giovedì 30 settembre 2021

Il segno della riscossa

 di Alexandra Fischer.








Lo scultore dà un ultimo ritocco all’opera, ritira la mano e si volta verso il suo mecenate incappucciato: − Spero siate soddisfatto del lavoro.

L’altro gli tende una borsa: − Eccome. Tenete.

Lo scultore la prende, conta le monete a occhi sbarrati: − La vostra è la munificenza di un principe. Io non posso.

L’incappucciato gli stringe la mano coperta da un guanto e ornata da un nastro rosso: − Dovete. Avete compiuto un lavoro sbalorditivo.  

Lo scultore si preoccupa: − Come la porterete? Voi siete solo. La statua è di bronzo. 

L’altro si abbassa il cappuccio e sogghigna: − Esistono molte magie per farlo. Non ci crederete, ma nel campo ho visto aggirarsi di notte un’ombra e sottrarre le armi rotte della mia gente.

Gli stringe il polso e riduce la voce a un sussurro: − Sì, Stahlvir, sono io, Norsker. Continuiamo questa farsa, perché qui fuori ci sono molte orecchie indiscrete.

Stahlvir accarezza la propria opera e sussurra a sua volta: − Ho dovuto. Sarebbero finite nelle mani di quegli orribili uomini dalle armature bianche.

L’incappucciato tira indietro la testa in una risata a piena gola che lascia scoperta una cicatrice va dal collo alla mandibola bisbiglia: − Quelli li chiami uomini? Non lo sono. Lasciamelo dire−. Si porta le dita alla cicatrice: − Non dopo che mi hanno lasciato un ricordo del genere senza che io potessi fare nulla per ucciderne anche uno solo.

Lo scultore mette il serpente di bronzo in una sacca e lo chiude con una corda robusta intrecciata di metallo: − Ma come è possibile? Ho visto braccia e gambe sparpagliate e teste, per non tacere di mani e piedi.

L’incappucciato gli fa un cenno di assenso: − Eh, sì. Purtroppo li si può solo mutilare, ma tu credi che siano morti? Pensaci bene.

Lo scultore distoglie lo sguardo e ripensa ai lamenti nel campo; non osa domandargli altro, perché ormai è certo di dover ricorrere ancora a luoghi infestati dalla morte per rifornirsi di materia prima.

Se solo la guerra non avesse disperso i minatori e fatto chiudere le cave. Ma, e anche in quel caso, se è come sostiene quest’uomo, soltanto qualcuno in possesso di grandi difese contro la magia nera potrebbe lavorare laggiù. E può farlo solo chi ha una mente sgombra dal loro influsso. Io ho dovuto mentire a me stesso, scendere a patti con quegli individui.

Il suo capo chino e la luce disperata nei suoi occhi colpiscono l’incappucciato, il quale usa un tono basso, venato di complicità: − Sì, ti ho tenuto d’occhio, ma sono stato zitto perché siamo dalla stessa parte. Ora ti chiederai dove sono finito per tanto tempo.  Guarda−. Si apre il mantello e lo scultore, indietreggia davanti all’uniforme di un nero scolorito e dai fili dorati strappati in alcuni punti; il dettaglio che lo colpisce di più, tuttavia, è la cintura con appeso un fodero lungo e sottile e un paio di sacchetti; la bocca gli si spalanca in un’espressione di sorpresa, ma l’incappucciato si porta l’indice al labbro e la mano alla tasca.

Lo scultore indietreggia, ma l’incappucciato lo afferra per la destra e gli mette in mano un nastro rosso: − Legatelo intorno al polso, ovunque andrai nessuno di loro ti molesterà.

Lo scultore gli obbedisce, e poi torna a fissare l’uomo che gli sta davanti; all’ingresso, lo aveva scambiato per un giovane nobile, invece ha il volto solcato da rughe dovute alle fatiche e alle intemperie: − Tu non dovresti essere qui. Risulti morto in guerra.

L’uomo si rimette il cappuccio e sussurra triste: − Certo, e tu invece sei uno scultore per la corte della Voce di Solbedio, per quanto, a volte, ti rammenti bene il mestiere di fabbro insegnatoti da tuo padre −. Abbassa ancora il tono: − Smettiamola di fingere almeno fra noi: vuoi sapere cosa ne è stato della Voce di Solbedio? Guarda il nastro. 

Lo scultore lo fa e trasalisce: − Lei è davvero ridotta così? Consumata dalla magia?

L’incappucciato bisbiglia: − Sì. Ma può ancora aiutarci a resistere, se io sarò al suo fianco insieme a te.

Lo scultore annuisci: − Conta pure su di me fin da ora.

L’incappucciato gli mette una mano sulla spalla: − Verrò da te molto presto. 

Lo scultore si copre il nastro rosso con la manica della maglia da lavoro: − Volentieri. Mi dispiace solo di non avere poteri magici.

L’incappucciato replica: − Oh, sì, invece, hai scolpito qualcosa che è sfuggito ai nostri nemici ed è proprio come lo desidera la destinataria. Non posso dirti di più. Ora, riposa la mente. Oggi non è venuto nessuno che tu conoscessi −. Gli sfiora la fronte e alza la tenda della bottega; ne esce così come ne è entrato, a cappuccio abbassato e schiena dritta.

L’incappucciato stringe a sé la borsa con dentro la scultura quando la donna gli taglia la strada.

È giovane, ma i suoi occhi contengono la saggezza di un’età molto avanzata; lui si sofferma sul medaglione bianco al collo di lei e riconosce l’abito grigio orlato di palline di stoffa verde.

Non proietti alcuna ombra e porti la veste della tua prima dama di compagnia, ma so chi sei. Hai avuto un bel coraggio a seguirmi fin qui, malgrado gli assedianti siano entrati.

Tende la mano verso quella della donna, anche se il braccio gli trema.

Lei si porta la mano al petto: − Sì, sono io. Mi è stato difficile contrastare il loro potere, ma ho usato le mie ultime forze per venire apposta da voi. Avete la scultura? −. Stringe il cerchio traforato fatto d’osso ingiallito e ansima di fatica. 

Lui alza il sacco e lei la sfiora: − Ora vi ho trasferito la mia forza, ma non credo che vi basterà contro quella gente. Avete altre armi con voi?

Lui estrae una lama di metallo, tanto flessibile da frustare l’aria come il fuscello di un giovane albero: − Sì e viene dalla stessa mano che ha fabbricato la statua. Oh, non spalancate gli occhi in quel modo. Ha solo riparato un oggetto artistico che ho trovato per caso accanto al campo di battaglia, proprio come avvenne a voi e al medaglione che portate al collo. Suvvia, tornate a palazzo, ora, prima ci vedano insieme. Altrimenti, qualcuno riferirà a quella gente di chissà quali intrighi da parte nostra.

Lei solleva la mano: − Non accadrà. Voglio fare da tramite fra Nigromalajo e Solbedio, ma di certo vi sarete accorto che cosa ho mandato al posto della vera me stessa. − China la testa, si sfiora il medaglione e sussurra: − Tutta questa forza appesa al mio collo mi ha indebolita così come un albero marcisce per gli anni e l’umidità, sapeste quanta fatica mi è costata venire qui a impartirvi le ultime istruzioni. Ora tocca voi, Nosker, prendere il mio stesso potere. Mi ricordo che già una volta prendeste il nastro rosso e ne faceste buon uso, prima che fossi costretta a farlo riparare dopo l’ultimo scontro.

L’incappucciato si apre l’abito: − Ho fatto del mio meglio per evitare che arrivasse questo giorno. Sono arrivato a imitare i nostri nemici. Guardate qui −. Dalla cintura grigia gli pende una lama sottile; lui la tira fuori dal fodero e la scuote; dall’arma stillano gocce di un liquido che cade sulle mattonelle della strada: il delicato verde acqua si riempie di crepe e un fumo dall’odore di miele irrancidito sale fino alle narici dei tre.

Lei si si tura il naso, ma l’uomo aspira quel vapore a fronte corrugata e occhi stretti.

Norsker ride, ma lei è seria: − Avete preso anche troppo sul serio l’incarico che vi assegnai, trasferendovi dalla stanza di meditazione al capo battaglia.

L’incappucciato scuote la testa e assume un’espressione distaccata: − Si cambia spesso ruolo a Solbedio. Prima per educazione, ora per necessità−. Scopre una manica e lei vede il nastro rosso avvolto intorno al polso dell’uomo e indietreggia, con aria smarrita: − Perdonatemi, volevo solo assicurarmi che aveste svolto il vostro incarico per bene.

L’incappucciato si trattiene dall’inginocchiarsi solo per evitare di passare da folle davanti ai passanti: i suoi sensi abituati alla magia gli dicono che si trova davanti a un’ombra −. Ritira l’arma e stringe a sé il sacchetto; lo sguardo gli si intristisce: − Ora avete visto cos’ho fatto e mi avete donato la vostra ultima scorta di energia, perché non cercate subito l’oblio? − China la testa: − Voi non potrete nulla contro le armate d’osso.

La Voce di Solbedio lo guarda con gli occhi velati di lacrime: − Lo so bene, Norsker, ma sono venuta a dirvi addio, perché voi siete il mio elemento migliore. Sappiate che nella stanza che si affaccia sulla terrazza vi ho lasciato il quartetto di paraventi e i mobili. Usateli pure per mostrare ad amici e nemici che Solbedio è viva proprio come il mio spirito.

La vede allontanarsi lungo la strada, nel mantello verde con il quale si è affacciata alla terrazza del palazzo subito dopo l’inizio delle ostilità con Nigromalgajo.

L’immagine della giovane donna, di bassa statura ed esile, diventa sempre più evanescente e il cuore gli si stringe.

Dunque, le voci sulla tua malattia erano vere. È stato per questo che hai permesso ai nostri nemici di occupare Solbedio.

Norsker stringe gli occhi e riconosce, dagli aloni di luce bianca intorno alle porte, le protezioni che lui stesso ha lasciato prima di infiltrarsi fra i nemici e ne prova grande sollievo, perché il rumore di passi alle sue spalle lo inquieta.

La ricognizione oggi è in anticipo. Molto bene, era quello che volevo. Venite pure, vi ho aperto la breccia apposta, così ora ci confronteremo.

Stringe a sé il sacco e si allontana nella viuzza laterale con un sorriso e le sue dita accarezzano il nastro rosso.

Costeggia i retri delle case e ogni tanto cede il passo a qualcuno che deve spostarsi con un carro; non ha fretta.


Estratto dal racconto "Il segno della riscossa" di Alexandra Fischer, dall'antologia "Hyperborea 5" (Midgard Editrice).




venerdì 24 settembre 2021

Intervista a Cesare Duchi

Intervista a Cesare Duchi, autore del romanzo “Un sogno che si avvera”, edito nella Collana Narrativa della Midgard Editrice.







Buongiorno, parlaci della tua opera, come nasce? 

La mia opera nasce da un’idea istantanea. 

Da un desiderio di far considerare, a coloro che non se ne rendono conto, che l'immigrazione clandestina, come quella attuale, porterà a dei cambiamenti negativi per la nostra società. 

Nel libro si parla anche di amore, di amicizia, di comprensione umana. 

Di tragedia e di ritorno alla vita. 

Di quello che succede ad ognuno di noi.



Quali sono le tematiche più importanti del tuo romanzo?

Le tematiche più importanti sono quelle umane: la voglia di emergere, il desiderio di far conoscere agli altri le cose negative che accadranno in futuro se non si cambia indirizzo. 

Eventi quasi certi, dei quali per il momento non si tiene conto. 

Si vive nel presente, non ci si immagina il futuro, che creiamo noi stessi con le nostre azioni. L'amore è la cosa più importante e significativa del romanzo, al quale do molta importanza. 

La vita viene vissuta per questo amore.



Nel creare i personaggi del romanzo ti sei ispirato a qualcuno di realmente esistente o sono completamente frutto della tua fantasia?

Come spesso accade c'è sempre qualcosa di personale in ciò che si scrive. 

È un fattore intrinseco che si riferisce al narrare. 

Consapevolmente od inconsapevolmente, ma è così. 

La fantasia poi fa parte della coscienza che ognuno di noi possiede. 

È un fattore ineluttabile e necessario se si vuole scrivere. 

Se la scrittura produce delle positività ben venga sempre.


http://midgard.it/unsogno_chesiavvera.htm

martedì 21 settembre 2021

Intervista a Giulio Volpi

Intervista a Giulio Volpi, autore del romanzo "Gilda", edito nella Collana Narrativa della Midgard Editrice.





Buongiorno Giulio, parlaci della tua nuova opera, come nasce? 


Mi sono ispirato ad un fatto di tanti anni fa.
Una mattina (allora abitavo a Firenze), passando nei pressi di Scandicci, dove la strada attraversa il torrente Greve, notai, lungo la sponda, una piccola folla, radunata intorno ad un lenzuolo bianco che lasciava intravedere le forme di un corpo umano. Sul luogo erano presenti dei vigili.
Dai commenti dei presenti appresi che si trattava di una donna che era affogata. Notai anche lì vicino un giovane che camminava avanti e indietro visibilmente agitato. 
Questo lo spunto iniziale sul quale ho costruito la storia, tutta naturalmente di fantasia.   



Questo è il tuo secondo romanzo giallo, ci sono collegamenti con il precedente? 


Certamente. I due romanzi sono strettamente collegati perché le indagini sono entrambe svolte dal giovane Commissario Cantoni ma anche perché tutti e due i racconti sono legati alle medesime storie precedenti.  



Gilda è anche un film del 1946 con Rita Hayworth. Ti ha ispirato in qualche modo?


Il titolo del romanzo non è direttamente ispirato al famoso film, ma è stato suggerito semplicemente dal colore dei capelli della vittima. 



Il genere giallo, oltre che intrattenere il lettore in una storia avvincente e intricata, può avere anche delle finalità sociali?


Penso di sì. Il racconto giallo, come lo intendo io, non comprende soltanto lo svolgimento tecnico delle indagini perché i poliziotti non sono necessariamente esenti da coinvolgimenti emotivi. 
In questa storia questo accade al giovane commissario al quale gli avvenimenti del caso fanno rivivere momenti della sua passata storia personale e ciò influenza notevolmente il suo atteggiamento nella ricerca della verità, spinto anche da convinzioni personali che perseguono finalità sociali. 
Grazie per l’attenzione dedicata al mio lavoro.




lunedì 20 settembre 2021

Rigor Mortis

 di Ottavio Nicastro.







1

Adele è sfinita. La stanchezza rischia di vincere sulla voglia di vivere. Strana espressione davvero, in special modo quando è riferito a una persona che ha lottato l’intera notte per non cadere vittima di … già, di chi? Chi è la creatura che la minaccia? Di quale universo fa parte? Non certo di quello conosciuto quanto piuttosto dell’altro che prospera nell’ombra più cupa e tenebrosa. Pronto a emergere per trascinare nell’abisso della follia quanti si fossero trovati nel suo raggio di azione.
Adele, adesso, è a un passo dal perdere la lucidità mentale. 
Curioso davvero, la giornata era iniziata come tante, e niente lasciava presagire un epilogo orrendo e sicuramente fuori situazione. E non è ancora finita, no davvero. Che cosa sarebbe successo adesso? Difficile se non impossibile da prevedere nel giusto modo. 
Chiusa nella stanza, la giovane si è acquattata nell’angolo nascosto. Sa bene che non sarebbe servito a niente. Presto la creatura orrenda avrebbe trovato il modo di superare l’ostacolo e raggiungerla. Pertanto il suo destino si sarebbe deciso nei momenti a venire.
“Dio ti prego … dammi forza e coraggio.” L’invocazione è appena percettibile. La voce di Adele è un fievole sussurro. Quanto manca al sorgere del sole? Non può saperlo la stanza non ha aperture ad eccezione della porta d’ingresso adesso sbarrata. L’orologio al polso si è fermato qualche tempo prima, alla stregua del cellulare privo di segnale. Ad ogni modo non dovrebbe mancare molto all’aurora. Presto la luce avrebbe cacciato la tenebra, sarebbe bastato a salvarle la vita? Forse, pur tuttavia il nuovo giorno si mostra alla stregua di un traguardo irraggiungibile. 
La giovane respira dentro di se. Torna a fissare la porta. Si prepara all’invitabile. Nel silenzio cupo che avvolge l’ambiente, la mente torna indietro nel tempo, al momento in cui tutto questo ha avuto inizio.


2

Giorno precedente, mattino presto. 
Adele è una giovane di bella presenza. Ventotto anni compiuti da poco. Viso finemente modellato. Occhi verdi profondi come il mare. Capelli brizzolati lunghi e lasciati liberi sulla schiena. Seno prominente e labbra sensuali. Tanti davvero i corteggiatori, nessuno però è stato capace di accendere in lei il sentimento puro chiamato amore. Col tempo di certo avrebbe incontrato la persona giusta. Di questo si era convinta prima che la vita cambiasse in modo radicale. La giovane ha lasciato il letto e si è portata in cucina. Prepara la colazione. Il viso tratteggia un’espressione triste e sfiduciata. Non è suo costume dipendere dagli altri, ha sempre lavorato guadagnandosi da vivere. La pandemia da Covid 19, maledetto il momento in cui è iniziata, ha cambiato tutto. La boutique dove copriva il ruolo di commessa, ha chiuso i battenti e lei di punto in bianco ha perso il lavoro. Nel breve periodo la sua condizione economica è naufragata miseramente. Niente stipendio, nessuna possibilità di sbarcare il lunario. L’affitto primo tra tutti. 
Sandy, la compagna di appartamento è stata comprensiva oltre misura. Per fortuna lei il lavoro l’ha mantenuto, almeno fino ad ora.
“Tranquilla, per adesso vivremo del mio stipendio aspettando tempi migliori.” 
“Io … ti ringrazio, ma non posso accettare.” Adele aveva risposto.
“Non è un regalo, consideralo un prestito. Non appena trovi un nuovo impiego, mi restituirai la cifra, d’accordo?”    
Facile a dirsi. Trovare un impiego in tempo di pandemia equivale a scoprire il classico ago nel pagliaio. Assurdo solo a pensarlo. Pur tuttavia Adele non si è arresa. Ha pubblicato annunci sui quotidiani, distribuito volantini, telefonato ad agenzie della più svariata specie. Niente, silenzio e solo quello.
La condizione è grave, e rischia di peggiorare. Sandy è una cara ragazza, amica dal cuore generoso, Adele però sente il peso del sacrificio che Sandy si è imposto, non può accettare in eterno una tale condizione. Ancora poco e avrebbe liberato l’alloggio. Sì ma per andare dove? Non ha un posto in grado di ospitarla, niente di niente.
Adele è sola. Era in tenera età quando il padre è passato a miglior vita, la madre l’ha seguito subito dopo. Fin da piccola è stata costretta ad arrangiarsi e quando pensava di essere arrivata ecco la pandemia di Covid 19 a distruggerle la vita senza averla infettata. Vittime collaterali, così qualcuno le ha definite. Miseria e povertà, è questa la sconcertante verità
Il caffè è pronto, Adele lo sorseggia. Il cellulare squilla in quel preciso momento. Sconosciuto il numero comparso sul display.
“Pronto …”
“Parlo con la signorina Adele Andreoli?”
“Sono io.”
“Piacere di conoscerla. Mi chiamo Rodolfo Biscardi, ho letto l’annuncio sul giornale. Ho un lavoro da proporle.” Adele non crede a quello che sente, possibile?
“Io … si certo. Di che lavoro si tratta?”
“Meglio discuterne di persona. Ad ogni modo non è nulla di così complicato.”
“Pur tuttavia un’anticipazione ci starebbe bene.”
“Sì certo … comprendo il suo punto di vista. Ebbene l’impiego la terra occupata per una notte soltanto. Al sorgere del sole sarà libera di tornarsene a casa.”
“Curioso davvero. E cosa dovrei fare nell’intervallo?”
“Vegliare una persona anziana. Il compenso è di mille cinquecento euro.”
“Mille cinquecento euro per vegliare una persona anziana per una notte soltanto?”    
 “Esatto. Ascolti discuteremo i dettagli di persona. Se per lei va bene, stasera alle otto si presenti in via dei Martini numero ventisei. Prima non mi è possibile per via di un impegno che devo assolvere.” Adele non ribatte, non subito almeno. La circostanza è curiosa assai e certamente fuori dalla normalità. Troppo bello perché sia vero. Una notte di veglia pagata più che bene. Che cosa nasconde? Mm … il solo modo di scoprirlo è recarsi all’appuntamento. Qualora la situazione non dovesse convincerla, potrà sempre ricusare l’offerta e tornarsene a casa.  
“D’accordo. A stasera.” 
Adele chiude la comunicazione. La novità le ha rubato il fiato. Un colpo di fortuna. Forse sarebbe opportuno capire di che cosa si tratta prima di costruire castelli in aria. A Sandy lascia un biglietto.
“Ho ricevuto una proposta di lavoro. Ti saprò dire di più al mio rientro.” 


3

Otto di sera.
Il bus di città ferma la corsa. Adele soltanto scende alla fermata. I pochi passeggeri a bordo proseguono. La giovane si guarda intorno. Il posto è cupo e solitario, disseminato da costruzioni retrò e specchio del passato. L’idea che in quello squarcio di mondo il tempo si fosse fermato, guadagna strada dentro di lei.
Il cielo si è incupito, nuvole nere e pesanti l’hanno coperto. Minacciano la pioggia, di sicuro da lì a poco sarebbe caduta.
Adele controlla l’indirizzo. La via è quella giusta, verifica il numero. La casa che sta cercando deve essere l’ultima in fondo al viale.
Si guarda intorno, cerca qualcuno cui chiedere conferma, quell’angolo di mondo però è deserto e solitario, troppo forse. Decide di procedere in quella direzione. Avanza e l’apprensione mista a timore cresce dentro di lei. Mai prima di adesso ha visto un quartiere altrettanto cupo e sinistro. Il silenzio prima di tutto. Di alberi c’è ne sono, tanti a dire il vero ma nessun segno di vita in mezzo a loro. Com’è possibile? Bando all’indugio è qui per un preciso scopo, quindi meglio assolverlo. La camminata prosegue per alcuni minuti. Il cancello d’ingresso al numero ventisei adesso è di fronte alla giovane. Adele sbircia oltre. Dal lato opposto del muro di cinta si allunga un giardino folto e lussureggiante al punto da nascondere l’abitazione.
“Curioso posto davvero – la giovane si dice – neppure da questa parte si percepisce il minimo segno di vita.” Il cancello è di ferro battuto, curiosa la forma, sicuramente retrò al pari di come si mostra quello squarcio di mondo. Adele pigia il campanello, pochi attimi e il cancello si apre. La giovane lo oltrepassa. Il vialetto interno è affiancato da una lunga fila di statue che … accidenti come si fa a custodire figure del genere? Davvero brutte a vedersi, alcune simboleggiano dei demoni orrendi. Mai prima di adesso Adele ne ha viste di simili. La giovane avanza e la costruzione si mostra con maggior chiarezza ai suoi occhi. Grande e spropositata nelle dimensioni. Fatta di legno, com’era in uso nel tempo andato. Lo stile architettonico ricorda un’abitazione fine Ottocento. E sicuramente a quel periodo risale. La osserva e subito un nodo le serra la gola. Il fabbricato è cupo e sinistro allo stesso tempo. Incute timore solo a guardarlo. Un tremito percorre la schiena di Adele. A questo si aggiunge una sensazione certamente sgradevole. 
Un posto singolare e fuori dal mondo. Chi può abitare in un luogo del genere? La domanda non trova risposta. Adele respira dentro di se e procede nella direzione della porta d’ingresso. 
All’improvviso la luce di un lampo rischiara la scena. Il tuono che segue è roboante. La pioggia inizia a cadere subito dopo.
“Accidenti che guaio. Tornare indietro potrebbe rappresentare un problema.” la giovane mormora. Al momento però l’impegno è un altro. Adele compie l’ultimo balzo e raggiunge l’ingresso ma non fa in tempo a bussare. La porta si spalanca e una persona si mostra allo sguardo.
Un uomo di giovane età. Trent’anni forse qualcuno in più. Di bell’aspetto. Occhi neri e profondi. Capelli di uguale colore, folti e rivoltati all’indietro. Fisico da palestrato. Veste un abito grigio scuro, camicia bianca. Cravatta nera. L’espressione che ha disegnato in viso è di convenienza. Osserva Adele e dice:
“Prego, presumo che lei sia la signorina Adele Andreoli.” attimi di vuoto da parte di Adele. Mai si sarebbe aspettata di trovare un così bel giovane in un posto del genere. La sorpresa è più che giustificata. Ingoia la saliva che ha in bocca e ribatte:
“Sì … sono Adele Andreoli.”
“La prego si accomodi, la stavo aspettando. Fuori il tempo si mette al brutto.”
“Già … si annuncia una brutta serata.” Adele ribatte. Subito oltrepassa l’ingresso. L’ambiente interno è così come lo aveva immaginato. Un’abitazione d’altri tempi, dove la modernità non è arrivata e forse mai lo avrebbe raggiunto.
“Mi chiamo Goffredo Cherubini, di professione avvocato. Da questa parte accomodiamoci in salotto – dice l’uomo indicando la via – zia Matilde è in salone. Dopo la porterò da lei.”
“Stamani a telefono non mi sembra di aver parlato con lei.”
“Infatti, non ero io bensì zio Rodolfo. Avrebbe dovuto esserci lui ad accoglierla, ahimè il suo impegno ha richiesto più tempo del previsto. Così ha pregato me di riceverla.” Raggiunto il salotto, l’uomo indica la poltrona. Adele occupa posto, dal lato opposto si siede il padrone di casa.
“È stato difficile raggiungere l’abitazione?” chiede.
“Ammetto la difficoltà. In special modo perché lungo il percorso non ho incontrato anima viva cui chiedere indicazioni.”
“Sì, in effetti, la zona è poco abitata, soprattutto la parte finale del viale. Gradisce qualcosa? Un the? Un caffè”
“Non si disturbi, sto bene così.”
“Come desidera.”
“Perché non mi parla del lavoro invece, non so nulla di preciso. Suo zio ha detto che dovrei vigilare una persona anziana e …”
“Zia Matilde. Il suo impegno è riferito a lei.”
“La persona che attende in salone?”
“Attendere non è il termine corretto. Di fatto zia Matilde è passata a miglior vita ieri nel tardo pomeriggio.” 
“Morta …?”
“Già … negli ultimi periodi la sua salute si era fatta precaria. Nella giornata di ieri si è verificato un peggioramento improvviso. L’arresto cardiaco è sopraggiunto a inizio serata. La perdita ha addolorato l’intera famiglia.” 
“Posso comprenderlo. Quello che non capisco e cosa ho da spartire io con la circostanza. Suo zio a telefono ha puntato l’accento su un lavoro …”
“Della durata di una notte soltanto. La prego, mi permetta di spiegarle.”
“La ascolto.” Attimi di silenzio da parte dell’uomo. Gelido lo sguardo che fissa Adele, vuoto e per nulla espressivo. Il giovane è di ghiaccio. Adele avverte il peso di quella condizione sicuramente fuori dalla normalità.
“La mia è una famiglia molto antica. Da generazioni usi e costumi si ripetono nel tempo in modo invariato. Uno in particolare riguarda le persone decedute.”
“Sarebbe a dire …?”
“La veglia funebre prima tra tutte. Quando una persona anziana passa a miglior vita, la notte che precede le esequie una persona di giovane età deve vegliarla. Un gesto simbolico, una vita anziana scompare, una giovane vita la guida nell’ultimo e decisivo passo.”
“Curiosa usanza davvero.”
“Comprendo il suo pensiero. Ad ogni modo a questo lei serve, a vegliare il cadavere fino all’alba, momento in cui sarà libera di tornarsene a casa portando con sé il compenso pattuito.”
“Il compenso certo. Pur tuttavia non comprendo la necessità di rivolgersi a un’estranea. Lei è giovane a sufficienza per svolgere un tale compito.”
“Vero, ma è altrettanto palese che sono un uomo.”
“Credo di capire … a compiere la veglia deve essere una persona di uguale sesso di quella deceduta.”   
“Lei è una persona intelligente, la condizione ci agevola.”
“Non ci sono donne giovani nella sua famiglia?”
“Purtroppo al momento no, da qui la necessità di rivolgersi a un’esterna. A questo punto ci siamo detti tutto. Cosa mi risponde?” Adele non ribatte, non subito almeno. Si chiude in se, è molto indecisa. I soldi le servono, il lavoro che è chiamata a svolgere però …
“Non ero preparata a questo, non so che dire.”
“Mi rendo conto della difficoltà da parte sua.”
“Lei resterebbe in mia compagnia?”
“No, l’usanza vuole che in casa per questa notte ci sia solo lei e il cadavere di zia Matilde.”
“Di bene in meglio. Una notte intera, da sola in questa vecchia abitazione, con un cadavere da vegliare mentre all’esterno infuria il temporale. No … non credo di potercela fare, mi spiace.”
“La prego, rifletta sulla questione.”
“L’ho già fatto e …”
“È solo una vecchina all’interno di una bara. In vita zia Matilde è stata una bravissima persona, sempre pronta e disponibile con chi aveva bisogno.”
“Non lo metto in dubbio, ciò nonostante …”
“Le raddoppio in compenso stabilito da zio Gustavo.” Adele ha un sussulto. La cifra pattuita in precedenza era già di tutto rispetto, il doppio rappresenterebbe una fortuna in special modo nella circostanza che attraversa.
“Ha detto il doppio …? Sarebbero tremila euro.”
“Tremila esatto. Per dimostrarle la buona volontà da parte mia, se accetta, sono pronto a versarle in anticipo l’intera cifra. Cosa mi risponde?” rifiutare non è pensabile. I soldi avrebbero permesso ad Adele di non pesare su Sandy, la compagna di appartamento, in attesa che la sua condizione migliorasse. In fondo si tratta di vegliare un cadavere all’interno di una bara. Impegno sgradevole certo, ma pagato più che bene. Una notte anche se lunga e fuori naturalità, passa in fretta. Attimi di riflessione da parte della giovane poi … 
“D’accordo, mi ha convinto. Accetto l’incarico. Ma sia ben chiaro che appena fa giorno, lascerò l’abitazione.”
“Ma certo. Adesso le prendo il denaro, dopo la porterò da zia Matilde.”

Estratto da "Hyperborea 5" AA.VV., Midgard Editrice 2021




giovedì 16 settembre 2021

Intervista a Margherita Del Ninno

Intervista a Margherita Del Ninno, autrice del romanzo “L’amore negato”, edito nella Collana Narrativa della Midgard Editrice.






Buongiorno, parlaci della tua opera, come nasce? 


A seguito di un coma da me subìto ho voluto, sotto  consiglio  del mio  psicanalista, interessarmi a qualcosa che mi impegnasse emotivamente. Sono entrata a far parte di una associazione che si occupava di donne che subivano violenze psicologiche e fisiche, il toccare con mano delle realtà così dure e dolorose mi ha fatto superare i miei problemi ma nello stesso tempo mi ha convinta a dover fare qualcosa anche io. Tra le altre storie da me conosciute, ho raccontato la storia vera di tre donne da cui ho tratto un solo personaggio, una sola donna che racchiudesse tutte e tre e nel mio piccolo far pensare coloro che leggeranno il libro. Il più delle volte, anche in chi può sembrare un uomo integerrimo, si può celare un mostro. Tutti possono fare qualcosa, nessuno deve girarsi dall’altra parte, perché ad ogni notizia di femminicidio si subisce piano piano una sorta di anestesia, quasi ascoltiamo le notizie senza più emozioni e indignazione.



Quali sono le tematiche più importanti del tuo romanzo?

Come ho detto, la notizia più battuta dalla TV e dalle trasmissioni di cronaca nera oggi è il tema del femminicidio. Tutte le donne sono accomunate dallo stesso fil rouge: violenza psicologica, fisica, stalking, intimidazioni. Nel mio libro tutte possono rivedersi in esse, soprattutto coloro che fanno parte di quelle donne, e ce n’é un numero sotterraneo enorme, di quelle che subiscono e non chiedono aiuto, che si vestono di una corazza impenetrabile per la paura di perdere i figli, di non potere economicamente mantenerli o solo perché essi vivano serenamente, magari avendo esse stesse da piccole sofferto le stesse cose. Non voglio però spoilerare, questo libro non è certo un libro leggero e distensivo, ma credo vada letto soprattutto dagli uomini mentre incito le donne a ribellarsi e forse non dovrei dirlo, ma ormai non credo quasi più nella denuncia. Denunciare va bene ma imparare a difendersi da sole è ancora meglio. Noi donne siamo forti, sappiamo di esserlo e gli uomini lo sanno, perciò ammazzano, altrimenti perché finora ancora non si è parlato mai di un maschicidio? Tutte insieme dobbiamo dire basta ed aiutarci a vicenda.



Che scrittori ti piacciono e ti ispirano? 

Per la verità non m’ispiro generalmente a qualcuno in particolare in ciò che scrivo. All’improvviso, magari dopo mesi che non scrivo un rigo, un personaggio mi viene incontro e così lascio qualsiasi cosa stessi facendo in quel momento, prendo la penna e comincio a scrivere, di getto, e magari finisco il libro in un mese.
In effetti non amo scrivere al computer, scrivo su un block notes le idee e i fatti che mi vengono in mente, li appunto, poi li trascrivo nel pc e puntualmente amplio man man che batto sui tasti. Circa gli scrittori che mi piacciono sono, in primis, Khalil Gibran e Mario De Andrade, ma siccome amo molto la storia ho letto tutto di Arrigo Petacco.


lunedì 13 settembre 2021

La scommessa con il demone

 di Lorenzo Peka.




Trina saltò giù da cavallo, atterrando con i grezzi stivali di capra sulla ghiaia dell’altura. Proseguì a piedi verso la cima, dove aveva scorto il segnale di Siella.
Ormai il pericolo era passato, una calma desolazione si era posata sul pianoro martoriato; tuttavia Trina aveva ordinato alla sua pupilla di restare di guardia e avvisarla al minimo segno insolito, mentre lei si allontanava a caccia.
La notte precedente era apparso un altro dei demoni giganteschi. 
Il cielo era stato riempito da un grappolo di nuvole nere, in cui balenavano innaturali lampi rossi, carichi di minerali vaporizzati. 
I poteri dei demoni erano tali da influenzare perfino il clima e gli elementi. 
Trina aveva visto il colosso dibattersi: le sue immani braccia uncinate spazzavano l’aria, sollevando raffiche di polvere, come se cercasse di allontanare qualcosa
Una scheggia luminosa, indistinguibile da lontano, come un minuscolo insetto che appariva e spariva a intervalli attorno al demone. 
Boati e stridori avevano riempito l’aria: suoni che parevano appartenere al ventre della terra. Infine, il colosso era stato inghiottito dalla polvere.
Al mattino, le due guerriere avevano trovato solo i resti carbonizzati della disgraziata creatura – relativamente piccola – che il demone aveva posseduto. 
Il resto del colossale abominio si era polverizzato nel manto di ceneri che ora ricopriva la valle.
Trina poteva ancora sentire l’odore di zolfo nell’aria, mentre scalava l’altura.
In cima, Siella era accovacciata sui talloni, la sottile lancia in pugno e i capelli color segale che svolazzavano piano, mentre guardava davanti a sé.
Trina le si accostò. 
Stava per chiederle spiegazioni, ma si bloccò. 
Ai piedi della collina c’era un uomo. 
Pallido e bruno, con indosso una tuta azzurro stinto e guarnizioni di canapa e di bronzo. 
Il suo yak nero si abbeverava alla polla muschiosa che sgorgava in fondo alla conca. 
Alla sella erano assicurate borse e coperte arrotolate, un’asta ricurva, e una spada corta.
«Da quanto è qui?» chiese Trina.
«Ho fatto il segnale appena l’ho visto» disse Siella. «È venuto da ovest, dalla Lunga Strada. Credo che mi abbia vista, ma non mi ha badato. È rimasto lì tutto il tempo.»
Trina mugugnò. 
Attese per qualche minuto, piegata sulle ginocchia, torcendosi nervosamente i capelli color rame. 
Poi si alzò schioccando le labbra.
«Cosa fai, Trina?» sussurrò Siella.
Trina la ignorò. 
Discese verso la conca dal sentiero laterale, senza staccare gli occhi dallo straniero. 
Lui la guardò e subito indietreggiò verso lo yak, tendendo la mano alla spada; ma vedendo che la guerriera non aveva intenzioni ostili, lasciò l’arma dov’era.
«Le stelle ti guardino, donna» la salutò in tono neutro.
Trina si fermò a pochi passi da lui. 
«Hai ucciso tu il colosso?»
Studiò lo straniero da capo a piedi. 
Era inferiore a lei per statura e corporatura; aveva barba stentata e occhi scuri e magnetici, cerchiati dall’insonnia.
«Non l’ho ucciso. L’ho liberato.»
Trina lo seguì con lo sguardo mentre lui si accostava allo yak, montava in sella e prendeva le briglie.
«Sei diretto a Vissentia?»
«No, ma la strada vi passa attraverso.»
Trina corrugò la fronte. 
Si chiese dove mai fosse diretto quel viandante venuto dal nulla.
Senza dare più attenzione alla guerriera, lo straniero fece voltare lo yak tirando le redini e prese il dolce sentiero che aggirava la collina.
Trina risalì in fretta il cammino di ghiaia. 
Senza fermarsi, fece cenno a Siella di seguirla e scese verso i cavalli.
«Secondo te è stato lui ad abbattere il colosso?» le chiese a bassa voce la ragazza, tenendole dietro.
«Non credo.» 
Trina salì a cavallo.
 «Lo hai visto? È gracile e scavato dalla fame. O è un monaco, o un pazzo. Questo io credo. Yah!»
Batté i calcagni sui fianchi del cavallo, spronandolo verso la strada.
La pianura si piegava in larghi avvallamenti bordati da dune e pietraie. 
Sui declivi le ceneri cristalline brillavano al sole e gruppetti di uccelli frullavano sugli steli di aconito.
Trina raggiunse lo straniero dove le piste si congiungevano e affiancò il proprio cavallo allo yak.
«Se sei soltanto di strada, forse la damaguerra ti concederà di passare. Tutti i viandanti che entrano in città devono renderle visita.»
Lo straniero accennò un sorriso ironico. 
«Non preoccuparti, non ho intenzione di trattenermi. So che voi vissentine non amate gli
stranieri.»
«Tzeh! Se non li amassimo, saresti già piantato a terra, sotto la punta della mia lancia» disse Trina in tono sprezzante.
«Trina! I sauriani!»
La guerriera si voltò di scatto, richiamata dal grido di Siella. 
Scandagliò il paesaggio punteggiato di rocce. 
«Feccia della terra!» esclamò.
I rettili stavano sciamando dalla collina alla loro destra, armati di fionde e di lame sottili. Senza dubbio erano in cerca di minerali, come sempre facevano dove cadeva un colosso, ma ora avevano fiutato carne umana. 
Trina si maledisse per essersi distratta. 
Sguainò la spada e incitò il cavallo, mentre già pioveva una gragnola di pietre.
La torma di uomini lucertola si disperse al suo passaggio. 
Trina caricò verso quelli armati di fionde e iniziò a menare fendenti. 
Un paio di pietre la colpirono, ma la guerriera le ignorò. 
Con un colpo di spada spaccò in due la testa di un fromboliere, e con il successivo affondo ne trafisse un altro. 
Quando i sauriani presero a fuggire in tutte le direzioni, Trina li inseguì uno alla volta, mulinando la spada.

Estratto da "Hyperborea 5" AA.VV., Midgard Editrice 2021

http://midgard.it/hyperborea5.htm