aver angoscia.
Incantevole creatura sei sola al mondo, 
ma con me non avrai più da esser in solitudine.
Incantevole creatura 
la dolcezza del tuo amore e la tua fragilità
se tu ti fidi di me 
io sarò la tua nuova casa 
dove sicura starai.


Regina di cuori

Regina di cuori 
sorgi come una stella del firmamento 
a sostenermi e a sorreggermi.
Regina di cuori 
sei una donna
speciale e carismatica 
e io avrò cura di te 
come allo stesso modo hai fatto con me. 
Regina di cuori 
ringrazio il Signore che ti ha guidato fino a me 
e guardo il cielo 
con la luna e le stelle 
pensando a te 
e se questa epidemia non ci fosse viaggerei in tutta Italia 
e andrei in oriente per te ed insieme a te.
Regina di cuori 
l’amore che hai per me, con umiltà,
è un dono alimentato con quel seme di bontà.

Estratto da "Poesie d'amore" di Andrea Del Cotto, Midgard Editrice 2021.


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martedì 11 gennaio 2022

L'albero immaginario

 




“Che stanchezza! Ho proprio bisogno di riposare. 
Scusi, signor albero, posso accomodarmi qui sotto e dormire un po’?”
“Ehi ragazzina? Ti pare questa l’ora di svegliare chi riposa in santa pace? Sei nuova di queste parti?”
“Mi perdoni, sono in viaggio da una settimana! Mi chiamo Tina, ho lasciato la mia famiglia perché sto cercando l’albero con le foglie invisibili. E’ molto importante, ne va della vita di tutta la mia specie!!”
“Bambina mia, chi ti ha raccontato questa bella fiaba? Questo albero di cui parli non esiste! Dormi va, che ne riparliamo più tardi.”
“Esiste, esiste, ora però sono davvero sfinita, mi riposo e poi le spiego ben bene.”
Dopo qualche ora…
“Ben svegliata signorina, ecco un po’ d'acqua fresca. Dunque io sono Ronco, e per essere precisi non sono un albero, sono un Myrtus comunis, niente di speciale insomma, perciò puoi darmi del tu. Tu invece sei un’ingenua, chi è che ti ha raccontato di questo albero immaginario?”
“La mia mamma poco prima di andare in cielo. Vuoi dire che mi ha mentito?”
“Oh, beh...no, magari ti ha lasciato un messaggio che è necessario interpretare, che non va preso proprio alla lettera, voglio dire! Vuoi, per cortesia, ripetere le sue parole esatte?”
“Certo! La mia mamma mi ha detto esattamente così: Tina, anima mia, la vita delle lucciole è assai breve, ma tu sei una lucciola speciale, la tua luce è azzurra, e secondo la leggenda tramandata di generazione in generazione, questo accade solo una volta ogni 500 anni a chi ha la speciale missione di trovare l’albero dalle foglie invisibili. Questo albero immaginario custodisce il potere di moltiplicare gli anni della propria vita per il numero di foglie invisibili che si è capaci di rivelare, o di chiederlo per altri che si hanno nel cuore. La leggenda non svela come si fa a rendere le foglie visibili, ma tramanda gli indizi per trovare l’albero. Il primo indizio stabilisce che solo la lucciola con la luce azzurra può riuscirci. 
Il secondo indizio precisa che avrà tempo 21 giorni. Il terzo indizio che un amico l’aiuterà. Il quarto indizio…”.                         
"Riguardo al quarto indizio la mamma ha detto qualcosa sul cambiamento, ma non è riuscita a concluderlo perché la sua luce ha smesso di funzionare proprio in quel momento".
Tina era così triste di aver perso la mamma eppure l’idea di una missione da compiere la confortava e si era messa subito in viaggio.
Sapeva che erano già trascorsi 7 giorni. Erano tanti o pochi i giorni che le restavano per trovare l’albero dalle foglie invisibili?
"Senti Ronco, secondo te sono tanti o pochi 14 giorni per trovare l'albero dalle foglie invisibili con un amico? Pensi di essere tu il mio amico?"
"Guarda io sono un albero, non posso spostarmi, non sono di certo l’amico che può aiutarti, e poi ti ho già detto che questo albero dalle foglie invisibili non esiste". 
Tina era di nuovo triste. Aveva appena conosciuto qualcuno a cui confidare la sua storia che già era di nuovo sola.
"Va bene Ronco l’albero dalle foglie invisibili non esiste, ma se esistesse dove potrebbe essere secondo te?"
"Potrebbe essere a Pontassia, lì c’è tutto."
"Cos’è Pontassia? E dove si trova?"
"Qui siamo in campagna, Pontassia è il paese più vicino. Per un uccello dalle grandi ali è poca strada. Per una lucciola come te ci vorrà una settimana. Ci sei mai stata in un paese?"
"Veramente no. Vivevo con la mamma e le altre lucciole in una bella villa vicina al lago Specchio. Non ci abita nessun umano, si sta così bene. Le lucciole più anziane me ne hanno parlato. Gli umani sono pericolosi, fanno cose strane. Ho sentito dire che schiacciano anche gli insetti."
"Tina, ragazza mia, sei in viaggio da una settimana, da sola, cerchi qualcosa che non esiste e ti spaventi degli umani? Coraggio. Lungo la strada troverai la soluzione al dilemma o almeno un amico."
"Sì, ho bisogno di un amico, eppure mi ero già affezionata a te Ronco che sembri burbero ma sei forte, fai una bella ombra e conosci il mondo anche stando fermo. Va bene vado. Devo fare attenzione alla notte, di giorno non mi vede nessuno."
"Buona fortuna Tina."
"Pensami Ronco!"


Estratto dal volume L'albero immaginario, AA.VV., Midgard Editrice 2021.

Gli autori: Maria Grazia Meloni, Diana Duca, Morena Cherubini Chiodi, Maurizio Simonetti.
La voce narrante: Valeria Cacace.
Illustrazioni di: Beatrice Giuliani, Miriam Felcher.


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