martedì 26 maggio 2020

L'enigma di Bernard Morris

di Oscar Bigarini





Andrea e Flavia trascorsero la giornata ad Hyde Park con tanto di gita in barca sul lago (Serpentine lake), e pic nic all’ombra di un bel faggio, lanciando molliche di pane ad uccelli e scoiattoli.
L’indomani, 5 maggio 2019, sarebbe stata una giornata particolare, il compleanno di Flavia!
La ragazza avrebbe compiuto venti anni.
I due fidanzati avevano in programma di celebrare l’avvenimento con una bella gita nella vicina località marina di Brighton, un bel pranzetto a base di pesce e saluti via Skype a mamma, papà, nonna e al fratello Lorenzo.
I genitori avevano chiesto a Flavia di festeggiare il compleanno a Perugia ma lei aveva risposto che non le era possibile abbandonare Londra perché doveva sostenere a breve un esame molto importante. La verità era che non voleva lasciare Andrea proprio nel giorno di compimento dei suoi venti anni.
Uno dei motivi, ma non il solo, come vedremo in seguito, per i quali Flavia aveva deciso di effettuare un periodo di studio a Londra, si doveva al nonno inglese Bernard Morris.
La nonna materna Eleonora Arcelli, donna raffinata di buona famiglia, perugina del rione di Porta Santa Susanna, dopo aver frequentato l’Istituto di arte Bernardino di Betto, aveva lavorato presso l’azienda “Luisa Spagnoli” come disegnatrice di moda. All’inizio degli anni Sessanta, a seguito di un’interessante offerta di una casa britannica di abiti per signora, si era stabilita a Londra per due anni come stilista di moda.
La “Luisa Spagnoli” aveva concesso il nulla osta ad Eleonora per questa esperienza e assicurato che al termine le avrebbe conservato il posto di lavoro.
A Londra Eleonora aveva conosciuto Bernard Morris, giovane e colto archeologo della sezione etrusca, del dipartimento greco – romano del British Museum, dove erano, e sono, conservati i “pannelli d’argento decorati”, datati 540 – 520 a.C., rinvenuti a Perugia.
Bernard, nativo di Bath, città inglese a circa 180 km da Londra, famosa per le terme romane, aveva acquisito il Dottorato in Archeologia a Oxford, amante dell’Italia, aveva studiato a lungo l’Italiano e parlava correttamente la lingua della penisola.
Bernard aveva due principali passioni: lo studio della civiltà egizia e quella etrusca.
L’archeologo, per quanto riguardava l’antico Egitto, aveva effettuato studi e ricerche sulle gigantesche piramidi della piana di Giza; non si capacitava come fosse stata possibile in tempi tanto lontani, privi dei moderni mezzi tecnologici, la costruzione di edifici così imponenti. Spesso ne parlava con amici ingegneri e architetti alla ricerca di una soluzione tecnica credibile.
Altro mistero che lo appassionava era il perché, dopo la costruzione in Egitto di circa 140 piramidi, tra il terzo millennio e la metà del secondo millennio a.C., la costruzione di questi giganti era cessata all’improvviso per passare a scavare tombe nella roccia come luoghi di sepoltura di faraoni e notabili.
Ma quello che destava in lui profonda emozione ed ammirazione era “la Stele di Rosetta”, cioè la famosa stele conservata al British Museum, che aveva permesso nel diciannovesimo secolo, la comprensione dei geroglifici egiziani, attraverso le sue tre iscrizioni in geroglifico, demotico e greco antico di uno stesso testo antico.
Non c’era giorno, quando entrava al lavoro, che non si recasse per almeno un paio di minuti a guardare in venerazione quasi mistica la stele. A casa ne aveva appesa al muro del soggiorno una grande fotografia e numerosi soprammobili che la riproducevano erano sparsi nei tavoli e nei mobili dell’abitazione.
Per quanto riguarda la civiltà etrusca Bernard aveva scritto numerosi articoli sulle necropoli etrusche della Toscana e dell’Umbria del IV e III secolo a.C.
Molto apprezzata in particolare era stata la pubblicazione di National Geographic di un suo catalogo sui siti etruschi dell’Umbria.
In tema di civiltà etrusca, come per “La Stele di Rosetta” per la civiltà egizia, nutriva una particolare ammirazione, per le “Lamine di Pyrgi”, un reperto archeologico del VI secolo a.C., consistente di tre lamine d’oro con delle incisioni in lingua etrusca su due di esse ed in lingua fenicia su una.
Questo documento sebbene non comparabile alla “Stele di Rosetta” per l’egiziano, come mezzo di decifrazione dell’etrusco (i testi in lingua etrusca e fenicia incisi sulle lamine hanno lunghezza diversa e contenuti leggermente diversi), aveva comunque permesso una migliore comprensione dell’etrusco.
Molto successo aveva avuto anche un saggio di Bernard sul “Cippo di Perugia”, una stele in pietra che presenta attraverso incisioni un'iscrizione in lingua etrusca datata al III/II secolo a.C.,  conservata nel Museo archeologico nazionale dell'Umbria di Perugia.
Alla fine dei due anni, Eleonora e Bernard, molto innamorati, non vollero separarsi e decisero di proseguire la loro esistenza in Italia.
Nel 1965 presero dimora in un bel appartamento di proprietà della famiglia Arcelli in via dei Priori a Perugia e si sposarono.
Eleonora riprese il proprio lavoro alla “Luisa Spagnoli”, Bernard ottenne la nazionalità italiana e iniziò a lavorare come archeologo al Museo Nazionale Archeologico dell’Umbria (l’attuale MANU). 
Nel 1966 nacque il primogenito Francesco, e poi nel 1968 Margherita, la madre di Flavia.
Margherita, si laureò nel 1992 in lettere ed iniziò ad insegnare questa materia al liceo classico “Annibale Mariotti” di Perugia, nel 1996 sposò Attilio Rinaldi, medico triestino, giovane cardiologo all’Ospedale di Perugia.
Dopo il primogenito Lorenzo nel 1997, Il 5 maggio 1999 nacque Flavia.
Nella sua esistenza perugina Bernard scrisse numerosi libri sulla storia della sua nuova città, con descrizioni dettagliate dei monumenti e delle opere d’arte, diventò membro di importanti associazioni culturali cittadine e ricoprì anche la carica di assessore alla cultura del comune di Perugia.
Bernard collaborò con numerose istituzioni culturali ed archeologiche alla scoperta di importanti reperti etruschi e romani; molteplici furono le sue conferenze sulla presenza etrusca a Perugia e nella Tuscia nel IV e III secolo a.C.    
Flavia trascorse molta della sua infanzia e della sua prima giovinezza insieme all’amato nonno.
Da parte sua Bernard adorava la nipote, ne ammirava l’intelligenza e la facilità di apprendimento qualunque fosse l’argomento.

Il nonno raccontava alla nipote ancora bambina, sia in inglese che in italiano, storie inventate al momento di personaggi fantastici, come maghi, fate, principi, regine… che si svolgevano in luoghi misteriosi come i castelli o le foreste della sua Inghilterra.

Estratto dal romanzo L'enigma di Bernard Morris di Oscar Bigarini, Midgard Editrice 2020



venerdì 22 maggio 2020

Intervista a Giampaolo Bianchini

Intervista a Giampaolo Bianchini, autore del libro “L mondo s arvuldca  / Il mondo si ribalta”, edito nella Collana Poesia della Midgard Editrice.






Buongiorno, parlaci della tua nuova opera, come nasce?
Questo mio nuovo scritto segue la scia delle opere precedenti (D tutto n po’…e n po’ scomposto / Di tutto un po’…e un po’ scomposto “ e “Ride e armugina / Ridi e rifletti”), trattando argomenti e affrontando tematiche della vita del nostro tempo che a confronto con le storie contadine di un tempo evidenziano il forte balzo della società con la sua evoluzione repentina e sfrenata e anche spesso incontrollata.


Quali sono le tematiche più importanti di questo tuo nuovo libro?
Le tematiche più importanti riguardano l’evidenza dei mali di questo nostro mondo che da sempre cerco di riportare alla attenzione che, anche se di quotidiana attualità, passano ormai come routinaria normalità senza lasciare traccia, riflessione e interesse.
Mai come in questo tempo di coronavirus - nel frattempo sopravvenuto - le problematiche, le difficoltà, le paure, le inefficienze, la impreparazione, la superficialità, la negligenza che viviamo tutti i giorni, ma che non ce ne vogliamo rendere conto, sono state messe a nudo evidenziando la fragilità dell’uomo che pensa di essere in questo mondo il “padreterno”. 


La bellezza salverà il mondo, diceva Dostoevskij. Credi che l’arte e la poesia possano arrivare a tanto?
Sì, è una affermazione che condivido. La bellezza nelle sue diverse forme è universale, non ha confini e non ha padrone.
Ci voleva questa pandemia per farci scoprire e apprezzare nel loro splendore le bellezze del mondo, anche se in maniera virtuale. Quelle bellezze note e conosciute, ma vissute, in tempo di normalità, come bene di consumo offuscate dal caos quotidiano e non come piacere e appagamento dell’anima. 
L’uomo passa, l’arte resta e si tramanda nei secoli. L’arte è bellezza, la poesia è sentimento, il sentimento è la bellezza interiore, è la bellezza dell’anima.
Io non sono un poeta, le mie liriche non aspirano a tanto, tratto degli argomenti seri o meno seri, con poche parole e una rima un po’ scomposta, cercando di parlarne in maniera semplice, leggera, con sarcasmo, ma a volte anche con positiva incisività.   


Progetti futuri?
Come detto io non posso considerarmi né poeta né scrittore, sono un autodidatta che quando ha qualcosa da dire magari si ferma un attimo ed esprime i suoi pensieri senza impegni programmati o predefiniti e ringrazio chi avrà modo di apprezzarli e condividerli.



mercoledì 20 maggio 2020

La pazienza della nemesi

di Stefano Lazzari






FERRARA,  15  Marzo  2013

L’infermiera  rimosse  delicatamente  gli  elettrodi  dal  torace  del  paziente,  ripulì  accuratamente  la  cute  dai  residui  del  gel  usato  per  eseguire  l’elettrocardiogramma,  strappò  la  striscia  e  l’appoggiò  sulla  scrivania.
Fiammetta  Giulianelli  sollevò  lo  sguardo  dalla  documentazione  che  stava  consultando.  “Grazie  Mariella… potresti  procurarmi  un  nuovo  rotolo  di  carta  prima  che  entri  il  prossimo  paziente? intanto  che  do  le  ultime  raccomandazioni  al  nostro  commissario”.  Lanciò  un’occhiata  obliqua  a  Corradino  Marandi  che  senza  troppa  fretta  si  stava  rivestendo.
“Vado  subito,  dottoressa”.  L’infermiera  accostò  alla  svelta  l’elettrocardiografo  al  lettino  e  infilò  la  porta.
“Eccomi  pronto  ad  ascoltare  la  sentenza,  dottoressa”.  Cercando  di  metter  su  un’aria  rilassata,  il  commissario  accomodò  la  sua  massiccia  figura  su  una  delle  due  sedie  di  fronte  alla  scrivania.
Fiammetta  scosse  per  un  attimo  la  capigliatura  biondissima  e  proiettò  il  suo  sguardo  verdeazzurro  in  quello  di  Corradino.  Senza  tante  cerimonie,  perché  così  era  abituata,  certo;  perché  conosceva  il  commissario  da  quasi  tre  anni,  ormai… e  perché  quella  graziosa  impertinenza,  lo  sapeva  bene,  le  sarebbe  stata  perdonata  da  ogni  uomo:  per  le  donne,  aveva  altre  armi…
Indugiò  ancora  per  qualche  attimo,  ripensò  all’indagine  di  polizia che  l’aveva  coinvolta  due  anni  prima  insieme  a  Settimio  Castaldi,  cardiologo  anche  lui,  conosciuto  in  un  congresso  sul  Garda nell’autunno  del  2010… sospirò,  non  era  quello  il  momento  di  ripensarci,  e  dette  una  leggera  manata  sulle  carte  che  aveva  davanti  a  sé.  “Allora dottor  Marandi… diciamo  che  sono  abbastanza  contenta  delle  risultanze  cliniche  e  strumentali:  elettrocardiogramma,  ecocardio,  peso  che  inizia  a  scendere… ecco,  sull’assetto  lipidico  bisogna  ancora  lavorarci  su,  ma  insomma  qualche  compito  a  casa  mi  sembra  inevitabile”.  Fiammetta  sorrise,  poi  notò  lo  sguardo  lievemente  imbarazzato  del  commissario.  “C’è  forse  qualche  dubbio  da  chiarire?”  chiese,  vagamente  perplessa.  Conosceva  Marandi  da  tre  anni  ormai,  e  quell’aria  un  po’ così,  di  chi  sembra  essere  sulle  spine,  le  riusciva  del  tutto  nuova.  “Coraggio,  mi  dica  tutto:  a  leggere  nel  pensiero  non  sono  ancora  arrivata”.  Gli  regalò  un  sorrisetto  compunto  e  pure  un  po’  impunito.
“E  non  è  escluso  che  le  riesca,  prima  o  poi”  sbuffò  il  commissario,  piegandosi  leggermente  in  avanti.  “Si  tratta  di  questo:  la  settimana  scorsa  ho  avuto  una  conversazione  telefonica  col  mio  omologo  di  Rimini,  il  commissario  Mattia  Brighelli,  che  lei  ha  conosciuto  due  anni  fa…”.
Fiammetta  lo  interruppe.  “Ma  certo,  mi  ricordo…la  prima  volta  in  un  commissariato  non  si  scorda  mai,  è  stata  un’avventura  emozionante,  e  poi  sia  il  commissario  che  l’ispettore  Errani  sono  due  gentiluomini,  neppure  per  un  momento  mi  sono  sentita  a  disagio  a  trattare  con  loro… allora?”.  Sorrise,  e  si abbandonò  più  comodamente  sullo  schienale  della  poltroncina  girevole.
Sembra  tutto  un  gioco,  per  ‘sta  donna… tranne  il  lavoro,  per  mia  fortuna,  borbottò  Marandi.  “Il  gentiluomo,  come  lo  chiama  lei,  mi  ha  invitato  a  cena  nella  sua  Rimini… ma  con  una  dichiarazione  liberatoria  del  mio  cardiologo  di  riferimento,  così  mi  ha  detto.  Senza  la  quale  non  mi  offrirà  neppure  un  caffè”  precisò  il  commissario,  stirando  le  labbra.
Fiammetta  non  trattenne  una  risatina.  “Il  dottor  Brighelli  è  uno  preciso… e  anche  un  vero  amico”  aggiunse  con  aria  significativa,  mentre  sfilava  un  blocco  di  carta  intestata  da  un  mucchio  di  documenti  sparsi  per  la  scrivania.  Scrisse  in  fretta  poche  righe,  dette  un  colpo  di  timbro,  e  porse  il  foglio  a  Marandi.  “Naturalmente  mi  affido  al  suo  ben  noto  buon  senso,  commissario:  niente  abbuffata,  e  libagioni  moderate… i  buoni  risultati  vanno  mantenuti  e  possibilmente  consolidati”.  Sorrise  ancora,  e  increspò  leggermente  le  labbra.  “E  se  non  sono  troppo  indiscreta,  dove  andrete  a  mangiare?”.
“Il  dottore  di  riferimento  non  è  mai  indiscreto”.  Stavolta  fu  Marandi  a  sorridere  più  liberamente.  “Il  premuroso  collega  ha  pensato  alla  trattoria  da  M*,  a  pochi  passi  dal  ponte  di  Tiberio… al  borgo  di  S. Giuliano,  non  so  se  lo  conosce…”.
Fiammetta  batté  le  mani.  “Oh  sì,  cucina  di  pesce  fantastica:  ci  sono  stata  giusto  l’autunno  scorso,  con  la  mia  amica  Lorella…”.
“… la  titolare  del  bar  J*,  in  Corso  Garibaldi:  coinvolta,  sia  pure  marginalmente,  nell’indagine  di  due  anni  fa”.  Marandi  cacciò  in  tasca  la  sospirata  ‘liberatoria’  e  fece  per  alzarsi.
“Lei  si  ricorda  proprio  tutto,  commissario… dopo  tanto  tempo”.  Un’ombra  di  sorpresa  ammirazione  e  forse  anche  di  emozione  passò  nello  sguardo  di  Fiammetta… o  almeno,  così  parve  a  Marandi. 
“Mah,  deformazione  di  sbirro… e  poi  l’indagine  è  stata  condotta  magistralmente  da  Brighelli  e  la  sua  squadra,  non  era  per  nulla  facile  venirne  a  capo”.  Il  commissario  emise  un  sorriso  sornione.  “A  quando  il  prossimo  controllo?”.
“Fra  un  anno… se  lei  si  comporterà  bene,  dottor  Marandi.  E  porti  i  miei  saluti  al  suo  collega:  ammesso    che  si  ricordi  ancora  di  me”.  E  a   quest’ultima,  giocosa  provocazione,  Fiammetta  non  seppe  proprio  rinunciare.
“La  memoria  di  Mattia  Brighelli  è  decisamente  più  ferrea  della  mia”  sintetizzò  Corradino,  aprendo  la  porta  dello  studio.  Facile  fare  la  spiritosa,  quando  somigli  a  una  semidea,  sospirò  mentre  attraversava  a  passo  svelto  la  sala  d’attesa  dell’ambulatorio.   Ripensò  per  qualche  attimo  a  quanto  successo  due  anni  prima,  alle  coincidenze  ‘impossibili’  che  avevano  aperto  lo  scenario  dell’indagine,  poi  risolta  brillantemente  dall’ostinazione  e  dal  talento  di  Brighelli  e  della  sua  squadra… beh,  stavolta  la  coincidenza  è  solo  gastronomica,  borbottò  il  commissario,  ormai  a  pochi  passi  dall’uscita  del  S. Anna.   



Estratto di "La pazienza della nemesi", Stefano Lazzari, Midgard Editrice 2020


martedì 12 maggio 2020

Intervista a Oscar Bigarini

Intervista a Oscar Bigarini, autore del romanzo “L’enigma di Bernard Morris”, edito nella Collana Narrativa della Midgard Editrice.







Buongiorno, parlaci della tua opera, come nasce? 

Come appassionato lettore di libri o spettatore di film di vario genere, sono attratto in particolare da tutte le storie che trattano avvenimenti che si dispiegano tra il possibile e l’impossibile con un confine tra sogno e realtà non ben definito.
Allo stesso tempo ciò che mi porta a scrivere storie è il profondo attaccamento per la mia terra e in particolare per Perugia, la città in cui sono nato, con il costante desiderio di approfondire e divulgare la storia dei suoi uomini, dei suoi monumenti della sua grande ricchezza culturale.
Mia profonda convinzione è che narrare storie o luoghi senza coinvolgimento emotivo del lettore può risultare molto noioso e non destare interesse.
Allora mi sono chiesto, perché non far rivivere attraverso un racconto di fantasia, avente come scenario luoghi esistenti, avvenimenti storici e personaggi realmente vissuti?
Ho pensato che un lettore coinvolto emotivamente in una storia ha sicuramente un maggior interesse a capire e approfondire la storia di un luogo, le sue bellezze artistiche e valenze culturali. 
Queste sono state le considerazioni che mi hanno guidato nello scrivere “L’enigma di Bernard Morris” e il mio precedente romanzo “Il bracciale e il pozzo etrusco”.


Quali sono le tematiche più importanti del tuo romanzo?

 “L’enigma di Bernard Morris” vuole portare il lettore a conoscere Perugia attraverso gli occhi di due giovani studenti attraverso una storia inaspettata ed intrigante. I luoghi e i monumenti attraversati dai protagonisti appartengono ad epoche differenti, dal III secolo a.C. fino al XVI d.C., l’intenzione è di far capire al lettore quale storia e quale ricchezza culturale possiede il capoluogo dell’Umbria. Chiaramente il romanzo può offrire solo poche informazioni dei luoghi incontrati dai protagonisti, ma lo scopo è di infondere nel lettore, con poche ma efficaci pillole descrittive, il desiderio di andare a visitare questi luoghi e di approfondirne storia e significati.    


Qual è il rapporto fra la scrittura e il resto della tua vita?

In questo momento la scrittura è uno dei miei principali interessi. Per oltre quarant’anni una intensa attività professionale, con trasferimenti in ogni parte di Italia, e la doverosa attenzione alla mia crescente famiglia, mi hanno lasciato poco tempo da dedicare alla scrittura, mia grande passione. In passato nei ritagli di tempo ho scritto brevi racconti, sempre insoddisfatto di non avere tempo per ampliamenti ed approfondimenti. Ora, prossimo alla pensione, ho molto più tempo e posso finalmente scrivere quanto nella mia vita ho pensato e sognato di raccontare, e mi sembra veramente tanto. Pertanto penso che seguiterò a scrivere libri per quanto la salute e la vita mi concederanno.


Che scrittori ti piacciono e ti ispirano? 

In generale scrittori che sanno miscelare con la giusta sapienza fantasia, sogno e realtà. Il mio preferito per il passato è Pirandello, per i tempi moderni Zafon e Dan Brown. Per altre tematiche di scrittura mi piace molto Steinbeck.  


Progetti futuri?

Vorrei seguitare a scrivere storie immaginarie, ma sempre con personaggi realmente vissuti e luoghi esistenti, relative ad altre città dell’Umbria. Ma in contemporanea vorrei allargare il campo a scritti di fantascienza basati sull’estrapolazione nel domani dei fatti che stiamo vivendo.



lunedì 11 maggio 2020

Intervista a Stefano Lazzari

Intervista a Stefano Lazzari, autore del romanzo “La pazienza della nemesi”, edito nella Collana Narrativa della Midgard Editrice.






Buongiorno, parlaci della tua nuova opera, come nasce?

Dopo  aver  scritto  “Vite  parallele”,  un  poliziesco  condito  di  fantatecnologia,  mi  intrigava  l’idea  di  realizzare  un  sequel,  utilizzando  gli  stessi  scenari  e  personaggi  con  qualche  sostanziale  aggiunta,  e  sostituendo  l’elemento  fantasy,  vero  filo  conduttore  della  narrazione  precedente,  con  la  feroce  perversione  dei  sentimenti  umani,  il  principale  motore  di  tutta  la  storia.  Anche  se,  così  come  avviene  nella  vita  reale,  il  tono  ondeggia  continuamente  fra  il  dramma  a  tinte  fosche  e  la  commedia,  che  nulla  vorrebbe  prendere  troppo  sul  serio,  nemmeno  se  stessa… 
 

Quali sono le tematiche più importanti di questo tuo nuovo libro?

In  parte  l’ho  già  accennato  prima… posso  aggiungere  che  tutti  i  detective,  sia  i  professionisti  (la  squadra  di  polizia),  che  i  “dilettanti”  (la  squadra  dei  medici)  sono  animati  dalla  necessità  etica  di  riportare  a  luce  la  verità,  qualunque  essa  sia;  ma  è  un  desiderio  tormentato  dal  sottile  timore  di  scoprirla  declinata  in  forme  non  convenzionali:  dove  il  male  non  emerge  soltanto  da  dove  tutti  ci  aspetteremmo,  ma  SOPRATTUTTO  da  altro,  l’impensabile  che  forse  è  nascosto  dentro  ognuno  di  noi.  E  da  questa  lacerante  contrapposizione  ho  cercato  di  far  sprigionare  la  maggiore  tensione  emotiva  di  tutta  la  storia…


Per la costruzione delle scene del romanzo, ambientato a Rimini, ti sei affidato anche ad esperienze di vita vissuta?

Per  quello  che  riguarda  le  atmosfere  degli  ambienti  cittadini,  litorali  compresi,  ho  sicuramente  attinto  alla  frequentazione  trentennale  della  città  e  delle  sue  spiagge…  per  quanto  riguarda  le  persone,  una  delle  due  protagoniste,  romagnola  doc,  riverbera  un’antica  conoscenza,  che  non  ho mai  dimenticato….


Progetti futuri?

Sto  scrivendo  un’altra  storia  di  detective,  stavolta  privati  (ma  la  Polizia  ci  metterà  il  naso…),  che  indagano  sul  furto  di  un’opera  d’arte,  o  meglio  di  una  sua  preziosa  copia,  che  cela  un  mistero:  e  saranno  in  molti,  a  volerlo  scoprire  a  qualunque  costo…




lunedì 4 maggio 2020

Natale 1832

di Roberto Cipolato





Era la vigilia di Natale del 1994. Fausto camminava lentamente, confuso nella nebbia lungo l’argine del naviglio vecchio infagottato in un pesante cappotto che aveva conosciuto tempi migliori.
Qualcuno quella sera gli aveva offerto da mangiare, tastò soddisfatto la tasca gonfia di pane.
Nell’altra mano stringeva una bottiglia di birra doppio malto, la sua coperta per quella notte.
Camminò a lungo verso la vecchia casa abbandonata alla periferia di Milano. Nessuno vedendolo avrebbe detto che sotto quei panni luridi si celava un laureato alla Sorbona, esperto letterato e prestigioso quanto conteso invitato dei salotti buoni, barbone per destino nel giro di qualche anno per via di un paio di disgrazie ben azzeccate dal fato.
Salì il primo dei tre gradini della casa diroccata quando senti una risata di donna giungere dall’interno. Sbirciò dentro dalle fessure dell’ uscio malandato: non era sola, con lei c’era un vecchio, cercavano di scaldarsi vicino a un paio di candele accese sul pavimento. Aprì la porta, bofonchiò un mezzo grugnito, probabilmente un buonasera, ma i convenevoli erano ormai parte del suo passato.
Quella era la sua casa da almeno tre mesi, l’aveva trovata lui e il senso del privato può essere feroce per chi ormai non ha più niente. Guardò negli occhi quei due sconosciuti e perse di colpo tutta la sua animosità, l’idea di cacciare quelle persone, all ’apparenza disperate quanto lui svanì in un attimo.
Attraversò l’ampia stanza dirigendosi verso una credenza malandata, l’aprì, infilò dentro la bottiglia di birra e richiuse rumorosamente lo sportello con fare da padrone. La donna sorrise notando che dell’anta era rimasta sola la cornice, ma il gesto era stato compreso. Da un angolo Fausto trascinò uno sgabello sfondato sedendosi vicino ai due estranei. Nessuno parlava, si sfregò le mani intirizzite sopra la fiamma della candela, il lieve tepore gli tolse per un attimo quel fare incarognito, cucito addosso come una seconda pelle. La donna lo guardò: “… è un pezzo che giriamo, e vista l’ora tarda, nella notte di Natale un ricovero sicuro è già un regalo. Mi chiamo Bianca e lui è Leonardo” disse la donna indicando il vecchio.
“Io sono Fausto, e da quasi cinque anni faccio questa vita che…” si meravigliò della sua stessa confidenza, fece per prendere la pagnotta ma poi, ripensandoci, ricacciò fuori la mano dalla tasca, quel tipo di vita non ti rende particolarmente generoso con gli altri. La donna si alzò lentamente dirigendosi verso la scala che portava al piano superiore. La maggior parte degli scalini era ormai sconnessa e il vecchio solaio di legno per lo più sfondato. Le stelle facevano capolino dagli ampi squarci del tetto ma almeno quella notte non sarebbe piovuto. Solo un angolo del piano superiore era riparato, dove Fausto aveva il suo rifugio notturno. Il letto, probabilmente vecchio quanto la casa aveva un materasso sudicio e diverse coperte piene di buchi disposte a strati. Bianca aveva lo sguardo perso chissà dove, si avvicinò nel buio all’imponente testata di ferro accarezzandola. Poco dopo scese con un borsone di tela, rimestò dentro prendendo alcuni involti. Leonardo non aveva ancora spiaccicato una parola, si dondolava lentamente fissando un punto del soffitto. La donna dispose alcune vivande vicino al tavolo davanti alla grande finestra centrale, l’unica con i vetri ancora intatti, vi stese sopra un canovaccio, tirò la tenda sudicia di panno pesante fissata a degli anelli arrugginiti. Lisciò con la mano due pieghe invisibili drappeggiandola alla bene e meglio. Fausto in quei mesi non l ’aveva mai notata una tenda la dentro, quei gesti di Bianca che ingentilivano l’ambiente gli fecero tornare in mente sua madre.
Bianca aveva modi umili e dignitosi nello stesso tempo, chissà chi era si domandò. Lei si girò, i suoi occhi avevano una malinconia di fondo in contrasto con la loro luminosità, le rughe agli angoli della bocca non sminuivano il sorriso piegato perennemente in una smorfia di mille tristezze, l’età era indefinita come di chi ne aveva passate tante. “Se hai della legna per far fuoco possiamo mangiare qualcosa di caldo” disse Bianca. Fausto uscì di nuovo scendendo in riva al naviglio, le piene di quell’inverno oltre alla solita spazzatura avevano portato gi ù parecchie cose che si potevano bruciare. Si incamminò lungo le sponde, le case erano rare in quella zona e le sterpaglie avevano la meglio ricoprendo ogni cosa lungo il canale. Raccolse un paio di casette di legno e qualche cartone.
Vi era un silenzio quasi innaturale, fuori del tempo, poi all'improvviso un lieve sciabordio provenì dal centro del canale, la nebbia che fluttuava leggera per un attimo si diradò, un piccolo barcarizzo con una lanterna a prua comparve sulla scena venendo pian piano verso di lui. Un omone, coperto da un pastrano d ’altri tempi stava in piedi a poppa, con una pertica spingeva l ’imbarcazione con gesti lenti e regolari.
“Bianca è già arrivata?” chiese l’uomo con una voce baritonale..
Fausto impaurito e sorpreso balbettò un sì.
Lo sconosciuto prese l ’affermazione come un invito, trascinò la barca sulla riva scoscesa, staccò dalla prua la lanterna e si diresse senza esitazioni verso la casa seguito da Fausto. La lanterna lanciava sciabolate di luce lungo il sentiero che Fausto seguiva meccanicamente sovrapensiero...
Non era abituato a passare la notte con tanta gente, e soprattutto, chi erano? Che ci facevano là, in effetti Bianca sembrava conoscere bene il luogo, ma cosa volevano da lui? In quella notte gelida la luna illuminava il vecchio edificio diroccato, per la prima volta lo osservò in maniera diversa. Nonostante le ingiurie del tempo non aveva l ’aspetto anonimo che hanno tante case abbandonate, le sue mura raccontavano una storia. A ricordo delle vestigia del passato rimaneva una torretta con i merli quasi intatti, un vezzo delle case padronali dell’ultimo secolo.

Estratto dal racconto "Natale 1832" di Roberto Cipolato, vincitore del Premio Giallobirra 2012, dall'antologia "Giallobirra 2012", Midgard Editrice