giovedì 15 dicembre 2022

Tre raccolte poetiche

 di Rebecca Collins.







LA SEDIA DURA

Una sedia dura.

A volte possiamo alzarci – 
Doloranti, rigidi – 
Per imparare a fare un passaggio...

Le lezioni sono antiche,

Passate per la rottura
Di ogni persona,

Create dalle ali
Che abbiamo scordato.



L’ANTICIPAZIONE DI NATALE

Incandescenti,
Sfere spalancano
L’universalità dell’amore – 

L’anticipazione di Natale
Diffonde in folle
Tutti noi,

Tenendoci in coesione.



PERUGINA

Assaggio esperienze straniere:

Mi muovo
Per paesi e città

Come il tempo
Che torna ancora
Al posto che gli spetta,

Portandomi
A quella che sono diventata –

Eccomi, Perugina.


Estratto dal volume "Tre raccolte poetiche" di Rebecca Collins, Midgard Editrice 2022


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sabato 10 dicembre 2022

Intervista a Roberto Turrisi

 





Buongiorno Roberto, parlaci della tua opera, come nasce?

La terza ombra nasce dall’esigenza di esprimersi. 
Solo dove c’è espressione non c’è repressione e depressione. 
Nasce dalla ricerca di una nuova sorgente di luce; in natura è possibile vedere, per lo stesso corpo ed un'unica sorgente luminosa, un massimo di due ombre. 
La terza ombra la si può vedere solo se aggiungiamo un'altra fonte di luce, che in questo percorso è interna. 
Un gioco di luci ed ombre, quale la vita è. 
È possibile godere della luce solo se si impara a godere delle ombre, che ci dimostrano la nostra stessa esistenza. 
Non vi è alcuna ombra senza il corpo.


Quali sono le tematiche più importanti del libro?

L'amore, in ogni sua forma. 
Anche nelle forme che a prima vista potrebbero sembrarne la negazione, in questa bellissima e misteriosa complessità che siamo.


Ci sono poeti antichi o moderni che ispirano in modo particolare la tua opera?

Mi ispiro alla vita. 
I miei punti di riferimento non sono soltanto letterari. 
Anche dal punto di vista prettamente letterario mi piace evolvermi, transitando dalla lettura dei classici ai contemporanei. 
I miei preferiti sono i surrealisti, e quanti indagano dimensioni introspettive e parallele, psicoanalitiche, sperimentali e d'avanguardia. 
Sto rileggendo i poeti maledetti in questo periodo. 
Mi piace assaporare la profondità, non disdegnando il romanticismo. 
Tutto quello che mi emoziona molto sono i miei punti di riferimento, nella vita come nella poesia.


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lunedì 5 dicembre 2022

Il mio lamento in danza

 di Roberto Lazzari.






Il musicista

La celeste armonia 
delle note 
mi ha sempre incantato,
ma ancora di più 
mi ammaliava 
vederla fluire
infinita
da una piccola cassa 
di legno tornito, 
dall’incavo brunito
di una tromba 
d’ottone.
Con ardita speranza,
con profonda emozione 
vi volli scoprire
la traccia
del filo che unisce
la terra col cielo,
la segreta promessa 
che da questa sconnessa
vibrazione terrena
s’alzerà e suonerà 
lungamente
la mia melodia 
trascendente. 


Il fabbro

Un giorno ho scoperto,
con trepidazione, 
di avere la stessa
natura del fuoco,
di esser sul punto
d’illuminare per sempre 
la notte che avevo d’intorno,
con vampa abbagliante
di stella.
Ma la fiamma
che ardeva
è rimasta nascosta 
all’interno di me,
per tutta la vita,
consumandomi piano,
da dentro,
riducendomi cenere spenta,
tizzone annerito
dal tempo.


L’agricoltore

Ho provato 
l’anelito strano
del chicco di grano
che germina e muore
e ancora non sa 
della spiga,
la smania segreta del monte
che spacca i suoi fianchi
per farne sgorgare 
acqua viva, 
che intrida la terra 
e si perda 
lontano.
Con paura, 
impazienza, 
emozione
allora sentivo
che anche il mio cuore
chiedeva di amare
senza alcuna misura, 
speranza, 
ragione,
per essere vivo. 


Il navigante

Quando l’onda profonda 
del tempo
giungerà al limitare 
del nulla,
infrangendosi in gocce
minute
di eterno
e l’eterea sostanza
del mondo
smetterà la sua veste
d’argilla, 
dissolvendosi al soffio
infinito
dell’En Sof,
io saprò con il balzo
più ardito
valicare l’estremo
confine,
per un attimo solo
scrutare
me stesso.
E poi non sarò che un riflesso
di Luce.

Estratto dal volume "Il mio lamento in danza" di Roberto Lazzari, Midgard Editrice 2022


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venerdì 2 dicembre 2022

Guizzi di vita

 di Andrea Guizzardi.






Essenziale

Sono un uomo di mare
pescatore di vite 
tumultuose e lacere
raggrinzite per sete.

Sono un uomo di terra
coltivatore di storie
odorose di birra
non ordinate in serie.

Sono un uomo che scrive
di fantasia e reale
lungo la via più breve
del poeta essenziale.


Annibale

Lungo l’argine maestro del fiume
disteso contemplo le nuvole
e attendo che passi la fame
immerso in ozi come Annibale.

La noia è una nuova conquista
una medaglia al disvalore
lucente come una testa
calva e madida di sudore.

Attendo l’impossibile
che compaia una figura amica,
la sola cosa tollerabile
di una vita ormai cieca.


Arsenali

Cerchiamo invano un appiglio
di qualunque fattezza
ma prendiamo un abbaglio
di accecante potenza.

Ascoltiamo male un consiglio
dell’amico più caro
e attiviamo l’orgoglio
per prenderlo in giro.

Siamo strani animali:
pur dotati di raziocinio 
colmiamo gli arsenali mentali
con le armi del vaticinio.


Estate

Librava libera lungo le lande
riarse dal sole luciferino
sotto un manto caldo che stende
forme di vita tal qual al veleno.

Sfilava lieta in abito da sera
l’estate attesa e spasimata
nella strada deserta di buon ora
disertata dalla folla abbattuta.

Un’ombra lontana sotto il glicine
le offriva passiva resistenza:
un uomo solo tra le pagine
si allontanava in dissolvenza.




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martedì 29 novembre 2022

La macchina del Diavolo

 di Oscar Bigarini.






Montecastello di Vibio – Umbria - Primavera 1430

Niccolò Juli era una persona tranquilla, amava la natura, i suoi unici amici erano il cane Taddeo, la capretta Isabella, il gatto Rocco, e il somarello Giacinto.
La sua grande amica Matteuccia era stata giustiziata a Todi, il 20 marzo 1428, sul rogo, e lui, sconsolato, nel luglio dello stesso anno, aveva lasciato il  lavoro di farmacista a Todi, venduto la bottega dove esercitava il suo lavoro e con il ricavato aveva acquistato un appezzamento di terra posto a circa tre chilometri dal paese di  Montecastello di Vibio, un’ incantevole rocca medievale, poco distante da Todi e Perugia. 
Con l’aiuto di alcuni amici contadini, si era costruito sul terreno acquistato una piccola casa di tufo, poi aveva cominciato a dissodare un campicello, e nel gennaio 1430, a circa tre chilometri da Montecastello di Vibio, si era ritirato con i pochi denari, gli amati libri e gli amici animali.
Viveva ora in quella casetta di due ambienti; nell’ambiente più grande c’era il camino, il letto, il tavolo sul quale mangiava e scriveva, una madia per il pane e la farina che otteneva dal frumento coltivato nel campicello. Gli altri alimenti necessari per vivere, quali formaggi, legumi, insaccati,… erano conservati in una credenza posta accanto alla madia. Uno scaffale, agganciato al muro sopra il letto, conteneva in maniera ordinata i libri e i manoscritti di Niccolò. L’altro ambiente, più piccolo e comunicante con il primo, ospitava i giacigli di paglia dei suoi quattro amici animali, ai quali Niccolò, con amore, non faceva mai mancare nulla, cibo e acqua in abbondanza; entrambi gli ambienti disponevano di una finestra per l’illuminazione e di un proprio ingresso dall’esterno.
Dietro la casa, Niccolò aveva costruito, sempre in tufo, un magazzino, nel quale conservava gli alambicchi, le ampolle, gli utensili, i piccoli macchinari, che aveva utilizzato nel precedente lavoro a Todi; tutti oggetti che dalla morte di Matteuccia, non aveva più utilizzato, in quanto il forte dolore che si era impossessato della sua mente gli aveva tolto tutte le sue velleità creative.
Tra la casa e il magazzino, prima di arrivare al campicello, aveva costruito un piccolo stagno dove galline, anatre e oche si abbeveravano e scorrazzavano felici all’aria aperta.. 
L’ appezzamento di terra di Niccolò, era una piccola radura pianeggiante circondata da un fitto bosco, attraversato da una sola strada che partendo dalla sottostante valle umbra, passando vicino a casa di Niccolò, arrivava alle porte di Montecastello di Vibio. 
Niccolò era prossimo ai cinquanta anni, di statura media, magro, portava una barba bianca, non troppo lunga ma sufficiente a coprire le rughe del viso; l’uomo, in genere, indossava una lunga camicia, usurata, ma sempre abbastanza pulita, oppure un farsetto, molto consumato, probabilmente avuto come compenso da un ricco signore per dei servigi prestati, delle lunghe braghe di tela completavano l’abbigliamento. In inverno Niccolò usava indossare un mantello per  ripararsi dal freddo, non se lo toglieva nemmeno per dormire.
Preso dai suoi pensieri, di carattere principalmente speculativo e scientifico, Niccolò era con la mente quasi sempre assente dal mondo che lo circondava, la gente doveva ripetergli spesso due o tre volte le cose, prima che lui si distogliesse dai suoi pensieri, e interagisse con l’interlocutore. 
L’amata moglie Bianca era morta quattro anni prima, nel 1426,  tra strazianti dolori, colpita da una brutta malattia allo stomaco, a nulla erano servite le cure che l’amica Matteuccia le aveva prestato attraverso pozioni medicinali, ricavate da erbe, oppure con  misteriosi unguenti. 
Nei quattro mesi della malattia di Bianca, l’unico conforto per Niccolò erano state le lunghe conversazioni con Matteuccia: lei aveva cercato di consolarlo,  di fargli coraggio, di distrarlo dai brutti pensieri portando la conversazione verso argomenti di comune interesse, tra i quali l’uso delle erbe per preparare infusi ed unguenti medicinali o l’anatomia dell’essere umano. 
Matteuccia di Francesco, era nata a Ripabianca nel 1388, esperta conoscitrice di erbe, preparava medicinali per guarire le malattie del corpo e dell’anima delle persone, non poche in verità, che si rivolgevano a lei. Tra i suoi clienti e protettori c’era anche Braccio Fortebracci, indomito condottiero, signore di un ampio territorio dell’Italia centrale che comprendeva anche Perugia, la città della sua famiglia. 
Paradossalmente, l’amicizia del celebre personaggio, anziché aiutare la donna nella sua attività di guaritrice,  fu uno dei motivi che portarono l’Inquisizione a decretare la condanna a morte di Matteuccia, a seguito dell’accusa di stregoneria. L’esecuzione della donna fu infatti un modo per colpire Braccio da parte del Papa Martino V, in quanto il condottiero contendeva i territori dell’Italia centrale proprio al pontefice. 
Matteuccia prestava le sue cure amorevoli soprattutto alle donne, donne logorate dalle numerose gravidanze, donne sfinite dal peso della famiglia, donne sottomesse al volere dei parenti. La guaritrice desiderava solo essere libera di fare le sue scoperte, pensava che essere un’ esperta di erbe l’avesse  potuta tenere al riparo dalla cattiveria del mondo. Ma così non fu. 
Nel  processo, svoltosi a Todi ad opera del “Tribunale dei Malefici”, i capi di imputazione contro Matteuccia furono trenta, tra questi: l’ accusa di aver convinto un aiutante di Braccio a recuperare le carni di un uomo annegato per realizzare un olio medicamentoso, l’accusa di essere in grado di trasformarsi in una gatta,  quella di aver volato sopra un capro fino al famoso noce di Benevento, il luogo in cui si diceva le streghe si incontrassero in presenza del demonio, e infine di aver bevuto il sangue di molti bambini. 
Alla donna non fu data la possibilità di difendersi e salvare la propria immagine, di contrastare la feroce battaglia scatenata contro di lei, di spiegare che l’unica sua intenzione era la conoscenza della  medicina, dell’anatomia del corpo umano, per trovare il modo, attraverso le erbe, di contrastare le malattie. 
Durante il processo, nessuno la  aiutò, compresi i membri della sua famiglia, alla fine, anche grazie alla pratica della tortura, risultò rea confessa.
Il 20 marzo 1428, a 40 anni, fu bruciata viva a Todi, in piazza del Montarone, contro di lei intervenne persino Bernardino da Siena. 
Niccolò aveva in comune con Matteuccia l’interesse per le erbe medicinali. Insieme, nella bottega di farmacista di Todi, preparavano, non visti dalla gente, pozioni ed unguenti che poi dispensavano ai malati più poveri. Per l’uomo, come detto in precedenza, questa attività e l’amicizia della donna, furono di grande aiuto per affrontare il dolore derivante dalla malattia , prima, e dalla morte, poi, dell’amata moglie Bianca.
La frequentazione della maga guaritrice aveva sollevato anche nei confronti di Niccolò sospetti di stregoneria da parte delle istituzioni ecclesiastiche, ma questi sospetti non erano mai sfociati in accuse vere proprie, grazie alla riconosciuta bontà delle sue medicine e l’assidua e costante sua presenza alle celebrazioni religiose. Niccolò era un buon Cristiano.
L’uomo, oltre lo studio delle erbe e la preparazione dei medicinali, aveva anche un'altra grande passione: lo studio delle scienze matematiche, fisiche e chimiche, con una predilezione per la meccanica.
Nel campo della matematica aveva letto le opere dell’ Italiano Leonardo Fibonacci e quelle del francese Nicola d’Oresme, per quanto riguardava la meccanica possedeva  disegni delle macchine progettate dai greci e dai romani sia per scopi civili che bellici, spesso li guardava, aveva in mente di costruirne di più evolute.
Aiutandosi con le nozioni apprese attraverso studi scientifici da autodidatta, aveva costruito geniali arnesi che l’aiutavano nel lavoro di farmacista nel periodo tuderte, come apparecchi di pesatura, trituratori meccanici per erbe, agitatori per soluzioni liquide, macchine a pedali per tagliare il legname, ventilatori a manovella per aerare la casa dal fumo, candele fortemente illuminanti fatte di una speciale cera, etc…. 
Prima della malattia di Bianca la vita di Niccolò era stata abbastanza felice.
Non avevano avuto figli, ma i due erano stati una coppia molto unita, piena di iniziative, i coniugi si sostenevano a vicenda, superavano insieme le avversità, quali epidemie, carestie, invasioni,….. tutti avvenimenti che la dura vita di quel tardo medioevo dispensava abbondantemente.
Ma dopo la morte di Bianca, per Niccolò la vita nella casa di Todi non fu più possibile, le incombenze quotidiane diventarono per lui ogni giorno sempre meno sopportabili, ogni azione che doveva compiere, ogni oggetto che doveva maneggiare, gli ricordavano l’amata sposa e i pensieri che sopraggiungevano lo  rendevano  incapace di compiere le azioni più semplici.
Confortato da Matteuccia resisté ancora a Todi per due anni, ma dopo la morte dell’amica, subentrò in Niccolò uno stato di completa apatia verso il mondo, non ebbe più interessi scientifici, né di altra natura, la sua fervida mente fu bloccata dal dolore, l’unico suo pensiero fu di fuggire dalla città dove aveva vissuto felice con l’amore della moglie Bianca e l’amicizia di Matteuccia.
Nel gennaio 1430 Niccolò si trasferì nella casa, che si era costruito nella radura, vicino a Montecastello di Vibio, insieme ai suoi amici animali e i suoi averi. 

Estratto dal volume “La macchina del Diavolo" di Oscar Bigarini, Midgard Editrice. 


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martedì 22 novembre 2022

La vita di Ferro

 di Roberto Todini.







Un corridoio lungo esattamente novanta metri, ampiamente finestrato, alto oltre quattro metri e largo cinque. 
Il pavimento finto veneziano anni '50, veniva tirato a cera due volte la settimana trasformando la tonalità ocra in un giallo pallido e luminoso. 
Sul lato sinistro una fila di porte; dodici, per essere esatti. 
Le prime dieci costituivano l'entrata di altrettante camerate, le ultime due, davano accesso ai magazzini della compagnia. 
Sul lato destro delle dieci porte erano seduti dieci reclute a piantonare le stanze. 
L'ordine che questi avevano ricevuto, oltre quello di non far passare gli sconosciuti, era di alzarsi in piedi e salutare ogni qual volta fosse passato di fronte a loro un graduato, o meglio ancora un ufficiale. 
Durante i primi giorni dal loro arrivo, alcune reclute, ancora inetti e impauriti della nuova vita, salutavano anche i militari semplici dimoranti al 'Quadro Permanente'.
In realtà, il Q.P. era la squadra formata da una dozzina di uomini o poco più, in ferma  tutto l'anno per svolgere i lavori nei tre reparti fondamentali della compagnia: fureria, magazzino e armeria. La camerata del Q.P. si trovava alla fine del lungo corridoio a destra, prima del ridicolo 'Plotone Atleti'.
Camminava lungo il corridoio al ritmo di due passi al secondo e il falsetto quasi afono di Ivan Graziani “ ...però,però,però, tu dirai di no … Che posso fare, tu che puoi fare, se navighiamo a senso inverso in mezzo al mare ...”. 
Sulla mano destra una catenella a sfere di circa quaranta centimetri voltava ad elica attorno al dito indice. 
All'apice di questa, un pesante mazzo di chiavi accelerava la rotazione e permetteva al laccio metallico di avvolgersi in maniera uniforme per tutta la lunghezza del dito. Questa azione era ripetuta nei due sensi di marcia, destrorsa e sinistrorsa, all'infinito,  provocando  inevitabilmente quel caratteristico sonaglio metallico che soltanto le chiavi sanno emettere.
Si trovava fra la quarta e la quinta camerata quando il piantone della sesta si alzò dalla sedia con fare piuttosto scomposto e impacciato. 
Lo sguardo della recluta si animò di una smorfia involontaria quando le sue braccia schiaffeggiarono i fianchi e il tacco della scarpa destra percosse forte il suolo. 
Tutti gli altri piantoni, dalla settima alla decima camerata, si alzarono in posizione di attenti, in attesa del suo passaggio.
"Todilli …" urlò quando già si trovava all'altezza dell'ultima stanza, "Todilli, hai insegnato tu a questi coglioni ad alzarsi quando passa un soldato semplice?"
Todilli era il magazziniere finito lì per caso visto che il suo incarico era un 'F60 scritturale', cioè, avrebbe dovuto far parte dei cinque o sei scribacchini della fureria. 
Per ragioni tecniche era “approdato” in quel magazzino e trovatosi bene aveva fatto di tutto per restarci.
"… eh Todilli? Hai insegnato tu a salutare ogni insetto che passa per questo corridoio?"
"Ohh, Ferro … vacci piano! Tu non sei un insetto … per lo meno, non sei un insetto comune."
Ferro Mauro. Soldato Ferro Mauro, Quadro Permanente Seconda Compagnia, Armiere.
"Sì, questo è vero: sono un insetto piemontese che nella vita precedente installava allarmi e provvedeva pure alla loro manutenzione. E' questo che mi ha fregato. Sono i trascorsi della vita precedente che ti fregano. Ricordati!"
"Già! Ma, allora, perché io mi trovo in questo magazzino appestato di naftalina, vecchi zaini di gente probabilmente morta e una ricca collezione di posate da ristorante?"
"Forse lavoravi in un negozio?" chiese Ferro riprendendo a far volteggiare la catenella che per qualche secondo aveva lasciato appesa sull'asola della tuta mimetica.
"Mia madre!" esclamò il magazziniere.
"Vedi?"
"Sì, mia madre ha un negozio di articoli da regalo ed elettrodomestici."
"Loro sanno tutto" poi, sorridendo leggermente, l'armiere aggiunse: "cosa credi? Loro sapevano del mio lavoro con gli impianti d'allarme … loro sanno che in armeria esiste un impianto d'allarme e sanno che “allarme” significa “alle armi” …" sorridendo della scadente battuta, "… piuttosto Todilli, dammi una sigaretta; so che ne hai tante dentro quel l'armadio" indicando l'anta chiusa alle spalle del magazziniere.
Todilli aprì il mobile e tirò fuori due gavette di acciaio colme di sigarette.  
"Eccole! Prendile un paio, anzi, prendile qualcuna di più. Domani si fa il cambio delle lenzuola e vedrai quante ne incasso" alludendo alle sigarette.
Accesero quasi in contemporanea le due 'bionde' scelte per marca e per tipo.
Quella del magazziniere era vecchia; sapeva di vecchio; aveva il tipico sapore di tabacco andato a male e rinvenuto; ammuffito.
"Che schifo!" esclamò Todilli continuando però a tirare e sputare fumo. 
Sapeva che soltanto durante la prima fase si sarebbe avvertito quel saporaccio stantio.
"Dovresti metterle sotto vuoto d'aria" disse Ferro.
"Dovrei fumare più spesso ed evitare che accadessero certe cose" puntualizzò il magazziniere prendendone altre sei dalla scodella e offrendole all’armiere.
"Grazie Tod, ne terrò conto per il prossimo carico di olio."
Todilli proveniva da una famiglia di cacciatori e lui stesso lo era. 
Possedeva una dozzina di fucili che dovevano essere puliti e lubrificati. 
L'olio che si usava in caserma era particolarmente buono e l'armiere provvedeva, di tanto in tanto, al rifornimento extra.


Estratto dal volume “La vita di Ferro" di Roberto Todini, Midgard Editrice. 


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martedì 15 novembre 2022

Saga di Harald Hardrade

 di Snorri Sturluson.






1. HARALD FUGGE DALLA BATTAGLIA DI STIKLESTAD.

Harald, figlio di Sigurd Syr, fratello di Olaf il Santo, nato da stessa madre, era alla battaglia di Stiklestad e aveva quindici anni quando Re Olaf il Santo cadde, come già detto . Harald venne ferito e con altri fuggì in ritirata. Così dice Thjodolf:

“Ho appreso che una tempesta di scudi
si abbatteva poderosa contro il re presso Haug,
e il bruciatore dei Bulgari sostenne bene suo fratello.
Si separò, riluttante, da Olaf morto,
e il principe allora quindicenne
nascose il suo palco da elmo .”

Ragnvald Brusason condusse Harald fuori dalla mischia, e la notte successiva lo portò da un fattore che viveva presso una foresta lontano dalla gente. Il fattore accolse Harald e lo nascose; Harald venne accudito fin quando non fu completamente guarito dalle sue ferite. Poi il figlio del fattore lo accompagnò sulla via orientale lungo il confine della sua terra, attraversando tutti i sentieri percorribili della foresta, evitando la strada principale. Il figlio del fattore non conosceva l’identità del suo compagno; e mentre cavalcavano insieme per le foreste disabitate, Harald declamò questi versi:

“Ora vado di soppiatto di selva in selva con poco onore;
ma chissà se un giorno non diverrò famoso in lungo e in largo?”

Andò verso est oltre il crinale attraverso Jamtaland e Helsingjaland, e arrivò in Svezia, dove trovò Ragnvald Brusason e molti altri uomini di Re Olaf che erano fuggiti dalla battaglia di Stiklestad, e rimasero lì fino alla fine dell’inverno.



2. IL VIAGGIO DI HARALD A COSTANTINOPOLI.

La primavera successiva Harald e Ragnvald presero delle navi e in estate veleggiarono verso oriente, in Gardarike, da Re Jarisleif, e rimasero con lui per tutto l’inverno successivo. Così dice lo scaldo Bolverk:

“Generoso, hai asciugato la bocca di spada
quando hai concluso la lotta;
hai riempito il corvo di carne cruda;
il lupo ululava sulla collina.
E tu, sovrano risoluto,
l’anno seguente eri già ad est in Gardarike;
Non ho mai sentito parlare di un distruttore
di pace che sia riuscito a distinguersi più di te.”

Re Jarisleif accolse Harald e Ragnvald con gentilezza e nominò Harald ed Ellif, il figlio dello jarl Ragnvald, capitani della guardia a difesa delle sue terre. Così dice Thjodolf:

“Due capi impegnati in un’unica azione,
dove Ellif aveva il suo dominio;
disposero le loro truppe in formazione a cuneo.
I Venedi orientali furono spinti in un angolo stretto;
i termini dei vassalli
non furono facili sui Lechiti.”

Harald rimase diversi anni in Gardarike e viaggiò in lungo e in largo nella terra d’Oriente. Poi iniziò la sua spedizione in Grecia, e aveva con sé un gran seguito d’uomini; poi andò a Costantinopoli. Così dice Bolverk:
 
“La pioggia fresca guidò impetuosa lungo la costa
la nera prua della nave da guerra avanti,
e le navi corazzate recavano fiere il loro placcaggio.
Il re glorioso vide Costantinopoli dai tetti di metallo
dinanzi la prua; molte navi dai bei bordi avanzavano
verso l’alto bastione della città.”



Estratto dal volume “Saga di Harald Hardrade” di Snorri Sturluson, a cura di Alex Lo Vetro, Midgard Editrice.


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mercoledì 26 ottobre 2022

Intervista a Roberto Lazzari

Intervista a Roberto Lazzari, autore del volume "Il mio lamento in danza", edito nella Collana Poesia della Midgard Editrice.






Buongiorno Roberto, parlaci della tua opera, come nasce?

Buongiorno Fabrizio. In estrema sintesi, “Il mio lamento in danza” nasce da una doppia constatazione: la centralità, più o meno avvertita, del concetto di morte, non soltanto nella discettazione filosofica, ma anche in ambiti molto più pragmatici e quotidiani, appartenenti alla nostra comune esperienza; le molteplici sfaccettature di questo concetto, le quali consentono a diversi soggetti di approcciarlo in modi differenti, tutti comunque ragionevoli e in qualche modo giustificabili. Come bene annota Sandro Allegrini nella sua prefazione al libro: ”Inutile fare esempi: ciascuno si dimensiona col proprio universo ed elabora ipotesi congrue col suo modo di stare al mondo.”


Quali sono le tematiche più importanti del libro?

Riflettere sul concetto di morte e provare a farlo senza restringere l’indagine a una predefinita posizione ideologica, consente di spaziare in molti campi, collegati non soltanto alla morte, ma anche e soprattutto alla vita. Ho avuto così modo di parlare, ad esempio, della ricerca di un elemento spirituale nella realtà, della differenza che passa tra vivere e sapere di vivere, del superamento mistico delle proprie barriere di fisica consapevolezza, della ricerca della conoscenza attraverso l’intima comprensione di singoli frammenti significanti, della speranza e del dono supremo di sé, del rimpianto per non essere riusciti a fare qualcosa di importante, della quieta rassegnazione, ... Il comune contesto interpretativo di ogni riflessione proposta nell’opera consiste nella semplice constatazione che il nostro concetto di morte dipende strettamente dal nostro concetto di vita, il quale, a sua volta, si forma in base alla nostra sensibilità, alle nostre esperienze e ai nostri convincimenti interiori più profondi: da tale constatazione di fondo, il libro prende la sua struttura, come raccolta di immagini e di riflessioni, proposte da persone che hanno sperimentato, anche grazie alla loro “professione”, percorsi esistenziali diversi. 


Ci sono poeti contemporanei o antichi che ispirano in modo particolare la tua opera?

Leggendo il libro, è quasi impossibile non ravvisare l’influenza di Edgar Lee Masters e della sua “Antologia di Spoon River”, almeno per quanto riguarda l’idea di fondo e la strutturazione generale dell’opera. Entrando tuttavia nel merito dei singoli componimenti, si possono cogliere anche altre influenze ugualmente significative, prima fra tutte quella biblica, a cominciare dal titolo stesso dell’opera, tratto (così come anche la dedica) dal Salmo 30 del Salterio, ma anche in alcune costruzioni linguistiche particolari, come quella dei proverbi numerici e soprattutto in molti riferimenti, più o meno espliciti, disseminati un po’ in tutto il libro. Infine, ho recentemente scoperto sorprendenti assonanze di alcuni passi dell’opera con la teoria del frammento monadistico, sviluppata dal professor Aurelio Rizzacasa.  




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lunedì 24 ottobre 2022

Intervista ad Oscar Bigarini

Intervista ad Oscar Bigarini, autore del romanzo “La macchina del Diavolo”, edito nella Collana Narrativa della Midgard Editrice.







Buongiorno Oscar, parlaci della tua opera, come nasce?

Nel romanzo “La macchina del Diavolo”  ho cercato di rapportare due delle mie passioni principali: quello per la scienza, in particolare la fisica e la ricerca sull’energia nucleare, e quello per la storia medievale e rinascimentale dell’Umbria. A prima vista queste due tematiche sembrano molto lontane, senza punti di contatto, ma un’analisi più approfondita ne fa scoprire profonde analogie: uomini e donne molto avanti nel pensiero etico/scientifico rispetto a quello dominante esistevano nel passato come oggi. 



Quali sono le tematiche più importanti del libro?

La tematica principale del romanzo è la vittoria della scienza sulla superstizione e sulle credenze errate e consolidate. Basta pensare, nel campo della scienza, alle resistenze contro le scoperte di Copernico, alla vicenda di Galileo Galilei, o nel campo dell’etica e della  filosofia, alle opere e alle storie esistenziali  di Tommaso Campanella e Giordano Bruno.
La superstizione deriva principalmente dall’ignoranza, dalla mancanza di volontà dl voler approfondire aspetti della vita e della natura così come ci appaiono e dalla paura di liberarsi dalle credenze consolidate. 
Un esempio di moderna superstizione in Italia è la resistenza contro l’energia nucleare, l’unica forma di energia, a mio avviso, che insieme alle fonti rinnovabili, potrà salvare il pianeta dalla distruzione provocata dall’uso dei combustibili fossili.
La maggioranza della popolazione nel nostro paese non vuole l’energia nucleare , in quanto l’associa erroneamente alle bombe atomiche o al disastro di Chernobyl.
Se gli oppositori andassero un poco più a fondo nel capire cosa sono i moderni reattori nucleari, ampiamente impiegati in tutto il mondo, realizzerebbero  che questa forma di energia è pulita e compatibile con l’ambiente, come oggi anche buona parte del pensiero verde riconosce, tra cui anche Greta Thunberg. 
Ma in molti sono restii a fare questo sforzo verso la conoscenza e restano arroccati su pregiudizi errati.
Nel libro ho cercato di fare un confronto tra  le superstizioni del passato e quelle attuali, per evidenziare che la scienza, la ragione e l’intelletto umano avranno sempre ragione sulle false credenze.



La figura di Matteuccia da Todi è famosa nella storia dei processi per stregoneria. Cosa ti ha spinto a parlarne nel tuo romanzo?

Matteuccia da Todi è un esempio di donna molto avanti nel pensiero rispetto a quello della sua epoca. I suoi filtri erano  preparati rivolti al bene delle donne e degli uomini, a lei si rivolgevano, per lo più, persone indigenti, le finalità del suo lavoro erano principalmente umanitarie.
Matteuccia studiava, come Leonardo da Vinci, il corpo umano, attraverso l’osservazione dei cadaveri, per capirne il funzionamento e per elaborare cure efficaci contro le malattie: cosa incompresa e ritenuta demoniaca dai suoi simili.  
La morte nel rogo per stregoneria, confessione estorta sotto tortura, le fu comminata in quanto curatrice di Braccio Fortebraccio, fiero condottiero e tenace avversario del papa Martino V,  al quale  contendeva il possesso di terre e proprietà. 
L’ignoranza e la superstizione che hanno determinato la morte di Matteuccia non hanno fermato l’evoluzione della scienza medica e farmacologica, vale a dire la supremazia del sapere sull’ignoranza.. 

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lunedì 17 ottobre 2022

Intervista a Mauro Bacoccoli

Intervista a Mauro Bacoccoli, autore del romanzo “Desiderata”, edito nella Collana Narrativa della Midgard Editrice.







Buongiorno Mauro, parlaci della tua opera, come nasce?

Buongiorno Fabrizio... 
Come sai ho raccontato quello che nel corso del tempo ho osservato, sono molto attento ai rapporti umani e spesso ho cercato di vedere quello che stava succedendo con gli occhi di chi era con me in quel momento, rubare per un attimo l’esperienza di quella vita e rimanerne “contaminato”;  è per questo motivo che ho parlato di diverse persone Amiche che mi hanno aiutato a guardare le cose. 
Non sono stato io a condurre la trama, lo ha fatto per me Madame storia! 
Tuttavia non avevo nessuna intensione di raccontare di Desirée, non l’ho mai fatto, neanche con i miei genitori che sapevano quello che era successo, ma non come l’ho e lo sto vivendo, anche per loro è stata una sorpresa, bè diciamo una scoperta... 
Ma come ti ho detto, non navigo in solitaria, malgrado abbia pochi rapporti personali.
A distanza di un anno, due diverse Anime, sullo stesso posto, Giomici, mi hanno cambiato, hanno fatto di me una persona migliore.
La prima persona che mi ha spinto dentro questa idea è stata Maddy (preferisco non fare il suo nome, io la chiamo così, ma non ha nulla a che fare con il suo vero nome). 
Una donna che ha attirato la mia attenzione durante il mercato “Giomici Art Fest”, senza fare nulla, eravamo distanti e non ci conoscevamo, ma ero attratto da lei.
Non tanto dalla sua bellezza (tutt’altro che trascurabile) ma... 
Mi avvicinai a Cinzia, un’amica espositrice che era lì con me e le dissi: “guarda quella ragazza, ha qualcosa di speciale, sta brillando!” 
Ero in difficoltà, non è nella mia natura fare il “piacione” e non mi sono mai sognato di fare apprezzamenti fuori luogo, ho molto rispetto dell’altrui libertà; ma il desiderio di ascoltare il suono della sua voce e di conoscerla era troppo forte; mi avvicinai a lei “in punta di piedi”...
Credo che quel punto della storia ci stesse aspettando e diventammo amici, sono felicemente sulla scia di questa persona, ne sono rimasto affascinato come poche volte in vita mia; Maddy è la risposta perfetta ad ogni domanda! 
Sono stato sempre molto attento a non farle “subire” questo mio sentimento e le sono vicino come amico, non ho mai voluto di più da lei, so che non se ne farebbe nulla di un “attrezzo” come me. 
Un giorno, mentre stavamo parlando mi ha detto una cosa con cui ha rovesciato la mia vita, così come Giorgia aveva fatto anni prima; mi chiese la possibilità di farmi una domanda personale, le diedi carta bianca; così disse: “Ho la sensazione che quello che scrivi sia rivolto a qualcuno che non possa leggerlo...” 
Così decisi di raccontarle la storia, le feci vedere quel ritratto e sono convinto di una cosa Fabrizio: per qualche motivo Desirée ha cercato Maddy, deve essersi rivolta a lei in qualche modo per fare qualcosa. 
Quella sensazione che Maddy mi descrisse con gli occhi lucidi, senza mai guardare i miei poteva essere un indizio, voglio dire, fino a quel momento nessuno se ne era accorto leggendo i miei post, che in qualche maniera da quell’accadimento divennero via via più espliciti!
La seconda Anima che mi ha cambiato è stata Monica Pica, una donna straordinaria, ci conoscevamo solo tramite Facebook, per qualche motivo attirai la sua attenzione con i miei post.
Un giorno mi scrisse: “quello che scrivi sembra preso da un libro, ti confesso che qualche volta ho cercato le tue frasi su Google per vedere se le avevi copiate, ma ogni volta scoprivo che erano originali... Hai mai pensato di scrivere un libro?” 
Capirai, sapevo che lei scrive e mi piace molto il suo stile, così questa frase cominciò a rimbalzarmi in testa come una pallina, più conoscevo Monica (per quanto possibile) e più ne scoprivo l’unicità; quella frase diventava sempre più forte. 
Poi successe qualcosa, trovarono in me qualcosa che poteva “portarmi via” e quell’anno non partecipai a “Giomici Art Fest”, ma sapevo che c’erano i miei amici, persone che potevano farmi solo bene, decisi di andare a salutarli; gli unici che conoscevano la mia “situazione” erano Simone e Giacomo (anche lui presente nel libro).
Vicino Simone c’era una donna, seduta sul secondo scalino di un rialzo che dà sulla valle, leggermente sdraiata appoggiata sui gomiti; guardò i miei occhi e disse: “voglio presentarmi a te!” 
Si alzò, tese il suo braccio verso me e presentò la sua grazia alla mia vita: “Sono Monica Pica...” 
Evito di “affezionarmi” ad una foto e prima non mi resi conto che fosse lei.
Per descriverti tutte le sensazioni che mi hanno attraversato servirebbe un altro libro, ma posso dirti questo: se Maddy è stata benzina, Monica ha portato il fuoco!
Tornai a casa, quel giorno era il compleanno di Giorgia... 
Cominciai a pensare che se me fossi andato nessuno conosceva Desirée, a Giorgia ho fatto vivere quei giorni in cui mi stava cambiando come un gioco e non sapeva tutto quello che aveva fatto per me e... questo non era giusto, dovevo fare qualcosa! 
Colmo di quello che Monica aveva aggiunto alla mia anima, presi la Montblanc stilografica e... cominciai a scrivere! 
Le mie parole erano confuse, i miei sentimenti non erano puliti ed ero sopraffatto dalla storia, serviva qualcos’altro, serviva qualcuno migliore di me che rendesse limpidi i miei pensieri, che rendesse salde e risolute le mie parole; scelsi Simone, l’unica persona che poteva unire tutte le altre, forse una delle poche che avrei voluto vicino mentre raccontavo di lei, questa persona, questo Amico si “presentò” a quello che volevo fare come la cosa giusta. 
Questo credo sia quanto, un’ultima cosa... 
L’oggetto in legno e la mano che lo tiene, sulla copertina del libro, appartengono a Maddy, fu lei a scattare quella foto e quello fu un mio regalo!


Quali sono le tematiche più importanti del libro?

Quando decisi di seguire quella scia, l’ho fatto con uno scopo preciso: scrivere qualcosa di complicato, prendermi gioco della mia riservatezza, dedicare ogni singola traccia di inchiostro a Giorgia, e quello che più conta le mie parole, i miei pensieri, i miei sentimenti ed il mio amore dovevano essere compresi da una giovane vita... 
Ho acquisito quello che Giorgia mi ha insegnato e nel giro di pochi minuti ho fatto saltare tutte le mie regole! 
Volevo fosse un po' come una favola, non ci sono parole forti, non c’è traccia di disperazione, doveva essere un po' come lei, doveva necessariamente somigliare ad un inno, un inno alla vita! Sapevo che lei lo avrebbe letto e come ogni volta, non volevo che mi subisse, io voglio che lei sia fiera di aver passato con me un po' del suo tempo.
C’è anche un’altra cosa che ho voluto suggerire, una cosa che si è già persa e sta complicando le cose, tanto è semplice e di facile reperibilità... 
L’indifferenza, il non ascoltare la vita degli altri, non mi riferisco necessariamente alla disponibilità a svitare un tappo ostinato, ma alla semplicità con cui si passa del tempo con una persona, si imparano le sue abitudini, il colore preferito e l’abilità di scrivere un messaggio, eppure non si prende nulla, non si condivide il proprio io, né si concede all’altro di farlo, perché l’idea, e forse la capacità, di farlo è scomparsa quindi non viene presa neanche in considerazione. 
Mi piace pensare che se ci lasciassimo “estendere” dalle esperienze degli altri, da un’idea o da una semplice frase… 
Riusciremmo a vivere meglio, un po' meno soli, meno egoisti e con una grande possibilità… Dare la colpa agli altri! 
Naturalmente quest’ultima è stata solo una battuta. 
Vorrei dire un’ultima cosa, perché di frasi simili se ne trovano anche nei baci perugina, però io ho un vantaggio nel poterla pensare, nel poterci credere… 
L’ho fatto, è il mio modo di vivere e sono fiero di aver lasciato che una bambina di 9 anni scardinasse i miei riferimenti, che abbia lasciato Giorgia libera di fare di me una persona più grande! 
Sono fiero che le persone che ho incontrato abbiano aiutato la mia vita ad essere più “colorata” e sono felice di aver incontrato Maddy, Monica, di averle in qualche modo dato la possibilità di cambiarmi, tanto al punto di arrivare a conoscere te, Fabrizio...


Ci sono degli scrittori contemporanei o meno che ti ispirano in modo particolare?

Ti dirò, libri ultimamente non ne ho letti, eccezione fatta per i manuali o le guide tecniche di programmazione… 
Certo, ci sono molte informazioni, fondamentali per rimanere aggiornati ma quanto alla trama impegnata lasciano a desiderare… 
Sai a questo proposito, rimasi incuriosito da una cosa, una sorta di costante. 
In ogni manuale tecnico abbonda la parola “pippo”, viene utilizzata come variabile, come funzione ed ho cominciato a cercare spiegazioni. 
Ne trovai una, cioè che utilizzavano quella parola, “pippo” perché è una delle poche parole di senso compiuto che puoi scrivere con poco sforzo… 
Curioso?
Le lettere sulla tastiera sono una accanto all’altra, risparmi un sacco di energia cinetica… 




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