sabato 27 agosto 2022

Il salottino di Tom Linden

 di Giordano Giorgi.





Tom Linden si mise ad osservare dalla finestra l’ometto che si allontanava in istrada. L’ultimo cliente della giornata. Si era fatto tardi. Basta per oggi. Prese quindi a rassettare un poco il piccolo studiolo dove tanto successo andava riscuotendo.
Dopo qualche piccolo colpo alla porta, la moglie Mary fece capolino dallo stipite.
– Tom, ci sono le due signore che aspettano da parecchio. Posso farle entrare? 
“Una delle due mi pare molto in pena” gli aveva riferito la moglie, prima di andar di là per convocare le signore. D’aspetto austero, anonime in un vestire semplice e sobrio, ma curato, le donne entrarono. Sembravano poter essere madre e figlia, e per l’appunto in questa relazione di parentela si presentarono. Una doveva avere circa venticinque anni, l’altra per lo meno il doppio.
– La sua tariffa è di una ghinea, dico bene, Mr Linden? – fece l’anziana.
Linden avrebbe dovuto capire parecchio da questa domanda iniziale; ma lì per lì, e mal per lui, non vi diede alcun peso.
– A patto che possiate sostenerlo – replicò – l’accetterò, sperando di potervi fornire l’aiuto che mi chiedete.
– Vorrei riuscire a trovare – continuò l’anziana, mentre con la ragazza prendeva posto sul piccolo divano – a trovare un contatto con  … mio marito. Egli è morto, in guerra.
– Quale guerra?
- Ypres .
- Lei porta con sé uno scarso influsso – replicò Linden, che a modo suo aveva già dato inizio alla seduta – E, senza influsso, mi trovo … Ecco, qualcosa, forse. Appare. Il nome di suo marito era Edmund?
– No.
– Forse, Albert?
La donna soppesò qualche pensiero. Poi, scuotendosi, tornò a fissare l’uomo davanti a lei.
– Il suo nome, Mr Linden, è … Pedro. Ciò può aiutarla?
– Pedro?
– Pedro.
- Straniero?
- Aggiunge qualcosa saperlo o meno?
Tutta quella conclamata dabbenaggine avrebbe, ulteriormente, dovuto allarmare Linden, ma non fu così. Ormai l’omino si stava arrabattando dentro quel vedere poco o niente; quanto dalla scena che andava delineandosi, essa poteva ben dirsi tutt’altro che valida pubblicità.
– Pedro. Continua a non dirmi niente. Era forse parecchio più anziano di voi?
– No, non lo era.
– Allora no, nessuna sensazione.
L’ anziana fece boccuccia, tutta contrita. Poi, come ad operare un ricalcolo sul ciò che era da farsi, prese ad indicare la giovane vicino a lei.
– Necessitiamo di un consiglio da parte di mio marito, Mr Linden. Mia figlia si è fidanzata. Un meccanico, Mr Linden. Sembra un brav’uomo ma … qualcosa frena il mio pieno consenso. Vorrei un consiglio in merito … e lo voglio da mio marito. Albert, sicuramente, avrebbe saputo …
– Il nome non era forse Pedro?
– Pedro, Pedro Mr Linden! – la donna s’accese. – Pedro, avrebbe saputo darci consiglio!
Linden si curvò, in modo da trovarsi dirimpetto alla giovinetta che finora aveva stentato finanche ad annuire.
– Vi piace quest’uomo, signorina?
– E’ un uomo a posto – rispose ella.
– Se non sentite altro, lasciatelo al suo destino, senza complicare il vostro. Un matrimonio che parte da scarni presupposti, difficilmente può portar bene.
– Lei vede guai per noi?
– Vedo cattive probabilità, signorina.
L’anziana prese parola, mentre l’altra sembrava rimuginare su qualcosa. – Verrà quindi per lei un compagno?
– Lei ne avrà senz’altro uno, signorina – sorrise Linden rivolgendosi in esclusiva all’altra donna, stimando nei comunque graziosi lineamenti della ragazza una previsione non poi così azzardata.
– Avrò figli? Avrò denaro?
L’anziana sembrò rabbuiarsi. Il medium parve spiazzato dal cambio d’argomento così repentino. Pochi secondi prima si parlava di uno spasimante; erano bastate tali poche parole per eliderne la presenza dai discorsi a seguire?
Tempo per ragionarci sopra, non ve ne fu. La piccola Mrs Linden entrò come una folata di vento nel salottino, con il viso disfatto e gli occhi spalancati.
– Sono della polizia, Tom! – sbraitò. – Coppia di ipocrite, uscite, e subito, da casa nostra!
Le due donne trasfigurarono in volto, divenendo grette e arcigne. O meglio, l’anziana ci riuscì alla perfezione, la giovane, meno.
– Lei è in ritardo, signora. Suo marito ha preso del denaro.
– La ghinea con la quale avete pensato bene di ingolosirmi è ancora lì, sul tavolo – replicò Linden.
– Lei l’ha accettata, e per predirci il futuro. Saremo costrette a far rapporto; ne riparlerà con chi di dovere al riguardo, Mr Linden.
– Può quindi l’Ordine Pubblico perseguire le frodi frodando lui stesso? – piagnucolò Mrs Linden, frapponendosi tra il marito e le due donne.
– Le leggi non le facciamo noi, signora – le rispose sapete ormai chi – ma a noi sta di farle rispettare. Dovremo riferire ai nostri superiori. Ulteriori comunicazioni le riceverete da loro. 
Finita la frase, dettero le spalle ai contriti consorti, e si eclissarono.
– Questa è una seconda segnalazione, Tom – piagnucolò la donnetta. – Questo significa prigione, e lavori forzati!
– Avrei dovuto capire, Mary – rispose Linden.
– Cosa?
– Scarsa ispirazione dell’Aldilà, brancolavo nel buio. Mi ero incaponito, come un medico maldestro che, incuriosito dai sintomi che il malato decanta, si dimentica che la malattia si propaga contagiosa. Dovrò ragionare su come difendermi. Forse le prove contro di me non saranno sufficienti, o, forse, il commissario preposto saprà essere d’indole lasciva. 
– Aldilà e Aldilà, Tom! Quando azzecchi il contatto, avresti preferito poi non fosse accaduto!  E adesso che contatti non ne trovi, peggio ancora! Ecco problemi ancor più gravi!
– Niente contatto … anche se … qualcosa …
– Come dici, Tom?
– Nulla Mary, nulla.

Estratto dal racconto "Il salottino di Tom Linden" di Giordano Giorgi, terzo piazzato a pari merito nel Premio Midgard Narrativa 2022, presente nell'antologia "Hyperborea 6", Midgard Editrice 2022.


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giovedì 25 agosto 2022

Intervista a Elisa Venturi

Intervista a Elisa Venturi, autrice della graphic novel "Gabriel. Shattered Diamonds 2" pubblicata nella Collana Imago della Midgard Editrice.







Buongiorno, siamo arrivati al secondo volume di Gabriel, è stato facile dare un seguito al primo volume? 

Si, finalmente siamo arrivati al secondo volume della storia. 
In realtà non è stato difficile dare un seguito, piuttosto direi che è stato emozionante vedere l’evoluzione dei personaggi. 
Ho cercato di sviluppare al meglio la narrazione oltre che la resa stilistica, per rendere la mia opera più completa possibile.
Ad ogni modo in questo anno ho trovato opportuno rinnovare e riscrive alcune cose dalla mia prima stesura rendendo il tutto più avvincente e facendo emergere in maniera più evidente i sentimenti dei protagonisti e dei loro amici, dove il passato che ha forgiato questi giovani affiora ad ogni nuovo capitolo intrecciandosi con il presente e fornendo una visione a mano a mano più chiara di quello che sta accadendo.
Finalmente il nuovo libro fornisce quasi tutte le risposte alle domande che molti si sono posti leggendo il primo volume.


Senza svelare troppo, il nuovo volume segue le tematiche, i personaggi e lo stile grafico del primo, o ci sono cambiamenti?

La storia prosegue continuando a raccontare quello che succede a Gabriel il nostro protagonista e ai suoi amici in questo mondo fantascientifico.
La resa stilistica è come la precedente ma notevolmente migliorata. 
Noi artisti tendiamo sempre a miglioraci e a superare i nostri limiti.


Ci sarà un terzo volume?

Sicuramente ci sarà un terzo volume, a cui già sto lavorando. La storia ha ancora molto da raccontare e mostrare. 
Ci sono molti flashback che devono essere narrati per immergere ancora di più il lettore nel passato di Gabriel facendo luce su eventi che sono solo stati raccontanti e non fatti vedere pienamente, non tralasciando inoltre il seguito della storia tra i tre protagonisti.




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lunedì 22 agosto 2022

Il cavalier servente

 di Jessica Tommasi.






Nella piazzetta antistante il cortile alcune voci riecheggiavano più lontane di quanto, in realtà, non fossero. 
Era come un sogno nel quale agli umani non era concesso fare breccia.
Attraversando la calle, vide indugiare coppiette tra le ombre e dame imbellettate che amoreggiavano in segreto, alimentate dalla sofferenza che serpeggiava dalle sbarre della prigione sovrastante, profanando l'agonia dei reclusi con sacrileghi mormorii di piacere.
«Aspettate». 
Richiamò la giovane, che si voltò obbediente.
L'avventuriero Giacomo Casanova, donnaiolo impenitente e occultista, le si avvicinò, osservando il delicato pulsare del battito cardiaco sulla sua gola.
«Ho bisogno d’aria. Mi potete indicare il giardino?»
L’umana esitò un istante, le labbra schiuse come se non riuscisse a rifiutarsi, nonostante sapesse di doverlo fare.
La prese prima ancora di raggiungere un posto veramente appartato, mentre gli occhi si adeguarono subito all’oscurità del giardino. 
Le premette la mano sinistra sulla bocca, per soffocare qualsiasi suono avesse cercato di emettere, e con la destra scostò i capelli.
La bocca si posò languidamente sulla serica pelle della vittima.
La prima goccia gli lambì la lingua in un’estasi profonda, quasi dolorosa, colmandolo.
Era una dolcezza infinita e straniante a cullarlo in quella notte veneziana.
I canini affondavano tra prudenza e cupidigia nello splendido e vulnerabile solco della fanciulla, ornato di gemme azzurre e rubie.
Quando le funzioni vitali della ragazza diventarono più deboli, la mente di Casanova iniziò a divagare.
I denti scesero di un altro centimetro e avvertì l'essenza della ragazza, che pareva dormire abbandonata tra le sue braccia, varcando i confini tenebrosi di un mondo fatto di drappi e venti impetuosi. 
Si commosse saccheggiando un po’ della sua vita, come una gazza ladra nell'atto spregevole ma naturale di carpire ancora un poco di quell'oro prezioso.
Lanciò un’occhiata circospetta attorno a sé.
Dei passi sempre più rapidi.
Doveva essere veloce, il giardino illuminato dalla luna si stava animando.
Venezia non era mai stata così bella, se non fosse stato per i rantoli.


Estratto dal racconto "Il cavalier servente" di Jessica Tommasi, terzo piazzato a pari merito nel Premio Midgard Narrativa 2022, presente nell'antologia "Hyperborea 6", Midgard Editrice 2022.


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venerdì 12 agosto 2022

Divieto di accesso

 di Alexandra Fischer.






La torre in pietra azzurra svettava in tutta la sua magnificenza nel cielo di aprile.
Le sue mattonelle, decorate con una vernice speciale a specchio, avevano ammaliato parecchi visitatori venuti da tutto il mondo.
Era un fascino mortale, come provava la macchia di sangue sul marciapiede di fronte alla facciata; poco lontano da una macchia, c’era un carretto con sopra un tappeto intriso quasi completamente dello stesso fluido vitale.
Il conducente di quel carretto aveva notato che un angolo della trama era intatto e mostrava il disegno di una creatura a sei zampe coperta di piume metalliche blu notte e dal muso tondo, incorniciato da una raggiera di peluria simile a una corona di fiammelle e dagli occhi stravolti in un’espressione demente e sembravano irridere alla tragedia avvenuta poche ore prima.
Particolare, questo, che lo ha lasciato freddo: incidenti simili erano aumentati per colpa dei troppi turisti.
Lui ne dava anche causa alla torre e se ne teneva lontano il più possibile: sulla lunetta della porta d’ingresso, quello che sembrava un innocuo motivo di campanule bianche in un prato blu notte, era in realtà un monito per gli incauti.
Entrare, significava morire e lui poteva vederlo da sé il rigonfiamento del tappeto, la mano piagata dalle ustioni attraverso le frange, tutti dettagli che non era riuscito a nascondere, quasi la creatura a sei zampe si fosse indispettita al punto da voler mostrare ai passanti l’accaduto.
Il conducente del carro sbuffò, per la calura e il timore di imbattersi in qualche curioso; non sopportava il modo di fare di quel tipo di individuo: fingeva di ammirare le case vicine dalle mattonelle color pesca e le finestre dalle vetrate a motivi di ninfee e stagni dalle acque argentee, per poi gironzolare di proposito intorno alla torre finché il custode non arrivava e cominciava a tradurgli il testo del cartello collocato sulla porta.
Subito dopo, il custode metteva in guardia il curioso di turno in merito alla pericolosità della torre, sospirava, e si stupiva di come la gente fosse tarda a fare proprio l’avvertimento del cartello posto all’ingresso. 
Il custode viveva in una casupola di pietra accanto alla torre ed era sempre impegnato a dissuadere qualcuno: non solo i turisti, la città era piena di monelli incauti. 
Nulla da fare, neanche quando era ricorso ai racconti delle morti atroci avvenute fra quelle mura e con tanto di prove: la torre restituiva qualcosa degli sventurati, un bottone, la lente di un occhiale, il tacco di una scarpa.
I turisti si erano lamentati di lui e per questo era stato ammonito dal capo degli addetti alle ronde diurne e notturne di restare al suo posto: a cosa serviva mostrare loro frammenti sbiancati e graffiati di oggetti qualunque?
Il conducente del carro, presente al momento del rimprovero, si era dispiaciuto parecchio per il custode.
Il capo della ronda lo aveva afferrato per il bavero della tunica e gli aveva rinfacciato che doveva il posto alla carità pubblica.
Il custode era rimasto zitto, si era lisciato le pieghe dell’indumento per poi rientrare nella casupola a testa china.
Il conducente aveva ancora nella mente l’imponente figura del capo, strizzata in una divisa multicolore di seta e con in mano un tirapugni, oltre che l’inseparabile fucile a tracolla.
Guidava il carro con lentezza, e non solo per via dell’indolenza causata dalla calura.
Ogni volta che passava di lì, era certo che il tempo scorresse molto più lentamente rispetto al resto della città e che quel luogo fosse riparato da una sorta di Nicchia Invisibile.
Sì, certo, rifletté, era tardo pomeriggio e cominciavano già ad allungarsi le prime ombre, ma a lui era ben contento di allungare il tragitto per il trasporto della salma, significava maggior guadagno, ma c’era un’altra ragione, una curiosità nei riguardi del defunto, uno straniero rimasto fin troppo a lungo nella città tante volte ricostruita a dispetto degli incendi e dei tafferugli.
Se ne era chiesto il motivo tante volte: dietro agli splendori delle case di pietra decorate con pietre disposte a motivi di raggi solari e dalle vetrate dipinte in modo da dare l’impressione di distese d’acqua si nascondevano umidità e sporcizia.
E questo, glielo avrebbe saputo dire il custode della torre, situata proprio in centro.
Il conducente del carro compativa quell’uomo: si era guadagnato il lavoro di custode per essere sfuggito per caso alla Nicchia 
Invisibile, però non il rispetto.
Chi aveva un certo potere lo maltrattava, gli rinfacciava di essere poco appetibile per le forze che allignavano nella torre.
Chi invece era ai margini della società, lo temeva, perché lo riteneva talmente incattivito con la città da essere sceso a patti con le forze della torre e spesso lo blandiva, per arrivare a fare altrettanto.
Tutti discorsi che lui sentiva al baracchino dove spesso si fermava a mangiare stufato con le spezie e bere birra dai sentori agrumati.
I sapori fantasma gli solleticavano il palato, ma la sete e l’appetito se ne andavano al ricordo dei criticoni del custode, vicini di tavolo che venivano dai laboratori di vetro, dalla conceria e dalla bottega dei tappeti.

Estratto dal racconto "Divieto di accesso" di Alexandra Fischer, secondo piazzato a pari merito nel Premio Midgard Narrativa 2022, presente nell'antologia "Hyperborea 6", Midgard Editrice 2022.


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lunedì 8 agosto 2022

I marchesi di Fumone

 di Tommaso Sala.






Quando vide il Castello di Fumone da fuori, poco prima, Bellisario ebbe l’impressione che quel posto fosse tetro e vuoto.
La struttura sorgeva in cima ad un colle, non troppo lontano dalla capitale del regno di Enotria. Era circondato da un fossato profondo e un ponte lo collegava al resto del colle. Non sembrava, ad un primo sguardo, un luogo desolato e su cui aleggiasse qualcosa di macabro. Ma gli occhi dei due soldati, a guardia del ponte, e la totale assenza di persone dicevano il contrario.
All’interno, le impressioni di Bellisario furono confermate. La grande sala in cui si accomodò, su invito del capo delle guardie Teodoro, lo stesso che lo aveva reclutato alla locanda la notte prima, era vuota. Sembrava quasi che fosse vuota da anni, ma non c’erano ragnatele, né segni di incuria né legno marcio. Era come se il castello fosse stato abbandonato dalla vita, ma non dalle persone.
- È silenzioso questo posto - disse Bellisario, mentre attendeva l’arrivo della signora del Castello.
- Già… siamo rimasti in pochi, a causa del demone.
- Siete sicuri si tratti di un demone? - chiese Bellisario, non fidandosi dell’opinione di quell’uomo, che sembrava soltanto un normale soldato senza troppa istruzione, ma che aveva fatto carriera. Nei vent’anni che aveva vissuto da Cacciatore dell’Ignoto, aveva imparato che è meglio vedere con i propri occhi, anche a rischio della vita, invece di fidarsi dell’opinione di un ignorante.
- Sì, ve lo assicuro. Si aggira di notte, nei sotterranei del castello. Con l’arrivo dell’alba si defila e scompare. Ha già ucciso diverse guardie, strappando loro la testa dal corpo. Ditemi voi se un uomo può farlo.
- Ho conosciuto uomini capaci di farlo, ma poco importa. Se è come dite, probabilmente abbiamo a che fare con un Figlio dell’Ignoto Primordiale, con cui non si discute e si può solo combattere. Ma stanotte lo scopriremo.
- Non avete paura?
- Non avete idea di cosa ho affrontato in vita mia…
Prima che Bellisario concludesse il suo discorso, Teodoro si alzò di scatto dal tavolo: Irene, la marchesa di Fumone, aveva fatto il suo ingresso.
Bellisario fece lo stesso.
La marchesa era una donna di mezza età, bionda, ma di aspetto ancora piacevole. Era accompagnata da un’altra donna, con almeno la metà dei suoi anni, Diana, la figlia.
- Perché mi hai disturbata, Teodoro…
La donna sembrava irritata. I suoi occhi erano stanchi e appesantiti dalle occhiaie.
- Mia signora, permettetemi di presentarvi Bellisario di Enotria, qui per aiutarci contro il demone dei sotterranei.
- Al vostro servizio - disse Bellisario, con un inchino molto forzato.
La marchesa lo ispezionò con uno sguardo carico di rabbia e con labbra serrate.
Non disse niente e se ne andò, quasi che l’atteggiamento di Bellisario l’avesse infastidita o offesa.
- Simpatica… - commentò lui.
- Perdonate mia madre, ma sono tempi duri per lei - Diana cercò di compensare la maleducazione di Irene ed invitò i due uomini a sedersi al tavolo.
- Gli ultimi anni hanno messo a dura prova noi tutti. La scomparsa di mio padre, tre anni fa; l’apparizione di questo demone; e la morte di mio fratello, di soli dieci anni, il colpo di grazia al cuore di mia madre. Sembra che queste antiche sale siano maledette.
La ragazza si guardò intorno, con uno sguardo carico di nostalgia.
- Non dite così, mia signora. Ora abbiamo dalla nostra Bellisario di Enotria.
- La vostra fama vi precede – disse Diana, interrompendo Teodoro.
- E lui ci libererà da questa maledizione. E un giorno, voi riporterete queste terre alla loro gloria passata - Teodoro parlò con molta enfasi.
- Ditemi - intervenne Bellisario - quando è apparso il demone?
- Pochi mesi fa, durante una notte con una luna cremisi. Il nostro sonno fu squarciato da delle grida terrificanti. Era un rumore acuto, lancinante…
- Quasi una voce bianca.
- Esatto, Teodoro. Due guardie scesero nella cripta e non tornarono più su. Abbiamo trovato i loro cadaveri il giorno dopo, senza testa e aperti in due.
- E siamo fuggiti.
- Già, abbiamo abbandonato il castello e ci siamo rifugiati in una residenza in campagna.
- E poi? Come mai siete tornati? - chiese Bellisario.
- Mia madre. Ordinò a tutti di tornare al castello. Odiava stare in quella residenza. E così tornammo. E da mesi ormai viviamo sotto lo scacco del demone.
- Quindi, se capisco bene, nessuno di voi ha visto effettivamente il demone, giusto?
Sia Teodoro che Diana fecero di no con la testa.
- Ditemi un’altra cosa… in che occasione è morto vostro fratello? Mentre eravate alla residenza?
Diana si fece molto triste in volto.
- Eugenio è morto prima della comparsa del demone - disse Teodoro, con un tono seccato.
- Perdonate per come ho posto la domanda - disse Bellisario, convinto di aver ferito Diana.
- Non vi preoccupate. Diteci… cosa avete intenzione di fare? Le guardie del castello sono a vostra disposizione.
- No, grazie - replicò con semplicità Bellisario.
- Come? - la ragazza rispose allibita.
- È inutile mettere a rischio la vita di uomini innocenti. Scenderò nella cripta e valuterò la situazione. Se avrò bisogno di aiuto, lo chiederò.
- Come volete - intervenne Teodoro - riteniamo che il demone inizi ad aggirarsi nella cripta intorno a mezzanotte, perché è a quell’ora che sentiamo i primi rumori. Vi conviene scendere a quell’ora…
- No. Scenderò più tardi, a ridosso dell’alba.
- E perché?
- Semplice. Non ho idea, perché voi non avete idea, di cosa si muova là sotto. Preferisco non correre rischi. Devo sapere con cosa ho a che fare, prima di combatterlo. Lo affronterò quel tanto che basta per capire di cosa si tratta e poi deciderò come agire.


Estratto dal racconto "I marchesi di Fumone" di Tommaso Sala, secondo piazzato a pari merito nel Premio Midgard Narrativa 2022, presente nell'antologia "Hyperborea 6", Midgard Editrice 2022.


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venerdì 5 agosto 2022

Intervista a Morgana Serafini e Miriana Perruzza

Intervista a Morgana Serafini e Miriana Perruzza, autrici del volume "Un libro per starci dentro", edito nella Collana Fiabe della Midgard Editrice.






Buongiorno, parlateci della vostra opera, come nasce? 

Morgana: Buongiorno, la nostra opera nasce dal desiderio di meravigliarci insieme ai bambini rispetto al nostro sentire emotivo, dando poi un nome alle emozioni, utile a riconoscerle e comprenderle, in un contesto di relazione e crescita.

Miriana: Buongiorno, il libro è nato da una necessità: imprimere su carta un percorso fatto dai e per i bambini, nel quale ci si è avvicinati ed immersi nel concetto di emozione. L’albo non nasce, quindi, come premeditato ma come scelta in itinere, in risposta al flusso degli eventi.


Quali sono gli obiettivi principali che volete cogliere con questo libro?

Morgana: Ci siamo molto focalizzate sull'aspetto relativo alla comprensione delle emozioni e della comunicazione non verbale rispetto alle stesse, in un'ottica in cui le emozioni vengono percepite tutte come utili e non come "inaccettabili", in contrapposizione con molti stereotipi sociali.

Miriana: Gli obiettivi presenti alla base del percorso sono confluiti nel testo e possiamo considerarli come linfa che ha irrorato ogni singola pagina. L’interfacciarsi con l’emozione propria e dell’altro ha favorito e incentivato i rapporti con il proprio mondo e quello dell’alterità. Ogni immagine e parola scritte ha avvicinato i bambini al raggiungimento delle competenze sociali e creative di cui si parla nella Raccomandazione del consiglio dell'UE del 2018.


Come è stata la collaborazione con i bambini?

Morgana: Fantastica e densa, abbiamo assecondato il fluire libero veicolato dal processo creativo.

Miriana: poter osservare il laborioso fare dei bambini è stato, ed è sempre, un privilegio. Sentire, percepire e fare sono gli infiniti che hanno accompagnato la creazione del libro. Ci è stato possibile vederli crescere, sempre più uniti, verso la presa di consapevolezza del proprio mondo interiore.





martedì 2 agosto 2022

Diario delle ceneri

 di Lorenzo Peka.







Eppure quell’episodio mi aveva dato speranza.
Ricordo che la locanda era calda e luminosa, piena del vociare degli uomini, e dei guizzi delle braci sull’ottone dei candelieri.
«Non lo sai?!» aveva esclamato un tale, un mezzadro dai grossi baffi grigi seduto davanti a me, sgranando gli occhi. «Non l’hai mai visto? Non sai la paura che fa!» 
«Ho sentito qualcosa» avevo detto, asciutto.
Lui si era raggricciato, stringendosi le spalle. «Una cosa da far gelare il sangue. Io l’ho visto da lontano. Una cosa che non t’immagini, ragazzo.»
«Addirittura?»
Era saltato su come se lo avessi offeso.
«Mi prenda un accidente!» aveva imprecato. «Se ne va in giro sul cavallo più grande che abbia mai visto, con un mantellaccio nero, una falce dietro la schiena, e lame e catene da tutte le parti. Non si ferma mai, non ha amici – come potrebbe? – tutti fuggono quando passa... e... e sai cosa ci porta, attaccato alla sella?»
Non avevo cercato di indovinare.
Lui aveva spostato il boccale e si era sporto verso di me. «Ossa» aveva scandito sussurrando con forza, «ossa di rapitori. Capito, ragazzo? Di rapitori.» Aveva fatto un gesto di scongiuro. «Di quelli che ammazza. Le ha da tutte le parti: appese alla sella, ai quarti del cavallo, dovunque. Ha perfino messo in testa al cavallo il cranio di uno di quei maledetti cavalli infernali, a mo’ di testiera! Merda e sangue! Una sola di quelle ossa porta a chi la tocca la sfortuna nera, una iattura che ci vuole un esorcista. E lui se ne porta una montagna, come trofei di caccia! Deve essere un demonio, e così pure il suo cavallo, non c’è altra spiegazione.»
«Però ammazza i rapitori» avevo interloquito, mentre l’uomo tracannava un sorso dal boccale, come per sciacquarsi la lingua e riprendersi.
«Sì» aveva ammesso, «li ammazza. A centinaia. Più di tutte le coorti del re. Come mosche. Per questo lo chiamano il Mietitore, l’Ammazza-ombre e... in quegli altri modi che... beh...» Era rabbrividito. Poi aveva continuato: «C’è chi dice che è dalla nostra parte, che andrebbe considerato alla stregua degli eroi per questo, ma... non lo so. Uno del genere non può essere dalla parte dei vivi, no? È inquietante, ecco. Da’ retta a me, ragazzo, quel tale è maledetto. Maledetto.»
Dopo la sua sentenza, l’uomo era rimasto in silenzio.
Avevo finito la birra ed ero uscito dalla locanda.
Fuori non c’era nessuno. Il pergolato per gli animali era immerso nel buio della notte; l’intera locanda era immersa nella foschia della brughiera, che sembrava inghiottire tutti i suoni.
Avevo ripreso il mantello nero, lasciato a coprire la sella, e mi ero tirato il cappuccio sulla testa. Mi ero rimesso a tracolla il falcetto. Tutto abbastanza vero, avevo pensato con un mezzo sorriso amaro, richiamando le parole del mezzadro. Ma Nephasus non è poi così grande. Lo avevo accarezzato sul muso mentre lo conducevo fuori, prima di rimontare. Le ossa di rapitori occhieggiavano alla luce lunare, inumane come i loro proprietari.
Beh, che dire... Immagino che anche il Mietitore, l’Ammazza-ombre – o che altro – possa concedersi un po’ di naturale riposo, qualche rara volta. Perché, dopotutto, è un fragile umano come tutti gli altri. Non ho tatuaggi esoterici o marchi a fuoco sul volto, malgrado le voci che lo affermano; anche se a volte mi traviso con una sciarpa o della fuliggine, per evitare una fama che mi renderebbe più difficile trovare dove posare il capo. Un problema che, a dire il vero, diventa sempre meno rilevante: da mesi ormai non si trovano che villaggi abbandonati, e gli unici umani vivi che s’incontrano tra le vaste campagne sono vecchi e dementi abbandonati a loro stessi, soldati morenti e pellegrini appestati.
Ora sono passate due settimane da quando mi ero fermato alla locanda. Ho attraversato una foresta morta, punteggiata di rovine.
Dove sono passate le orde dei Caduti, i villaggi sono distrutti e la gente massacrata. Un orrore. Dove le persone sono appese agli alberi, invece, non sono stati i Caduti: si sono impiccate da sole, se non hanno potuto scappare. Così sugli alberi secchi fioriscono i cadaveri.
Così, sebbene senza mantello e cavallo nessuno mi riconosca, ho sempre un fremito quando entro in un luogo sicuro ancora popolato di vita umana: temo che il livore, e le macchie del male visto, subito e fatto, abbiano segnato e sgarbato anzitempo il mio viso, rivelando a tutti, come per istinto, che io sono lui.
Per questo, l’episodio della locanda mi aveva dato speranza. Quando abbandono le nere spoglie e nessuno sa, sento che l’oscurità non è ancora arrivata. Non fino in fondo, almeno.
Ma sono momenti sempre più rari, sperduti, come quella locanda sprofondata nella bruma con i suoi caldi occhi di brace accogliente. Dopo, ogni volta, la palude mi riaccoglie nel suo grembo, come una compagna in muta e fiduciosa attesa.
Le notti nella pianura bagnata sono fredde, e troppo umide per accendere un fuoco. 
Vengo preso da un dolore ai visceri, ormai divenuto usuale. Non è una ferita; non è una ferita esterna, almeno, non è una piaga. È un male. L’ultima volta che ho controllato, c’era solo una macchia sottopelle, una striatura livida. Ma non mi interrogo più di tanto: è normale che le cose marciscano, in tempi come questi. Andiamo verso un inverno che non potremo superare.


Estratto dal racconto "Diario delle ceneri" di Lorenzo Peka, vincitore a parimerito del Premio Midgard Narrativa 2022, presente nell'antologia "Hyperborea 6", Midgard Editrice 2022.




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