sabato 29 settembre 2018

Storia di Perugia

di Paolo De Bernardi





E' questa una Storia di Perugia che non si cura solo dell'aspetto istituzionale e della macrostoria fatta di guerre, trattati, politica e istituzioni, ma anche della microstoria fatta di aneddoti, dicerie popolari, leggende e superstizioni, insomma di quell'aspetto della storia  che merita di essere salvata. Facciamo degli esempi. A Ferro di Cavallo esiste una via detta "sabatina", ma che è ormai smarrita dalla memoria storica dei cittadini. Chi sa oggi cos' era la "sabatina"?
Perugia in un racconto cavalleresco del XIV secolo è inserita in un contesto "tradizionale-metafisico": le forze del bene sono rappre-sentate dal Paladino Orlando, che, stabilito il suo quartier generale nel Tempio di S. Michele Arcangelo, libera la Città dalla tirannia di un pagano (incarnazione delle forze del male) e la restituisce alle consuete libertà popolari (topos cavalleresco tipico delle giostre medievali, ancor oggi rievocate, come la Quintana, dove l'anello da infilare col giavellotto è tenuto da un pagano). 
Perugia era Città rinomata nella Penisola, fino a Età moderna per il possesso  dell'unghia del Grifo, dalle dimensioni di un corno di bue, appesa al soffitto del Palazzo Comunale, dono del re di Francia… Quest’animale, caro ad Apollo, che riunisce in sé la forza terrestre  del leone e la regalità celeste dell’aquila, almeno fino al secolo XVII era ritenuto un animale realmente esistito, non solo in base a quanto riferito da autori antichi come Plinio, Virgilio e Dante, bensì anche sulla base della memoria storica. Felice Ciatti (1592-1642).... scrive: "Un’unghia di questa zampa [del grifo] è quella che oggi si conserva tra le cose più preziose del Palazzo dei Priori di Perugia , portata qui dal padre maestro Angelo del Toscano, Generale dei Minori Conventuali, che andando in sacra visita, giunto a Parigi ottenne dal re Carlo VII quell’unghia di stupefacente grandezza, forma e colore”. 
Non si poteva dimenticare l'importanza per la tradizione popolare della Battaglia dei Sassi, che insieme alla potenza militare faceva di Perugia nella Penisola "La Città più bellicosa che ci fusse". Litomachia” per i dotti, “sassaiola” per il popolo (una via le è dedicata a Ponte della Pietra), questo “gioco” era il più feroce e sanguinario che si tenesse in Italia. Si trattava di veri e propri addestramenti al combattimento, a cui tutti gli uomini validi partecipavano, collaudando manovre belliche per manipoli, nelle quali sopravvivevano le tecniche militari che furono della Roma classica. Potevano parteciparvi anche 2000 persone, divise in due fazioni (parte de sopra, che raccoglie le porte-rioni della parte alta della Città; parte de sotto, dove accorrono le porte-rioni basse). Anche i fanciulli dovevano combattere, per volontà ostinata dei padri, decisi a sottrarre i figli maschi all’influsso delle madri, per timore che crescessero molli.  
L'ultima Battaglia ci fu nel 1425, anno in cui S Bernardino da Siena (che fu più volte a Perugia, come predicatore) ne volle la proibizione. Molto famosa, tra Basso Medioevo e inizi Età Moderna, fu la cavalleria perugina, un corpo d'armata di spettacolare efficacia, tra le 800 e le 1500 unità, che faceva di Perugia città ricercata nelle alleanze militari. La Città fu anche famosa per "l'acquetta perugina", una soluzione a base di acetato di piombo, in grado di dare la morte alla vittima, in modo da sembrare una morte del tutto naturale. 
La prima banca d’Europa (anzi, primus in orbe, come dicono le fonti) nacque a Perugia nel 1462, chiamata allora Monte di Pietà e fatta nascere dai Frati Francescani, affinché anche i più bisognosi potessero accedere al credito ad un tasso di interesse intorno al 3%-5%; anzi, secondo il Pellini i più poveri potevano aver denaro anche senza interesse, purché avessero un pegno da lasciare a garanzia del prestito. L’edificio è al n. 6 di via Oberdan. 
Oggi Perugia è associata all'immagine e al sapore del cioccolato, ma in questi secoli di cui stiamo parlando era famosa per le lasche del Trasimeno, conosciute come le migliori in assoluto che si potessero trovare. 
Come non ricordare, tra gli illustri, Ignazio Danti, che nel 1582 partecipò alla riforma del calendario giuliano, voluta da papa Gregorio XIII, tuttora in vigore nei paesi occidentali? (Il suo avo Giovan Battista, agli inizi dello stesso secolo, pare abbia fatto una trasvolata del Trasimeno, la prima che si ricordi nella storia!). Nella città che fu seconda sede dei papi, dove si tennero 5 conclavi che elessero altrettanti pontefici, le manifestazioni religiose erano grandiose. 
Basti ricordare le Missioni: che avevano dello spettacolare e del fascinoso. Potevano durare anche dieci giorni, durante i quali ogni piazza o addirittura ogni angolo di piazza aveva il suo predicatore. Le intere giornate, ma anche le notti avevano un fitto calendario liturgico. Le confessioni fatte durante l’intera notte favorivano l’esplorazione delle tenebre della coscienza (in una missione se ne potevano fare anche 12.000). Le processioni avevano un crescendo drammatico: sfilavano in testa le pubbliche autorità scalze e con la corda al collo; seguivano uomini incappucciati, curvi sotto enormi croci di legno; alcuni a dorso nudo che si fustigavano; al lume delle torce inquietate dal vento, comparivano meretrici pentite; altri che portavano in mano dei teschi, seguiti da penitenti coronati di spine. E mentre i predicatori tuonavano sui temi del peccato, dell’ira divina e dell’espiazione, la lunga processione faceva da contralto, litaniando i miserere e invocando pietà. Da un punto di vista della storiografia ufficiale, ricordare che personaggi illustri della scienza, dell'arte e della cultura in generale sono passati per Perugia e vi hanno soggiornato è quantomeno inutile, se non fastidioso, ma per la memoria storica della Città sapere che Lutero (vi disse messa 2 volte), Galileo, Leopardi, Goethe, hanno soggiornato a Perugia e in che occasione, può essere importante; come ricordare  Benedetto Croce  che qui scriveva la sua Estetica, D'Annunzio, ecc. 
Non solo i famosi, ma anche quelli immeritatamente ignoti andavano ricordati, come Giuseppina Pasqua (Verdi la riteneva la migliore esecutrice delle sue opere e per ascoltarla nell'Aida Wagner fu a Perugia, nel 1880), come Paolo Lancellotti ("il Triboniano del diritto canonico"), il celeberrimo (a livello europeo) cantante Baldassarre Ferri, il fisiologo Ruggero Oddi (più famoso all'estero che in patria, scopritore di quella parte finale del coledoco che porta il suo nome) e altri ancora. 
Prima del Jazz Perugia era nota nel mondo per una manifestazione musicale ora passata in secondo piano. E’ del 1937 la fondazione della “Sagra Musicale Umbra”, una manifestazione dedicata alla musica sacra e volta a diffondere un’immagine di Perugia e dell’Umbria quali centri di religiosità e misticismo. Sospesa nel 1939, la Sagra fu ripresa dopo la Guerra, sotto la direzione di Aldo Capitini e Francesco Siciliani. Giornali esteri, nel 1949, scrissero che la Sagra era la più importante manifestazione musicale d’Europa. 
Un'ultima curiosità. L’attuale Fiera dei Morti, che si tiene in Pian di Massiano (nei pressi dello Stadio), i primi giorni di novembre, è nel suo genere un vero monumento storico, se si pensa che le sue origini si perdono nel Medioevo. 
Già nel 1260 vi erano documenti che facevano riferimento a questa Fiera (allora chiamata d’Ognissanti) come assodata consuetudine. 
Nel corso dell’Ottocento cambiò nome in Fiera dei Morti e ancora oggi i venditori vi giungono da ogni parte d’Italia.


PAOLO DE BERNARDI, Storia di Perugia, Midgard Editrice, Seconda edizione (2009, ristampa 2017)



giovedì 27 settembre 2018

Intervista a Ramona Saperdi


Intervista a Ramona Saperdi, autrice del libro “Platoniche Emozioni”, edito nella Collana Poesia della Midgard Editrice.




Buongiorno, la tua opera ha vinto il Premio Midgard Poesia 2018. Sei contenta? Com’è nata questa opera?

Buongiorno a te! È stata una grande soddisfazione. Scrivere poesie è difficile e vincere un premio poetico ancora di più. Sono contenta di avercela fatta e mi sto ancora godendo la vittoria.
Questa raccolta è nata da una serie di incontri casuali che mi hanno spinto a mettere nero su bianco le mie emozioni. È assurdo come, alcune volte, delle persone anonime riescano ad insinuarsi nella tua vita, è anche grazie a loro che devo la vittoria.

 
Il titolo ci parla di “platoniche emozioni”. Cosa significano?

Sono poesie nate da emozioni di un attimo, da incontri fugaci, da delle chiacchierate “on line”.
Questa raccolta parla di loro, di come mi hanno fatta sentire e di come in un impeto primordiale, attraverso la scrittura, le ho vissute. Protagonisti immancabili sono la musica, la scrittura e la natura che da sempre mi ispirano, ma questa raccolta racconta di anime e di come sono entrate in me. Alcune sanno di essere le protagoniste, altre no. La più importante purtroppo mi ha lasciata qualche anno fa, ma ovunque ella sia sono sicura che le mie parole le arriveranno.
 

In copertina campeggia un quadro di Monet. Ami molto la pittura? E come si intreccia con la tua scrittura?

Monet è da sempre il mio pittore preferito, ma amo tutta l’arte in generale. Io stessa ogni tanto mi diletto a dipingere e mi piace scoprire nuovi e giovani artisti che ne fanno un lavoro e alcuni sono davvero bravi. Nella raccolta è presente una poesia che rimanda alla pittura, ma in chiave erotica.
Se volete saperne di più…beh dovete acquistare il libro!
 
 
Dopo la pubblicazione di questo tuo secondo libro di poesie pensi di continuare a scrivere componimenti poetici o di tornare a scrivere racconti?

Assolutamente sì. Non mi vedo come una Poetessa, mi definisco “una ragazza che scrive poesie”, ma questa vittoria mi ha regalato fiducia e spero un giorno di vedere quest’appellativo al fianco del mio nome.
Sono tornata a scrivere racconti e sto lavorando alla stesura di un romanzo fantasy. La scrittura è un’arte che ho fatto mia e fin quando avrò sogni e aspirazioni continuerò a viverla.







sabato 15 settembre 2018

Appunti di letteratura disegnata

di Virio Cau


Maria

Maria,
mentre osservi
allo specchio,
la tua acerba bellezza,
incoronata col pane nuziale,
guardi lontano,
per trovare anche per te
quella felicità,
la stessa,
in quel giorno speciale.



Eleonora

Eleonora sovrasta la sala
dall’alto dei suoi
notevoli centimetri.
E dall’esile figura
longilinea, si liberano
note potenti e graffianti.
Anch’esse sovrastano di musica
il locale, avvolgendolo
di melodie,
in un surplus
di accordi struggenti,
e ritmi di blues.



Piccole ospiti
Abitano nel parco
due piccole
ospiti.
Mancava un giardiniere
per raccogliere
le foglie secche.
Perché
non approfittarne?
Dicono felici
le caprette.


Illustrazioni di Virio Cau
Disegno di copertina di Dhevid Cau





giovedì 13 settembre 2018

Totentanz

di Gianluca Ricci



19.

DEDICATA AD ANTONIA POZZI

Non hanno sangue più le tue vene
 In questi giorni in cui il tramonto
 È prima dell'alba e la notte sorge
 A mezzogiorno.
 Il freddo vento che ti culla
 E ti stordisce è solo l'apice,
 La metafora della tua vita.
 Non vi sono acque risorgive per te,
 Non lenti temporali, ma immoto stare
 Come d'un affogato sotto lo scorrere
 Delle onde. Immotivato il gesto,
 Immotivata una vita senza amore.

17.9.2016



34. 

PIAN GRANDE, CASTELLUCCIO DI NORCIA

Allora era estate
 Ma non faceva caldo
 Quindi, forse, si era
 Ancora agli inizi della stagione
 O il clima era proprio così
 E tu andavi davanti a me
 Ed io dietro a te in fila indiana
 Tra le alte erbe del prato
 O forse era all'incontrario
 Non ricordo bene
 Seguivamo uno stretto sentiero,
 Ma ricordo i fiori della Piana
 Il rosso dei papaveri
 Le genziane, l'erba medica
 Forse nascosti steli di zafferano
 Ed il cielo ancora più alto
 Nonostante fossimo in alto
 Eravamo, ti cito ancora una volta,
 Sul bordo dell'universo.
 Come era strano amarsi cosi
 Correndo tra l'erba
 E le folate del vento
 E nient’altro che parlasse a noi.

18.12.2016


90.

Io sono la volpe
  Che cova nel grano
Tu sei l’aquila
  Che vola sopra le nubi
Io sono l’albero
  Che s’invela di fiori
Tu sei il pesce
  Che nuota nei fiumi
Io sono la polvere
  Che tutto scolora
Tu sei il vento
 Che scioglie i capelli
Io, tu dove saremo
 Se la terra continuerà a girare

24.5.2017

Poesie tratte da "Totentanz" di Gianluca Ricci, Midgard Editrice 2017




martedì 11 settembre 2018

Ferro su ferro

di Andrea Guizzardi



Il rientro in Polizia per Attilio nel marzo del 1993 fu molto malinconico e all’insegna delle grandi assenze. D’altronde, si era già immaginato, senza dover ricorrere a eccessivi sforzi di fantasia, che non avrebbe trovato nessuno intento a srotolargli il tappeto rosso al momento dell’ingresso in Questura.
Infatti il Questore era impegnato, il Vice Questore Vicario in ferie, il Vice Questore aggiunto in missione, i Commissari indaffarati a coordinare importanti operazioni investigative, gli Ispettori al seguito dei commissari e i Vice Ispettori a presidio di un quartiere a rischio con buona parte degli assistenti.
Ad accoglierlo c’erano soltanto il giovane piantone nella guardiola, un paio di amministrativi intenti a portare dentro e fuori dall’archivio alcuni carrelli stracolmi di fascicoli impolverati e oggetto di grande interesse per i roditori, nonché un funzionario vicino alla pensione, assegnato da qualche giorno all’ufficio ricezione denunce e immerso con totale disinteresse nella vicenda di un’anziana signora, a cui era stato sottratto per dispetto un vaso da parte del vicino di casa.
“Che splendido benvenuto; si vede che mi stavano proprio aspettando”. Immaginarsi il deserto come un luogo avventuroso e non privo di un certo fascino non è come attraversarlo nella realtà sotto il sole cocente e senza rifornimenti. La desolata solitudine raramente fa coppia con una sana giovialità.
Attilio fu riconosciuto dal giovane piantone, che, non appena lo vide arrivare, gli corse incontro per stringergli la mano e complimentarsi: ”Bravo lo stesso Guercioni. Lei ha pur sempre conquistato una medaglia di grande valore, dando lustro alla Polizia italiana nel mondo”.
Era un caso di candida e sana ingenuità o, invece, il piantone lo stava prendendo per i fondelli? Non volendo approfondire l’argomento, onde evitare di iniziare subito la nuova avventura con il piede sbagliato, Attilio cercò di non indagare troppo, limitandosi a dire: “Per sua fortuna la Questura sembra deserta e nessuno dei superiori la può sentire, ma non credo di essere in cima alle preferenze di chi comanda in questo luogo. Con ogni probabilità lei rappresenta una sparuta minoranza; sta di fatto che io ho avuto la mia chance e me la sono giocata male. Lei cerchi di essere più realista e sfrutti meglio di quanto non abbia fatto io le occasioni che le capiteranno”.
“Lei è troppo pessimista. La vita dà e la vita prende – diceva sempre la mia adorata nonna -, per cui vedrà che non tutto è da considerarsi perduto”, rispose il giovane piantone con un entusiasmo enfatico e quasi fastidioso.
“Sarà anche così, ma non ne sono molto convinto. Ho abbandonato per strada la mia ingenuità da molto tempo e gli ultimi mesi della mia vita non hanno fatto che confermarmi quanto sia sbagliato credere nelle storie a lieto fine e nella generale bontà degli altri esseri umani. Lei forse ci crede ancora?”
“Nelle favole ovviamente no, ma nella bontà nascosta in ogni animo umano sì”.
“Benissimo, buon per lei. Quando si è più giovani, c’è una maggiore predisposizione al pensiero positivo e ottimistico. Per uno come me, purtroppo, le cose sono un po’ diverse, ma è ormai inutile piangersi addosso”, disse Attilio, il quale, per defilarsi da quell’approccio eccessivamente mieloso, cercò di riportare la conversazione al reale motivo del suo arrivo in Questura e chiese: “Per tornare più sul concreto, mi potrebbe gentilmente indicare a quale stanza sono stato assegnato e se qualcuno mi ha lasciato dei compiti da svolgere?”.
Dopo che il piantone ebbe scartabellato tra i fogli sparsi sul tavolo della guardiania, spuntò sotto il telefono un pezzo di carta mezzo strappato e parzialmente stropicciato, alla vista del quale il giovane di guardia parve illuminarsi: ”Vada in fondo a sinistra superando la scala e prenda l’ultima porta sulla destra; lì troverà la sua stanza. Non si può sbagliare, perché di fronte c’è l’ingresso del bagno con le figure stilizzate dell’uomo e della donna”.
Dopo aver ringraziato il piantone per la precisa e puntuale indicazione e aver pensato che la collocazione nei pressi della ritirata fosse estremamente sintomatica del grado di considerazione di cui stava godendo, Attilio, giunto dinanzi alla porta, emise un sospiro di rassegnazione e varcò la soglia della stanza.
La camera era buia, polverosa, potenzialmente spaziosa, ma di fatto resa angusta dalle scaffalature ricolme di faldoni, che circondavano in modo opprimente una piccola scrivania in formica dal colore verdino pallido. Quest’ultima era segnata dalle incisioni simil rupestri realizzate da ignoti autori nel corso degli anni e concernenti in prevalenza argomenti di grande interesse generale, quali i tormenti dell’amore (Michela ti odio; Gennaro sei the best), il rutilante mondo della musica internazionale (W i Duran Duran e no a Claudio Villa; Nick Kamen sei un figo; Madonna è una gran donna; c’è solo Vasco) e le preferenze calcistiche (Maradona e Napoli buuuu, Milan tiè, Juve ladri e Inter fai schifo).
Sulla scrivania decorata da queste scritte – l’indubitabile eredità di una civiltà davvero impegnata - faceva bella mostra di sé un foglio bianco in formato A4 e vergato a biro, sul quale qualcuno premurosamente aveva lasciato ad Attilio un breve elenco delle cose da fare: “Inizi pure da dove vuole, il lavoro non le mancherà. Sono tutte pratiche chiuse che devono essere catalogate e poi sistemate in vista del loro definitivo trasferimento in archivio. Buon rientro Guercioni!”.
Incerto se interpretare il messaggio come un atto di incoraggiamento o come un’altra palese canzonatura, Guercioni decise di prendere da subito confidenza con il suo nuovo luogo di lavoro. Per questo motivo cercò l’interruttore della luce, sino a che lo trovò nascosto dietro uno scaffale; quando lo premette, dopo essersi incuneato vicino al muro, si avvide della presenza di un timido neon, che a intermittenza emanava una luce opaca e sporcata da sfumature di grigio polvere.
Nonostante il luogo infondesse un’abbondante dose di tetraggine e desse l’impressione di essere una di quelle stanze abbandonate da tempo da ogni forma di vita umana, Guercioni cercò di farsi coraggio. Almeno gli era stata risparmiata la collocazione nel sottoscala. Quest’ultima era stata infatti riservata a tale Paronzo, distintosi nel corso degli anni per una serie infinita di sciocchezze di vario genere, tali da avergli consentito di aggiudicarsi quell’ambitissimo luogo di lavoro per ampio distacco su tutti i possibili concorrenti.
Di positivo c’era che Attilio avrebbe potuto gestirsi in piena autonomia, scegliendo liberamente da dove cominciare e come procedere, perché nessuno si sarebbe preso la briga di effettuare chissà quali controlli. Di negativo c’era, invece, che le scarne istruzioni ricevute, unitamente all’amena sistemazione logistica, rappresentavano in modo sin troppo palese l’ennesima dimostrazione di quanto la sua persona fosse poco benaccetta in Questura: del resto, cos’altro avrebbe potuto attendersi di diverso un manesco secondo classificato all’Olimpiade, sconfitto da un signor nessuno, carente di autocontrollo e poco incline a fare squadra?


Estratto dal romanzo "Ferro su ferro" di Andrea Guizzardi, Midgard Editrice 2018

www.midgard.it/ferro_suferro.htm







venerdì 7 settembre 2018

Recensione di Libellula

di Davide Zaffaina




"Libellula", Lisa Bresciani, in "Hyperborea 2" (Midgard, 2018)


Anche in questo urban fantasy sovrannaturale, le apparenze ingannano e le convinzioni della protagonista, Cami, si sgretolano dolorosamente una ad una sotto i colpi della dura realtà, una prima tra tutte, la più vera tra tutte: “se non credi nel Diavolo, sappi che lui crede in te”.
Lisa Bresciani, autrice bolognese, è capace di intridere il suo racconto di emozioni talmente forti da portare il lettore a credere che siano frutto di una sua esperienza in prima persona… Forse è davvero così?
Ogni personaggio ha una psicologia ben definita ed in continua evoluzione frutto del suo passato che interagisce con gli eventi che la storia racconta dando forma alle decisioni che la protagonista, in particolare, dovrà prendere. Scelte e decisioni il cui impatto psicologico ed emotivo viene poi ripreso dall’autrice e sviluppato in maniera molto convincente.
Sono temi profondi quelli che Lisa Bresciani ha deciso di affrontare: la perdita violenta dei genitori in tenera età e le sue conseguenze sulla vita della protagonista; la perdita della fede religiosa e il ritrovamento di una nuova e profonda spiritualità; l’importanza dell’amicizia e l’importanza di non darla mai per scontata.
Temi che si amalgamano in un crescendo di consapevolezza che la protagonista acquisisce nell’unico modo in cui la vita ci insegna le cose, quello più efficace ma anche quello più duro, la sofferenza. Ma se c’è un messaggio che questo racconto vuole lasciarci a caratteri cubitali, è che tutto il male che può capitarci, tutta la sofferenza e tutta la crudeltà che la vita ci riserva può servire ad insegnarci  a credere che al di là di questo c’è un bene più grande che possiamo afferrare se siamo pronti a spiccare il volo come una libellula.
“Libellula” di Lisa Bresciani si legge tutto d’un fiato , merito di un concatenarsi di eventi dal ritmo serrato e di una narrazione snella ed efficace capace di descrivere con parole semplici e frasi dirette emozioni, come dolore ed eroismo, che puntano dritte al cuore di ogni lettore.

D - “Libellula” è ambientato tra Bologna e Castiglioncello: perché proprio questi due luoghi? Hai un legame particolare con questi luoghi?
R - Si, è esattamente così: ho un legame con questi luoghi. Sono nata a Bologna e mio padre è originario di questa magnifica città. Ho passato i primi anni della mia vita tra le sue strade, i suoi musei e le sue abitazioni. E tuttora è sempre un piacere tornarci.
A Castiglioncello invece non sono mai stata, essendo un paese dell'Appennino tosco-emiliano ormai abbandonato, ma mi sono ispirata a Rocca di Roffeno, altro incantevole luogo di quelle zone in cui la mia famiglia da sempre possiede una casa per le vacanze.

D - Le tematiche che tratti in questo racconto, sono tematiche a te molto care mi sembra di capire; Cami vive emozioni e prova sentimenti che anche tu hai provato in prima persona?
R - Sì, il personaggio di Cami e soprattutto alcune delle sue emozioni mi appartengono.
Ogni volta che scrivo metto sempre un po’ di me, un po’ di Lisa, nei personaggi, soprattutto in quelli femminili. Cami è giovane e in costante ricerca di un ruolo nel mondo, dopo un'infanzia non proprio semplice. E questo cammino verso la parte più intima di sé viene ostacolata da un senso di smarrimento e diversità prodotti dalle persone che le stanno accanto. Lei stessa si rivede in parte nella vita dell'anziana del paese, emarginata ed allontanata perché mal vista e "accusata di stregoneria" dai suoi compaesani.
Più che la vita della protagonista, è il messaggio etico a cui fa riferimento il racconto ad appartenermi. Siamo esseri unici e irripetibili e per questo degni di rispetto in ogni nostra scelta di vita che non nuoccia l'altro; spesso il male e la negatività assumono forme e volti davvero inaspettati mentre il bene, la pace e l'armonia risiedono in cuori a cui non siamo soliti prestare cure e attenzioni.


www.midgard.it/hyperborea2.htm




mercoledì 5 settembre 2018

I boschi sacri e l'albero cosmico

Un saggio sulla Tradizione Germanica e Nordica
di Fabrizio Bandini






I boschi sacri nella Tradizione Indoeuropea vengono visti come templi naturali da tempi arcaici e primordiali.

Questa concezione si ravvisa dall’Islanda all’India, poli opposti, ad ovest e ad est della grande espansione dei popoli Indoeuropei.

L’Europa stessa era una terra ricoperta da folte foreste, come ricorda Frazer: “Agli albori della storia, infatti, l’Europa era ammantata di gigantesche foreste primordiali, le cui poche radure dovevano apparire come isolotti in un oceano di verde. Fino al I secolo a. C. la Selva Ercina partiva dal Reno estendendosi verso est, per una distanza immensa e sconosciuta; i Germani, ai quali Cesare si rivolse per averne notizie, avevano viaggiato per due mesi attraverso quella selva, senza vederne la fine. Quattro secoli dopo l’imperatore Giuliano si recò a visitarla e la solitudine, la cupezza, e il silenzio di quella foresta, lasciarono una profonda impressione nella sua natura sensibile, tanto da fargli dichiarare che nulla di simile esisteva, secondo lui, nell’impero romano” (1).

Fra le popolazioni germaniche, importante ramo degli Indoeuropei, la concezione del bosco sacro come tempio naturale è particolarmente evidente.

Tacito scrive nel De Germania a proposito delle popolazioni teutoniche: “Non ritengono inoltre, conforme alla maestà degli Dèi il racchiuderli fra pareti, né il ritrarli in alcuna forma che ricordi l’immagine umana; consacrano alle divinità boschi e selve e danno nome di Dio a quell’essenza misteriosa, che solo un senso religioso fa loro intuire” (2).

Quando i Romani e i Greci già avevano innalzato templi e raffigurato gli Dèi con statue e dipinti, i popoli germanici erano legati ancora in larga parte all’usanza arcaica di non raffigurarli e di considerare templi, spazi sacri, alcuni boschi, con i loro alberi e le loro pietre, altari naturali.

Solo in epoca più tarda sorgeranno numerosi templi agli Dèi, come quello celebre di Gamla Uppsala (Vecchia Uppsala), con le tre statue di Þórr, Óðinn e Freyr, come narra Adamo da Brema  nella sua Gesta Hammaburgensis Ecclesiae Pontificum (3).

Accanto al tempio di Uppsala sorgeva fra l’altro un bosco sacro in cui venivano compiuti copiosi sacrifici agli Dèi, come racconta lo stesso Adamo da Brema.

Chiesa Isnardi afferma: “Secondo una credenza diffusa tra tutte le tribù germaniche il bosco è luogo sacro in cui dimorano e si manifestano le potenze sovrannaturali. Per questo i rituali dei Germani ebbero luogo nei boschetti sacri, prima che nei templi” (4).

E ancora: “La diffusione del concetto del bosco come luogo sacro e sede di sacrificio è testimoniata inoltre dai numerosi toponimi i cui compare il termine per ‹‹bosco››: soprattutto lundr (m.), ma talora anche viðr (m.). In molti di essi è facilmente riconoscibile il nome d’una divinità che in quel luogo doveva essere adorata” (5).

Turville Petre scrive: “È notevole che le parole usate in lingue germaniche per luogo di culto o tempio, avessero spesso il significato di ‹‹bosco››. L’antico alto tedesco harug è reso in latino con fanum, lucus, nemus, ed il corrispondente antico inglese hearg, comunemente usato per ‹‹tempio›› o ‹‹idolo›› aveva pure il significato di ‹‹bosco››. L’antico inglese bearu e parole in relazione a esso variano alternativamente significati come ‹‹foresta, bosco sacro, tempio››. Il gotico alhs (tempio) è messo in relazione a parole che significano ‹‹bosco sacro››” (6).

Tacito narra inoltre: “I Senoni sono considerati come i più antichi e nobili dei Suebi; la prova di questa loro antichità è confermata da un rito religioso. In un’epoca determinata si raccolgono, per mezzo di delegati, in una foresta sacra per i riti degli avi e per vetusto e religioso terrore, i popoli dello stesso nome e della medesima stirpe” (7).

In quel bosco si facevano sacrifici al Dio supremo (regnator omnium deus), che è da identificarsi con tutta probabilità con Wotan, e il rito vorrebbe rappresentare “che di là ebbe principio la stirpe, che là risiede il dio che regna sovrano e che tutto il resto è suddito a lui e gli obbedisce” (8).

Il bosco sacro è quindi sede degli Dèi, luogo di sacrificio, ed è anche luogo iniziatico per eccellenza, dove si devono affrontare dure prove e forze pericolose.

Nel bosco si va anche a trovare la bacchetta magica, come narra lo Skírnismál:

“Al bosco sono andato
nell’umida foresta,
la magica verga a prendere;
la magica verga ho preso” (9).

Come sottolinea la Chiesa Isnardi il bosco è nella Tradizione Nordica (parte integrante di quella Germanica) anche “spazio protetto dove appartarsi per un periodo di rigenerazione in attesa di entrare in un nuovo ciclo di vita” (10).

Nel Gylfaginning si racconta come durante il Ragnarök:

“Nel bosco detto di Hoddimímir, due persone si nasconderanno dalla fiamma di Surtr. Così si chiameranno: Líf e Leifþrasir. Essi avranno la rugiada del mattino come cibo e da loro verrà una progenie così grande che popolerà tutto il mondo” (11).

Finita l’orrenda distruzione del Ragnarök (il Fato delle Potenze, ovvero il Fato degli Dèi), chiuso il ciclo, comincerà quindi una nuova Età dell’oro, e le stirpi nordiche risorgeranno da quel bosco sacro.


È da ricordare inoltre, come bosco sommamente sacro nella Tradizione Nordica, Glasir, lo splendente, “del quale si dice che sta in Ásgarðr davanti alle porte della Valhalla e ha foglie di oro rosso” (12).


Fra i molti alberi del bosco alcuni sono particolarmente importanti, come il Frassino, la Quercia, il Tasso, l’Olmo, il Melo, il Noce, il Nocciolo e il Vischio.


Il Frassino è il più eccelso di tutti nella Tradizione Nordica, in quanto è l’Albero Cosmico, Yggdrasil.


Nella Voluspá è scritto infatti:



“So che un frassino s'erge
chiamato Yggdrasill,
alto albero asperso
di bianca argilla.
Di là viene la rugiada
che cade nella valle,
si erge sempre verde
su Urðarbrunnr” (13).

E ancora:

“Ricordo i giganti
nati in principio,
quelli che un tempo
mi generarono.
Nove mondi ricordo
nove sostegni
e l'albero misuratore, eccelso,
che penetra la terra” (14).

E ancora:

“Da quel luogo vengono fanciulle
di molta saggezza,
tre, da quelle acque
che sotto l'albero si stendono.
Ha nome Urðr la prima,
Verðandi l'altra
(sopra una tavola incidono rune),
Skuld quella ch'è terza.
Queste decidono la legge,
queste scelgono la vita
per i viventi nati,
le sorti degli uomini” (15).

Così appare il frassino cosmico Yggdrasill nelle tre stanze della Voluspá citate, immenso ed eccelso albero, axis mundi, che sostiene tutti i nove mondi.
Qui siamo nel cuore della Tradizione Nordica.
Intorno ad Yggdrasill ruota l'intero Cosmo, con i suoi nove mondi:

Ásaheimr (il mondo degli Æsir, chiamato anche Ásgarðr, dal nome della rocca degli Æsir)
Álfheimr (il mondo degli Álfar)
Miðgarðr (il mondo degli uomini)
Jotunheimr (il mondo degli Jotnar)
Vanaheimr (il mondo dei Vanir)
Niflheimr (il mondo del ghiaccio e della nebbia)
Múspellsheimr (il mondo del fuoco)
Svartálfaheimr (il mondo dei Døkkálfar e dei Dvergar)
Helheimr (il mondo dei morti)

Ad una delle sue radici sorge la fonte di Urðarbrunnr, luogo eccezionalmente sacro, in cui vivono le tre Norne, Urðr, Verðandi e Skuld, le Signore del Fato, che decidono i destini degli uomini.
Essa è la prima delle tre radici del frassino cosmico.
Nel Gylfaginning è scritto:

“Quindi parlò Gangleri: “Dove si trova la residenza principale o il luogo più sacro degli dèi? ”
Rispose Hár: “Si trova presso il frassino Yggdrasill. Là gli dèi devono tenere il loro consiglio ogni giorno”.
Quindi parlò Gangleri: “Cosa c'è da dire di questo luogo?”
Allora disse Jafnhár: “Il frassino è di tutti gli alberi il più imponente e il migliore; i suoi rami si estendono su tutto il mondo e sovrastano il cielo.
Tre radici sostengono l'albero e si protendono per vasti spazi: una va fra gli Æsir; un'altra fra i Hrímþursar, là dove un tempo c'era il Ginnungagap.
La terza si stende sopra Niflheimr; sotto questa radice si trova Hvergelmir e Níðhoggr la rosicchia dal basso.
Sotto la radice che si dirige verso i Hrímþursar c'è Mímisbrunnr, ove sono conservate saggezza e intelligenza.
Si chiama Mímir colui che possiede la fonte: egli è pieno di sapienza, poiché beve alla sorgente con il corno Gjallarhorn.
Là andò Allfoðr e chiese di bere dalla fonte, ma non gli fu concesso prima di aver lasciato in pegno un suo occhio” (16).

Il frassino cosmico Yggdrasil sta quindi al centro dell’universo e lo sostiene, partecipando di tutti gli stati dell’essere: il Cielo, la Terra e gli Inferi, ovvero i tre mondi in cui suddiviso il Cosmo nella Tradizione Nordica, Germanica, e più in generale Indoeuropea.
Chiesa Isnardi scrive a proposito: “L’albero cosmico riassume in sé i concetti di potenza, di sapienza divina e di sacralità: le sue origini sono misteriose, poiché nessun uomo sa da quali radici cresca. La sua possanza è la forza vitale del cosmo: quando esso vacillerà, si avrà indizio sicuro dell’imminente fine del mondo. Simbolo dei tre stati spaziali dell’essere (inferi, terra, cielo) e della loro interrelazione, l’albero cosmico assomma in sé anche i tre momenti fondamentali del tempo: passato, presente, futuro” (17).
L’albero cosmico è anche luogo iniziatico sommo, tanto che il possente Óðinn, dio supremo degli Æsir e signore della magia, vi restò appeso nove notti e nove giorni per apprendere la conoscenza arcana e misteriosa delle rune.
Come è scritto nelle celebri stanze dell’Hávamál:

“Lo so io, fui appeso
al tronco sferzato dal vento
per nove intere notti,
ferito di lancia
e consegnato a Óðinn,
io stesso a me stesso,
su quell'albero
che nessuno sa
dove dalle radici s'innalzi.

Con pane non mi saziarono
Né con corni (mi dissetarono).
Guardai in basso,
feci salire le rune,
chiamandole lo feci,
e caddi di là” (18).

Il nome stesso di Yggdrasill rimanda al sacrificio di Óðinn, in quanto significa letteralmente il destriero di Yggr, ovvero il destriero del Terribile (un altro degli innumerevoli nomi di Óðinn), che sta per kenning, per metafora, di forca, patibolo.
Per questo Óðinn è chiamato anche Hangatýr, dio degli impiccati, dal sacrificio a lui caro.
Legata agli alberi, al Frassino (Askr) e all’Olmo (Embla) è anche la creazione dell’uomo e della donna da parte degli Dèi, come narra la Voluspá:

“Finalmente tre vennero
da quella stirpe,
potenti e belli,
æsir, a casa.
Trovarono in terra,
senza forze,
Askr ed Embla,
privi di destino.

Non possedevano respiro
né avevano anima,
non calore vitale, non gesti
né colorito.
Il respiro dette Óðinn,
l'anima dette Hønir,
il calore vitale dette Lóðurr
e il colorito” (19).

E il Gylfaginning:

“Mentre i figli di Borr andavano lungo la riva del mare trovarono due alberi, li raccolsero e li mutarono in uomini. Il primo diede loro respiro e vita, il secondo ragione e movimento, il terzo aspetto, parola, udito e vista. Gli diedero poi vesti e nomi. Il maschio si chiamò Askr, la femmina Embla e nacque allora l'umanità, a cui fu data dimora entro Miðgarðr” (20).

La Quercia invece è particolarmente sacra al dio Þórr.
Scrive Chiesa Isnardi a proposito: “Il rapporto fra questo albero e il dio Thor è testimoniato per i Germani da Willibald, il quale nella sua Vita S. Bonifacii riferisce di grandi alberi di quercia –  fatti abbattere dal missionario perché oggetto di culto pagano – che s’innalzavano in una regione centrale della Germania. Questi alberi vengono da lui definiti secondo ‹‹l’antica espressione pagana›› (prisco Paganorum vocabulo), robur Jovis, cioè ‹‹quercia di Giove›› (il quale corrisponde a Thor nella interpretatio romana). Nella colonia vichinga irlandese dove Thor era particolarmente venerato, è ricordata l’esistenza di un bosco di querce a lui sacro (Coill Tomair)” (21).
Il Tasso ha una grande valenza magica, tanto che per alcuni assume addirittura la funzione di albero cosmico al posto del Frassino (22).
Non entreremo qui nella vexata quaestio.
Albero cosmico e Pilastro del mondo presso i Sassoni è invece il sacro albero Irminsul.
Rodolfo di Fulda descrive Irminsul come “universalis columna, quasi sustinens omnia”, ovvero come axis mundi, come pilastro universale (23).



La somiglianza con il Frassino cosmico Yggdrasill è evidente.
Il nome Irminsul (“Grande pilastro, “Grande albero”, “Possente albero”, “Albero dell’ispirazione”) d’altronde deriva evidentemente dal dio sassone Irmin (“Grande”, “Possente”, “Ispirato”, in norreno Jörmunr, "Grande"), che sembra essere un altro dei nomi di Óðinn / Wotan.
L’albero cosmico lo troviamo anche fra i Longobardi, che nel 569, guidati dal loro re Alboin (italianizzato in Alboino), invadono e ripopolano un’Italia devastata dalla peste e dalla guerra gotica-bizantina (24).
Quel valoroso popolo germanico, benché ufficialmente cristiano ariano al momento dell’invasione dell’Italia, conservava in realtà fortissime sacche di paganesimo al suo interno e tali resistenze pagane dureranno ancora per svariato tempo.
Lo stanno lì a dimostrare il culto della sacra arbor di Benevento, molto probabilmente legato a Wotan (25) e il rosone dell’abbazia di Pomposa, di origine longobarda, su cui campeggia un possente Irminsul (26).
L’apporto longobardo, fra l’altro, assieme a quello dei Visigoti, degli Eruli, degli Ostrogoti e di altre stirpi germaniche, porta una terza componente etnica fondamentale per il popolo italiano, quella dei popoli germanici, oltre a quelle precedenti dei popoli italici e dei popoli celtici.
Ma la nuova religione cristiana avanza.
La religione arcaica dei Germani vacilla e arretra, come già era accaduto alle religioni sorelle degli altri popoli Indoeuropei: Greci, Romani, Celti, e così via.
I boschi sacri, i grandi alberi sacri, i templi, vengono distrutti dai re e dai missionari cristiani in tutta Europa.
È un’intera Tradizione che scompare, è un’intera religione che si eclissa, sotto i colpi delle spade e fra i bagliori dei roghi.
Carlo Magno fa abbattere nel 772 il grande albero sacro Irminsul, distruggendo il santuario dei Sassoni, nella sua campagna contro quel fiero popolo pagano, che resiste valorosamente alla cristianizzazione.
I Sassoni ancora non si piegano e combattono con tutte le loro forze, ma alla fine vengono sconfitti, con sanguinose stragi, come quella terribile di Verden del 782, in cui 4.500 nobili sassoni sono giustiziati per la loro fedeltà all’antica religione.
La Capitulatio de partibus Saxoniæ è il documento finale, terribile, di questa conversione forzata, che fu in parte anche un genocidio” scrive Franco Cardini, commentando inorridito gli eventi (27).
Dello stesso periodo sono anche le leggi del re longobardo cattolico Liutprando (712-744), che condanna e reprime il paganesimo del suo popolo, ancora non convertito del tutto, con la massima durezza (28).
Stessa cosa accade ad altri popoli germanici del Nord Europa nei secoli successivi.
I nuovi re cristiani di Norvegia, Harald II° (961-970 ca.) e Olaf I° Tryggvason (995-1000) attuano una campagna violenta di cristianizzazione forzata, distruggendo i templi e i luoghi di culto pagani (29).
Sotto il regno di Tryggvason numerosi sapienti e fedeli dell’antica fede, che rifiutano il battesimo e la conversione, sono torturati e uccisi nei modi più crudeli (30).
La cristianizzazione ufficiale della Norvegia arriva a compimento nei decenni immediatamente successivi.
L’Islanda resiste sino all’anno 1000, quando si converte al cristianesimo, con una decisione del suo þing, e proibisce il culto pubblico della vecchia fede.
Tiene duro ancora la Svezia, che però cade poco dopo.
Nel 1087 il re cristiano Ingold I° conquista Gamla Uppsala, sconfiggendo e uccidendo il re pagano Sven il Sacrificatore.
Si ritiene che in quello stesso anno il re cristiano abbia fatto distruggere anche l’antico tempio pagano e fatto abbattere gli alberi sacri.
Cadeva così l’ultimo celebre baluardo dell’antica religione (31).
Le leggi cristiane proibiscono ovunque il culto pubblico della vecchia fede, compresi boschi, alberi, pietre e fonti sacre.
Chi vuole restare legato alla Tradizione degli antenati deve farlo di nascosto, pena severe condanne, sino alla morte.
Gli antichi Dèi dei Germani e dei Norreni sono fatti passare dalle nuove autorità cristiane come demoni, in una spietata opera di demonizzazione, come era già accaduto per gli Dèi di altri popoli Indoeuropei.
Nuove feste cristiane sono apposte sopra a quelle pagane: il Natale sopra a Yule (in norreno Jól), Pasqua sopra ad Ostara, e così via (32).
Ma i simboli della vecchia religione non sono del tutto dimenticati, sono solo stati occultati.
La resistenza dei popoli europei, la loro fedeltà all’antica Tradizione dei padri, obbliga le autorità cristiane ad un’opera di assimilazione e di sincretismo, oltre che di condanna e di demonizzazione.
L’albero di Yule diventa l’albero di Natale, il ceppo di Yule diventa il ceppo di Natale, la lepre di Ostara diventa il coniglio di Pasqua, e così via (33).
Anche i boschi sacri e l’albero cosmico della vecchia fede e della Tradizione arcaica non sono stati dimenticati.
Sono ancora qui, fra di noi.



Note

1. J. G. Frazer, Il ramo d’oro, Newton Compton 1992, p. 139
2. P. C. Tacito, La Germania, 9, Bur 1998, p. 211 s.
3. G. Dumézil, Gli Dèi dei Germani, Adelphi 1994
4. G. Chiesa Isnardi, I Miti Nordici, Euroclub 1996, p. 482 s.
5. Ibid., p. 483
6. E.O.G. Turville Petre, Gli Dèi Vichinghi, Ghibli 2016, p. 313
7. P. C. Tacito, La Germania, 39, ed. cit., p. 275 s.
8. Ibid., p. 277
9. G. Chiesa Isnardi, I Miti Nordici, ed. cit, p. 483
10. Skírnismál, 32,
11. Gylfaginning, 53
12. G. Chiesa Isnardi, I Miti Nordici, ed. cit, p. 483
13. Voluspá, 19
14. Voluspá, 2
15. Voluspá, 20
16. Gylfaginning, 15
17. G. Chiesa Isnardi, I Miti Nordici, ed. cit, p. 533
18. Hávamál, 138-139
19. Voluspá, 17-18
20. Gylfaginning, 9
21. G. Chiesa Isnardi, I Miti Nordici, ed. cit, p. 537
22. M. Polia, Le rune e i simboli, Il Cerchio 1983, G. Chiesa Isnardi, I Miti Nordici, E. Thorsson, Futhark, Weiser Books 1984, E. Thorsson, Runelore, Weiser Books 1987.
23. bifrost.it/GERMANI/2.Cosmogonia/06-Yggdrasill.html
24. bighipert.blogspot.com/2013/07/la-peste-di-giustiniano-nella-historia.html e Procopio, La guerra gotica, Garzanti (2005)
25. S. Gasparri, La cultura tradizionale dei Longobardi, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo (2009)
26. bighipert.blogspot.com/2014/04/irminsul-il-pilastro-del-mondo.html
27. F. Cardini, Radici della stregoneria, Il Cerchio (2000), p. 118 s.
28. S. Gasparri, La cultura tradizionale dei Longobardi, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo (2009)
29. S. Sturluson, Heimskringla: le saghe dei re di Norvegia, Edizioni dell’Orso, Vol. I° 2013, Vol. II° 2014, Vol. III° 2015, Vol. IV° 2017, Historia Norvegiae, Vocifuoriscena 2017, P. Jones N. Pennick, Storia dei Pagani, Odoya 2009, G. Chiesa Isnardi, Storia e cultura della Scandinavia, Bompiani 2015
30. Ibid.
31. Ibid.
32. P. Jones. N. Pennick, Storia dei Pagani, ed. cit. e N. Pennick, Pagan magic of the Northern Tradition, Destiny Books 2015
33. Ibid.

Immagini

1.  Il frassino Yggdrasill (1895), Lorenz Frølich
2.  Antica raffigurazione dell’Irminsul

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Sitografia

bifrost.it
bighipert.blogspot.com
en.wikisource.org/wiki/Heimskringla

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