lunedì 30 ottobre 2023

Intervista a Riccardo Piazza

 




Buongiorno, come nasce questa tua opera?

Buongiorno a te, l’opera è una somma di tasselli, poesie ed aforismi. Quella del mosaico è la metafora che preferisco per esemplificare. Immagina tanti tasselli sparsi all’interno di un grande piano orizzontale: questi hanno colori e forme particolari, sfumature diverse ed inizialmente le mie erano unitarie percezioni d’altrove, momenti che riflettevano la mia esperienza della realtà, privi di particolare connessione, ma soprattutto rappresentavano un tutto chiuso, finito. Successivamente, proprio come in un mosaico, ho ritrovato dei volti, delle tracce, dei ritratti, dei tratti. Ho scorto delle crepe dentro cui insinuare la lama del verso. Quindi, come Alice, ho deciso di seguire il Bianconiglio.


Quali sono le tematiche più importanti del libro?

Direi una cruenta spossatezza del proprio sé, quindi una maturazione ed una crescita individuale, i rapporti relazionali con l’altro e le maschere tragiche. 
Mi spiego: ogni poesia rappresenta una monade, una porta che necessariamente deve essere aperta per proseguire all’interno della stanza che segue. Chi scrive si tramuta in una sorta di io impersonale, visto dall’alto. Questo avventore del convivio si approccia ad una mostra d’arte, cade in una trance che lo conduce più volte a cercare ciò che non possiede nell’altro, ecco i tratti osceni: un padre assente, una educazione siberiana difficile, una percezione del proprio corpo rigida ed ostile. Vuoti esistenziali. Nel tempo della scrittura si coagulano amori che non sono amori, donne che non sono donne, ma immaginazioni, persone reali che diventano immaginifiche o irrealizzabili, anche grazie alla dimensione dissacrante e tragica del clown. La fine è un ricongiungimento, probabilmente un viatico nuovo, una nuova porta da aprire.


Quali scrittori e poeti ti piacciono e ti ispirano di più?

Ce ne sarebbero un bel po’, mi limito, tuttavia, a tre nomi d’obbligo. Debbo buona parte della ermeneutica della maschera ad un mio conterraneo illustre: Luigi Pirandello, di cui amo la produzione teatrale e novellistica. Cito anche Italo Calvino, per la costruzione dei sentieri letterari incrociati e Raymond Carver per alcune affinità elettive di tematica. 
Grazie per il tuo tempo.




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martedì 10 ottobre 2023

Intervista a Giulio Alessandro Germanico

 




Buongiorno, come nasce questa tua opera?

Nasce da una mancata soluzione, anzi da una lunga serie di soluzioni mancate. Nasce da un rigurgito di differenziazione rispetto a quel che fluisce nella normalità. Vivere per sfida, sapete voi, si perde molto sangue e talvolta si crede di poter abbracciare la morte come liberazione, altre volte siamo coraggio che cambia strada e combatte. Contro tutti. Scegliete voi, io sono morto. Alla società del buonsenso s'oppone la bellezza d'un ricovero, un rifugio di forme e colori che reagiscono al materialismo, fughe in altre dimensioni, angoli del passato, trasgressioni, sogni, attese, complicanze esistenziali, particolari troppo studiati per finir compresi. Da tutto questo nasce quel che mi differenzia e che è rimasto imbrigliato in queste pagine, ma sappiate che l'autore è morto. Fantasma. Sono un fantasma che vive in altre dimensioni e che continua a parlare.



Il volume è diviso in una sezione poetica e in una sezione di riflessioni e pensieri. Ce ne vuoi parlare?

Le poesie sono dei momenti di sintesi esistenziale, spesso faticosi come parti e mai uguali al proprio sentito, per questo necessitano di un attento lavoro di perfezionamento per trasferire ogni sfumatura in un unico insieme coerente di senso. Pietre preziose da scolpire ed osservare in ogni prospettiva prima di essere sottoposte nuovamente alla critica, ancora e ancora. Creare poesia è una scomoda responsabilità e per questo ci vuole coraggio. Le poesie presenti nel testo sono bagliori scenici provenienti da materiale rimasto dietro le quinte, in un'epoca della vita, da tempo per me ormai matura. Oscurità e misticismo, sofferenza e vuoto esistenziale, il tutto distillato ed invecchiato, come un buon liquore. La seconda parte del libro è dedicata ad una serie di estemporanee riflessioni sulla vita, la società, la gnosi, gli dèi. Questa sezione non è sfornita di precetti pratici, critici, talvolta ai limiti del cinismo, le massime sono i sepolcri della mia filosofia, i miei epitaffi. Qui è bandita la superficialità e ci si munisca di uno spesso scafo per le immersioni...



Quali autori e quali correnti di pensiero ti ispirano di più?

Ovunque vi sia particolare attenzione descrittiva e ricerca del bello, ovunque traspaia il desiderio e la soddisfazione di perdersi nell'immutabile, nell'impeccabile, nel perfetto. I particolari, i colori, la musicalità delle parole, la loro ricerca attenta e spietata per giungere alla contemplazione delle forme. Ebbene tutto questo è collocabile in un determinato periodo, in una nicchia letteraria di predilezione. Siamo in Francia nella seconda metà dell'Ottocento, in una fucina artistica d'impareggiabile fervore. Mi riferisco al milieu letterario del Parnaso Contemporaneo promosso dal lavoro editoriale di Lemerre, agli innumerevoli poeti che vi hanno contribuito con dedizione vitale. Coloro s'impegnarono intorno a principi estetici di superamento del romanticismo, all'“arte per l'arte” come s'espresse il Gautier, quando la bellezza è contemplazione delle forme, ipnosi immobile che trascende il tempo, dopo attento lavorio che ci avvicina a spazi d'ordine superiore. D'altra parte i richiami classici di un Lamartine parnasiano, fin a quelli di un tardo Valery, pongono altri lati che hanno sempre attratto la mia ricerca interiore: quelli filosofici, naturalistici e spirituali. Si tratta della riscoperta della religiosità classica, che mi ha impegnato in faticosi studi sull'antichità. Studi che definirei di realismo esoterico, basi per lo sviluppo e la pratica di molte facoltà sopite ai nostri giorni, archeologia dello spirito che è puro esoterismo, della più seria e nobile gnosi, e dal quale ho appreso molto di quel che sono e siamo oggi. Ebbene, ecco qui, tutto questo m'ispira, impregna il libro e fin da bambino inesorabilmente m'attrae, da sempre, mi tormenta. 




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sabato 7 ottobre 2023

Intervista a Riccardo Finocchi

 




Buongiorno Riccardo, parlaci del tuo nuovo libro, come nasce?

Il libro nasce dalla volontà di raccontare una storia semplice, ma che allo stesso tempo avesse un valore. Il Natale è il periodo più magico dell’anno, da sempre uno dei più attesi. Il Natale è magia, desiderio di ricevere qualcosa, ma anche volontà di donare qualcosa in regalo a chi si ama. In questo periodo storico sembra aver assunto un aspetto prettamente commerciale e materialista. In realtà, se lo si osserva bene, il Natale può essere molto di più: quella magia che percepiamo, deve riportarci alla base dei nostri rapporti interpersonali, alla base delle relazioni e delle emozioni che legano noi essere umani.
Il Natale dovrebbe portare con sé aria di cambiamento, volontà di fare una buona azione, di regalare il meglio di noi stessi al prossimo. Scrivere del Natale è magico, ed è per questo che ho scelto questo tipo di argomento.



So che i tuoi figli sono stati coinvolti nell’opera, ce ne vuoi parlare?

I figli sono il centro del mio mondo e la mia ispirazione più grande. Fargli disegnare la copertina mi sembrava il minimo, essendo tra l’altro loro stessi i personaggi principale del racconto. Questo è stato il mio primo libro per ragazzi, e sicuramente non sarà l’ultimo, dato che si è rivelata essere un’attività più stimolante del previsto, che mi ha fatto divertire oltre ogni aspettativa. 



Ci sono delle opere letterarie o dei film che ti hanno ispirato nella scrittura di “In missione per Babbo Natale”?

Sinceramente no. “In missione per Babbo Natale nasce semplicemente dalla mia volontà di rompere degli schemi che involontariamente mi ero imposto quando ho iniziato a scrivere libri, all’incirca quattro anni fa. Volevo scrivere qualcosa senza pormi dei limiti, senza dover tenere conto delle regole fisiche del mondo. Volevo dar libero sfogo alla mia fantasia. Involontariamente, ho finalmente trovato il mio genere: scrivere per dei ragazzi è entusiasmante!





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giovedì 5 ottobre 2023

Intervista a Chiara Scialabba

 




Buongiorno Chiara, dopo l’ottimo successo della prima edizione di (Il) Mondo Dentro, nasce una seconda edizione. Quali sono i motivi che ti hanno spinto a rieditare il libro, piuttosto che a ristamparlo solamente?

Le tante presentazioni nel corso di questi due anni sono state un’ottima occasione di confronto e di riflessione che hanno fatto crescere la storia del libro come scrivo anche nella introduzione della nuova edizione.
“Si pensa che chi scrive un libro conosca tutti i suoi segreti ma non è così o, almeno, non lo è stato per me. Ogni incontro, ogni commento, ogni riflessione sono stati una grande scoperta non solo per gli altri ma anche e, soprattutto, per me. Già nel passaggio dal manoscritto al libro, in un percorso che è durato quasi un anno, mi ero ritrovata a riflettere su ciò che avevo scritto comprendendone meglio il senso. Poi sono arrivate le presentazioni, le interviste, le chiacchierate, i pensieri dei miei alunni e il mio mondo ogni volta incontrava quello degli altri e si arricchiva di nuove esperienze. Ogni evento è stato soprattutto una condivisione e ha il volto delle persone che ho incontrato, ragazzi e adulti, amici e sconosciuti, a cui il mio libro ha dato voce perché quei mesi chiusi in casa hanno lasciato il segno ma non tutti hanno avuto la forza di raccontarli e, soprattutto, di tirar fuori ciò che hanno provato.”
È nata quindi l’esigenza di integrare il diario, che rimane tale e quale, testimonianza storica di un evento unico, con dei capitoli che sono il frutto proprio di quelle riflessioni nate in occasione delle presentazioni. Sempre nello stesso periodo è uscita fuori anche una vena poetica da cui sono nate due poesie, inserite sempre in questa nuova edizione, che introducono due argomenti a me cari: “Padroni del tempo” che affronta il tema della nostra capacità o meno di saper cogliere il bello della vita senza sprecare il tempo che ci viene concesso facendo diventare eterno ciò che nella realtà scorre inesorabilmente; “Potevamo” che nasce dall’amara considerazione di non aver saputo utilizzare quel periodo straordinario per miglioraci. 



La nuova edizione si avvale del contributo del Dott. Franco La Rosa e della prefazione di Mario Azzolini. Come sono nate queste nuove collaborazioni?

Il dott. Franco La Rosa ha partecipato ad uno degli eventi organizzati a Cefalù per presentare il libro a cura dell’Auser che aveva come titolo “Emozioni di una pandemia”. La presenza del dott. La Rosa, neuropsichiatra, è stata molto importante anche per la condivisione di riflessioni personali. Abbiamo quindi pensato che potesse essere utile offrire un contributo tecnico e nello stesso tempo anche molto umano con questa piccola intervista contenuta nel libro.
Con Mario Azzolini, giornalista RAI, in pensione da poco e con cui, soprattutto, condivido le origini di San Mauro Castelverde, l’incontro è stato assolutamente casuale. Ci siamo incontrati durante una festa di quartiere e gli ho proposto di leggere il mio libro anche per avere un giudizio competente visto, tra l’altro, la sua cura delle rubriche culturali del TG3 Sicilia. Lui lo ha trovato interessante così come scrive nella prefazione “Chiara con timidezza mi parlò del suo libro e me ne donò una copia; io che di libri mi occupo da sempre per passione e professione ne fui colpito per il metodo e il merito, frutto di una genesi inconsueta in un momento di straordinaria emergenza per l'umanità intera.”



Progetti futuri?

Purtroppo, come dico sempre, per scrivere ci vuole tempo e la vita frenetica di una mamma lavoratrice non ne ha molto a disposizione. Mi piacere scrivere soprattutto sull’arte da proporre come strumento di riflessione ma, forse, dovrò aspettare la pensione. Per il momento continuerò a dedicarmi alla divulgazione di questa nuova edizione perché rimanga una testimonianza storica e per stimolare i lettori del libro a fare tesoro dell’esperienza drammatica e, nello stesso tempo, straordinaria che abbiamo vissuto.




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martedì 3 ottobre 2023

Lo sciacallo di Old Burial Hill

 di Federico Di Adamo.








Parcheggio la macchina vicino alla staccionata che delimita il perimetro della piccola chiesetta di Oak Point. 
Sono le sei meno un quarto e secondo le informazioni Padre Davis lascia l’edificio fra poco. 
Sgancio la cintura di sicurezza e mi sgranchisco le spalle; abbasso il finestrino e mi accendo una sigaretta: mi ci vuole proprio dopo quattro ore di viaggio.
Chiesetta davvero caratteristica: tutta in legno verniciata di bianco immacolato ad eccezione della porta d’ingresso e il tetto a punta del campanile.
Le grosse foglie di quercia cadute a terra formano un tappeto uniforme rosso arancio che quasi inghiottono la lingua di cemento della strada.
C’è un’atmosfera di pace quasi irreale qui attorno. 
Sono tornato indietro di tre secoli!
La porta principale dell’edificio si apre. 
Padre Davis esce e la chiude a chiave. 
Prendo la guida turistica sul sedile del passeggero e me la piazzo davanti al naso per nascondere il volto anche se il reverendo sembra non notarmi affatto.
Percorre un breve tratto e raggiunge una bicicletta appoggiata alla staccionata, ci sale sopra e si allontana. 
Atletico il prete di paese, non l’avrei mai detto.
Non l'ha neppure legata con una catena. 
Questo deve essere uno degli ultimi posti in America dove poterlo fare.
Bene, fra poco potrò prendere quell’anelluccio che mi frutterà quattromila verdoni.
Ok meglio muoversi.
Ripiego la cartina e la rimetto al suo posto nel portaoggetti e chiudo il finestrino. 
Scendo dalla macchina, prendo il borsone con gli attrezzi dal bagagliaio e mi guardo attorno: la via è libera.
Queste dannate foglie secche fanno un rumore d’inferno sotto i piedi e se qualcuno buttasse un mozzicone di sigaretta qui brucerebbe tutto in un baleno e addio tre secoli di Storia.
La porta principale è un gioco da bambini da aprire. Uso il kit di scasso e in pochi secondi sono dentro.
C’è un leggero odore di incenso che aleggia nell’aria.
I raggi del sole ormai basso entrano dai finestroni alti e stretti del lato ovest, illuminano perfettamente l’interno: le due file di panche ben lucidate, il pavimento di assi di legno scuro e l’altare sobrio, in pieno stile puritano. 
Percorro rapido il corridoio centrale e raggiungo quest’ultimo.
La scalinata che conduce alla cripta sotterranea è a sinistra. 
I gradini sono intagliati direttamente nella pietra; devono aver fatto una faticaccia per ricavare la camera sotterranea.
Più scendo e più l’odore di incenso si indebolisce sostituito da un odore di muffa.
Alla fine della scalinata c’è una piccola anticamera quadrata; in fondo trovo il cancello chiuso da una catena e da un grosso lucchetto proprio come mi aveva detto il committente. 
Il signor Donnell è sempre molto preciso nel fornirmi tutte le informazioni per la riuscita dei colpi.
Cazzo ho i brividi! 
Fa freddo qui sotto come se mi trovassi a molti più piedi sottoterra.
Meglio muoversi così mi scalderò.
Poso il borsone a terra, tiro fuori la torcia da casco, la indosso e la accendo; prendo il kit da scasso dalla tasca della giacca.
Benone, come pensavo al primo tentativo il lucchetto si è aperto. 
Rimetto il kit in tasca, sfilo la catena avvolgendola ad una delle sbarre del cancello con il lucchetto che penzola pronta per richiuderla quando avrò finito.
Riprendo il borsone ed entro nella cripta.
Ci sono quindici loculi disposti su tre file nella parete alla mia destra; altrettanti in quella opposta.
L’eco dei miei passi risuona netto qui dentro. 
Raggiungo il penultimo loculo della fila centrale incassato nella parete di destra.
Eccola qui: Ruth Beatrice Slora, nata nel 1630 e morta sul rogo nel 1666.
Le lettere e i numeri sulla lastra sono ben rifiniti e conservati; non sembrano essere vecchi di secoli.


Estratto dal romanzo "Lo sciacallo di Old Burial Hill" di Federico Di Adamo, Midgard Editrice 2023.




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