martedì 26 ottobre 2021

Il futuro migliore

 di Giulio Rosani.






La colonna di fumo che saliva in cielo dalla piazza centrale della città poteva essere vista da miglia di distanza. Le pareti bianche dei templi riflettevano i raggi del sole di mezzogiorno in quella calda giornata estiva. Il suono delle campane sembrava vicino e distante allo stesso tempo, la loro cadenza scandiva il lento oscillare della fila di pellegrini diretti al Tempio Grande. Enormi falò bruciavano agli angoli della piazza, mentre stormi di piccioni volavano in cerchio sopra la folla, in attesa di un’opportunità per discendere e rubare scarti di cibo abbandonati a terra.
Il centro della piazza era dominato da una grande fontana, la cui acqua forniva un minimo refrigerio dall’intenso calore del sole e dei fuochi accesi nello spiazzo. Molte persone nella folla spingevano per avvicinarvisi, sia per dissetarsi che per lavare via il misto di sudore e cenere che restava loro appiccicato addosso. Su uno dei lati della piazza, una rissa minacciava di rovesciare una bancarella di frutta, facendo rotolare dal bancone una mela che finì tra i piedi della folla, calciata in giro per la piazza.
Dal suo podio a lato del Tempio, Armenius ne osservò la traiettoria, al contempo recitando il suo solito sermone sull’importanza di pentirsi dei propri peccati prima che fosse troppo tardi. La sua veste scarlatta era impregnata di sudore e gli restava appiccicata come una seconda pelle. Un movimento ed una faccia famigliare ai piedi della piattaforma quasi gli fecero perdere il filo della sua violenta retorica.
Finalmente la ragazza ha deciso di farsi viva, pensò.
Nonostante avesse avuto l’impressione di averla scorta nella folla già nei due giorni precedenti, rimase sorpreso nel vederla in prima fila; di solito si piazzava in fondo al gruppo di fedeli che lo ascoltava e cercava di attirare la sua attenzione durante le sue brevi pause. Averla direttamente sotto il suo podio a fissarlo così intensamente, era decisamente un’esperienza nuova. Decise che, finito il sermone, le avrebbe concesso udienza.
La piazza del Tempio Grande di Krath, detto il Sommo, dio del fuoco e ultimo dio superstite del Declino, era uno spettacolo imponente per le centinaia di pellegrini che la visitavano ogni giorno. I tre palazzi di marmo bianco, disposti a ferro di cavallo e alti cinque piani ciascuno, erano decorati con drappeggi rossi, raffiguranti una lancia fiammeggiante, che coprivano gran parte delle loro facciate. Il Tempio Grande era situato al centro, mentre in uno dei due edifici ai lati venivano ospitati le guardie e i Novizi e nell’altro il resto del clero. In aggiunta a questo, i fuochi e le decine di Sacerdoti che guidavano le preghiere dei fedeli testimoniavano ulteriormente la potenza e l’influenza del dio.
Per chi invece vi passava la maggior parte dei propri giorni a predicare, essa dava tutt’altra impressione. Il caldo ed il fumo dei falò erano una tortura per occhi e gola, ed a volte era difficile seguire il proprio discorso quando altre decine di Sacerdoti cercavano continuamente di sovrastare la voce dei loro colleghi. Il fatto poi che la maggior parte dei pellegrini siano donne schiamazzanti venute ad implorare il Sommo di dar loro un figlio maschio, di certo non aiuta, pensò Armenius.
Tirò un sospiro di sollievo quando si rese conto che il suo rimpiazzo stava salendo i gradini del podio. Come Sacerdote del Sommo gli era richiesta solo mezza giornata di prediche, al contrario dei Predicatori che dovevano passarla per intero a guidare la fila di pellegrini. Se c’era una cosa che lo spronava a dare il meglio in quelle ore soffocanti, era l’idea che una volta promosso a Saggio non avrebbe mai più dovuto vedere quella piazza maledetta.
“Ed è per questo che è importante non pensare solo al rito di filiazione! Il Sommo richiede ad ognuno di farsi carico dei propri peccati; di elencare ogni trasgressione, imprimerla su carta, cosicché i suoi fuochi possano poi eliminarne ogni traccia! Non tralasciate niente, poiché tutto ciò che il fuoco non brucia, non sarà perdonato! La fine del Declino è alle porte e solo gli onesti saranno ammessi al Suo cospetto!” esclamò, concludendo il suo sermone.
Fece due passi indietro, si tolse il grosso medaglione di bronzo che portava al collo e lo porse al suo rimpiazzo. Il nuovo Sacerdote, Darius, lo guardò interdetto alla menzione della presunta fine del Declino, ma non gli rivolse parola ed immediatamente incominciò la sua predica. I precetti del Sommo dicevano che la folla non doveva essere lasciata senza una guida sacra neanche per un istante.
Alla base della piattaforma un Novizio già lo aspettava con un panno umido per permettergli di pulirsi faccia e mani ed una caraffa piena di acqua e fette di limone. Il ragazzo lo guardava con un’espressione rapita. “Come sempre siete un’ispirazione per le masse, Sacerdote. Il modo in cui ne comandate l’attenzione è testimonianza del favore divino che vi è garantito. Quando finalmente anch’io verrò promosso Predicatore, potrò solo aspirare ad avere una frazione del vostro carisma” disse.
Armenius nascose un moto di stizza dietro al panno offerto e con cui si stava pulendo la faccia. Per ben due volte quella mattina aveva dovuto attirare l’attenzione del ragazzo per avere un sorso d’acqua tra una predica e l’altra. Un singolo intervallo nel suo sermone era già inscusabile, due erano motivo sufficiente perché il ragazzo venisse frustato severamente. Non credo tu vedrai mai quella promozione, pensò infatti.
“Preoccupati di servire al meglio i tuoi superiori e la tua promozione potrebbe non essere solo un sogno” gli disse aggiustandosi una ciocca grigia dalla fronte. Nonostante le sue sole trentasei estati, la sua rapida ascesa nei ranghi del tempio aveva risparmiato solo pochi dei suoi capelli rendendo il loro castano intenso un vago ricordo. Faceva finta di non preoccuparsene, ma spesso si sorprendeva a ispezionarsi in uno specchio o nel riflesso di una superficie d’acqua.
“Sì, Sacerdote!” disse il ragazzo sorridendo evidentemente ignaro del fatto che non aveva voluto incoraggiarlo. Armenius si versò un bicchiere e si godette il fresco scorrere del liquido giù per la gola ed il gusto acidulo dei limoni sulla lingua, poi gettò al ragazzo il contenitore vuoto.
“Adesso torna al tuo posto e fai in modo che il Sacerdote Darius non ti debba chiamare trenta volte per dissetarsi.”
Questa volta il ragazzo comprese il rimprovero e corse ad adempire ai suoi doveri. Il Sacerdote invece si diresse verso il lato sinistro della piazza dove era situato l’edifico che fungeva da abitazione e studio per i membri del clero. Sui gradini che portavano all’interno del palazzo rialzato, fece cenno ad una delle guardie di avvicinarsi.
“Il Novizio che mi ha servito questa mattina ha bisogno di un incoraggiamento a fare meglio il suo dovere” disse, fissando i propri occhi scuri sul ragazzo in questione.
“Sarà mio piacere guidarlo nella pratica” rispose la guardia seguendo il suo sguardo e accogliendo la chiara implicazione con un sorriso.
Armenius si diresse verso l’edificio e si fermò brevemente all’ombra dell’entrata, lasciandosi rinfrescare dalla lieve corrente d’aria prima di dirigersi verso la propria abitazione. Al contrario dell’esterno, dominato da marmo bianco e stoffe rosse, il pavimento e le pareti dell’interno erano fatti di pietra scura e ricoperti di tappeti ed arazzi di colore blu: colori che dovevano ricordare ai Sacerdoti che chiunque, persino chi serviva il Sommo, poteva essere condannato al gelo degli Inferi, lontano dalla luce e dal calore divino.
Su entrambi i lati del lungo corridoio in cui si trovava si affacciavano molte porte. Le abitazioni personali dei Sacerdoti occupavano la parte dell’edificio rivolta verso il centro della piazza; i loro studi invece davano sulle strade che portavano verso il resto della città. Più lontano dall’entrata alloggiava un Sacerdote, più alto era il suo favore all’interno del Tempio. L’uomo entrò in una delle porte al centro del corridoio, con un sospiro si tolse la pesante tunica da Predicatore e la ripose piegata nell’angolo, dove i servitori sapevano di dover raccogliere i suoi indumenti sporchi. 
La stanza era immersa nell’ombra, l’unica finestra era oscurata da uno dei drappeggi esposti sulla facciata che dava sulla piazza. La poca luce che riusciva ad entrare nella stanza tingeva di rosso l’intero spazio. L’uomo si diresse verso la bacinella di acqua fresca lasciata davanti al suo guardaroba e si spogliò dei vestiti sudati che ancora portava. Liberarsi dal sudore e dalla cenere accumulati per l’intera mattinata gli dava una sensazione che non smetteva mai di apprezzare.
Avrebbe voluto prendersi qualche ora di riposo, ma il viso della ragazza continuava a tormentarlo. Non era mai stata così determinata nel volerlo vedere e inoltre era curioso di sapere che fine aveva fatto nel corso dell’anno precedente. Nonostante lui avesse pagato degli uomini per tenerla d’occhio, lei aveva più volte fatto perdere le proprie tracce. Insospettito, lui li aveva mandati a chiederle spiegazioni. Da come lei lo aveva guardato, era abbastanza certo di cosa volesse parlare.



Estratto dal racconto "Il futuro migliore" di Giulio Rosani, dall'antologia "Hyperborea 5" (Midgard Editrice).







giovedì 21 ottobre 2021

Poco lontano da Goresthorpe Grange. L’indagine di Terence Stube

 di Giordano Giorgi.





Nota introduttiva dell’autore
Questo racconto vuole proporsi come un omaggio ad Arthur Conan Doyle, uno dei padri della Letteratura Fantastica e del Terrore.
I lettori più esperti avranno trovato nel titolo l’evidente rimando ad uno dei suoi racconti più riusciti sul grottesco e sul soprannaturale: Selecting a Ghost. The Ghosts of Goresthorpe Grange, che venne pubblicato sulla rivista mensile London Society nel 1883,  racconta di quanto curiosamente accadde a Silas D’Odd, lo squire di Goresthorpe Grange. Chi conosce il racconto, troverà anche in quello che segue i personaggi di Jack Brocket, di Silas e Matilda D’Odd,  del furfante Jemmy Wilson e, soprattutto, quello del Dr T. Stube. 
Doyle nel suo scritto lo cita solo una volta. Io lo prendo in prestito, e su di lui faccio girare questo racconto originale,dove c’è, sì, un fantasma, ma c’è soprattutto un mistero da risolvere, un mistero, che, di trascendente,  ha poco o nulla.



It said: "I am the invisible nonentity. 
I have affinities and am subtle. I am electric, magnetic, and spiritualistic. 
I am the great ethereal sigh–heaver. I kill dogs. Mortal, wilt thou choose me?" 
Arthur Conan Doyle, Selecting a Ghost. The Ghosts of Goresthorpe Grange, 1883




MOLTI SCRITTORI FANNO della narrativa fantastica un’espressione letteraria divertita e divertente. Non sarà questo il caso. Rendere pubblico questo scritto nuocerebbe alla mia reputazione di medico in modo così esiziale, che sarà bene, quindi, io tenga questi fogli al sicuro. Meglio ancora, probabilmente, non averli scritti mai. 
Il mio nome è Terence E. Stube. Ho il mio ambulatorio in Arundel Street. Mi identifico come un uomo di poche passioni:buone letture, un “più” buon bere, la caccia. 
Quando me se ne presentava l’occasione, ero solito perdermi tra boschi ed aria buona per un tempo imprecisato. Margareth, mia moglie, mi aveva concesso l’estremo lusso di non tenerne mai il conteggio. 
Ad accompagnarmi, spesso, Jack Brocket. Anni di amicizia rendevano ormai superfluo moralizzare su quali “affari” lo intrattenessero a Londra. Preferivo giudicarlo da quel tanto che la sua compagnia mi offriva, piuttosto che da quel poco che della sua “non irreprensibile” condotta mi giungeva. 
Ad accompagnarci a caccia, quel giorno, il solito paio di amici. Mi accorsi subito, però, che di amico ne mancava uno, e dei più cari. 
– Non parlargli di Gizmo – mi aveva anticipato Burrows – che è successa una disgrazia, poi ti racconterò appena saremo soli! 
Preferii però che a parlarmene fosse Brocket stesso, mentre ci attardavamo assieme a fine battuta. Ce ne camminavamo tornandocene indietro, il fucile smezzato in spalla. Tenevo il mio Cedric per il guinzaglio, poiché non avevo voglia di perdere ulteriore tempo a “rifischiarne” il ritorno mentre scompariva, come faceva sempre, nel fogliame. 
– Gizmo, quello stupido di un cane, s’è ammazzato! – Mi chiarì, subito. – Se ne è corso per conto suo un giorno che era in giro con mia moglie; s’è buttato di sotto a un ponte, quello stupido! 
Gli comunicai il mio cordoglio, mentre Cedric, che ignorava si parlasse del suo simile, se ne guardava altrove. 
– Terence, c’è un fatto strano – continuò il mio amico. – Tu sai però, che credo poco, come te, a queste cose. 
Iniziando l’ennesima sigaretta, Brocket prese quindi a raccontarmi dell’avvenimento che era occorso alla moglie. Non erano passati che pochi giorni. 
Ricordavo bene Gizmo come un cane ormai in avanti con gli anni. Brocket si diceva però convinto che ben poco poteva essergli precluso, e parecchie le soddisfazioni che ancora poteva offrire. Il Dr Bigelow lo aveva visitato di recente. Eveline, la moglie di Brocket, era andata a riprenderlo all’ambulatorio veterinario, aveva riportato al marito l’esito positivo dell’accertamento. Questo, proprio il giorno prima dell’avvenimento del ponte
– Ma dove è successa ‘sta cosa, Jack? – gli chiesi. 
– Conosci il Gravelock Bridge? – mi rispose. 
– Cristo Santo …
– Bene, lo conosci. È successo anche a lui. Eveline volle portarselo a spasso quel giorno e … Quel posto è infestato da qualche spettro, telo dico io! 

Mi è a questo punto d’obbligo una digressione in merito. Pongo in pausa quella conversazione per mettere in condizione il lettore (se mai ce ne sarà mai uno) di avere lumi su un argomento che, almeno per me, per Brocket, e per le tante persone che di quel posto avevano sentito parlare, non necessitava di chiarimento alcuno. 

***

Il Gravelock Bridge è un ponte in muratura nei pressi di una contea di cui non serve ricordare il nome. Una costruzione tozza, che non si staglia su nessun corso d’acqua. Non chiedetemi se in passato vi scorresse qualcosa, lì sotto. Il ponte era là, passaggio obbligato a chi scegliesse di addentrarsi in quei posti. Lo accompagnava fama funesta; da quanto tempo, non saprei dirlo: ai cani, che vi transitavano di passaggio, succedeva qualcosa di strano: prima latravano, immobili, poi, con ripetuto e forte abbaiare, digrignando i denti, puntavano al parapetto, ed a quanto, a causa dello stesso, erano preclusi a poter vedere. Li si riusciva a tirar via se andava bene, ma potevano anche aizzarsi e mordere il padrone, se andava male. Le volte che andava malissimo, invece, gli animali si liberavano dal vincolo, saltavano sul parapetto merlato per gettarsi, poi, nel vuoto. La frequenza dell’ accadimento era divenuta tale da far propendere ad abbandonare anche le più scettiche ipotesi, quelle che si fregiano del sostegno di termini quali casualità , statistica, probabilità. 

A Gizmo sembrava esser toccato per ultimo. Di lui rimaneva, oltre al ricordo, il collare che adesso Brocket teneva legato allo spallaccio del fucile. 
– Questo me lo ha consegnato Eveline – disse, soppesandolo tra il pollice e l’indice anneriti dalla giornata nei boschi. – Ha detto che poteva essere un bel ricordo. 
– Credo che sia il caso che tu prenda un altro cane – dissi soltanto. 
– Cosa ne pensi di quel posto, Terence? – replicò lui, come ad ignorare la proposta. 
Gli chiesi se volesse una considerazione obiettiva, in merito. 
– Da dottore e uomo di scienza quale sei? Posso anticiparmela, ma non mi basta. 
– Parla allora con chi ne sa di fantasmi! – me ne uscii. 
Brocket smise di bere dalla fiaschetta di cordiale, quella che teneva nella tasca interna, emise il vocalizzo di soddisfazione classico, poi disse – Tipo Silas! 
Mi ricordavo perfettamente di Silas D’Odd. Mi aveva raccontato dell’assurdo caso del cugino acquisito! Un tipo strano, originale pieno di energia e, probabilmente, parecchio ottuso. 
Lui, contatti coi fantasmi li aveva avuti. Ricordavo bene la questione, perché fu a me che chiese anche consulto, tempo dopo che fu rapinato dagli “spettri”… 



Estratto dal racconto "Poco lontano da Goresthorpe Grange. L’indagine di Terence Stube" di Giordano Giorgi, dall'antologia "Hyperborea 5" (Midgard Editrice).



 




martedì 19 ottobre 2021

Intervista ad Eleonora Nucciarelli

Intervista ad Eleonora Nucciarelli, autrice del saggio “Lo stridente piacere”, edito nella Collana Saggistica della Midgard Editrice.





 
Buongiorno, dopo un saggio sul dolore hai scritto un saggio sul piacere, parlaci della tua nuova opera, come nasce? 

La mia opera, “Lo stridente piacere” nasce come speculare al saggio “Lo squisito dolore”. Si tratta di un continuum, una diretta conseguenza basata sulla convinzione che “il dolore ci serve esattamente come ci serve il piacere”. 
L’idea nasce principalmente dalla rilettura del mito greco di Narciso ed Eco, in cui Narciso, innamorato della propria immagine riflessa su un argenteo specchio d’acqua si strugge dal dolore e al contempo gode del suo tormento, sapendo di non aver tradito se stesso. In questo nuovo lavoro ho dunque rovesciato la prospettiva, analizzandola da un punto di vista nuovo, focalizzandomi sugli aspetti meno indagati del piacere e sulla contemporaneità. Ne è uscito questo saggio che amo definire un Cappuccetto rosso dalla parte del lupo.


Quali sono le tematiche più importanti del tuo saggio?

Le tematiche più importanti scaturiscono da delle domande che mi sono assillantemente posta durante la stesura, ovvero: perché l’edonismo gode di una pessima reputazione? Per quali ragioni il senso comune associa la ricerca del piacere alla perdizione? E perché piacere e dolore sono così lontani eppure così vicini?
Il piacere trattato nel mio libro, dunque segue il sentiero del dolore e passa attraverso la filosofia, le scienze umane, la letteratura e l’arte attraversandole e individuandone gli aspetti salienti legati al piacere. 


Nel titolo si parla di stridente piacere? Come mai il piacere stride?

Il piacere al quale mi rivolgo è stridente in quanto, nonostante le scoperte tecnologiche, astronomiche, astrofisiche, gli sviluppi nel campo della medicina, della ricerca e di quanto più attuale possa essere stato scoperchiato, il retaggio culturale e gli stereotipi sul piacere restano sospesi nel tempo, imprigionati in una dimensione immutabile e immobile e fanno fatica ad ascendere. 
Nello scegliere il titolo ha giocato un ruolo fondamentale il carro che stride nell’idillio La quiete dopo la tempesta di Giacomo Leopardi che ha evocato in me tanta voglia di vivere; a coronare il tutto la scelta dell’opera Upgrade di MaMo che dalla copertina intende effondere bellezza, gioia e felicità ovunque.






lunedì 18 ottobre 2021

Intervista ad Andrea Cardellini

Intervista ad Andrea Cardellini, autore del volume “Polline”, edito nella Collana Poesia della Midgard Editrice.






Buongiorno, parlaci della tua opera, come nasce? 

Non è semplice ricostruire tutto il processo che ha portato alla luce Polline. C’è da dire che io non sono mai stato un grafomane. La poesia è uno stato dell’essere, ce l’ho sempre in testa e sfrutto momenti particolari che definisco “stati di grazia” per tradurre in poesia tutto ciò che mi gira in testa. Polline è stato scritto in un periodo che va dal 2016 a fine 2018. Ad un certo punto ho cominciato ad ascoltarlo, assecondarlo e facendo ciò l’ho visto prendere forma, strutturarsi. In conclusione, non ho fatto altro che seguire un filo che gli stessi versi che avevo scritto mi stavano porgendo, un filo che mi ha permesso di stare davanti a me stesso come si sta davanti ad uno sconosciuto, un filo che in qualche modo ha permesso di far venire alla luce un Andrea nuovo, forse, sicuramente diverso. Polline era lì fuori da qualche parte che mi stava aspettando ed io non ho fatto altro che andargli incontro come un archeologo della parola che scavando fa riemergere tesori sommersi. 



Quali sono le tematiche più importanti della tua poetica?

Le tematiche che innervano il libro si possono racchiudere nella sfera dell’esistenzialismo. Polline è un continuo interrogarsi sulle questioni che stanno alla base della vita: chi siamo, da dove veniamo, dove andremo, ecc.
Inoltre è molto presente l’esame della visione dualistica con cui tutti abbiamo a che fare: buio e luce, bene e male, odio e amore, tanto per dirne alcuni lampanti. La messa in discussione è altro tema su cui poggia il libro e che fa da ponte per un altro tema trattato, la crisi. Crisi nel suo senso etimologico, cioè le “scelte” che ognuno di noi è chiamato a fare. Tutto questo sorretto sempre dal titolo (Polline) che come un nomen omen lancia ogni componimento e ogni capitolo verso l’augurio che tutta l’analisi, la revisione, la vagliatura della nostra esistenza, possa riuscire a produrre quella sostanza vitale, il polline appunto, attraverso il quale porre le basi per altra e nuova vita.



Ci sono dei poeti contemporanei o di epoche passate che ti ispirano particolarmente?

Diciamo che non avendo una formazione accademica ho errato dentro la poesia, attraversandola secondo linee emozionali. Ho letto e studiato vari poeti, di varie epoche e provenienza. Ad essere onesto il mio approccio iniziale ha subito il fascino dell’esotico nella sua accezione prevalentemente occidentale. I poeti beat, l’immenso Whitman, Elliot, Majakovskij, Brodskij, Walcott, Dickinson, Pessoa, Szymborska. Questi quelli che ricordo in maniera particolare tra i primi amori, amori per altro non tramontati. L’incontro con la poesia italiana è posteriore nonostante gli approcci scolastici. Ho una predilezione per i poeti o meglio per la poesia che parte dal primo novecento. I riferimenti assoluti del mio modo attuale di fare poesia sono indubbiamente Montale, Luzi, Ungaretti, Campana, Caproni. Amo e stimo anche alcune poetesse italiane odierne come ad esempio Patrizia Cavalli, Chandra Livia Candiani, Patrizia Valduga, Elisa Biagini, Mariangela Gualtieri. 



Qual è il rapporto fra la scrittura e la tua vita di tutti i giorni?

Come già anticipato, non sono un grafomane ma la poesia è sempre con me. Ogni gesto quotidiano a seconda di quanto la “sensibilità poetica” sia attiva può essere spunto per una riflessione. Certe volte si può anche cogliere in un semplice gesto la summa di complicatissime filosofie o concetti che non riesci mai a risolvere e che di colpo, osservando semplicemente una mano che si strofina sull’altra,  non si sa perché diventano improvvisamente chiare. Non mancano certo i smarrimenti. Il quotidiano spesso sembra allontanarci dalla dinamo stellata della poesia, ma questo in un certo senso può essere anche una prova attraverso la quale sperimentarsi e capire fin dove il desiderio di tradurre la vita in poesia sa spingersi. La poesia del resto è una peculiarità, una caratteristica intrinseca ad alcune persone. Ognuno ha la sua peculiarità, il suo canale preferenziale per sperimentare il proprio cammino nel mondo.









martedì 12 ottobre 2021

L'esercito delle ombre

 di Massimo Giachino.




In un tempo ed in un luogo di difficile collocazione temporale prosperava il regno di Thindall, governato da un re giusto ed amato dal suo popolo: Re Solomon.
Immense foreste e folta vegetazione, in cui predominava il verde ed il vermiglio, dominavano quelle lande dove, alle pendici del Monte delle Aquile, si stagliava imponente il castello con le sue alte mura.
La vita nel regno scorreva tranquilla, guidata dalla mano sicura ed attenta di Re Solomon. Era arrivato alla soglia dei 50 anni, ma il suo fisico mostrava ancora tutta la sua forza e la sua integrità. I lunghi capelli iniziavano solo ora a perdere quel nero corvino di cui era sempre stato orgoglioso e che curava quotidianamente con attenzione, premura che adoperava anche nell’occuparsi del suo amato pizzetto che lisciava quando qualche pensiero lo tormentava. Una corona argentea dai disegni semplici in cui spiccava il grande topazio centrale definiva il suo capo. Era solito indossare una tunica azzurra con una grande effige sul petto raffigurante un grande scudo circolare argentato con una “T” grondante liquido color rubino al centro, simbolo che idealmente indicava come il regno di Thindall sarebbe stato difeso fino alla morte.   Egli era salito al trono tanto tempo fa, quando suo padre non fece ritorno dalla Grande Battaglia Rossa, così chiamata in ricordo di tutto il sangue che fu versato, ma non invano.
All’epoca Solomon era un giovane principe di 20 anni, anche se la sua giovane età non gli impedì di distinguersi nella difesa del regno, tanto da essere in breve nominato capo delle guardie del Castello.
Durante quella terribile battaglia era schierato a fianco di suo padre e, purtroppo, lo vide perire dopo aver combattuto con onore e coraggio, sotto i colpi dei ribelli.
Dopo aver seppellito il suo amato padre, Solomon venne incoronato Re proseguendo il cammino per portare prosperità e serenità nel regno.
Perseguendo questi ideali si circondò di consiglieri e studiosi, tra cui spiccava l’arguzia e la vasta conoscenza in ogni campo di Shadack.
Spesso avvolto in un vermiglio mantello con cappuccio, lo si vedeva non di rado aggirarsi per i corridoi del castello a raccogliere utili informazioni sul popolo e su cosa accadeva all’esterno, preferendo comunque la vita di castello, per sua stessa ammissione.
Un uomo nel pieno della maturità, occhi come il ghiaccio penetranti ed ipnotici, i fluenti capelli biondi perennemente raccolti in una coda. Il destino non fu clemente con lui, figlio unico di una semplice famiglia del villaggio, rimase orfano in giovane età a causa di un cavallo imbizzarrito delle guardie che, spaventato da un tuono improvviso, fuggì al galoppo travolgendo ed uccidendo i suoi genitori.
Re Solomon, venuto a conoscenza dell’accaduto, accolse il ragazzo a castello accudendolo come un figlio, sentendosi probabilmente in parte responsabile per quanto accaduto. Quel bambino crebbe dimostrando una intelligenza fuori dal comune ed una innata curiosità, la quale lo portò a passare molto del suo tempo nella biblioteca del castello, la sua sete di sapere non era mai sazia.
Facendo sua la storia del passato appresa dai testi Sacri, in breve tempo diventò un formidabile dispensatore di consigli su come affrontare gli eventi, divenendo in breve Primo Consigliere del Re.
Ma se dapprima i suoi suggerimenti diventarono irrinunciabili per una buona gestione del regno, ben presto Shadack cambiò direzione. Cominciarono lunghe ed intense discussioni con il Re reo, secondo Shadack, di pensare troppo al benestare del popolo e poco a quello del castello.
Ma su questo punto Re Solomon non cedette per nessun motivo, dando il via ai primi screzi e controversie con il suo fido consigliere. La cosa cominciò a prendere in poco tempo una brutta piega, tanto da culminare in un confronto pieno di rabbia e tensione fra i due, la cui fine sancì per sempre l’allontanamento di Shadack dal regno. Quest’ultimo, prima di andarsene promise di tornare quanto prima, ma questa volta in veste di nemico del regno, vendicando la morte dei suoi genitori ed incolpando il Re dell’accaduto.
Per alcuni anni nessuno ebbe più notizie di Shadack, ritiratosi in un remoto luogo del regno, ossia le paludi di Anaboa, un luogo inospitale in cui dalle basse nebbie ergevano costruzioni diroccate abbandonate dagli uomini da tempo immemore.
Qui Shadack riuscì in breve tempo a creare il suo regno di oscurità e diventarne il monarca indiscusso, riuscendo a reclutare alcune delle più aberranti creature di Thindall, oltre ad una folta schiera di reietti e briganti senza futuro che si aggiravano per il regno.
Shadack si avvicinò alla magia nera, facendo sue alcune tecniche che, ne era sicuro, sarebbero tornate utili per adempiere alla sua promessa. 
Re Solomon aveva un figlio, Nathan, che prese posto al fianco del Re quando Shadack abbandonò il regno.
Nathan era prossimo a compiere il 20° anno di età per cui, secondo le regole di Thindall, da quel momento avrebbe potuto diventare Re.
Il carattere del ragazzo era molto duro e spigoloso, cosa che lo aveva spesso messo in contrasto col padre, ma il senso di giustizia e lealtà li accumunava in modo indissolubile.
Un fisico più longilineo del padre, ma non per questo meno robusto, gli donava una straordinaria agilità, rendendolo insuperabile nei duelli all’arma bianca. Ma quello che lo rendeva un combattente unico nel suo genere era il Munir, costruito da Nathan stesso, il quale era costruito in parte in legno ed in parte in metallo, ibrido tra un arco ed una sciabola, utilizzabile in entrambe le conformazioni. Suo padre lo aveva iniziato all’uso della spada, di cui era un formidabile esponente, ma ben presto Nathan aveva scoperto di essere un cecchino inarrivabile con l’arco ed aveva quindi abbinato le due cose, traendone enorme vantaggio in battaglia.
Come suo padre prima di lui, era diventato Sovrintendente delle Guardie Reali, non disdegnando il ruolo di Consigliere quando suo padre richiedeva aiuto.
Una maglia in stoffa senza maniche ma con cappuccio, una cintura di cuoio e dei pantaloni che terminavano all’interno di un paio di stivaletti in pelle nera delineavano il suo abbigliamento. Gli abitanti del regno giuravano di non averlo mai visto senza la sua amata faretra sulle spalle al cui interno, oltre alle classiche frecce, ne spiccava una in legno lavorato con una singolare punta blu.
I capelli, perennemente lasciati in balia del vento e due occhi scuri e scrutanti, delineavano un’espressione che raramente lasciava spazio ad un sorriso. 
Chi si fosse avventurato nelle paludi di Anaboa, avrebbe stentato a riconoscere quei luoghi ove ora sorgeva una scura costruzione a pianta quadrata con sparute aperture che fungevano da finestre. Un ponte levatoio sagomato che ricordava l’ingresso ad una bocca infernale caratterizzava l’oscuro maniero. Al suo interno, nell’ampio salone centrale sostenuto da volte e colonne in pietra, si ergeva il trono di Shadack, luogo prescelto per riflettere e pensare. All’esterno il castello era circondato da ampi spiazzi bonificati dove lavoravano senza sosta centinaia di uomini, intenti a realizzare armi e corazze. Tutto lasciava pensare che presto un esercito si sarebbe messo in marcia.

Estratto dal racconto "L'esercito delle ombre" di Massimo Giachino, dall'antologia "Hyperborea 5" (Midgard Editrice).





mercoledì 6 ottobre 2021

Intervista ad Oscar Bigarini

Intervista ad Oscar Bigarini, autore del romanzo “Il mistero delle luci dall’oltretomba”, edito nella Collana Narrativa della Midgard Editrice.






Buongiorno, parlaci della tua nuova opera, come nasce? 

Perugia, come tutta l’Umbria, è uno scrigno di arte e cultura, patria di illustri personaggi che hanno dedicato la loro vita al progresso civile ed economico della loro città e dell’Italia tutta. 
Sono profondamente convinto che la storia e i personaggi di questa città non sono conosciuti e quindi celebrati come meriterebbero. 
Un luogo di Perugia ricco di arte e storia è il Cimitero Monumentale, un concentrato di bellissime opere funerarie eseguite da insigni artisti dell’ottocento e del primo novecento, tra i quali Mignini, Biscarini, Angeletti, Frenguelli.
Frequento abbastanza assiduamente questo luogo, la sua quiete e la sua bellezza sono i giusti ingredienti per trovare concentrazione e pace; ogni volta, mentre ne percorro i viali ammiro i sepolcri di uomini e donne che hanno fatto tanto per Perugia e mi chiedo come mai al presente, media, stampa, scuole, parlino così poco delle loro vite.
Ho scritto questo romanzo nel periodo degli anni 2020-2021 in cui l’epidemia  Covid ha manifestato tutta la sua forza negativa: persone in precarie condizioni di salute, fabbriche e attività commerciali chiuse, persone disperate senza più lavoro, città e strade deserte prive delle necessarie cure, luoghi inesorabilmente abbandonati. Queste situazioni se da un lato hanno destato profonda tristezza da un altro mi hanno stimolato a pensare con quali mezzi potevamo riemergere sia civilmente che economicamente da questo baratro.
Dalla grandiosità poco celebrata dell’arte contenuta nel Cimitero Monumentale, dalle azioni virtuose compiute in vita dai personaggi che in esso riposano, dalla volontà di voler superare con azioni positive le calamità provocate dall’epidemia covid, nasce questo romanzo.
“Il mistero delle luci dall’oltretomba” è un racconto di fantasia che ricorda e celebra i grandi personaggi della storia recente di Perugia, con lo scopo di “spingere” giovani e meno giovani a intraprendere, grazie all’esempio di quanto fatto in vita dagli illustri antenati, iniziative socio-economiche rivolte al benessere alla società cittadina e regionale.
Questo romanzo, come gli altri tre miei precedenti romanzi, racconta una storia che ha come protagonisti personaggi positivi sia realmente vissuti che immaginari i quali svolgono le loro azioni verso obiettivi attuali e realistici muovendosi in luoghi realmente esistenti.
Per alcuni aspetti, la seconda parte della storia narrata nel “Il mistero delle luci dall’oltretomba” può essere vista anche come sequel del mio primo romanzo, “Il bracciale e il pozzo etrusco”, in quanto buona parte del racconto è basata sulle vicende esposte in  quest’ultimo. 
Partendo dal ricordo dell’importante passato cittadino la narrazione si dispiega al presente, un gruppo di giovani animati da buona volontà con l’aiuto di un celebre personaggio riescono a compiere un vero e proprio miracolo per risollevare le sorti dei nostri territori duramente colpiti dall’epidemia Covid.


 
Quali sono le tematiche più importanti del tuo romanzo?

La prima tematica è indubbiamente la celebrazione dell’importante storia  presente nel nostro bellissimo Cimitero Monumentale e il ricordo delle iniziative delle quali sono stati artefici gli illustri cittadini che in essi riposano.
La seconda tematica è una profonda riflessione sulla determinazione e la dedizione che questi insigni personaggi, politici, scienziati, industriali, hanno messo nelle loro azioni e sui risultati da essi raggiunti, come mezzo per stimolare i contemporanei a intraprendere azioni virtuose rivolte al benessere economico e morale alla società. Messaggio questo rivolto principalmente ai giovani, che nel romanzo sono protagonisti e sui quali ripongo particolare fiducia. 
La terza tematica, trattata in dettaglio nella seconda parte del libro, è la certezza che esistono molte persone positive le quali con la loro intelligenza e volontà riescono spesso a risolvere in positivo le situazioni più critiche.


 
Con quale criterio hai scelto i “grandi perugini” che appaiono nell’opera?

Nel racconto ho cercato di dare una giusta ed equilibrata partecipazione degli illustri personaggi del passato in ciascuno dei vari campi politico, industriale, letterario e scientifico, con l’auspicio di ricordare tutti gli aspetti della vita civile in maniera esauriente. Chiaramente i personaggi che ho scelto sono tra i più famosi, molti altri personaggi avrebbero meritato di essere presenti nella storia, ma non avendo il racconto finalità squisitamente biografiche non ho ritenuto necessario aggiungerne altri. 

    

L’illustrazione di copertina e i disegni dell’interno, molto belli, sono di Luca Petrucci, che illustra i tuoi libri da anni. Ci vuoi parlare della vostra collaborazione?

Con Luca Petrucci, autore delle illustrazioni di tutti i miei libri, esiste una collaborazione consolidata.  molto bello e anche divertente lavorare insieme, da uno schizzo appena accennato o da un’idea detta verbalmente, Luca riesce in poco tempo a tirar fuori un disegno che riproduce esattamente quanto avevo in mente. Le illustrazioni presenti nei miei libri sono state sempre molto apprezzate dai lettori e costituiscono un giusto completamento grafico dell’idea narrativa. 
Per i disegni del “Il mistero delle luci dall’oltretomba” abbiamo eseguito passeggiate all’interno del cimitero monumentale per scegliere i monumenti sepolcrali ritenuti più  significativi per il romanzo.