mercoledì 27 dicembre 2023

I lai degli antenati

 di Marco Alimandi.







L’importanza delle genealogie è testimoniata non solo dai «carmina antiqua» di cui parla Tacito ma anche da testi giuridici che in epoca altomedievale sancivano il potere dei re germanici. Spesso in questi venivano riportate genealogie della stirpe. Esempio principe è il prologo dell’Editto di Rotari del 643  contenente l’elenco dei re della stirpe longobarda e dei loro legami di sangue. In un artificio retorico di grande potenza è lo stesso re longobardo Rotari a evocare i nomi e le stirpi di tutti i re longobardi in un lungo elenco:


Fuit primus Agilmund rex ex genere Gugingus.
Secundus Lamisio.
Tertius Leth.
Quartus Geldehoc, filius Leth.
Quintus Godehoc, filius Geldehoc.
Sextus Claffo, filius Godehoc.
Septimus Tato, filius Claffoni. Tato et Winigis filii Claffoni.
Octabus Wacho, filius Winigis, nepus Tatoni.
Nonus Waltari.
Decimus Audoin ex genere Gausus.
Undecimus Alboin, filius Audoin, qui exercitum ut supra in Italia adduxit.
Duodecimus Clef ex genere Beleos.
Tertius decimus Authari, filius Clef.
Quartus decimus Agilulf Turingus ex genere Anawas.
Quintus decimus Adalwald, filius Agilulf.
Sextus decimus Arioald ex genere Caupus.
Septimus decimus ego in Dei nomine qui supra Rothari rex, filius Nanding ex genere Harodus.


Segue la traduzione it. dell’autore di questo saggio – i nomi verranno riportati nella loro versione latinizzata:


Il primo re fu Agilmund della stirpe di Gugingus.
Il secondo fu Lamisio.
Il terzo fu Leth.
Il quarto fu Geldehoc, figlio di Leth.
Il quinto fu Godehoc, figlio di Geldehoc.
Il sesto fu Claffo, figlio di Godehoc.
Il settimo fu Tato, figlio di Claffo. Tato e Winigis erano entrambi figli di Claffo.
L’ottavo fu Wacho, figlio di Winigis, nipote di Tato.
Il nono fu Waltari.
Il decimo fu Audoin della stirpe di Gausus.
L’undicesimo fu Alboin, figlio di Audoin, che condusse l’esercito sino in Italia.
Il dodicesimo fu Clef della stirpe di Beleos.
Il tredicesimo fu Authari, figlio di Clef.
Il quattordicesimo fu Agilulf il Turingio della stirpe di Anawas.
Il quindicesimo fu Adalwald, figlio di Agilulf.
Il sedicesimo fu Arioald della stirpe di Caupus.
Il diciassettesimo sono io, Rothari, re per grazia di Dio, figlio di Nanding della stirpe di Harodus.


Quest’elenco verrà ripreso e ampliato nella di poco successiva Origo gentis langobardorum (Lat. per ‘Origine della stirpe dei Longobardi’) dove la storia del popolo longobardo va a coincidere con la genealogia dei suoi re. È curioso notare come uno dei tre manoscritti che tramanda l’Origo gentis lango-bardorum  contenga al suo interno la stessa generatio gentium di cui si è parlato in I.1. I legami di sangue sono di fatto la chiave di volta utilizzata dalle genti germaniche per esprimere la propria storia – sia in forma orale, come ricordato da Tacito, che in forma scritta.



Estratto dal saggio "I lai degli antenati" di Marco Alimandi, "La via dell'etenismo", AA.VV., Midgard Editrice 2023





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venerdì 22 dicembre 2023

Intervista a Rocco Di Campli

 




Buongiorno, come nasce questo tuo romanzo?

Racconto volentieri “il romanzo del romanzo”. L’idea originale derivò dalla partecipazione all’edizione 2013 del concorso letterario ScartDrama a Peschiera del Garda, organizzato dall’eclettica regista e autrice Federica Carteri. Quell’anno il tema proposto era “Il fantasma della rocca”, ispirato alle apparizioni realmente documentate di Paolo Alboino della Scala. Sarò sempre riconoscente alla Carteri per aver fornito lo spunto iniziale. Il racconto che presentai era l’antenato del romanzo. Un paio d’anni dopo ripresi in mano la storia e ne realizzai lo sviluppo. Fu quella la vera genesi dell’opera, che tuttavia rimase nel cassetto per anni, poiché non ne ero del tutto soddisfatto. C’era ancora del potenziale inespresso. Infine di recente sono tornato sulle pagine una terza volta, per la versione definitiva. 
Paolo Alboino fu una figura marginale, che non lasciò un segno profondo nella storia. È triste dirlo, ma furono le circostanze della prigionia e della violenta morte a dare “luce drammatica” ad un personaggio altrimenti dimenticato. Ho scelto di raccontare il protagonista immaginando una carriera di cavaliere. In questo senso il romanzo “Il leone scarlatto” di Elizabeth Chadwick e il breve saggio di Franco Cuomo sulla storia della cavalleria mi hanno aiutato molto.  



Quali sono le tematiche più importanti del libro?

Il tema di fondo è il fratricidio. Più in generale, cerco di analizzare il complesso rapporto tra fratelli. Poi ci sono i cupi misfatti di Ezzelino, crudelissimo personaggio, perno della parte “esoterica” del romanzo. L’altro tema fondamentale è l’amore, che si protrae oltre la morte. L’amore e l’odio fratricida rappresentano, ai poli opposti, le ragioni fondamentali che giustificano la comparsa del fantasma: a richiamare l’anima inquieta sono appunto la rabbia, e quindi la vendetta o la ricerca della giustizia (anche postuma), e l’amore. Come quasi tutti i miei scritti, anche “La torre echeggiante” presenta l’intervento dell’elemento Soprannaturale.



Hai impiegato molto tempo a raccogliere il materiale sugli Scaligeri?

Si trattò di una ricerca relativamente breve ma abbastanza impegnativa, condotta principalmente sul portale Scaligeri.com. Obiettivamente lo scenario storico-politico dell’Italia medievale non è semplice da analizzare. Attingendo le notizie mi resi subito conto che la situazione descritta (fitta di intrighi, tradimenti e alleanze che si susseguivano a rotazione) era così complessa e dinamica che sarebbe stato difficile tracciarne un quadro organico e coerente. Il suddetto sito mi ha fornito un contributo decisivo. Forse, senza la consultazione di questo straordinario sito, oggi il romanzo neppure esisterebbe.  Il portale, curato dalla relativa associazione storica, mi ha permesso di familiarizzare con l’albero genealogico degli Scaligeri e conoscere le imprese dei personaggi più illustri. Questa miniera di informazioni mi ha consentito di immaginare come potesse svolgersi un’ipotetica “giornata-tipo” di Paolo Alboino Della Scala. 



Che scrittori ti piacciono e ti ispirano?

Le fonti d’ispirazione sono sempre molte e in effetti gli autori che mi hanno influenzato sono numerosi. Alcuni nomi brillano più di altri nel mio firmamento letterario. Il mio autore preferito in assoluto è Terry Brooks. Il celeberrimo scrittore americano rappresenta la ragione che mi ha convinto a riprendere e coltivare la scrittura da adulto, cercando di  trasformare la passione in un lavoro. Trovo straordinaria la sua capacità di introspezione, come il clima di pathos che si respira nei suoi romanzi, caratterizzati da un’alta intensità emotiva. Tolkien e Brooks hanno scritto, ciascuno a proprio modo, una moderna “epopea omerica”. Altra colonna portante è H. P. Lovecraft. Amo anche Oscar Wilde, Guy De Maupassant, Edgar Allan Poe, Sandor Marai, Philip Dick, Wilbur Smith e Nicholas Sparks. Tra i contemporanei mi piacciono Ann Perry, Ken Follett e Carrie Bebris. Tra gli italiani cito Susanna Tamaro e, nell’ambito del thriller, Fabrizio Santi e Matteo Strukul, entrambi bravissimi. Vorrei avere la loro capacità di coinvolgimento. 





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martedì 19 dicembre 2023

Il viaggio dell'eroe nel mito germanico e indoeuropeo

 di Halfdan Fjallarsson.







Nell’immaginario collettivo moderno, la figura dell’eroe ha assunto contorni ormai indistinti e fumosi. 
Spesso sostituito da personaggi improbabili o da anti-eroi. 
Questo “archetipo” è stato “demansionato” e ridimensionato al punto da essere considerato “perdente” piuttosto che un modello ispiratore quale era per le generazioni precedenti all’attuale “era dell’informazione”. 
Oggi l’eroe è colui o colei che riesce nell’ardua impresa di cavalcare le mode del sistema uscendo da condizioni di miseria materiale fino a divenire una cosiddetta “icona-pop”. 
Condizione che lo eleva a tal punto da divenire una sorta di oracolo dei social-media (vedi anche influencer). 
Spesso però questi acrobati del web, difettano terribilmente in più di una qualità umana e la loro influenza nuoce gravemente alla salute mentale del loro pubblico e del portafoglio di quest’ultimo. 
Neanche la letteratura fantasy di genere “heroic” e i fumetti di supereroi occidentali risultano essere isole felici per la figura arcaica dell’eroe. 
Opere che dovrebbero essere di puro intrattenimento sono diventate uno degli strumenti più subdoli del politically correct e del pensiero dominante. 
Lo stesso non possiamo dire però della controparte orientale, ovvero degli “Anime” e dei manga, dove il modello eroico è rimasto ben preservato ed attuale ma sempre ancorato alla tradizione del Sol Levante, che vuole comunque l’eroe anche se scanzonato e anticonformista, pronto al sacrificio per il bene comune e per le persone a lui care. 
In un’epoca come la nostra dove il confronto uomo-macchina sembra sempre più imminente, le gesta di personaggi come Fionn mac Cumhaill , Beowulf, Sigfrido  o Arjuna  sembrano lontanissime più che nel tempo e nello spazio, quanto proprio al pensiero e allo spirito. 
In una società che ha ormai venduto il sacro e la spiritualità come se fossero cosmetici, sembra quasi impossibile veder venire alla luce esseri spiritualmente evoluti, scelti per questa loro caratteristica a divenire “la mano del Fato” che giunge in soccorso ai deboli, ai disperati e agli oppressi. 
Ed è forse proprio questo il compito dell’omologazione di massa forzata, impedire che nascano degli eroi. 
Perché l’eroe è tale dalla nascita anche se non ha ancora intrapreso il “viaggio” che lo porterà a diventare ciò che è. 
La sua natura a metà tra l’umano e il divino è già palese in tenera età e per questo spesse volte il fanciullo viene nascosto dalle minacce incombenti per essere poi addestrato dal mentore nel suo compito sacro.  
Il modo di vedere gli eroi, comunque, non è mutato soltanto in questa epoca, ogni cultura ha avuto la sua interpretazione a partire dalla cosiddetta “era degli eroi” fino all’avvento del monoteismo che li trasforma in “santi” e martiri. 
In ogni caso gli eroi non sono spariti, attendono lì, in quel luogo mistico e senza tempo, dove essi sono ancora celebrati e riveriti, attorniati da chi li ha preceduti, forse in attesa di un evento cosmico che li riporterà in azione o forse soltanto in contemplazione delle meraviglie dell’universo, ricompensa più che meritata per chi ha incarnato il massimo potenziale dell’essere umano e si è opposto al caos strisciante che domina nella nostra epoca...


Estratto dal saggio "Il viaggio dell'eroe nel mito germanico e indoeuropeo e i riflessi nella società moderna" di Halfdan Fjallarsson, "La via dell'etenismo", AA.VV., Midgard Editrice 2023




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martedì 12 dicembre 2023

Il calendario eteno

 di Fabrizio Bandini







L’ottava festa della Ruota dell’Anno è la Festa di Yule, la Festa di Mezzo Inverno, Midwinter, il Solstizio d'Inverno.
Il Sole, la dea Sunna, dopo essere scesa nelle profondità delle tenebre invernali, trionfa sull'oscurità, e riprende la sua ascesa.
Deus Sol Invictus, Dio Sole Invitto, lo glorificavano i romani.
Nella tradizione nordica la festa è dedicata in modo particolare a Óðinn, Njörd, Freyr, Freyja, Sól e Baldr.
È il trionfo degli Dèi e delle Dèe sulle forze del caos.
È il trionfo della Luce sulle tenebre.
Trascorsa la notte del Solstizio invernale, la notte più lunga dell’anno, la dea Sól, la potente Sunna, porterà in Cielo il carro del Sole, vittoriosa sull'oscurità.
Nel calendario anglosassone antico il mese di Dicembre è chiamato Ærra Gēola, prima di Yule, e Wintermonaþ, il mese d'Inverno, mentre Gennaio è denominato Æfterra Gēola, dopo Yule.
La celebrazione centrale di questo periodo, lo Yuletide, è la Mōdraniht, la Notte delle madri, ovvero il Solstizio d’Inverno vero e proprio.
La festa, molto importante in tutta Europa sin dall’età più arcaica e non solo in ambito germanico, – gli allineamenti di vari monumenti neolitici e megalitici verso il Solstizio d’Inverno sono lì a dimostrarlo –, era celebrata un po’ ovunque.
In ambito nordico è riportata nella Snorra Edda, nella Hervarar saga ok Heiðreks e nell’Heimskringla di Snorri Sturluson.
A Roma si celebrava il Dies Natalis Solis Invicti, il Giorno di nascita del Sole Invitto.
La cristianizzazione delle popolazione europee è dovuta scendere a patti anche con questa grande festa pagana, trasformandola nella nascita del Cristo, il Natale cristiano, ma senza eliminare gran parte del folklore antico e svariati simboli a esso legati, come l’albero di Yule, il ceppo di Yule, il canto di Yule, il vischio di Yule, l’agrifoglio di Yule, il maiale di Yule – il maiale sacrificato a Freyr, di cui narrano le saghe –, che vengono chiaramente dalle antiche tradizioni pagane.
Molte di queste tradizioni folkloriche le ritroviamo ancora oggi non solo in ambito nordico-germanico, ma anche nella nostra Italia – che ha componenti etniche italiche, germaniche e celtiche, non ci scorderemo mai di ripetere – e praticamente in tutti gli altri paesi europei.
Il termine inglese Yule discende all’antico anglosassone ġēol, ġēohol, ġēola, ġēoli, che indica i dodici giorni della festività, lo Yuletide, il tempo di Yule, divenuto poi Christmastide, il tempo del Natale.
Jól in antico norreno, Jiuleis in antico gotico, Jul in danese, svedese e tedesco, Jul o Jol in norvegese.
Il nome della festa viene fatto derivare dal termine in antico norreno Hjól, che significa ruota, descrivendo con questa simbologia il punto più basso della Ruota dell’Anno prima della sua risalita.
Una simbologia similare la ritroviamo anche nella runa del Solstizio d’Inverno, Jera, di cui parleremo fra poco.
Óðinn, il Padre degli Dèi, è fra le divinità più celebrate in questo blót.
Uno dei suoi nomi, Jólnir, quello di Jól, lo evoca in maniera molto precisa.
Óðinn torna protagonista anche in un’altra tradizione arcaica di Yule, ovvero la Caccia Selvaggia o Schiera Furiosa, un corteo notturno di esseri sovrannaturali che attraversa il Cielo e la Terra in questo periodo dell’anno.
Troviamo questa tradizione folklorica in tutta l’Europa settentrionale, centrale e occidentale, dalla Germania alla Britannia, dalla Scandinavia alle Alpi.
Óðinn/Wotan, appare come dio psicopompo nelle sacre notti di Yule – i cosiddetti dodici giorni di Jól, dello Yuletide – a cavallo di Sleipnir guida il corteo delle anime dei guerrieri morti in battaglia.
In Inghilterra la spettrale cavalcata notturna si chiama Wild Hunt, in Scozia Sluagh, in Germania Wilde Jagde e Wutenden heer, in Francia Chasse Arthur e Mesnie Hellequin, in Svizzera Struggele selvaggia, in Italia Caccia Morta, Caccia del Diavolo, Corteo dla Berta, Càsa d'i canètt, Caza selvarega, Caza noturna, Caça selvadega, Ciaza Mata e Caça Selvadega.
Sono evidenti in questi nomi il successivo trasformarsi del folklore europeo, con l’ingresso di nuove figure alla guida del corteo, dovuto alla cristianizzazione e al tentativo di demonizzare un fenomeno arcaico e pagano totalmente estraneo alle nuove autorità religiose.
La Caccia Selvaggia in ogni caso ci ricorda la particolarità del periodo invernale intorno a Yule, la cosiddetta crisi solstiziale, con lo sprofondare del Sole, della dea Sunna, nelle tenebre dell’Inverno, il finire dell’Anno, l’assottigliarsi del velo fra i mondi.


Estratto dal saggio "Il calendario eteno" di Fabrizio Bandini, "La via dell'etenismo", AA.VV., Midgard Editrice 2023




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martedì 5 dicembre 2023

Tratti osceni in luogo del pubblico

 di Riccardo Piazza.







Tratti osceni in luogo del pubblico

Tratti osceni in luogo del pubblico.
Mi abituo presto al giro successivo e non conservo quasi nulla di tutto il resto.



Pesante

Il tuo peso è direttamente proporzionale alla tua mancanza di illusioni.
Quando resti delusa sei leggera come una piuma.



Camminare

Terrore di errare, ma senza l’orrore non puoi camminare.



Voci

Le voci nella testa, il capo altrove, fuggire attraverso viali di ombre e chiese abbandonate.







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mercoledì 29 novembre 2023

Guarda avanti

 di Margherita Merone.







Era una domenica pomeriggio di luglio, caldo e afoso. Un leggero venticello soffiava piacevolmente, con la speranza che portasse un po’ di freschezza, in realtà riusciva solamente a spandere nell’aria un soave profumo di fiori. 
Marga fissava il lago seduta sul gradino più alto che conduceva alla porta d’entrata della chiesa del Santuario della Madonna della Sorresca, situato sulla sponda del Lago di Paola, a breve distanza dal mare, a Sabaudia. Per quanto non fosse più una giovane donna era alta, bella, grandi occhi nocciola, un nasino piccolo all’insù, labbra carnose, un viso delicato esaltato da un leggero velo di trucco sugli occhi e di rossetto rosso sulle labbra, un fisico asciutto ben modellato, capelli scuri che le sfioravano appena le spalle, folti e disordinati come piacevano a lei, una frangetta scomposta le copriva le sopracciglia donandole quel tocco di raffinata sensualità che lo scorrere del tempo non aveva attenuato. Non aveva perso quella dolcezza dell’infanzia che rapiva il cuore di chi le stava accanto e quel carattere che con gli anni si era fortificato e che le permetteva di affrontare le intemperie quotidiane. 
Aveva deciso senza ripensamenti di trascorrere a Sabaudia le sue vacanze, un luogo a cui era legata fin da bambina, era fuggita dalla città, dal lavoro, dagli amici, voleva stare da sola e vivere unicamente a contatto con la natura, uscire fuori da quel senso di quotidianità che la stava stravolgendo lentamente togliendole la pace. Non era alla ricerca di se stessa, voleva solo svincolarsi definitivamente dal passato che di tanto in tanto si riproponeva indesiderato costringendola a voltarsi indietro, impedendole di vedere ciò che aveva dinanzi, di vivere il presente e tutte le nuove sorprese della vita. 
Era arrivata da poco, scesa dal pullman non era passata in hotel, si era avviata direttamente al Santuario, aveva con sé una valigia nuova, di color rosso, comprata il giorno prima e il suo vecchio zaino, fedele compagno di tante avventure. Si era portata solo il necessario per poco più di due settimane, era riuscita a farci entrare anche qualche vestito elegante e civettuolo, dei sandali col tacco alto e una borsa da passeggio, non era un caso se aveva optato per una valigia più grande del normale, nello zaino c’erano due libri, la macchina fotografica e le scarpe da ginnastica. 
Quel pomeriggio era impossibile passeggiare, il calore del sole era soffocante, dubitava di poter iniziare la vacanza con qualche escursione, doveva essere prudente con il sole e abituarsi a vivere le giornate indubbiamente con più serenità e meno stress, la sola cosa sensata in quel momento era starsene in quel luogo sacro ammirando le farfalle che le svolazzavano intorno per darle il benvenuto. 
Il caldo si faceva sentire, sentiva le gambe gonfie, le massaggiava cercando sollievo, fortunatamente si era vestita comoda, pantaloni larghi che di solito metteva unicamente in viaggio e una maglietta non troppo accollata con dei graziosi disegni floreali. Si tolse i sandali, una piaga piccola, ma fastidiosa, si era formata vicino al tallone, cercò nello zaino un cerotto, di solito per prudenza ne portava qualcuno che metteva nello scomparto laterale, non era la prima volta che le capitava di ferirsi a causa delle scarpe, ma quel giorno se ne dimenticò. Aveva smesso di fissare il lago, si guardava intorno, smaniava, non le piaceva che non ci fosse nessuno, ma era anche vero che il cancello per accedere al Santuario era stato aperto da poco e che il giardino tutt’intorno, tranne negli spazi in cui c’era riparo tra gli alberi, era totalmente esposto al sole. 

Estratto dal volume "Guarda avanti!" di Margherita Merone, Midgard Editrice 2023.


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martedì 21 novembre 2023

In morte di una maschera

 di Giulio Alessandro Germanico






Indizi

Ti amo,
come ultimo rimasto
d’una razza estinta.
Come trama sottile,
che già resiste
al tempo.
Ti cerco,
come vena d’oro
nel fondo d’una spelonca.
Da ultimo,
come perfetto incastro
che tiene stretto il cuore.
Coda di rondine
che vola,
vicino alla morte.



Lettere dal Paradiso - Ri-comprensioni

Orsù dai mari
Ai monti.
All’acque pure
Dai picchi innevati.
Ai miti consigli
Dalle perturbazioni.
Da modeste prove,
a pugnali in bocca.
Il daimon ci guiderà
dove non sapevamo,
e saremo:
Più forti di prima,
nella disperazione;
Più sinceri d’una carezza,
quando ricambiata;
Più soli nella morte,
che per ultimo ci attende;
Sempre più felici,
nello sguardo di chi ci ama.



Lettere dall’Inferno - Visioni

Cerco di combattere dove mi si para il destino,
Cerco di vincere l’impossibile tutto donando,
Brucio di fiamma pura e veloce ed avanzo,
ove nessuno ha mai vinto il drago, ma ingenuo,
finisco a brandelli, nella tela d’un ragno.
Oh Musa delle mie visioni, salvami!
Fin quando sono ancora in tempo.
Oh Musa del mio sogno impossibile!
Tu che conosci le mie sofferenze,
Sollevami dal peso della perdizione!
Leggiadra fanciulla, spiritata e senza tempo.
Accarezzami laddove non più esiste
integro arto pronto all’uso. Mia amata,
Protettrice delle arti, salvami da me stesso!
E compi il miracolo che rigenera le carni!
Non voglio perir come tanti, obesi, falsi e cialtroni.
Non voglio mendicar denari per scrivere
I miei motti inutili al mondo.
Non voglio soffrire nella stima e dirigermi
Al macello familiare.
Fa’ vincere il coraggio e rinnova il patto ultimo
del mio destino: trova un via d’uscita, per chi
ha creduto nell’idea pura!
Salvami! Oh redentrice dei perversi visionari!
Coloro che nutrono in grembo, per te, versi d’amore.



Lettere dall’Inferno - Il destino del poeta

Il guizzo fiorito della scrittura,
unica certezza di governo.
Il pavido volo d’una tortora,
Il casco glabro d’un insetto.
Cosa rimane della vampa,
Di notte riarde come viva,
Ferita a morte al cospetto,
Della nostra languida fatica.
Ora il tormento strisciante
s’abbuia, verso il meriggio
bisognoso, delle promesse
che t’amo e m’ami ancora.
E torneremo a crescere,
nel desiderio se Tu vorrai,
se Io vorrò, prima che
sia giunta la Nostra ora.
 
Altrimenti mi stenderò,
sull’erba fresca dei campi
e solo indicherò le nuvole,
fingendo d’averti accanto.
Poi laggiù, nel fitto dei boschi,
ingurgiterò more insanguinate
e pregherò il ciel medesimo,
di mai più tornare alla vettura.


Estratto dal volume "In morte di una maschera" di Giulio Alessandro Germanico, Midgard Editrice 2023.




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mercoledì 15 novembre 2023

Diario di un’adozione

 di Stefano Giometti.






Non potevo non scrivere questo libro.  
In primis perché, dopo essermi cimentato nella brevità di aforismi e calembour, ho avvertito la voglia di mettermi alla prova sul periodo lungo della narrativa. 
E già ciò mi appare come una sfida non banale. 
L’adozione questa sconosciuta, direi.  
La motivazione più corposa che mi ha sollecitato a scrivere il presente testo, comunque, è stata quella di sviscerare questo sostantivo in pubblico. 
Sostantivo a volte abusato, e spesso  certamente inflazionato: basterebbe ricordare l’uso che se ne fa quando si cita l’adozione di un albero, di un giardino, di un museo, di un provvedimento, di una misura, e potrei continuare per un ‘altra mezza pagina.
Ma cos’è l’adozione di un bambino? 
Cos’è l’adozione per i genitori adottivi? 
E, soprattutto, come viene vista l’adozione al di fuori della famiglia adottiva? 
Tramite l’esperienza diretta vissuta assieme a mia moglie Caterina, ho cercato, con la stesura di “Diario di un’adozione”, di rispondere a queste domande.
Nella questione, il pregiudizio la fa da padrone. 
Questo è poco, ma sicuro. 
È il baluardo, invisibile e silente, contro cui si combatte di continuo.  
Il pregiudizio, d’altronde, è il comune denominatore in varie situazioni di percepita diversità a sfavore di un individuo per una sua disabilità, per il colore della pelle, e così via. Rientriamo, quindi, con l’adozione, nel grande pianeta della diversità: nella fattispecie è il dualismo concettuale tra figlio naturale e figlio adottivo a solleticare menti sopraffine. 
Ho cercato di liquidare, nonché sdrammatizzare la questione con l’enunciazione di un mio teorema: "La consanguineità è penalizzante” (perché un idiota dà vita a un idiota, perciò meglio evitare le linee di sangue, talvolta. Senza riferimento alcuno, in apparenza, all’interlocutore preda del dualismo concettuale sopra citato. Altrimenti potrei essere io a essere tacciato di costruzione di pregiudizi…). 
Il fattore scatenante, infine, che mi ha indotto a prendere carta e penna per iniziare a scrivere questa storia è stato l’avere assistito, per ben due volte, a una nota trasmissione RAI in prima fascia serale in cui veniva definito il padre biologico “vero padre”. 
Mi sono cadute le braccia, ma subito dopo ho preso la penna in mano. 

Estratto dal libro "Diario di un’adozione" di Stefano Giometti, Midgard Editrice 2023.


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venerdì 3 novembre 2023

Intervista a Margherita Merone

 




Come nasce "Guarda Avanti!", la tua nuova opera? 

Questa opera è la prima di una quadrilogia. È nata in un momento particolare della mia vita. Sono tornata indietro nel tempo e questo mi ha fatto riflettere, spesso viviamo con il passato sempre davanti agli occhi e non è un bene, non ci permette di vivere il presente pienamente e soprattutto di guardare avanti. Credo sia importante che il passato resti tra i ricordi, belli o brutti che siano, e non vada a condizionare la vita presente, che procede verso il futuro, ed è giusto viverla pienamente. Mi ha fatto bene scrivere questo libro, mi sono divertita, mi ha aiutato a comprendere alcune cose, si toccano corde interiori, si parla di sentimenti ed emozioni, non è facile guardare avanti. Penso che molti si ritroveranno nel cammino della protagonista, come storie vissute o come sentimenti. La protagonista trascorre giornate stupende con un uomo affascinante, ma nulla è come sembra, e scoprirà a mano a mano che nella vita niente accade per caso. 



Quali sono le tematiche più importanti del libro?

Ci sono tanti argomenti nel libro, tutti interessanti, attuali, ma quello fondamentale è come convivere con il nostro passato. Sono protagonisti i sentimenti e le emozioni, l’amore. La protagonista comprenderà che il legame col passato deve rimanere un ricordo se desidera vivere pienamente il presente, nell’attesa di ciò che le riserva il futuro. In questo verrà aiutata da un uomo speciale, che svolgerà un ruolo importante, soprattutto per portarla al giusto discernimento. È importante guardare avanti, anche se il futuro non possiamo conoscerlo la vita ci riserva sempre grandi sorprese. La vita va affrontata con coraggio, spesso siamo noi stessi a metterci ostacoli davanti. Il passato ci ha fatto crescere, ci ha lasciato quella saggezza per poter andare avanti, soprattutto per guardare avanti, per affrontare la vita con fiducia e speranza. 



Il romanzo ha elementi autobiografici o è totalmente di fantasia?

Ci sono certamente elementi autobiografici, o forse è gran parte autobiografico, ma è proprio questo a rendere l’opera maggiormente intrigante e particolare per come viene delineata. Mentre la scrivevo mi tornavano alla memoria molti avvenimenti, devo dire che io stessa ho compreso molte cose e a volte mi sono commossa. Non è facile lasciarsi il passato alle spalle, sia i momenti brutti che quelli belli, ma nel momento in cui comprendiamo che la vita è un dono e va vissuto nella pienezza, allora diventa chiaro che non bisogna lasciarsi sfuggire le occasioni che la vita ci offre ogni giorno rimanendo ancorati al passato. La conclusione lascerà il lettore piacevolmente sorpreso.




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lunedì 30 ottobre 2023

Intervista a Riccardo Piazza

 




Buongiorno, come nasce questa tua opera?

Buongiorno a te, l’opera è una somma di tasselli, poesie ed aforismi. Quella del mosaico è la metafora che preferisco per esemplificare. Immagina tanti tasselli sparsi all’interno di un grande piano orizzontale: questi hanno colori e forme particolari, sfumature diverse ed inizialmente le mie erano unitarie percezioni d’altrove, momenti che riflettevano la mia esperienza della realtà, privi di particolare connessione, ma soprattutto rappresentavano un tutto chiuso, finito. Successivamente, proprio come in un mosaico, ho ritrovato dei volti, delle tracce, dei ritratti, dei tratti. Ho scorto delle crepe dentro cui insinuare la lama del verso. Quindi, come Alice, ho deciso di seguire il Bianconiglio.


Quali sono le tematiche più importanti del libro?

Direi una cruenta spossatezza del proprio sé, quindi una maturazione ed una crescita individuale, i rapporti relazionali con l’altro e le maschere tragiche. 
Mi spiego: ogni poesia rappresenta una monade, una porta che necessariamente deve essere aperta per proseguire all’interno della stanza che segue. Chi scrive si tramuta in una sorta di io impersonale, visto dall’alto. Questo avventore del convivio si approccia ad una mostra d’arte, cade in una trance che lo conduce più volte a cercare ciò che non possiede nell’altro, ecco i tratti osceni: un padre assente, una educazione siberiana difficile, una percezione del proprio corpo rigida ed ostile. Vuoti esistenziali. Nel tempo della scrittura si coagulano amori che non sono amori, donne che non sono donne, ma immaginazioni, persone reali che diventano immaginifiche o irrealizzabili, anche grazie alla dimensione dissacrante e tragica del clown. La fine è un ricongiungimento, probabilmente un viatico nuovo, una nuova porta da aprire.


Quali scrittori e poeti ti piacciono e ti ispirano di più?

Ce ne sarebbero un bel po’, mi limito, tuttavia, a tre nomi d’obbligo. Debbo buona parte della ermeneutica della maschera ad un mio conterraneo illustre: Luigi Pirandello, di cui amo la produzione teatrale e novellistica. Cito anche Italo Calvino, per la costruzione dei sentieri letterari incrociati e Raymond Carver per alcune affinità elettive di tematica. 
Grazie per il tuo tempo.




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martedì 10 ottobre 2023

Intervista a Giulio Alessandro Germanico

 




Buongiorno, come nasce questa tua opera?

Nasce da una mancata soluzione, anzi da una lunga serie di soluzioni mancate. Nasce da un rigurgito di differenziazione rispetto a quel che fluisce nella normalità. Vivere per sfida, sapete voi, si perde molto sangue e talvolta si crede di poter abbracciare la morte come liberazione, altre volte siamo coraggio che cambia strada e combatte. Contro tutti. Scegliete voi, io sono morto. Alla società del buonsenso s'oppone la bellezza d'un ricovero, un rifugio di forme e colori che reagiscono al materialismo, fughe in altre dimensioni, angoli del passato, trasgressioni, sogni, attese, complicanze esistenziali, particolari troppo studiati per finir compresi. Da tutto questo nasce quel che mi differenzia e che è rimasto imbrigliato in queste pagine, ma sappiate che l'autore è morto. Fantasma. Sono un fantasma che vive in altre dimensioni e che continua a parlare.



Il volume è diviso in una sezione poetica e in una sezione di riflessioni e pensieri. Ce ne vuoi parlare?

Le poesie sono dei momenti di sintesi esistenziale, spesso faticosi come parti e mai uguali al proprio sentito, per questo necessitano di un attento lavoro di perfezionamento per trasferire ogni sfumatura in un unico insieme coerente di senso. Pietre preziose da scolpire ed osservare in ogni prospettiva prima di essere sottoposte nuovamente alla critica, ancora e ancora. Creare poesia è una scomoda responsabilità e per questo ci vuole coraggio. Le poesie presenti nel testo sono bagliori scenici provenienti da materiale rimasto dietro le quinte, in un'epoca della vita, da tempo per me ormai matura. Oscurità e misticismo, sofferenza e vuoto esistenziale, il tutto distillato ed invecchiato, come un buon liquore. La seconda parte del libro è dedicata ad una serie di estemporanee riflessioni sulla vita, la società, la gnosi, gli dèi. Questa sezione non è sfornita di precetti pratici, critici, talvolta ai limiti del cinismo, le massime sono i sepolcri della mia filosofia, i miei epitaffi. Qui è bandita la superficialità e ci si munisca di uno spesso scafo per le immersioni...



Quali autori e quali correnti di pensiero ti ispirano di più?

Ovunque vi sia particolare attenzione descrittiva e ricerca del bello, ovunque traspaia il desiderio e la soddisfazione di perdersi nell'immutabile, nell'impeccabile, nel perfetto. I particolari, i colori, la musicalità delle parole, la loro ricerca attenta e spietata per giungere alla contemplazione delle forme. Ebbene tutto questo è collocabile in un determinato periodo, in una nicchia letteraria di predilezione. Siamo in Francia nella seconda metà dell'Ottocento, in una fucina artistica d'impareggiabile fervore. Mi riferisco al milieu letterario del Parnaso Contemporaneo promosso dal lavoro editoriale di Lemerre, agli innumerevoli poeti che vi hanno contribuito con dedizione vitale. Coloro s'impegnarono intorno a principi estetici di superamento del romanticismo, all'“arte per l'arte” come s'espresse il Gautier, quando la bellezza è contemplazione delle forme, ipnosi immobile che trascende il tempo, dopo attento lavorio che ci avvicina a spazi d'ordine superiore. D'altra parte i richiami classici di un Lamartine parnasiano, fin a quelli di un tardo Valery, pongono altri lati che hanno sempre attratto la mia ricerca interiore: quelli filosofici, naturalistici e spirituali. Si tratta della riscoperta della religiosità classica, che mi ha impegnato in faticosi studi sull'antichità. Studi che definirei di realismo esoterico, basi per lo sviluppo e la pratica di molte facoltà sopite ai nostri giorni, archeologia dello spirito che è puro esoterismo, della più seria e nobile gnosi, e dal quale ho appreso molto di quel che sono e siamo oggi. Ebbene, ecco qui, tutto questo m'ispira, impregna il libro e fin da bambino inesorabilmente m'attrae, da sempre, mi tormenta. 




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sabato 7 ottobre 2023

Intervista a Riccardo Finocchi

 




Buongiorno Riccardo, parlaci del tuo nuovo libro, come nasce?

Il libro nasce dalla volontà di raccontare una storia semplice, ma che allo stesso tempo avesse un valore. Il Natale è il periodo più magico dell’anno, da sempre uno dei più attesi. Il Natale è magia, desiderio di ricevere qualcosa, ma anche volontà di donare qualcosa in regalo a chi si ama. In questo periodo storico sembra aver assunto un aspetto prettamente commerciale e materialista. In realtà, se lo si osserva bene, il Natale può essere molto di più: quella magia che percepiamo, deve riportarci alla base dei nostri rapporti interpersonali, alla base delle relazioni e delle emozioni che legano noi essere umani.
Il Natale dovrebbe portare con sé aria di cambiamento, volontà di fare una buona azione, di regalare il meglio di noi stessi al prossimo. Scrivere del Natale è magico, ed è per questo che ho scelto questo tipo di argomento.



So che i tuoi figli sono stati coinvolti nell’opera, ce ne vuoi parlare?

I figli sono il centro del mio mondo e la mia ispirazione più grande. Fargli disegnare la copertina mi sembrava il minimo, essendo tra l’altro loro stessi i personaggi principale del racconto. Questo è stato il mio primo libro per ragazzi, e sicuramente non sarà l’ultimo, dato che si è rivelata essere un’attività più stimolante del previsto, che mi ha fatto divertire oltre ogni aspettativa. 



Ci sono delle opere letterarie o dei film che ti hanno ispirato nella scrittura di “In missione per Babbo Natale”?

Sinceramente no. “In missione per Babbo Natale nasce semplicemente dalla mia volontà di rompere degli schemi che involontariamente mi ero imposto quando ho iniziato a scrivere libri, all’incirca quattro anni fa. Volevo scrivere qualcosa senza pormi dei limiti, senza dover tenere conto delle regole fisiche del mondo. Volevo dar libero sfogo alla mia fantasia. Involontariamente, ho finalmente trovato il mio genere: scrivere per dei ragazzi è entusiasmante!





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