lunedì 27 gennaio 2020

The New Trilogy

di Leonardo Maggi






Terni, esterno teatro Verdi

È su questa scenetta che si aprì il sipario sugli strani e insoliti eventi di quelle calde giornate di giugno. 
Erano le 7.30, un venticello gelido rinfrescava quella mattina particolarmente afosa e proprio mentre stavo facendo colazione al bar, come ero solito, mi raggiunse un poliziotto che mi portava un messaggio: l'ispettore Leblanc mi pregava di raggiungerlo il prima possibile al teatro Verdi per aiutarlo nella risoluzione di un nuovo caso.
Io e l'ispettore ormai ci conosciamo da qualche anno e il fatto che mi chieda di andare al teatro non mi rende a fatto tranquillo. L'ultima volta che ho messo piede lì, circa un anno fa, ci siamo dovuti occupare dell'atroce omicidio  di un uomo terribilmente martoriato su cui l'assassino aveva infierito prendendo spunto dai film di Hitchcock. 
Chissà cosa era successo stavolta?
Arrivato a Corso Vecchio vidi Leblanc che mi stava aspettando fuori dall'edificio con tre uomini. “Detective! È un piacere vederla” disse. “Le presento il professor Paolo  Rinucci, Antonio De  Moose e Virgilio Van Green.”
Questi tre personaggi apparivano come uomini distinti con lo  stesso identico abito (giacca nera, camicia bianca, pantaloni grigi), si potevano però  distinguere facilmente l'uno dall'altro per l'aspetto fisico molto differente. 
Paolo Rinucci era un uomo di altezza media, più tosto snello, con capelli grigi e un volto severo. 
Antonio De Moose era alto e robusto, indossava degli eleganti occhiali da vista blu che stonavano leggermente con i capelli di un nero corvino. Virgilio Van Green infine era basso e piuttosto corpulento, aveva la mosca, i capelli bianchi e un papillon giallo al collo.
“Ispettore, cos'è successo?”
“Per il momento nulla, ma....”
“Ma cosa?”
“Signor Rinucci, può spiegare la situazione?”
“Certo. Vede, detective, io sono uno dei professori del corso di arte, musica e spettacolo del liceo classico locale, quello a pochi passi da qui, l'unico della città e mi trovo ad essere
coordinatore di una classe. Ogni anno i miei alunni devono realizzare  un progetto legato alla tv, al cinema o al teatro e ora, grazie all'aiuto di questi due signori, i miei studenti si stanno cimentando nella messa in scena di alcune opere di Shakespeare, recitate in una vera e propria compilation che ho avuto il piacere di chiamare.....”
“Scusi se la blocco, ma potrei sapere che aiuto le hanno dato?”
Visibilmente irritato per essere stato interrotto nel mezzo di quel suo interminabile monologo il mio interlocutore rispose con tono stizzito: “Certamente. Il signor Antonio De Moose ha finanziato lo spettacolo mettendo i soldi per i costumi, le scenografie e tutto il resto.”
“Beh, è un ottimo sport farsi derubare da dei ragazzini.”
“Sembra una moda interrompere da queste parti” riprese Rinucci. “Poi cosa vorrebbe dire?”
“Oh, niente.”
“Bene, se è tutto apposto riprendiamo. Dove ero arrivato? Ah, già. Il  signor Van Green invece ci ha concesso l'uso del teatro Verdi.”
“Amo finanziare i sogni di questi  giovani, mi ricordano me, anche io avevo la passione del teatro.”
Ora che sapevo chi avevo davanti era il caso di riprendere il discorso più importante. 
“Ok. Grazie, professore. Ora la prego mi dica che cosa sta succedendo.”
“Shakespeare Mania, lo spettacolo della classe che coordino, è in pericolo. La segreteria della nostra scuola ha ricevuto stamattina una lettera minatoria veramente preoccupante.”
A queste parole Leblanc mi allungò il foglio in questione. Il testo effettivamente non era rassicurante.

Egregio e stupido professore dei miei stivali,
la volevo informare che ho visto questa nuova buffonata teatrale che umilia e mette in ridicolo uno dei più grandi esponenti del panorama drammatico europeo, pertanto le chiedo immediatamente di porre fine a ciò altrimenti saranno i suoi alunni a pagarne le conseguenze con la mia entrata in scena.

Il suo affezionatissimo Killer delle maschere
                                                                                                  
Il testo si sarebbe potuto ridurre  alla minaccia di uno psicopatico fissato con il teatro che sperava di spaventare qualcuno, ma la firma non faceva sperare in un finale così “lieto”, tuttavia per il momento non era accaduto nulla, perciò tutto quello che potevamo fare era stare a guardare e sperare che l'entrata in scena promessa dalla lettera non avvenisse.

Estratto dal romanzo "The New Trilogy" di Leonardo Maggi, Midgard Editrice 2018



lunedì 20 gennaio 2020

Passato, presente e Futuro!

di Paolo Tagliaferri





Guardò l’orologio: le 19,00; era arrivato un’ora prima del previsto. L’appuntamento con Brigitte era per le 20. 
Futuro Velieri 35 anni, direttore del piccolo museo archeologico di Santa Serenella, diecimila abitanti sulla costa laziale in provincia di Roma, aveva incontrato pochissimo traffico sulla statale Aurelia. Era ottobre e l’estate, con i suoi ingorghi, era  solo un vago ricordo.
Parcheggiò il suo vecchio fuoristrada vicino alla stazione del piccolo paese della maremma toscana. 
Il posto dove avevano scavato per tutta l’estate era a poche centinaia di metri: un  campo delimitato da una staccionata sotto una quercia secolare. 
Era stato il presidente della provincia di Grosseto in persona a contattarlo per via di un suo articolo apparso su una rivista di settore. 
L’articolo precisava, grazie agli ultimi rinvenimenti fatti proprio sul litorale laziale, nuove caratteristiche delle distinzioni tra l’Etruria meridionale e quella settentrionale. 
Il politico si era detto colpito dalla sua conoscenza degli Etruschi, oltre che dal fatto che un archeologo si chiamasse Futuro (“praticamente un ossimoro vivente”) e lo aveva voluto come direttore degli scavi lì ad Antinia, cittadina di mare a trenta chilometri da Grosseto. 
Alla fine di ottobre un contadino, mentre arava il suo campo non distante dal centro del piccolo borgo, aveva dissotterrato piccoli oggetti che facevano pensare ad un insediamento di quel popolo.
Futuro avrebbe coordinato un gruppo di stagisti da tutta l’Europa. 
A giugno avevano iniziato; il sito si era dimostrato interessante e avevano trovato varie anfore ed oggetti in bronzo. 
Poi aveva conosciuto Brigitte: ventottenne, alsaziana, un metro e settanta, immancabilmente bionda, occhi verdi, un corpo da atleta olimpica e un master in civiltà mediterranee all’università di Friburgo. 
L’aveva vista scavare in short e maglietta bianca. 
Le gambe lunghe che cominciavano ad arrossarsi per il sole, i capelli come il grano. 
Le aveva fatto i complimenti per la passione con la quale scavava e si era permesso di insegnarle qualche trucco per non rovinare troppo i reperti. 
Un consiglio, un sorriso, una birra nell’unico locale del paese, una pizza all’aperto e poi i loro corpi si erano incontrati. 
Ricordava la sua pelle bianca con i primi segni di abbronzatura. 
Il profumo dei capelli, gli occhi verdi da felino. 
Poi la partenza a fine agosto. 
Le telefonate, le email.
Ora l’aspettava di nuovo per riaverla, per sentirne di nuovo il profumo tra le dita. 
E poi le serviva la sua competenza linguistica per cercare di capire cosa ci fosse scritto in quell’agenda nera, ben conservata, ritrovata in una cartella di tela cerata vicino agli scavi. 
Probabilmente era roba della seconda guerra mondiale. 
Doveva essere tedesco e lei si era dimostrata felicissima di aiutarlo.
Arrivò davanti a “La Civetta Bianca” un piccolo pub ristorante che spillava una birra di grano o weisse artigianale, prodotta localmente, niente male. 
Futuro se ne intendeva, aveva una passione smodata per la birra.
Per essere ottobre faceva ancora caldo ma una lieve pioggerellina stava iniziando a cadere. 
Entrò.
Il locale era ancora vuoto. 
Si mise vicino alla pedana dove ogni tanto si tenevano concerti di gruppi locali. 
Blues e rock per lo più. 
La cameriera arrivò a prendere le ordinazioni. 
Era carina, trent’anni o qualcosa di meno, caschetto di capelli neri, jeans aderenti e maglietta dei Sex pistols che non riusciva a nascondere due seni ben proporzionati; piercing al sopracciglio destro. 
Sorrise: - Buonasera, che le porto? 
- Ciao, una weisse alla spina per favore e qualche patatina. 
- Certo, arrivo subito.
Non l’aveva notata l’estate scorsa.
In fondo al locale due tizi seduti ad un tavolo: uno indossava un  giubbotto di pelle nera, aveva capelli rasati, la pelle macchiata dal sole e una martello tatuato sul collo, l’altro aveva una giacca di  pile grigio/verde, un berretto militare e quando ghignava verso il compare si intravedeva il luccichio di un incisivo d’oro. 
Erano silenziosi ma le loro facce parlavano per loro. 
Raccontavano di violenza e alcool, di tempo sprecato e odio accumulato. 
Non emanavano good vibrations. 
Sembravano due usciti dal carcere o che presto ci sarebbero tornati.
Suo zio, negli anni settanta, per una molotov ad una manifestazione, era stato in carcere e alla fine anche la sua faccia era diventata così. 
Era per questo che era scappato in Thailandia.
Ancora dopo trent’anni arrivavano le sue cartoline.
La moretta arrivò velocemente.
- Ecco qui.  Disse mentre poggiava la birra sul tavolo di legno grezzo.
- Sei nuova?
- Sì ho iniziato da una settimana.
- Bella la maglietta.
- Bella la tua faccia. 
Rispose lei velocemente e sorridendo ritornò verso il banco.
Sorrise anche Futuro. 
Era sveglia  la moretta e anche carina ma lui apprezzava sul serio quella t-shirt. 
Il 26 novembre 1976 usciva il primo singolo dei Sex pitols, “Anarchy in UK”, il motivo preferito di suo nonno. 
Futuro Velieri: anarchico e bestemmiatore, quattro anni al confino a Ventotene durante il ventennio, sigaro toscano perennemente in bocca e grandi discussioni con il parroco mentre giocavano a scopa.
Il prete beveva vino, il nonno birra. 
Era morto nel 1997, mentre lui era al primo anno di università. 
Il suo ricordo, però, non gli metteva mai tristezza.
Contemplò il bicchiere di fronte a sé. 
La weisse, con il suo colore opalescente e il gusto di grano e frumento, lo aveva conquistato da sempre, bevve un sorso rinfrescante. 
Ripensò al grano dorato intorno alla quercia dove c’era lo scavo, lo stesso colore dei capelli di Brigitte.
A proposito, non si era controllato per niente da quando era uscito di casa. 

Prese la borsa e andò in bagno. 
Allo specchio vide un ragazzo abbronzato di un metro e ottanta, capelli castani tagliati cortissimi e occhi dello stesso colore, qualche rughetta d’espressione ai lati del viso, vestito con una camicia di jeans chiara un po’ consumata, un giubbino leggero da velista  e  un paio di pantaloni verde militare. 

Estratto dal racconto "Passato, presente e Futuro!" di Paolo Tagliaferri, vincitore del Premio Giallobirra 2013, edito nell'antologia Giallobirra 2, Midgard Editrice.



lunedì 13 gennaio 2020

Una bionda difficile

di Augusto Rasori





Il bar sembrava tranquillo.
Beh, alle due di un martedì pomeriggio di quello sfintere di paese le cose non potevano certo essere diverse. 
Ma la giornata procedeva fantastica. 
Il sole splendeva radioso in un cielo nitido come un televisore HD su cui i gatti non avevano ancora collaudato le unghie. 
Il caldo non incollava i vestiti alla pelle col Vinavil, giugno doveva ancora finire e il capo era dovuto uscire per un qualche impegno improvviso lasciandomi a suo malincuore da solo a gestire l’attività anche se solo per pochi minuti.
Certo, non prima di avermi fatto promettere, e vorrei vedere, che mi sarei comportato con giudizio.
Io, naturalmente, avevo promesso, ma dato che stavo tenendo le dita incrociate dietro la schiena, son mica nato ieri, non mi reputavo vincolato a quel gravoso impegno e ora potevo finalmente approfittarne per portare a termine il progetto che avevo covato da un bel po’ di tempo.

Intorno non c’erano testimoni. 
Carlin e Gennaro, nelle loro rigate finte polo di marca, erano seduti nel dehor a giocare a scopa, troppo impegnati a inimicarsi l’aiuto del Signore, a commentare la campagna acquisti del Napoli e le gambe, per non dire altro, delle donne di passaggio, per poter notare movimenti sospetti dentro al bar.
È vero, rimaneva Mimmo l’invisibile, ma anche lui era talmente assorbito dal suo passatempo preferito che non correvo il minimo pericolo che si accorgesse di me.
Così continuando prudentemente a guardarmi intorno, come un bambino in una chiesa la prima volta che va a confessarsi, presi un boccale dal ripiano, mi avvicinai al rubinetto e, colmo di emozione, cominciai a spillare un po’ di quella radiosa, dorata, schiumosa, freschissima birra.
Aspettavo quel momento da una vita. 
Era cominciata a scuola quando avevo letto di quei frati nel nord Europa che se la producevano per il loro monastero. 
Ecco una religione che potrei seguire, avevo pensato, e ora stavo finalmente per fare la mia vera prima comunione.
Ma come tutti i novizi avevo appena commesso un errore da sprovveduto.
Preso, com’ero, dall’emozione, avevo scordato di inclinare il bicchiere ed ora una spesso strato di schiuma stava coprendo il liquido agognato come foschia sulla Pianura Padana.
“Pazienza” pensai, “ci vuole pazienza”. 
Avevo tempo a sufficienza per portare a termine il rito con tutti i crismi e la fretta non avrebbe certo giovato.
Lo strato si stava assottigliando. 
Avvicinai le labbra all’orlo del boccale e cominciai a respirare l’effluvio maltato mentre inclinavo piano il liquido verso la mia bocca.
Il momento era giunto. 
Finalmente venivo battezzato.
“Scusa, c’è un bagno?”
Riportai il bicchiere in posizione verticale. 
Talmente lesto che un po’ del prezioso nettare si rovesciò sul bancone.
Davanti a me era comparsa una ragazza bruna dall’aria nervosa di circa 30 anni.
Più o meno dell’età del capo. 
Il capo è il mio punto di riferimento un po’ per tutte le cose.
“La porta in fondo” dissi indicandole la direzione.
Lei si diresse dove le avevo detto mentre diventavo rosso come un San Marzano dalla vergogna, come un ragazzo sorpreso a sfogliare una rivista sconcia in camera sua dopo una lezione di catechismo.
Appena si chiuse dentro cercai di riprendere la concentrazione per tornare a dedicarmi alla mia importante iniziazione.
Fuori Carlin e Gennaro stavano aristocraticamente commentando la nuova arrivata.
"Culo basso”
“Me la ficcassi ugualmente”
Scossi la testa.
Avevo tempo.
Si sa che le donne quando vanno in bagno ci stanno circa quanto 8 maschi virgola 4.
L’ha detto la TV.
La matematica serve soprattutto a calcolare queste cose.
Riportai la bocca sul bordo di quella piccola preziosa cisterna di vetro, la foschia spumosa era ancora lì ma non poteva impedirmi di immergermi nel tesoro che stava celando sotto di sé.
Eccomi, mi tuffo in te…



Estratto dal racconto "Una bionda difficile" di Augusto Rasori, vincitore del Premio Giallobirra 2010, edito nell'antologia Giallobirra 2, Midgard Editrice.


sabato 4 gennaio 2020

Intervista ad Andrea Guizzardi

Intervista ad Andrea Guizzardi, autore del libro “Tennista o non tennista”, edito nella Collana Narrativa della Midgard Editrice.





Buongiorno Andrea, parlaci della tua opera, come nasce?
Il romanzo nasce come voluto omaggio al mio sport preferito, che, a causa di un malanno alla gamba sinistra, al momento non posso più praticare. “Tennista o non tennista” è ambientato a Parigi negli spogliatoi del Roland Garros prima dell’inizio della finale del torneo tra Luigi Nervi e Anton Jimenez, i protagonisti principali del libro, nell’attesa dell’ingresso in campo dei due tennisti, ritardato da una perturbazione che si abbatte sulla città e impedisce di dare inizio alla partita. I due finalisti vivono questa fase antecedente l’inizio dell’incontro in modo molto diverso: mentre Nervi, che ha tutti i pronostici contrari, appare più disteso, Jimenez, grande favorito della vigilia, invece, non è affatto sereno. C’è qualcosa che lo turba, ma che nessuno, dall’arbitro al suo allenatore, riesce a cogliere.
La pioggia incessante fa sì che i due tennisti evadano dal “sacro” silenzio dello spogliatoio e si confrontino tra loro. Comincia così una partita psicologica basata sulla contrapposizione tra due opposti approcci alla vita, destinata a concludersi in modo sorprendente e a lasciare nuove consapevolezze nei due protagonisti.


Quali sono le tematiche più importanti del libro?
Il tema portante del libro è rappresentato dallo scontro tra le weltanschauung dei due finalisti. Nervi è colui che ha scelto la sua strada per convinzione e perché ama davvero ciò che fa; Jimenez, invece, incarna chi ha percorso un tragitto, che, seppur costellato di successi, non è stato frutto di una scelta autonoma e libera: sono stati altri – nello specifico i genitori – ad averlo fatto per lui. Il titolo – oltre a voler distinguere chi è un vero tennista da chi non lo è secondo i parametri dettati da Sven Fredriksen, idolo indiscusso di Nervi e autore di un’autobiografia che il tennista italiano venera e le cui pagine sono riportate nel romanzo - sintetizza anche il dualismo tra le opposte visioni del mondo dei due protagonisti e i forti dubbi che investono Nervi e Jimenez sulle loro rispettive scelte di vita. 


Qual è il rapporto fra la scrittura e il resto della tua vita?
Non posso far altro che confermare il valore terapeutico della scrittura. Se non fossi stato colpito da questo antipaticissimo malanno alla gamba sinistra e se non mi fosse stato conseguentemente proibito di caricare la gamba correndo, credo che non avrei mai scritto un libro dedicato al tennis. Non potendo più praticarlo, il che mi pesa parecchio, mi sono detto che almeno avrei potuto omaggiarlo e, in questo modo, raccontandolo in un contesto più ampio quale è quello di un romanzo, ho avuto la sensazione di poter calcare ancora il campo da tennis impugnando la mia fidata racchetta.


Che scrittori ti piacciono e ti ispirano?
Apprezzo moltissimo gli scrittori che sanno scavare all’interno dei loro personaggi, facendone emergere le varie sfaccettature, vizi compresi, dal momento che ogni essere umano è un insieme di pregi e di difetti. In questo senso ritengo che “Pastorale Americana” di Philip Roth,“Le vite di Dubin” di Bernard Malamud e “Il maestro e Margherita” di Bulgakov rappresentino tre vertici inarrivabili. Tra gli scrittori italiani, non posso non citare i corrosivi diari di Ennio Flaiano, i gialli ironici di Fruttero e Lucentini e in epoca contemporanea “Inseparabili” di Alessandro Piperno e “Romanzo per signora” di Piersandro Pallavicini. 


Progetti futuri?
Oltre a dedicarmi alla poesia, nel cui campo mi sono affacciato all’inizio del 2019, sto iniziando a raccogliere le idee per un quarto romanzo.







giovedì 2 gennaio 2020

Dissipare dissapori

di Ruggero Hakim






Scongiuri

Lei mi parlava
di Dostoevskij
io le citavo
D’Annunzio
cercavamo convergenze
ma volevamo solo
immolarci
di maestosità

e disperazione.

Riviviamo la Belle Époque
ma scongiuriamo
un’altra guerra.




Grado

Disperati lo siamo tutti,
ciò che ci distingue è solo il suo grado.




Anthony Bourdain

Ciao,
corsaro
buongustaio
spirito libero
vagabondo
cittadino

del mondo

molto oltre
un cultore culinario
molto più
di quei castrati
perfezionisti
della forma
colleghi tuoi.

Mio chef.




D(i)stinto

In un mondo
dove tutti
cercano
di ringiovanirsi
preferisco
invecchiare
in grande stile
come quelle
bottiglie
di Brunello
accantonate
ma una volta
sprigionate
di lava
e fervore
inaudito.



Poesie dal volume "Dissipare Dissapori" di Ruggero Hakim, Midgard Editrice 2019


midgard.it/dissipare_dissapori.htm