venerdì 24 luglio 2020

Intervista a Giulio Rosani

Intervista a Giulio Rosani, autore del racconto “La fine di un lavoro ben fatto”, secondo piazzato al Premio Midgard Narrativa 2020, edito nell’antologia fantasy “Hyperborea 4”, nella Collana Narrativa della Midgard Editrice.





Buongiorno Giulio, parlaci del tuo racconto, come nasce? 

Il personaggio di Hannah nasce tre anni fa, da una scena venutami in mente mentre stavo ascoltando “Magic Carpet Ride” degli Steppenwolf dopo aver finito una (forse troppo) lunga sessione del primo videogioco di The Witcher. La donna, allora ancora senza nome, sorprendeva un mostro rivelando che era in grado di scagliare fulmini e lo uccideva. Il come, dove ed il perché della scena non mi erano ancora chiari, ma l’idea era stata concepita.
Il racconto come lo si può leggere nell’antologia invece nasce mentre lo stavo scrivendo. Quando il bando per il premio è stato annunciato, avevo appena finito di vedere la serie Netflix di The Witcher ed il personaggio sopra descritto mi era tornato in mente. Ho deciso quindi di provare ad espandere la scena e scrivere una storia completa. Sono partito sapendo che la mia eroina avrebbe visitato un castello in cui risiedeva un mostro, che lei avrebbe dovuto uccidere, e da lì mi sono chiesto cosa sarebbe stato interessante leggere. Quando ho deciso che tipo di mostro abitava il castello, ho anche deciso che tipo di magia Hannah avrebbe usato. I due cavalieri sono stati aggiunti per esplorare una tematica a me cara: l’esperto che viene ingiustamente criticato da chi non ha esperienza o conoscenza in materia. Tematica che è purtroppo estremamente attuale al momento.
Le due linee guida principali che mi sono posto, erano che i personaggi rimanessero fedeli a loro stessi e che l’unico punto di vista accessibile al lettore fosse quello di Hannah. Il resto ho lasciato che fluisse dalla mia immaginazione mentre scrivevo.


Il racconto rientra nel genere Sword and Sorcery. Ti piace molto questo genere letterario?

Ho una preferenza verso il fantasy e la fantascienza quando si tratta di letture personali, ma non disdegno nessun altro tipo di ambientazione. Anzi, se dovessi definire il mio genere preferito e quello in cui mi sento più forte nella scrittura, direi che si tratta del genere romantico. Amo esplorare la relazione tra i vari personaggi e il perché non sempre questa funzioni tra ostacoli e circostanze interne ed esterne alla coppia in questione. L’ambientazione mi fornisce lo sfondo, ma non è il mio punto focale. Il genere che mi piacerebbe invece riuscire a scrivere con più disinvoltura è il giallo Hardboiled alla Raymond Chandler. Magari in una ambientazione Cyber-Punk, ora che ci sto pensando.
In poche parole, se la storia è scritta bene ed i personaggi interessanti, non presto molta attenzione al genere.


Qual è il rapporto fra la scrittura e il resto della tua vita?

Per ora la scrittura resta un hobby che posso praticare di tanto in tanto. Il lavoro di ricerca che faccio per il dottorato non mi lascia molte energie creative da dedicare alla stesura di una storia. Concorsi come il Premio Midgard mi permettono di trovare un momento per concentrare i miei sforzi e creare un racconto completo da inviare, ma in generale pianifico molto e riesco a scrivere poco.
Quando ho tempo di lavorare alle storie che ho “in cantiere”, dedico molto tempo ad informarmi su periodi storici e culture da cui prendere spunto per creare il mio personale mondo fantastico. Sin da piccolo, non sono mai stato in grado di leggere una storia senza chiedermi come l’avrei fatta continuare io e cosa avrei fatto per renderla più interessante per me. Da quando ho deciso di dedicare più tempo alla scrittura (parliamo dell’anno scorso, dopo aver partecipato al Premio Midgard Narrativa 2019) ho cominciato a leggere un libro o guardare un film con occhio critico dell’autore, domandandomi come e perché certe parti del racconto funzionano bene e cosa le rende belle.
Finito il dottorato vorrei riuscire a trovare un lavoro che mi permetta di avere abbastanza energia a fine giornata da poter lavorare con più costanza alle storie che ho in mente e trasformare questo hobby occasionale in qualcosa di più serio.


Che scrittori ti piacciono e ti ispirano?

L’unica scrittrice italiana che ho letto negli ultimi anni è Cecilia Randall, che ho scoperto a suo tempo quando sono usciti i primi volumi della saga di Hyperversum. Il suo stile ed i suoi personaggi riescono sempre a catturare la mia attenzione e spesso faccio fatica a mettere via il libro prima di averlo finito. Direi che lei mi fornisce la maggiore ispirazione quando voglio scrivere una storia in italiano.
Siccome però la lingua in cui preferisco scrivere è l’inglese, le mie fonti di ispirazione sono decisamente autori stranieri. Se parliamo di genere fantasy o fantascienza, Brandon Sanderson e David Weber sono due nomi che sicuramente hanno avuto e ancora hanno una grossa influenza su come approccio la stesura di una storia. Sanderson per la varietà e l’originalità del suo world building, Weber per come gestisce in maniera altamente scientifica le battaglie navali nello spazio presenti nella collana di libri che narra le gesta di Honor Harrington.
Da quando ho cominciato a prendere la scrittura seriamente, ho cercato di leggere il più possibile per avere uno spettro molto ampio da cui prendere ispirazione. E tra tutto quello che ho letto, sicuramente mi è rimasto impresso il mondo creato da David Hair (The Moontide Quartet, The Sunsurge Quartet). Al momento sto apprezzando molto Kings of The Wyld e Bloody Rose di Nicholas Eames e non posso infine non citare nuovamente Raymond Chandler, che mi fornisce la mia dose di giallo Hardboiled quando ho bisogno di una pausa dal fantasy.

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martedì 21 luglio 2020

Intervista a Marco Bertoli


Intervista a Marco Bertoli, autore del racconto “Dipinto”, vincitore del Premio Midgard Narrativa 2020, edito nell’antologia fantasy “Hyperborea 4”, nella Collana Narrativa della Midgard Editrice.





Buongiorno Marco, parlaci del tuo racconto, come nasce?

Buongiorno a Voi.  Prima di cominciare a rispondere, permettetemi di ringraziarvi per l’apprezzamento che avete avuto per la mia opera, al punto di considerarla meritevole del gradino più alto del podio. Come la quasi totalità della mia produzione letteraria, sia racconti sia romanzi, “Dipinto” trae lo spunto da una suggestione. Un mio conoscente si diletta di pittura, con risultati altalenanti dal discreto al passabile, e qualche tempo fa un comune amico volle scrivere per scherzo un articolo di valutazione delle sue espressioni artistiche. A conclusione dell’approfondita e aulica disanima critica si firmò con lo pseudonimo di Bartolomeo Caratto Podregher. Oltre all’essermi divertito nella lettura del pezzo, l’originalità e la melodia del nome mi affascinarono e decisi quindi di conservarlo in un cassettino della memoria in attesa dell’occasione per sfruttarlo. Quando ho cominciato a pensare a un racconto per partecipare al vostro Premio di narrativa, è balzato fuori all’improvviso, non chiedetemi il motivo perché non saprei spiegarlo, e ha ‘preteso’ che lo affibbiassi a uno dei protagonisti. Vista la sua origine, mi è venuto spontaneo immaginare che il così ‘battezzato bazzicasse il mondo della pittura ed è nata così l’idea di un collezionista di quadri dai soggetti particolari. Identificato l’antagonista, non ho avuto difficoltà a trovare i caratteri da opporgli e a delineare la trama.


I personaggi del racconto colpiscono molto. Ce ne vuoi parlare un po’?

Del ‘cattivo’ ho già parlato. Le avversarie sono un’elfa e la sua compagna di vita di cui ho scritto e pubblicato altre avventure.
Ardweena ingen mic Cróga de Iolair mac Sionnach clistey, Ardweena per gli intimi, ha tutte le caratteristiche fisiche, mentali e psicologiche che il canone Fantasy assegna alla sua specie. Ciò che la contraddistingue sono due particolarità. La prima consiste nel mestiere che esercita per guadagnarsi da vivere: è una ‘Kopfgeldjäger’, cioè una ‘Cacciatrice di taglie’. La seconda nel suo essere lesbica, aspetto che ha provocato il ripudio da parte dello sposo scelto per lei e l’esilio dai suoi simili. Aggiungo che alla rigidità nell’attenersi al codice d’onore che la vincola al rispetto dei contratti che stipula unisce la tendenza a concedersi ‘scappatelle’, nonostante ami con passione Artemisia.
Artemisia è una giovane donna, un tempo assistente di una guaritrice, che Ardweena ha salvato dalle grinfie del marito violento e dagli artigli di un Troll di spelonca. D’aspetto piacevole, ha un carattere sincero ed emotivo che spazia dall’avventatezza al presagire tragiche conseguenze per le azioni intraprese dall’amante. Pur rispettando la libertà dell’elfa, prova un sentimento di gelosia nei suoi riguardi.
Sehilde Pàipear an Anama è la necromante attorno a cui ruota la vicenda. Non desidero togliere il gusto di conoscerla ai lettori, quindi mi limito a rivelare che nei suoi secoli d’esistenza ha scoperto che l’immortalità non è poi una benedizione come si ritiene.


Che scrittori ti piacciono e ti ispirano?

L’elenco è troppo lungo. Sono un divoratore di libri e passo senza soluzione di continuità fra i vari generi perché mi piace esplorare e ‘guardare’ il mondo e la realtà da punti di vista differenti. Se costretto a sfrondare, direi che Dumas, Verne, Howard, Calvino, Steinbeck e Cronin sono il ‘brodo primordiale’ da cui mi abbevero.



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martedì 14 luglio 2020

Intervista ad Alexandra Fischer

Intervista ad Alexandra Fischer, autrice del racconto “Il deserto delle maschere”, vincitore del Premio Midgard Narrativa 2020, edito nell’antologia fantasy “Hyperborea 4”, nella Collana Narrativa della Midgard Editrice.





Buongiorno Alexandra, parlaci del tuo racconto, come nasce? 

Da un’idea venutami nel 1988. Ammiravo molto il genere fantasy già allora e a differenza di molti amici lettori appassionati credevo fermamente che non tutto fosse già stato scritto e ideato. E cominciai a buttare giù proprio qualche appunto in merito a questo racconto. È rimasto nascosto per tutto questo tempo perché all’epoca non c’erano le possibilità di oggi per mostrarsi come autori, era un universo che mi metteva molta soggezione. Devo all’avvento della tecnologia informatica, sotto forma di computer e Internet il fatto di aver cominciato a far circolare la mia produzione letteraria. Prima di riprendere in mano Il Deserto delle Maschere, mi sono formata disputando concorsi letterari on line e ho scritto altro, proprio perché ho sempre avuto una grossa insicurezza come autrice (anni di scrittura solitaria non aiutano. Oggi, ci sono concorsi letterari on-line che in questo aiutano parecchio gli autori alle prime armi. Penso alla Tela Nera, Minuti Contati).


Il racconto rientra nel genere Sword and Sorcery. Ti piace molto questo genere letterario?

Sì. Mi ricordo di essermi fermata a leggere il ciclo di Re Kull di Valusia di Robert Howard fino a notte inoltrata e lo stesso fu con le sue storie di Conan il Barbaro. Era l’estate del 1996 o giù di lì e io stavo preparando la tesi sulla poetica di Howard Phillips Lovecraft e leggere l’opera di Robert Howard fu per me una sorta di folgorazione, che mi portò anche a scoprire le storie di Fritz Leiber basate sulle avventure di Fafhrd e il Gray Mouser. Mi ci sono appassionata, certo, ma sempre rielaborandole nella mente (in pratica, immaginavo cosa ne sarebbe venuto fuori modificandole).


Qual è il rapporto fra la scrittura e il resto della tua vita?

Per me è un interesse spiccato. Ho cominciato a scrivere il primo racconto degno di nota nel 1980 (era un concorso di scrittura creativa bandito dalla mia scuola elementare e arrivai prima). E mi ha sempre tenuto compagnia ai tempi del liceo, dell’università e anche nei ritagli di tempo libero dal lavoro. Scrivo ogni giorno, ma prima leggo, di tutto. Anche in inglese, francese e tedesco.


Che scrittori ti piacciono e ti ispirano? 

Il primo in assoluto per me è Franz Kafka, scoperto nel 1980, poi ho letto di tutto, da Calvino, a Buzzati a Moravia, ma anche Tanizaki, Mishima, Murakami, Edgar Allan Poe, Marguerite Duras, Marguerite Yourcenar, passando anche attraverso Carlos Castaneda, Borges, Miguel De Unamuno, Saramago, ma anche Angela Carter, Marion Zimmer Bradley, Tanith Lee, ma anche Fabrizio Borgio, Ilaria Tuti.  Ho anche letto Grass, Bulgakov, Anatole France e Tommaso Landolfi. Ma apprezzo anche Asimov, Marco Buticchi e Matteo Strukul. E, in generale, tutti gli autori dei concorsi letterari ai quali partecipo, perché hanno il fascino della letteratura del futuro.  

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giovedì 2 luglio 2020

Una battaglia lunga tutta una vita

di Christan Efrem Iori




Tic. Tic. Tic... La freccia, la svolta a sinistra ed eccoci, davanti al grande cancello che si apre sul grande parcheggio dell’abitazione. “Finalmente a casa” pensò Chris mentre riponeva l’auto in garage. Era poco più di un anno che era andato ad abitare con la sua ragazza nella casa dei suoi nonni materni. Una tipica palazzina degli anni ‘60, avente sul retro, un orto tappezzato di olivi, forse l’unico pezzo di terreno rimasto nella zona. Il piano terra era l’appartamento della mamma, disabitato da anni, al primo abitavano i nonni, la mansarda invece era la casa in cui era andato ad abitare, sia perché molto più vicina al lavoro, sia perché lui e Moira avevano deciso di andare a convivere l’anno prima “per fare le prove generali” diceva lui, e nel brutto periodo di crisi economica in cui navigava la società, il buon cuore dei nonni aveva messo a disposizione quella casa senza chiedere nemmeno che pagassero le bollette.
“Perché non accettare e approfittare per stare vicino ai nonni?” pensarono prima di accettare, anche se avrebbero preferito fare da soli, perché si sa, quando si tratta di interessi, i parenti poi, non conoscono parentele. Ma seppur la loro priorità fosse quella di comprare casa, dovettero cambiare i loro piani perché con due stipendi, ma solo uno pieno, e due finanziamenti, non era facile di quei tempi avere prestiti per acquistarla.
Comunque era una casa elegante ed in buonissimo stato, rivestita di mattoncini rossi faccia vista nei tre piani superiori, mentre la pietra, sempre faccia vista, era stata utilizzata per il piano terra, dove fino alla fine degli anni ‘90, e per circa venti anni, i nonni di Chris avevano avuto un alimentari. La “Bottega” la chiamavano. Purtroppo poi, arrivarono proprio di fronte casa i grandi commercianti dei grandi circuiti merceologici, che ammazzavano le piccole attività, così decisero di chiudere a malincuore. Ogni volta che il periodo dell’infanzia tornava alla mente, Chris ricordava l’odore di salumi che aleggiava negli ambienti del negozio e sulle mani del nonno Walter, nonché gli sfilatinialla mortadella che la nonna preparava dietro al banco gastronomia, la radio grigia dell’epoca con una lunga antenna ed un tasto rosso, la grande bilancia e l’affettatrice, le paghette date di nascosto, ma che poi tanto nascoste non erano mai, le giornate passate dietro la cassa a giocare a fare il cassiere, il profumo da uomo alla fragranza di pino, perché all’epoca la ditta che produceva quel profumo abbinava la miniatura di un cavallino bianco, ed oltre ad essere il profumo del nonno, il cavallo lo aveva sempre affascinato. E poi come dimenticarsi della collezione di figurine dei calciatori. Figurine che rubava dai succhi di frutta insieme ai suoi fratelli, Dave e Tom entrambi più piccoli di Chris. Dave di quasi 2 anni e Tom di 3 anni e mezzo.
<Uff queste scale non finiscono mai. Sempre più lunghe> sbuffò affannato Chris raggiunta l’ultima rampa di scale.
Già salendo giocava ad indovinare cosa ci fosse per cena. Era inconfondibile l’odore del pollo arrosto con le patate che aleggiava nell’androne, e che Moira sapeva cucinare così bene. Aperta la porta quell’odore avvolgente lo investì, e gli aprì lo stomaco facendogli venire l’acquolina alla bocca.
<Ciao Amore, pollo e patate?> disse lui affrettandosi ad entrare in casa.
<Indovinato!> esclamò lei uscendo da dietro l’angolo della cucina ed avvicinandosi per accoglierlo con un bacio, con il suo solito sorriso. Era una ragazza minuta dalla corporatura snella ma mediterranea, con occhi color miele, la bocca sottile e piccolina, i capelli corvino lunghi alla schiena e la pelle olivastra, tanto che spesso la scambiavano per una bellezza asiatica, e lo stesso Chris, la prima volta che la vide, aveva creduto fosse straniera.
Chris si diresse dapprima nel ripostiglio per calzare un paio di pantofole ciniglia color beige che la mamma di lei gli aveva regalato il Natale precedente, poi andò in camera per indossare abiti più comodi, e passato per il bagno, raggiunse la ragazza che lo stava aspettando al tavolo per cenare. Insomma in quattro mosse aveva fatto il giro di casa.
Si salutarono ancora con un bacio e si sedettero. Erano abituali, lui sempre seduto alla destra di lei. Solitamente appena rientrato dal lavoro, Chris non parlava per i primi dieci minuti. Semplicemente prendeva il telecomando, impostava la sua trasmissione dell’ora di cena e iniziava a mangiare. Seppur Moira nel primo periodo di conoscenza non capisse perché facesse così, imparò ad assecondarlo, perché del resto era solo un modo per allentare le tensioni post lavoro, e prendersi qualche minuto di pausa dopo le fatiche della giornata. Quando era pronto per affrontare la conversazione, solitamente la avviava lui.
E comunque in quel piccolo appartamento, il silenzio, non stonava ma permetteva di godersi la tranquillità dell’ambiente.
Quella mansarda era piccola, accogliente, ben curata e ben arredata. I mobili li avevano scelti insieme un anno e mezzo prima, anche se Moira e le misure non andavano molto d’accordo e per questo c’erano stati dubbi sulla disposizione.
Avevano approfittato di un periodo in cui Chris doveva stare a casa per via di un incidente accorso sul lavoro, che gli aveva cagionato una frattura della caviglia. Era lo stesso periodo in cui Moira aveva trovato lavoro in un bar di un centro commerciale vicino al lavoro di Chris, motivo in più per andare a vivere insieme, considerando che Moira, vivendo con i genitori, era molto lontana da lì. Certo, non erano rose e fiori in quel posto, tanto che Chris spesso minacciava di parlare con quello zoticone del datore di lavoro.
<Se non te ne vai ci metto le mani io. Questo non è lavoro. Meglio mangiare pane e cipolla che vederti in queste condizioni, la dignità non la deve calpestare nessuno> le ripeteva.
Furono per lei mesi di sacrifici e bocconi amari, perché sottopagata e sfruttata.
“Per lo meno ho il denaro per permettermi i mobili” pensava lei. Sì, perché la loro filosofia era la condivisione di gioie e dolori, spese comprese. Fortunatamente, quell’impiego durò solo qualche mese, avendo avuto una proposta di lavoro molto più allettante da un’azienda di cosmetici e prodotti per la casa e per la persona. Ora faceva la commessa, ma quel lavoro le piaceva. Insomma, quei mobili erano nati dal sacrificio e per questo ancora più belli.

Estratto dal libro "Una battaglia lunga tutta una vita" di Christian Efrem Iori, Midgard Editrice 2020