venerdì 25 febbraio 2022

Intervista a Christian Baldelli

Intervista a Christian Baldelli, autore del volume "Siamo tutti in qualche posto", edito nella Collana Poesia della Midgard Editrice.







Buongiorno, parlaci della tua opera, come nasce? 

Questa opera nasce, rinasce e si sviluppa negli innumerevoli momenti in cui ho sentito il bisogno di esprimere in senso soggettivo il mio Io interiore. Come in un viaggio fatto di più tappe, ad un certo punto può capitarti di non ricordare il motivo per cui ti eri messo in cammino, o quale era l’itinerario che avevi pensato di percorrere al momento della partenza. La vita ad un certo punto prende il sopravvento e il poterla dominare o anche solo dirigere, diventa chiaramente un’illusione con cui fare i conti. Nonostante questo possa apparire scontato, la stragrande maggioranza delle persone, a me sembra, perdano il loro senso di orientamento e si ritrovano in maniera più o meno inconsapevole, gettati in pasto nella corrente delle routine quotidiane e non riescono in realtà più a distinguere se stanno vivendo o solo sopravvivendo. Ecco io temo spesso di stare solo sopravvivendo; perciò, mi tuffo in questa mia ricerca interiore ogniqualvolta vengo attraversato da queste sensazioni. La scrittura allora diventa ragione di approfondimento, catarsi, analisi, inchiesta, diventa il succo da estrarre dalle esperienze o l’unguento da spalmare sulle ferite dell’anima. 



Quali sono le tematiche più importanti della tua poetica?

Il concetto di poetica ha un’origine probabilmente di natura estetica, dove bisognerebbe considerare tutti gli intenti e i contenuti espressivi che rientrano nelle arti di un poeta. Mio malgrado non riesco a considerarmi un poeta, non ho queste qualità. Lascio questo nome a chi veramente può essere chiamato con questo appellativo, a chi è capace di trasformare in scrittura i suoi pensieri e fa diventare Arte quello che ci fa leggere. Forse mi vedo un po’ come un narratore, o piuttosto allo stesso modo come un Narratore e un Raccontatore in cerca di significati da dare a quello che mi circonda o da cui vengo circondato. Allora come Raccontatore mi appresto ad approfondire i temi classici del senso dell’esistenza, la caducità, la mondanità, il senso stesso delle nostre fragilità che ci lasciano in balia degli eventi. Come Narratore mi concentro invece sull’amore. Amore come sentimento, come completamento, come emozione e motore della vita stessa, come mancanza, come ragione di lotta e sopravvivenza, come eternità da inseguire. 



Ci sono dei poeti contemporanei o di epoche passate che ti ispirano particolamente?

Sinceramente ho tanti poeti tra gli scrittori che più amo leggere. Le stagioni della mia esistenza mi hanno portato a scoprire e preferire gli uni agli altri. Ho scoperto Rimbaud, Baudelaire, Eluard, Verlaine tra i 16 e i 18 anni. La biblioteca Augusta di Perugia era allora per me il loro terreno di caccia. Passavo mattinate intere lì dentro, cercando risposte alle prime domande che l’adolescenza mi aveva lasciato. Poi verso i 20 anni o giù di lì sono arrivate le edizioni Newton Compton e i loro prezzi stracciatissimi. Libri a 1000, 2000 e 5000 lire. Ne feci vere e proprie incette. Andando così a cercare di soddisfare le mie curiosità in vari ambiti letterari e naturalmente anche in quelli poetici. In quel periodo è scoppiato il mio amore per Neruda e la mia profonda ammirazione per i nostri poeti ermetici. Ci sono voluti i 30 anni per riscoprire i nostri autori classici: Dante, Petrarca, Leopardi, Carducci, Foscolo. Poi in questi ultimi anni, andando un po' a random ho letto ed apprezzato numerosi altri poeti, soprattutto stranieri del tardo Settecento e dell’Ottocento. Sicuramente aver letto tanti autori ha condizionato le mie idee di poesia e il mio modo di scrivere. Dipendo certamente da ciò che mi circonda e allo stesso modo il mio scrivere dipende non solo da quello che vivo, ma anche da quello che ho letto ed apprezzato. Quindi anche se il mio orgoglio mi farebbe subito dire ‘che io sono di nessuno’, in realtà le mie ‘poesie’ sono inconsapevolmente condizionate dai tanti autori che ho citato e da tutti quelli che ho potuto leggere. Peccato non essere talentuoso come loro…



Qual è il rapporto fra la scrittura e la tua vita di tutti i giorni?

Amo dire, citando uno dei miei libri preferiti il Siddharta di Hermann Hesse, “di aver vissuto tante vite e di essere stato tante cose”. La mia scrittura non ha potuto non risentirne. In questo libro che è suo malgrado anche antologico, ho inserito ‘poesie’ scritte quando avevo 15 anni, vicine ad altre scritte meno di un anno fa. Non sono gli anni che hanno cambiato i temi, ma i punti di vista e di vita. Il tempo che scorre scandisce esperienze, perciò il passato rimane dentro ognuno di noi e ne fa parte per sempre. Siamo quello che siamo stati e saremo quello che il passato ci farà essere nel futuro. Cambiamo continuamente e la scrittura per me ha cercato di essere agente riequilibratore dell’intelletto e ragione da dare agli eventi che si sono succeduti. È stata, ed è segreto da non confidare, rifugio in cui nascondersi e nascondere verità che non vorresti esistessero, vanità che non possono essere comprese. Ho sognato una vita che fosse come una poesia, ho avuto in cambio un amore che non può essere veramente descritto da nessuna di esse.

Buona lettura e buona vita a tutti Voi. 


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martedì 8 febbraio 2022

Cinque casi capovolti

 di Massimo Renaldini.






Caso 1: Lessie


Il cadavere dell'uomo era sul parquet, disteso in una posizione innaturale, sopra a una macchia di sangue scuro. Indossava un abito beige, elegante ma a buon mercato. Lì vicino, sul pavimento della sala, c'era anche un cappello color caffè.
La causa della morte non era difficile da individuare: l'uomo, di mezza età, aveva un coltellaccio da cucina infilato per almeno quattro dita nella schiena.
Il detective Spezzalini fumava un cigarillo stando bene attento a non far cadere la cenere per terra, per non inquinare la scena del delitto. Mentre un poliziotto isolava la porta di ingresso con del nastro bianco e rosso, Spezzalini stava scuotendo quasi impercettibilmente la testa: i casi peggiori non erano mai quelli senza indizi, perché prima o poi una traccia o un testimone si trova. Le “bestie nere” (così le chiamava lui) erano quelli dove l'indicazione è palese quanto un monolito di Carnac.
Ecco, proprio come ora.
Il morto, evidentemente prima di tirare le cuoia, si era trascinato per la sala e aveva scritto col proprio sangue una parola sul pavimento.
L'investigatore fece qualche passo per avvicinarsi alle lettere vermiglie, senza pestarle, poi inclinò la testa per rileggerle:

LESSIE
  
Dubitava che l’assassino fosse il famoso protagonista della serie televisiva (prima di tutto perché non si scriveva esattamente così, e comunque doveva essere morto da almeno un decennio… e soprattutto perché quello era un cane!).
Nel piccolo paese di Tollbury non viveva nessun “Lessie”, né umano né animale. E Spezzalini aveva già fatto controllare tutti i parenti e gli amici (almeno quelli noti) del cadavere: nessuno aveva questo nome o soprannome (se non altro per quello che potevano saperne gli sbirri o gli occhi privati).
Ecco perché Cyrus Spezzalini odiava i casi “semplici”: perché un indizio troppo evidente può condurre in decine di direzioni diverse. Oppure a nessuna.
Poteva essere una traccia fasulla, magari scritta proprio dall’omicida? Certo, ma avrebbe avuto senso fermarsi nel luogo del delitto, imbrattare le dita di un cadavere ancora caldo, per scrivere un nome privo di significato, solo per provare a sviare le indagini? Mah, pareva una congettura un po’ traballante: l’indizio sembrava vero.
Il poliziotto tossì con veemenza e Spezzalini fu richiamato al presente. Lo sapeva che in centrale odiavano i suoi piccoli sigari puzzolenti. Ma da stamattina tutti gli effettivi erano impegnati con la grande rapina alla banca provinciale e così qui avevano mandato lui, un detective privato che ogni tanto collaborava con la polizia. Aveva ancora un vecchio tesserino da sbirro: teoricamente gli era stato ritirato, ma casualmente gliene era rimasto uno, e la gente come faceva a sapere che non valeva più?

Ci fu un altro colpetto di tosse, ma questa volta era diverso: non era per le esalazioni acri del piccolo Avana, ma piuttosto per richiamare la sua attenzione.
«Io qui avrei finito» mormorò il giovane agente.
Cyrus lo osservò, valutando che questa doveva essere una delle sue prime missioni sul campo: sembrava una recluta e aveva utilizzato tre interi rotoli di nastro, impiegandoci almeno mezz'ora, mentre i suoi colleghi più esperti avrebbero usato al massimo mezzo rocchetto, isolando la casa in quaranta secondi.
«Vai pure ragazzo: aspetto io il medico legale» e il poliziotto non se lo fece ripetere e sgattaiolò fuori dopo un cenno del capo.
Sarà andato anche lui a Flaith ad indagare sulla rapina, pensò Spezzalini in una nuova nuvola di fumo. Come biasimarlo? Non era da tutti i giorni avere la banca principale della regione svaligiata da Gamba-di-Legno in persona, il famoso bandito, omonimo dell’avversario di Mickey Mouse. Ma, a differenza del malfattore Disney, questo aveva davvero un arto di legno: quasi fosse uscito da una scena di Moby Dick, il più noto rapinatore di banche del paese sembrava quasi un vecchio pirata!
Gli manca solo la benda sull'occhio, ironizzò l’investigatore tra sé, e magari anche il pappag…
Cyrus interruppe i propri pensieri: cos'erano quelli?
Il pavimento dell'anticamera di ingresso, dove era appena passato il giovane poliziotto per uscire, era composto da vecchia moquette bruna, abbastanza sdrucita. Il sole stava tramontando, la luce era gialla e intensa: sul tessuto peloso del corridoio si vedevano dei piccoli segni tondi, larghi quanto un bicchiere da vodka, dove il vecchio manto era stato pestato da qualcosa di pesante. Circa ogni mezzo metro. Sembravano proprio passi.
Passi di un uomo con una gamba di legno!

Estratto dal volume "Cinque casi capovolti" di Massimo Renaldini, Midgard Editrice.

Vincitore del Premio Midgard Narrativa 2016.


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venerdì 4 febbraio 2022

Vita da cani

 di Mira Susic.






-Toh, il tipetto ha una coda, quattro zampe, due posteriori, due anteriori, un dorso, una pancia, un collo, due orecchie, una testa,  due vispi occhietti e un musetto con un naso infallibile, inoltre l’amichetto è nero come il carbone delle miniere. Beh, lui è simile a me come una goccia d'acqua, in pratica il quattro zampe è una mia copia perfetta. Potrebbe essere un mio clone?- pesna il piccolo cucciolo gaurdando la sua immagine riflessa sulla superficie liscia dello specchio appeso sul muro del salotto. 
Il Labrador scruta con  sospetto il sosia stampato nello specchio che lo imita alla prefezione, infatti ripete ogni suo movimento, ogni minima mossa come un papagallo. 
-La smetti di prendermi in giro, burlone che non sei altro!?- si spazientisce il piccolo Labrador che lancia un bau di avvertimento all'amico a quattro zampe nello specchio.  
Il cagnolino nero dello specchio  però  se ne sta muto come un pesce, in sostanza fa le orecchie da mercante e si permette addirittura di non risponde al deciso abbaiare del piccolo Labrador di fronte a lui.  
Il cucciolo in carne ed ossa scuote la testa perplesso, trovandosi a tu per tu con un suo simile a quattro zampe che gli assomiglia alla perfezione, come un gemello. 
-Bau, bau, bau!- insiste il piccolo Labrador che vuole affermare la sua supremazia canina, ma il rivale non raccoglie il suo guanto di sfida restandosene zitto zitto, il piccoletto a quattro zampe non emette nemmeno un flebile bau.
-Il tipo non fa una piega se mi sgolo abbaiando a squarcia gola- constata con stupore il cane piazzandosi di fronte al rivale e fissando con uno sguardo magnetico la sua immagine riflessa nello specchio. 
-Perbacco, quello sono io!- esclama alla fine il cagnolino color carbone, dopo averci riflettuto sopra un bel po'.
-Se quello sono io, allora sono davvero un cane, perché ho una coda, quattro zampe, due orecchie, due occhietti, un musetto, nonché un naso con un fiuto infallibile da segugio. Fantastico! Sono a tutti gli effatti l'amico dell'uomo per antonomasia, in pratica non ho rivali nel mondo animale- si compiace soddisfatto il piccolo Labrador.
Constatato di essere un cane il piccoletto si sente il vero padrone,  ovvero l'unico re della casa.

Estratto dal volume di Mira Susic, Vita da cani, Midgard Editrice


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