venerdì 27 settembre 2019

Intervista a Giulio Volpi

Intervista a Giulio Volpi, autore del romanzo “Tempi da lupi”, edito nella Collana Narrativa della Midgard Editrice.




Buongiorno Giulio, parlaci della tua opera, scritta a quattro mani con Nardino Cesaretti, come nasce? 

Sono rimasto molto colpito dai racconti del mio amico Nardino su fatti accaduti durante la seconda guerra mondiale e di cui lui aveva già iniziato a scrivere. Abbiamo deciso, così, insieme, di costruire una storia con l’intento non di giudicare ma di cercare di comprendere come può reagire l’animo umano in determinate condizioni.


Quali sono le tematiche più importanti di questo romanzo?

La guerra fratricida, che genera odi e rancori, è senza dubbio il tema trainante della storia, ma importante sono anche il contesto sociale, la vita dura, l’ignoranza, i pregiudizi, che rendono l’animo umano arido, gretto e capace di gesti crudeli e feroci.


Come mai hai cambiato genere rispetto ai tuoi altri libri?

L’interesse per questa storia, che ha entusiasmato entrambi, mi ha solo momentaneamente allontanato dal mio modo di scrivere senza, peraltro, determinare un vero cambiamento di genere.


Progetti futuri?

Continuerò naturalmente a scrivere aggiungendo ai miei racconti un po’ di giallo, senza però abbandonare del tutto la passione per la pittura e la scultura.



sabato 21 settembre 2019

Intervista a Monica Pica

Intervista a Monica Pica, autrice del libro “Il volto perduto”, edito nella Collana Narrativa della Midgard Editrice.





 


Buongiorno Monica, parlaci della tua opera, come nasce? 

Buongiorno Fabrizio, non c’è stata una vera e propria “meditazione”: è un’opera nata in maniera impulsiva¸ quasi prepotente. Avevo intenzione di scrivere un monologo per il teatro che avesse come protagonista una donna che aveva deciso di raccontarsi.
Come ho scritto anche nell’introduzione al mio racconto, me ne stavo davanti al monitor del computer, avevo appena aperto una nuova pagina word, quando ho iniziato a scrivere senza ben sapere dove mi avrebbe portato quella scrittura. E’ come se la storia fosse sempre stata dentro di me e avesse aspettato il momento opportuno per uscire e lasciarsi raccontare.



Quali sono le tematiche più importanti del libro?

“Il volto perduto” racconta la storia di una giovane donna che viene aggredita e sfigurata in viso con acido muriatico dall’ex fidanzato. Il racconto non prende in considerazione le vicende legali connesse al fatto (l’aggressore non ha alcuno spazio nel racconto, tranne che nelle righe iniziali), ero più interessata a parlare del percorso personale e intimo della vittima nel tentativo di riacquistare un’identità, sia fisica che psicologica. Ho voluto concentrarmi sulla sua figura, quella di una donna che, anche nei momenti di maggior disperazione, non perde la determinazione nel voler fuggire da quella emarginazione auto inflitta per paura di non essere accettata dal mondo esterno. Ci tengo anche a voler dire che questo racconto non è stato ispirato dalle statistiche preoccupanti riguardanti i femminicidi e le violenze sulle donne: anche una sola donna su un milione vittima di qualunque forma di violenza è comunque inaccettabile.



Qual è il rapporto fra la scrittura e il resto della tua vita?

La scrittura è da sempre parte fondamentale della mia vita. Scrivo da sempre, da quando ero bambina, da quando sognavo di fare la giornalista. Nel corso degli anni il mio modo di scrivere è cambiato profondamente, diventando sempre più incisivo e “asciutto”, privo di fronzoli, forse anche come conseguenza del mio lavoro come ricercatrice: la scienza richiede un linguaggio sintetico e al tempo stesso esaustivo. Mi piace molto la frase di Pascal sulla difficoltà di scrivere in maniera sintetica: “Vi scrivo una lunga lettera perché non ho tempo di scriverne una breve”.



Che scrittori ti piacciono e ti ispirano?

Non ho autori o autrici preferiti, leggo di tutto, romanzi soprattutto. Adoro gli scrittori e le scrittrici dell’800 (Flaubert, le sorelle Bronte, Austen per citarne alcuni), che hanno avuto un’influenza significativa sul mio amore per la lettura, mentre il mio lavoro di ricercatrice universitaria come chimica ha fortemente influenzato il mio stile di scrittura.



Progetti futuri?

Tanti progetti, troppi, forse. Primo fra tutti scrivere un monologo teatrale tratto dal mio racconto, così come era nell’idea iniziale.
Ho iniziato, in verità, anche a scrivere un nuovo racconto. Anche in questo caso il tema ha “bussato alla mia porta” in maniera molto impulsiva e come per “Il volto perduto” non mi rimane altro che mettermi all’ascolto dei personaggi e dei loro pensieri e trascriverli sul foglio bianco.


www.midgard.it/il_volto_perduto.htm

giovedì 19 settembre 2019

Intervista a Nardino Cesaretti

Intervista a Nardino Cesaretti, autore del romanzo “Tempi da lupi”, edito nella Collana Narrativa della Midgard Editrice.





Buongiorno Nardino, parlaci della tua opera, scritta a quattro mani con Giulio Volpi, come nasce? 

Nasce dai racconti a me fatti da chi ha vissuto, nel territorio di Leonessa, i fatti cruenti durane la ritirata dei Tedeschi. Fatti culminati nell’eccidio di ben 51 civili presi a caso tra la popolazione compreso il Viceparroco del luogo.



Quali sono le tematiche più importanti di questo romanzo?

Il contesto socio culturale del periodo. L’odio accecato dalla guerra anche tra vicini e parenti. La drammaticità dei ricordi e dei rimorsi uniti ai rimpianti e ai sogni non realizzati.



Questo è il tuo primo romanzo, ma tu sei attivo nel campo della scrittura da parecchi anni. Ce ne vuoi parlare?

Scrivo da anni su una rivista locale di Leonessa “Leonessa e il suo Santo” con lo scopo di lasciare traccia alle generazioni future di quale tipo di vita e di costumi hanno coperto gli anni della mia infanzia e dell'adolescenza (gli anni 50 e 60).
Vita e costumi di un mondo contadino e montanaro intriso di religiosità, tradizioni, folclore, aneddoti e ricordi tramandati a voce. Fatti e momenti di una semplicità unica ed irripetibile. 



Progetti futuri?

Solo volontariato con l’Associazione Nazionale degli Alpini rivolto principalmente alla salvaguardia della montagna e al soccorso dei più deboli. 



www.midgard.it/tempi_dalupi.htm


martedì 10 settembre 2019

Emozioni essoteriche

di Alessandro Chiocchia





PULVISCOLO DI TE



Pulviscolo di te

mi si appiccica addosso

formando una pellicola di calore e amore

che non voglio lavar via

i pori della mia pelle desiderano follemente questo tuo dono

questa pioggia di calde particelle

che li ricopre e li fa respirar meglio

sei tu questa sensazione

questo solletico nell'anima

che mi fa bramare

di ardere nei tuoi lombi




PALLIDA GUERRIERA NERA


Una guerriera


Una spada fatta di affilate parole


Uno scudo fatto di sei corde che vibrano e pulsano


Una corazza fatta di candida pelle temprata


Pallida come la bianca luna delle notti che precedono lo scontro


Nera come le ali del Corvo che venne per ultimo


I suoi campi di battaglia sono oscuri e notturni


Il suo esercito è sparuto ma agguerrito


Porterà la sua Guerra Sonica altrove


Dalle Colonie giungeranno gli echi delle sue nuove imprese


Il suo Spirito non capitolerà sotto il peso delle ferite


I suoi occhi color del paradiso non si spegneranno sotto il peso della stanchezza


Perché è fatta per combattere


è una guerriera




ANGELO DEGLI ABISSI


La prima volta che l’ho vista era Bianca e Nera
È stata Sposa, è stata Donna-Sciamano
È una Guerriera che avrebbe voluto vedere la luce sulle rive dell’Eurota
L’ho vista sorridere di un sorriso bellissimo che illuminò una notte estiva fatta di musica
Osserva il mondo attraverso due stelle belle e inesorabili che sono i suoi occhi
È stata forgiata nelle lacrime e nel dolore degli inferni che ha attraversato
Somiglia a un Angelo degli Abissi
È L.


Poesie tratte dall'opera "Emozioni essoteriche" di Alessandro Chiocchia, Midgard Editrice 2019




mercoledì 4 settembre 2019

Gli Anelli del Potere



Uno studio sull’opera di J.R.R. Tolkien, sull’Edda antica e sulle saghe germaniche

di Fabrizio Bandini






"Tre anelli ai Re degli Elfi sotto il cielo che risplende,
Sette ai Principi dei Nani nelle lor rocche di pietra,
Nove agli Uomini Mortali che la triste morte attende,
Uno per l'Oscuro Sire chiuso nella reggia tetra
Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra nera scende.
Un Anello per domarli, Un Anello per trovarli,
Un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli,
Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra cupa scende."(1)


Così compaiono gli Anelli del Potere all’inizio di The Lord of the Rings, il Signore degli Anelli.
Tre anelli per gli Elfi, sette per i Nani, nove per gli uomini e uno, l’Unico, per Sauron, il Maia volto all’oscurità.
Dai nomi di queste stirpi (Elfi, Nani) e dall’accenno agli Anelli del Potere si riconosce subito un ambiente familiare, che appartiene ad una ben precisa tradizione, quella germanica.
Tolkien, d’altronde, eccellente filologo e per lunghi anni professore di anglosassone ad Oxford, era un appassionato dell’antica mitologia nordica e dell’epica germanica.
Nel saggio Sulla fiaba (1947), parlando dei libri che aveva letto nell’infanzia, egli scrive: “Avevo ben poco desiderio di trovare tesori sepolti o di combattere pirati, e L’isola del tesoro mi lasciò freddo. I pellerossa erano meglio: in queste tipo di storie c’erano archi e frecce (…) e lingue strane, e sguardi fugaci su un tipo di vita arcaico, e, soprattutto, le foreste. Ma la terra di Merlino e di Artù era meglio, e meglio di tutto il Nord senza nome di Sigurd e dei Volsunghi e il principe di tutti i draghi. Quelle terre erano eminentemente desiderabili” (2).
Tanta era la passione per le antiche saghe nordiche e per i poemi germanici che Tolkien vi attinse a piene mani per la creazione delle sue opere, della sua nuova mitologia (3).
La mitologia tolkeniana ovviamente fonda le sue basi anche su altre tradizioni, come quella celtica e quella cristiana, essendo lo stesso autore di fede cattolica, ma la fortissima influenza della tradizione germanica è innegabile da chiunque.
Lo Hobbit, il Signore degli anelli, il Silmarillion, sono pieni infatti di simboli, miti e nomi, che vengono diretti dagli antichi poemi sapienziali germanici e dalle antiche saghe nordiche.
I nomi dei Nani dello Hobbit è noto che sono ripresi dal famoso Dvergatal, l’elenco dei Nani nel poema eddico della Vǫluspá e lo stesso Gandalf è ripreso da questo elenco (4).
I draghi dello Hobbit e del Silmarillion si assomigliano in maniera impressionante ai draghi delle saghe germaniche, sono astuti e crudeli quelli, come il drago del Beowulf e come Fafnir, il drago del ciclo volsungo e nibelungico (5).
Sulla differenza fra draghi alati, che volano nell’aria (drakes, dragons) e draghi serpentiformi, che strisciano sulla terra (lindworms, worms) in questo scritto non entreremo, ma è sicuramente un tema interessante da approfondire in altra sede.
Il nome stesso della Terra di Mezzo, Middle Earth, lo spazio in cui si muovono i protagonisti delle saghe tolkeniane, deriva dalla mitologia germanica, essendo uno dei nove mondi descritti dalla sapienza nordica: Miðgarðr in norreno (il cosiddetto Recinto di Mezzo, ovvero la Terra di Mezzo), Midjungards in gotico, Middangeard in antico inglese, Middelered e Meddelearth in inglese medievale (6).
E si potrebbe andare avanti così a lungo.
Tanta era la sua ammirazione per le antiche saghe germaniche che Tolkien si adoperò per riscrivere una nuova versione della leggenda di Sigurd, Brynhild e Gudrun, in due poemi, la Völsungakviða en nýja e la Guðrúnarkviða en nýja, con l’intento, fra l’altro, di andare a colmare la terribile perdita nel Codex Regius (il manoscritto dell’Edda poetica) della parte centrale della storia.
Poemi pubblicati da pochi anni anche in Italia, con il titolo di La leggenda di Sigurd e Gudrun (2009).
Un anello del potere naturalmente compare in questi poemi tolkeniani, che riprendono in maniera così intensa l’Edda antica e le saghe germaniche, e ne parleremo più avanti.
È ora quindi di approfondire la genesi degli Anelli del Potere nelle opere tolkeniane e di descrivere in quale modo derivino dalla tradizione germanica e nordica.
Nello scritto Degli Anelli del Potere e della Terza Era, inserito nel Silmarillion dopo il Quenta Silmarillion (ovvero il Silmarillion vero e proprio) e dopo l’Akallabêth, Tolkien racconta la genesi degli anelli nella Seconda Era della sua mitologia.
Dopo la sconfitta di Morgoth, il Signore Oscuro, il suo luogotenente Sauron si era nascosto per lungo tempo.
Poi era riapparso come Annatar, il Signore dei Doni, in modo da ingannare gli Elfi e gli Uomini, e riprendere così i suoi oscuri piani di dominio del mondo.
Gli Elfi dell’Eregion si fecero ingannare dalla sua “figura bella e sapiente” (7).
“Prestarono dunque ascolto a Sauron e da lui appresero molte cose giacché grande era la sua conoscenza. In quei giorni gli artigiani di Ost-in-Edhil superarono qualsiasi altra opera avessero fatto prima; e venne loro l’idea di fabbricare degli Anelli del Potere. Era però Sauron a guidarne le fatiche, consapevole di tutto ciò che essi facevano; egli desiderava infatti irretire gli Elfi per tenerli sotto il proprio controllo.
Ora gli Elfi fabbricarono molti anelli; ma in segreto Sauron costruì un Unico Anello con cui dominare tutti gli altri, il potere dei quali era legato a quello con soggezione assoluta e destinato a durare solo quanto sarebbe durato il suo. Buonaparte della forza e della volontà di Sauron fluì in quell’Unico Anello; il potere degli anelli elfici era infatti assai grande e così l’anello che avrebbe dovuto governarli doveva avere una potenza superiore; e Sauron lo forgiò nella Montagna di Fuoco della Terra d’Ombra. E, quando aveva l’Unico Anello su di sé, poteva percepire tutto ciò che si faceva per mezzo degli anelli minori, e così era in grado di vedere e di governare gli stessi pensieri di coloro che li portavano.
Ma gli Elfi non erano così facili da ingannare. Non appena Sauron s’infilò al dito l’Unico Anello, essi furono consapevoli di lui; e lo riconobbero, e compresero che avrebbe voluto essere il padrone loro e di tutto quanto essi avevano forgiato. Così, adirati e spaventati, si sfilarono gli anelli. Sauron, però accortosi di essere stato smascherato e di non essere riuscito ad ingannare gli Elfi, montò in collera; e si scagliò contro di loro in guerra aperta, esigendo che tutti gli anelli gli fossero consegnati, dal momento che i fabbri elfici non sarebbero riusciti a fabbricarli senza la sua sapienza e senza il suo consiglio. Ma gli Elfi fuggirono lontano da lui e salvarono tre dei propri anelli, che portarono via e che nascosero.
Erano questi i Tre che erano stati fabbricati per ultimi e che possedevano i poteri maggiori. Narya, Nenya e Vilya: così furono chiamati; ossia gli Anelli del Fuoco, dell’Acqua e dell’Aria, ornati di un rubino, di un adamante e di uno zaffiro; e fra tutti gli anelli elfici Sauron bramò di impadronirsi soprattutto di questi, giacché chi ne fosse stato in possesso avrebbe potuto tenere lontano le ingiurie del tempo e procrastinare la stanchezza del mondo. Tuttavia Sauron non riuscì a scoprirli poiché essi si furono messi nelle mani dei Sapienti, che li nascosero e che mai più li adoperarono apertamente finché Sauron ebbe l’Anello Dominante. I Tre rimasero quindi incontaminati: erano stati forgiati infatti dal solo Celebrimbor e mai la mano di Sauron li aveva toccati, eppure erano anch’essi soggetti all’Unico” (8).
Il pezzo riportato racconta in maniera esauriente la genesi degli Anelli del Potere e le loro virtù magiche.
Il loro possesso diviene quindi fondamentale per decidere le sorti della guerra e del mondo intero.





“Da quel momento, la guerra tra Sauron e gli Elfi non cessò più, e l’Eregion fu devastato, Celebrimbor ucciso e le porte di Moria chiuse. A quel tempo, Elrond Mezzelfo fondò la roccaforte e rifugio d’Imladris, che gli uomini chiamavano Gran Burrone; ed essa resistette a lungo. Sauron riuscì però a radunare nelle proprie mani tutti i restanti Anelli del Potere e li distribuì agli altri popoli della Terra di Mezzo nella speranza di ridurre al proprio dominio tutti coloro che desideravano poteri segreti trascendenti quanto confaceva alla loro stirpe. Sette anelli egli diede ai Nani; ma agli Uomini ne diede nove, giacché gli Uomini si erano dimostrati, in questa e in altre occasioni, i più pronti a cedere alla sua volontà. E tutti gli anelli che dominò, Sauron li pervertì, e ciò fece con grande facilità poiché aveva avuto parte nella loro fabbricazione, ed essi erano maledetti e alla fine tradirono tutti coloro che li usarono” (9).
Il racconto prosegue narrando gli effetti degli anelli sui Nani.
“In verità, i Nani si rivelarono tenaci e difficili da domare; essi mal sopportano il dominio di altri e i pensieri dei loro cuori sono difficili da sondare, né possono essere trasformati in ombre. I Nani si servirono dei propri anelli soltanto per accumulare ricchezze: ma nei loro cuori si accesero l’ira e una incontrollabile brama per l’oro, da cui poi derivò sufficiente male a vantaggio di Sauron. Si dice che la base di ognuno dei Sette Tesori degli antichi Re dei Nani fosse un anello d’oro; ma tutti che i cumuli di ricchezze furono saccheggiati molto tempo fa e i Draghi li divorarono, e alcuni dei sette anelli vennero consumati dal fuoco mentre altri li ricuperò Sauron” (10).
Nel Signore degli Anelli è specificato, per bocca di Gandalf: “Dei Sette toccati ai Re dei Nani, tre li ha ripresi e gli altri sono stati annientati dai Draghi” (11).
Il Silmarillion prosegue poi con la descrizione degli effetti dei Nove Anelli sugli Uomini.
“Coloro che adoperarono i Nove Anelli divennero potenti in vita, e furono gli antichi re, stregoni e guerrieri. Conquistarono gloria e grandi ricchezze, ma tutto questo poi si volse a loro disgrazia. Ottennero, così sembrò, una vita senza fine, ma la vita divenne per loro insostenibile. Potevano aggirarsi, se lo volevano, invisibili agli occhi di tutti in questo mondo sotto il sole e potevano vedere cose di mondi invisibili agli uomini mortali; ma troppo spesso vedevano solamente i fantasmi e le illusioni di Sauron. E divennero per sempre invisibili salvo a colui che portava l’Anello Dominante ed entrarono nel mondo delle ombre. Essi erano i Nazgûl, gli Spettri dell’Anello, i più terribili servi del Nemico; la tenebra li accompagnava ed essi urlavano con la voce della morte” (12).
Il loro capo era il Re Stregone di Angmar (13).
Come termina l’epopea lo sappiamo alla fine di The Lord of the Rings, con l’Unico Anello distrutto nelle viscere del Monte Fato, dove era stato forgiato da Sauron.
Ma quali sono quindi gli anelli archetipali della tradizione germanica a cui Tolkien si è rifatto?
Sicuramente Draupnir, l’anello di Óðinn, e Andvaranautr, l’anello del nano Andvari.
Draupnir fu creato dai Nani assieme ad altri oggetti preziosi, tutti doni per gli Aesir.
Nello Skáldskaparmál è scritto: “Dopo di ciò Loki andò da quei nani che sono detti figli di Ivaldi , ed essi fecero la chioma e la (nave) Skíðblaðnir e la lancia che possedette Odino e che si chiama Gungnir. Poi Loki scommise la testa con il nano che si chiama Brokkr, che suo fratello Eitri (non) avrebbe saputo fare tre oggetti buoni come questi. E quando essi andarono all’officina, Eitri mise nella fucina una pelle di maiale e chiese a Brokkr di fare vento… finché il fabbro tolse dalla fucina (quello che ci aveva messo) ed era un verro e le setole erano d’oro. Subito dopo egli mise dell’oro nella fucina e chiese di far vento e di non smettere di soffiare finché non fosse tornato; e andò via. Ma allora venne la mosca e si posò sul collo di quello e lo punse due volte più forte. Ma egli fece vento finché il fabbro tolse dalla fucina l’anello d’oro che si chiama Draupnir…” (14).
I doni, fra cui l’anello, vengono portati poi agli Aesir, in Asgard: “E quando lui e Loki recarono gli oggetti preziosi, gli Asi si sedettero sui seggi del giudizio e doveva valere il pronunciamento che avessero espresso Odino, Thor e Freyr. Loki diede a Odino la lancia Gungnir, a Thor la chioma che doveva avere Sif e a Freyr (la nave) Skíðblaðnir e illustrò (le qualità) di tutti gli oggetti preziosi: la lancia non si sarebbe mai fermata (una volta scagliata), la chioma avrebbe attecchito sulla pelle non appena posta sulla chioma di Sif, e Skíðblaðnir avrebbe avuto vento favorevole non appena la vela fosse issata nell’aria dovunque si dovesse andare, ma volendo si poteva piegare come una stoffa e tenerla nella borsa. Poi Bokkr presentò i suoi oggetti preziosi. Egli diede l’anello a Odino e disse che ogni nove notti ne sarebbero sgocciolati otto anelli di pari peso…” (15).
Le proprietà magiche di Draupnir sono rivelate chiaramente in questo passo.
Il nove fra l’altro è numero sacro nella tradizione germanica e nordica, numero “in cui si esprime la compiutezza di un ciclo e il dominio su di esso poiché è il prodotto delle tre dimensioni dello spazio (inferi, terra, cielo) per le tre dimensioni del tempo (passato, presente, futuro)” (16).
Di Draupnir è anche detto nel Gylfaginning che Óðinn durante il funerale di suo figlio Baldr pose l’anello sulla pira (17) e che gli fu rimandato poi indietro dal figlio da Helheimr: “Allora Hermóðr si alzò e Baldr lo condusse fuori dalla sala e prese l’anello Draupnir e lo mandò a Odino per ricordo…” (18).
Nello Skírnismál il fedele servitore di Freyr, Skírnir per l’appunto, tenta di convincere la bella gigantessa Gerðr di corrispondere all’amore del Dio promettendogli addirittura lo stesso anello Draupnir (19).
Dell’anello di Óðinn non si fa cenno altrove nei testi eddici che sono sopravvissuti all’avvento del cristianesimo, ma la sua potente forza e la sua sottile suggestione ci arriva anche da questi pochi accenni.







Inutile ribadire quanto Tolkien amava e conosceva a menadito questi passi eddici.
Andvaranautr, l’anello del nano Andvari, è l’altro anello celebre delle saghe germaniche.
Se ne parla diffusamente in alcuni canti dell’Edda poetica, nello Skáldskaparmál dell’Edda di Snorri e nella Völsunga saga.
Nel canto eddico del Reginsmál si racconta: “Era in quel tempo giunto da Hjalprekr Reginn, figlio di Hreidhmarr. Di ogni uomo era il più abile, di statura nano. Era sapiente astioso ed esperto di incantesimi. Reginn allevò Sigurdhr, gli fece da maestro e lo amò davvero molto. Raccontò a Sigurdhr dei suoi antenati e dei loro fatti: come Odino e Hoenir e Loki fossero giunti ad Andvarafors, cascate in cui abbondavano i pesci. Andvari era un nome di un nano: da gran tempo stava nelle cascate in forma di luccio ed in quel luogo si procurava cibo. <Nostro fratello si chiamava Otr,> disse Reginn, <e spesso si spostava nelle cascate in forma di lontra. Aveva catturato un salmone e, seduto sulla riva del fiume, lo mangiava, tenendo gli occhi chiusi. Con una pietra Loki lo colpì a morte. Gli Asi si ritennero molto felici e tolsero la pelle alla lontra. Insieme, alla sera, presero alloggio presso Hreidhmarr e mostrarono la loro preda. Allora li facemmo prigionieri e imponemmo come riscatto che riempissero la pelle di lontra di oro e la coprissero, all’esterno, con oro rosso. A questo punto gli Asi mandarono Loki a procurare l’oro. Egli si recò da Ran e prese la sua rete; poi andò ad Andvarafors e gettò la rete davanti al luccio, che vi saltò dentro.>” (20).
Loki a questo punto intima ad Andvari di consegnarli tutto il suo oro, pena la morte, e quello alla fine cede.
Il canto eddico continua così: “Loki vide tutto l’oro che Andvari possedeva. Ma quando ebbe consegnato l’oro, quest’ultimo trattenne un anello; Loki però glielo tolse” (21).
Prima di sparire dalla scena il nano irato profetizza che quell’oro “sarà causa di morte per due fratelli e di diverbio per otto sovrani” (22).
L’anello è naturalmente Andvaranautr, l’anello magico del nano Andvari, e il Reginsmál precisa che è in grado di creare magicamente altro oro.
Il potere nefasto dell’anello e dell’oro di Andvari colpirà mano a mano tutti i suoi possessori, facendo strage di Nani, Valchirie, Re ed Eroi.
Hreidhmarr morrà per mano del figlio Fafnir, trasformatosi poi in drago, a sua volta ucciso da Sigurðr come si racconta nel Fáfnismál – e perirà anche Reginn per mano di Sigurðr – che coinvolgerà suo malgrado nella strage anche la valchiria Sigrdrífa (Brynhild), Gudhrun, Gunnar, Hogni e Attila – come si racconta nei canti eddici successivi – (23).
L’oro, nascosto da Gunnar e Hogni nel fiume Reno, non sarà più ritrovato e sparirà così dalla storia degli Uomini.




Nell’Edda di Snorri, e precisamente nello Skáldskaparmál, la vicenda è ricordata in modo similare, con poche differenze.
Ne riporto qui una parte: “Allora Odino mandò Loki in Svartálfaheimr ed egli giunse dal nano che si chiamava Andvari; quello stava nell’acqua (in aspetto di) pesce. Loki lo catturò e come riscatto (per aver salva) la vita gli impose tutto l’oro che aveva nella sua (dimora di) pietra. E quando giunsero nella (dimora di) pietra, il nano tirò fuori tutto l’oro che aveva ed era una ricchezza immensa. Allora il nano si fece scivolare sotto la mano un piccolo anello d’oro; Loki lo vide e gli ordinò di consegnare l’anello. Il nano lo pregò di non togliergli l’anello e affermò di poter far ricrescere la propria ricchezza dall’anello se lo teneva. Loki disse che egli non avrebbe dovuto avere (neppure) un soldo, gli prese l’anello e uscì. Ma il nano dichiarò che quell’anello sarebbe stato (causa di) morte per chiunque lo possedesse” (24).
Il potere corruttore e distruttivo dell’anello di Andvari ricorda molto da vicino i poteri nefasti degli anelli maledetti di Sauron sui Nani e sugli Uomini, rosi dalla sete dell’oro i primi e trasformati in spettri i secondi.
Anche la Völsunga saga riporta i fatti in modo simile e le parole finali di Andvari fanno capire che sia l’anello magico che tutto il resto dell’oro diverranno fonte di oscurità e perdizione (25).
Tolkien riprende la vicenda dell’anello e dell’oro di Andvari nelle stanze della prima parte, Andvara-Gull, del suo poema Völsungakviða en nýja, che come abbiamo detto prima è un omaggio appassionato alla saga dei Volsunghi e un tentativo di andare a colmare la disastrosa perdita del canto centrale della leggenda di Sigurðr (26).
Appare evidente quindi che Andvaranautr è stato modello per gli anelli tolkeniani.
Non entreremo qui nella vexata quaestio dei passaggi successivi dell’anello di Andvari, che sono riportati in diversa maniera dai canti eddici e dalla Völsunga saga, e totalmente omessi nel Nibelungenlied e nella Þiðrekssaga, che sono canti più tardi e fanno sparire del tutto l’anello (27).
La tragica saga dei Volsunghi, di Sigurðr, di Brynhild, e dell’anello è così archetipale che sarà di ispirazione per numerosi artisti, ancor prima di Tolkien, fra cui Wagner, con il suo celebre Der Ring des Nibelungen, L’Anello del Nibelungo.






Naturalmente la sensibilità dei vari autori sarà diversa nell’approcciarsi all’originale saga germanica e la loro ripresa di essa più o meno fedele.
Tolkien ebbe a smentire ovviamente la filiazione dei suoi anelli dall’opera di Richard Wagner, ma non smentì mai – e non poteva farlo – l’ispirazione che ebbe dall’Edda antica e dalle saghe nordiche, tanto che di Andvaranautr ne cantò egli stesso – come abbiamo sottolineato – nel suo poema Völsungakviða en nýja.
In ogni caso solamente dai canti eddici e dalle saghe più antiche si ricava ancora il pieno accesso a quel mondo della tradizione germanica, pagana, indoeuropea, in cui le azioni e le avventure di Æsir, Vanir, Elfi, Valchirie, Giganti, Nani e Uomini, si sommano alla riflessione sull’eterno scontro fra ordine e caos, sul potere della magia e dell’oro, sui Fati delle Potenze e degli Uomini.
La nostra ammirazione va comunque a J. R. R. Tolkien che, in pieno ventesimo secolo dell’era corrente, è riuscito a fondare una nuova mitologia (opera davvero titanica), riprendendo molti temi e molti simboli dalle antiche tradizioni pagane europee e soprattutto da quella germanica.
Egli, cristiano, si situa nel mezzo della letteratura europea novecentesca come un gigante, come un novello Snorri, che recupera la tradizione pagana antica e la riporta alla luce nelle sue opere (28).
La sua è una mitologia “inventata ma vera” (29) poiché si abbevera alle fonti dell’antica mitologia e dell’antica tradizione del nostro continente.
Quella tradizione che è fondante, che mai passa e che tornerà.


“Finnask æsir
á Iðavelli
ok of moldþinur
mátkan dæma,
[ok minnask þar
á megindóma]
ok á Fimbultýs
fornar rúnar”. 



“Si ritrovano gli Æsir
in Iðavǫllr,
e del serpente intorno al mondo
possente, ragionano,
[e rammentano là
le grandi imprese,]
e di Fimbultýr
le antiche rune” (30).


Note

1. J.J.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, Bompiani, Milano 2003, p. 23
2. Cfr. Prefazione di C. Tolkien, in J. J. R. Tolkien, La leggenda di Sigurd & Gudrun, Bompiani, Milano 2009, p, 7
3. Cfr. R. S. Noel, La mitologia di Tolkien, Rusconi, Milano 1984; T. Shippey, The road to Middle-Earth, Harper Collins, London 2005
4. Vǫluspá, 10-16
5. R. S. Noel, La mitologia di Tolkien, ed. cit. p. 164 s.
6. Ibid., p. 50 s.
7. J.J.R. Tolkien, Il Silmarillion, Bompiani, Milano 2013, p. 508
8. Ibid., p. 509
9. Ibid., p. 511
10. Ibid., p. 511
11. J.J.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, ed. cit., p. 84
12. J.J.R. Tolkien, Il Silmarillion, ed. cit., p. 512
13. Cfr. Dizionario dell’universo di J. J. R. Tolkien, a cura della Società Tolkeniana Italiana, Bompiani, Milano 2016, p. 278 s.
14. S. Sturluson, Edda, TEA, Milano 1997, p. 136
15. Ibid., p. 136 s.
16. G. Chiesa Isnardi, I Miti Nordici, Euroclub, Milano 1996, p. 505 s.
17. S. Sturluson, Edda, ed. cit., p. 102
18. Ibid., p. 103
19. Il canzoniere eddico, a cura di P. Scardigli, Garzanti, Milano 2015, p. 76 s.
20. Ibid., p. 197 s.
21. Ibid., p. 198
22. Ibid., p. 198
23. Cfr. Il canzoniere eddico, a cura di P. Scardigli, ed. cit.
24. S. Sturluson, Edda, ed. cit., p. 138
25. Cfr. Völsunga saga, a cura di R. G. Finch, Nelson, London 1965, p. 26
26. Cfr. J. R. Tolkien, La leggenda di Sigurd & Gudrun, ed. cit., p. 91 s.
27. Cfr. T. Shippey, Vita e morte dei grandi vichinghi, Odoya, Bologna 2018, p. 87 s.
28. Cfr. T. Shippey, The road to Middle-Earth, ed. cit. p. 391
29. G. De Turris, Il caso Tolkien, in La compagnia l’anello il potere, Il Cerchio, Rimini 2002, p. 20
30. Vǫluspá, 60


Immagini

1. Copertina di The Lord of the Rings di J. R. Tolkien
2. Copertina di The Silmarillion di J. R. Tolkien
3. Oden som vandringsman (1886), Georg von Rosen
4. Sigurd killing Fafnir the dragon, Hylestad Stave Church (XII° secolo)
5. Brünnhilde (1910), Arthur Rackham
6. Siegfried meets Gutrune, (1910), Arthur Rackham


Bibliografia

AA.VV., La compagnia l’anello il potere, Il Cerchio, Rimini 2002
Chiesa Isnardi G., I Miti Nordici, Euroclub 1996
Dizionario dell’universo di J. J. R. Tolkien, a cura della Società Tolkeniana Italiana, Bompiani, Milano 2016
Il canzoniere eddico, a cura di P. Scardigli, Garzanti 2004
Lun L., Mitologia nordica, Settimo Sigillo, Roma 1987
Noel R.S., La mitologia di Tolkien, Rusconi, Milano 1984
Shippey T., The road to Middle-Earth, Harper Collins, London 2005
Shippey T., Vita e morte dei grandi vichinghi, Odoya, Bologna 2018
Sturluson S., Edda, TEA, Milano 1997
Tolkien J.J.R., Il Signore degli Anelli, Bompiani, Milano 2003
Tolkien J.J.R., Il Silmarillion, Bompiani, Milano 2013
Tolkien J.J.R., La leggenda di Sigurd & Gudrun, Bompiani, Milano 2009
Völsunga saga, a cura di R.G. Finch, Nelson, London 1965

Völuspá, a cura di M. Polia, Il Cerchio 1983




Sitografia







Fabrizio Bandini, nato a Città di Castello (PG) il 9.11.1971, scrittore, poeta e saggista, si è laureato in Filosofia a Perugia, dove attualmente risiede.
Ha pubblicato varie opere di narrativa, poesia e saggistica, fra cui "Haiku" (Midgard Editrice, 2017), “I boschi sacri e l’albero cosmico. Uno studio sulla Tradizione Germanica e Nordica” (Hyperborea blog, 2018), "Saghe del tempo antico” (Midgard Editrice, 2019).







Copyright © Fabrizio Bandini










lunedì 2 settembre 2019

Come soffioni

di Roberta Marconi





Ero seduta in una elegante poltroncina in legno con braccioli intarsiati, l’avevo spostata vicino al finestrone che illuminava l’intera stanza per sbirciare il giardiniere che in quel momento era intento a tagliare qualche ramo di troppo ad una tra le migliaia di conifere che incorniciavano egregiamente quell’enorme complesso architettonico di cui mio padre era il padrone, ma guardando più a lungo si poteva scorgere l’intera città che quella mattina di novembre era accompagnata da una leggera foschia, ogni singolo angolo era di proprietà di mio padre, lui era il re.
Ad un tratto avvertii dei passi che stavano dirigendosi verso la mia camera. 
Non poteva essere nessun altro a parte  la mia balia Petra. 
A quell’ora il corridoio era sempre deserto. 
Bastarono due tocchi alla porta e una parola di approvazione da parte mia che Petra entrò di getto nella stanza.
“Buongiorno principessa Selene!” era la stessa frase che mi veniva ripetuta ogni mattina da quasi 18 anni, ma ogni volta amavo sentirgliela pronunciare perché mentre lo diceva aveva stampato nel volto un sorriso raggiante, si vedeva che era sinceramente felice di vedermi.
“Buongiorno Petra” risposi prontamente mentre si affrettava a far entrare il carrellino ricco di the, biscottini e dolcetti di ogni genere per farmi fare colazione. 
Petra era una donna di circa sessant’anni, robusta con un portamento un po’ goffo, capelli poco curati e acconciati con il solito nastro grigio, ma nonostante l’apparenza fosse poco affidabile, da quando mia madre se ne era andata pochi anni dopo la mia nascita, era stata incaricata di seguirmi e tra noi si era stretto un legame ben più forte di quello tradizionale tra la figlia del re e una balia.
Mentre sorseggiavo lentamente il the attenta a non sbrodolarmi, la donna rifaceva il mio elaboratissimo letto a baldacchino elencandomi contemporaneamente i compiti che dovevo svolgere nell’arco dell’intera giornata. 

Conoscevo a memoria oramai  quella pergamena, la vita di una principessa è circondata di ricchezze ma monotona. 
Dopo aver finito la colazione Petra mi avrebbe aiutata a lavarmi, infilarmi uno tra i miei sontuosi abiti rinascimentali e acconciato i capelli a mio piacimento (l’acconciatura infatti era una delle poche cose su cui avevo un pizzico di autonomia), poi sarei dovuta recarmi nella biblioteca del castello situata a due rampe di scale a chiocciola dalla mia stanza dove avrei preso lezioni di pianoforte, matematica, storia, astronomia, poi pranzo in sala con mio padre e la sua nuova odiosissima moglie dove dovendo stare sempre troppo attenta alle regole del bon ton, non sarei riuscita  a mandare giù nemmeno la metà di quello  che mi veniva servito dal cameriere Pierre. 
Mio padre Charles era molto premuroso nei miei confronti anche se poco presente, voleva che non mi fosse mancato nulla, ma ultimamente, da quando vedevo seduta la sua nuova moglie sulla sedia che prima era riservata a mia madre mi faceva salire un repentino ed involontario odio verso di lui, anche se erano passati tanti anni e i suoi gesti da mamma perfetta qual’era siano un ricordo oramai poco nitido nella mia testa non riuscivo a guardarlo mentre carezzava la mano o fare qualche altro gesto amoroso ad una donna al di fuori di colei che mi aveva fatta venire al mondo  e amata con tutta se stessa.


Estratto da "Come soffioni" di Roberta Marconi, Midgard Editrice 2018

www.midgard.it/come_soffioni.htm