lunedì 28 dicembre 2020

Hyperborea 4: un’antologia fantasy esotica







La parola che più di tutte, secondo il mio parere, descrive l’antologia Hyperborea 4 è “esotica”.
I racconti di quest’antologia fantasy permettono al lettore di visitare molti posti diversi tra loro, tutti caratterizzati in maniera molto specifica e originale: grazie ad Alexandra Fischer possiamo visitare il Deserto della Maschere e le sue polverose rovine; con Marco Bertoli possiamo sperimentare la sensazione di essere imprigionati in buie e sporche sale di tortura; attraverso le parole di Giulio Rosani visitiamo l’antico castello di Hohenstein che sorge sui pendii di una collina coperta da una folta foresta e, infine, Ottavio Nicastro ambienta il suo racconto in una dimensione urbana dei giorni nostri.
Un viaggio attraverso stili diversi, ambientazioni diverse, ere diverse che non può non arricchire il lettore incuriosendolo e tenendolo incollato a ogni pagina dell’antologia.

Affezionarsi ai personaggi che danno vita alle quattro storie raccontate in Hyperborea 4, e odiare alcuni di loro che si pongono spesso come antagonisti di spessore e profondità narrativa, è inevitabile. La maestria degli autori nel descriverli nei tratti fisici, nel carattere e nei comportamenti è tale che alla fine dell’antologia dispiace sinceramente doverli lasciare: una malinconia frutto del piacere che ha dato averli conosciuti e della tristezza di doverli lasciar andare per riviverli solo nella memoria… O in letture successive.


ll deserto delle maschere - Alexandra Fischer
Un fantasy decisamente Sword and Sorcery impregnato di mistero dall’inizio alla fine.
Alexandra racconta le traversie di una guida e di un viaggiatore alla scoperta di antiche rovine perdute tra sabbia e dune.
Il Deserto delle Maschere era un tempo abitato da una popolazione ormai sconfitta e in via di estinzione a causa del troppo potere che attraverso la loro magia avevano risvegliato. Le antiche rovine nascondono molti segreti e uno di questi, se rivelato, è in grado di riportare alla luce un potere che forse non dovrebbe essere ridestato.
La guida è una fiera ma domata appartenente ai Chawtin, popolo ormai domato e spezzato dai dominatori di cui Jyrzo è rappresentante di spicco. Suo malgrado, la Chawtin dovrà guidare Jyrzo attraverso le antiche rovine e farlo arrivare illeso alle maschere: potente manufatto sul quale i dominatori vogliono a tutti i costi mettere le mani.
Non sarà un viaggio di piacere, per nessuno dei due: acciaio e magia, nemici insidiosi, tradimenti e colpi di scena faranno da prodromo a un finale inaspettato.


Dipinto - Marco Bertoli
Qui le tinte si fanno fosche, gotiche, e l’ambientazione fumosa e sporca come in un romanzo di Howard Phillips Lovecraft. Proprio come in uno di quei racconti del terrore, nell’opera di Marco Bertoli l’umanità rivela tutte le sue più ignobili fattezze: lussuria, avidità, masochismo, sete di vendetta e ira. Tratti forti, decisi, che pennellano un racconto che va letto tutto d’un fiato.
Al centro di tutta la vicenda sta “La fustigazione di Domitilla d’Anduze de Saint-Bonnet”, un dipinto tanto sublime per realismo quanto atroce nel suo soggetto giacché rappresenta la scena di una ragazza allo stremo delle proprie forze sottoposta a crudeli quanto lussuriose e indecenti torture da parte di un uomo on indosso un cappuccio nero e la cui bocca è distorta in un ghigno che non possiede nulla di umano.
Il possessore di tale dipinto è un uomo altolocato e rispettato nei salotti che contano ma che ama sguazzare nell’indecenza, nel peccato e sopra ogni cosa nel masochismo: ciò cui tieni maggiormente è infatti la sua collezione di quadri raffiguranti donne seviziate; una collezione che riempie le pareti dello studio e dalla quale trae piacere ogni volta che il suo istinto lo richiede.
Qualcuno ha avuto l’ardire di rubargli proprio “La fustigazione di Domitilla d’Anduze de Saint-Bonnet”, il quadro a lui più caro, e per recuperarlo assolderà due cacciatrici di taglie: Ardweena e Artemisia, un’Elfa e la sua compagna unite da affari di soldi ma anche di letto. Le due cacciatrici di taglie oltre a riportargli il quadro dovranno consegnargli la testa del ladro. 
Per le due la missione si rivelerà assai ardua per via dell’identità del ladro in questione: una Necromante.
Anche qui il finale è quello da lasciare esterrefatti, a bocca aperta. Nulla finirà come ce lo si aspetta… Leggere per credere.


La fine di un lavoro ben fatto - Giulio Rosani
Giulio Rosani contribuisce a Hyperborea 4 con un racconto classicamente fantasy nell’ambientazione e nella trama.
L’avventura di Hannah si svolge interamente all’interno dell’antico castello di Hohenstein che, a detta dell’autore, “si ergeva su una collina coperta da una folta foresta e dominava la pianura sottostante”.
Il classico castello dalle solide e alte mura di pietra all’interno del quale, in tempi remoti, abitava il signore di quelle terre assieme alla sua famiglia, alle guardie e ai paesani artigiani e contadini. Un castello che ha visto tempi migliori e che, al tempo narrato da Giulio Rosano, è poco più di qualche rovina abitata da una malvagia creatura.
È proprio nei pressi di quel castello che Hannah, assoldata dall’Abate di San Giorgio, deve recarsi per stanare l’immondo essere che lo abita e liberare così, una volta per tutte, le terre che lo circondano dal suo malvagio influsso. L’avventuriera, già avvezza a simili incontri, dovrà infine dar fondo a tutte le sue risorse e a tutte le sue abilità magiche e di guerriera forgiata dalle molte battaglie per avere la speranza di vedere il sole sorgere ancora una volta. 
Hannah dovrà anche scegliere tra la vita e la morte, tra la sua missione e la sua coscienza: nel corso dell’avventura, infatti, scoprirà di non essere sola e che oltre alla presenza maligna che ammorba l’aria del castello altri avventurieri sono lì per cercare gloria e fortuna… Chi sopravvivrà alla notte?
Leggete questa epica avventura fantasy per scoprirlo.


The Monster - Ottavio Nicastro
Tornano in questa antologia fantasy le tinte gotiche e il mistero alla Edgard Alla Poe.
Nella normalità di ogni giorno, tra le strade e i palazzi delle nostre città, nelle case dei nostri stessi vicini possono nascondersi verità scomode da raccontare e atroci anche solo da pensare. Eppure esistono.
Ottavio Nicastro narra una di queste vicende che vede una persona normale che si reputa e che è reputato dalle altre persone un buon vicino, un uomo onesto e instancabile lavoratore trasformarsi in qualcosa in cui non vorrebbe trasformarsi e diventare qualcosa che avrebbe mai pensato di poter diventare. Eppure, in una certa misura, non è certo colpa sua bensì di quella vicina terribilmente affascinante: una donna alta, statuaria, provocante e dagli occhi di un nero così profondo da penetrare nell’intimo di ogni uomo lasciandovi un segno indelebile. Se non fosse già abbastanza, quella donna fatalmente desiderabile è essa stessa così desiderosa di compagnie maschili che con una frequenza disarmante passa da un amante all’altro. Tutti quanti uomini molto belli: fisici scolpiti da lunghe ore in palestra, uomini giovani e forti, maschi procaci.
Al povero Luigi, uomo comune nelle finanze e nell’aspetto, non rimaneva che osservare e sognare e, alle volte, sperare. Luigi sempre osservava di soppiatto quella donna che l’aveva stregato e, per questo, si sentiva terribilmente in difetto, quasi un mostro. Poteva davvero definirsi un mostro o solamente vittima di tanto fascino?
Un bel giorno le sue speranze diventano realtà: Caterina lo degna di uno sguardo, gli parla e addirittura lo invita a entrare in casa… La vita finalmente sorride a Luigi!
Ciò che succede da quel punto in poi non mi è concesso raccontarvelo, dovrete scoprirlo da soli. 

Davide Zaffaina 





martedì 22 dicembre 2020

Intervista a Stefano Sensi

Intervista a Stefano Sensi, autore di "Stefullgass", edito nella Collana Narrativa della Midgard Editrice.






Parlaci della tua opera, come nasce?

L’opera Stefullgass nasce da un mio desiderio di raccontare la mia storia per poter dare forza agli altri e anche far conoscere la condizione di una persona con la distrofia di Duchenne. Credo che la vita sia bella ed appassionante malgrado i problemi e le sfide che possiamo incontrare. Devo dire grazie al mio amico Carmelo Provvidenza che è stato probabilmente il primo a darmi l’input del libro; prima infatti avevo dentro di me questo bisogno di raccontarmi ma non sapevo bene in quale modo avrei potuto fare. Poi, una volta coltivata questa idea ho sperato di trovare subito qualcuno che mi desse una mano per realizzare questo sogno, ma non è stato semplice. C’è chi mi diceva di aiutarmi ma poi non era abbastanza costante e il progetto sfumava. Bisogna infatti avere una certa caparbietà per arrivare alla fine di un progetto ed è importante trovare persone che ci credono quanto te e vogliono arrivare fino in fondo. 


Com’è stata la collaborazione con Giacomo Fiorucci e Alvaro dal Farra?

È accaduto che un giorno, mentre scrivevo un articolo per L’AltraNocera, il mensile della mia città, Nocera Umbra, assieme al mio caro amico Giacomo Fiorucci, gli ho detto, quasi scherzando : “Ti andrebbe di aiutarmi a scrivere un libro sulla mia vita?” Giacomo mi ha preso subito sul serio e mi ha detto un “Sì” molto deciso. Ero molto felice e gli avevo da subito manifestato tutto il mio entusiasmo, tuttavia dentro di me sapevo che poteva essere solo una illusione. Del resto, scrivere un libro richiede tempo e non potevo sperare che qualcuno ne impegnasse così tanto senza poi stancarsi. Invece abbiamo iniziato a lavorarci sopra e non abbiamo mai smesso di essere entusiasti entrambi. È stata una bellissima avventura. Per le restrizioni del Covid spesso abbiamo dovuto sentirci solo telefonicamente, ma abbiamo avuto continuamente modo di correggere e perfezionare il lavoro. Questo libro tuttavia è stato molto spontaneo: io ho dettato praticamente tutto a Giacomo, tramite dei vocali su WhatsApp o vedendoci di persona, e lui ha ritrascritto fedelmente parola per parola. Lui poteva prendere spunto dai miei racconti e renderli più romanzati ma secondo lui bisognava lasciare esattamente com’erano, per rendere il tutto autentico e vero. Nella seconda parte del libro non sono io che parlo ma ci sono degli interventi di amici che ho voluto coinvolgere. Voglio ringraziare in maniera particolare Giacomo Crescenzi e Valerio Scassellati. Mentre scrivevamo il libro ho infine chiesto al mio caro amico Alvaro Dal Farra se voleva essere l’autore della prefazione e lui non solo ha accettato con entusiasmo ma ha rilasciato a me e Giacomo una intervista esclusiva presente a fine libro. Alvaro non è solo un campione nel suo ambito ma anche in quanto a generosità; è una grande persona.


Dei campioni che hai conosciuto quali sono quelli che ricordi con maggior stima e simpatia?

I piloti che ricordo con maggiore simpatia e stima sono Valentino Rossi, Pierfrancesco Chili, Lorenzo Savadori ( che ho conosciuto nel 2018), Colin Edwards e Randy Mamola. E ovviamente Dovizioso.


http://midgard.it/stefullgass.htm






lunedì 21 dicembre 2020

La colpa imperfetta







Il Dottor Privitera aveva già fatto presenti le sue prime considerazioni. L’ecchimosi non era molto vasta, sembrava che il colpo fosse stato inferto con un oggetto non appuntito ma di piccole dimensioni, comunque con una certa violenza. 

“È probabile che sia lesionato anche l’osso parietale… la morte però sembra avvenuta per annegamento”, aveva detto al Commissario.   

Di sicuro però il cane era stato ucciso con un’arma da fuoco. 

“Domani, dopo le analisi, sarò più preciso”, aveva promesso il medico legale mentre gli addetti stavano caricando il cadavere sul furgone.

 “L’assassino dovrebbe essere entrato superando la recinzione metallica sul retro della villa, facilitato dal dislivello del terreno. Sono evidenti i segni del passaggio che hanno deformato la rete in quel punto; all’interno è ancora appoggiata una delle poltroncine che forse gli è servita per superare di nuovo la recinzione”, osservò Cantoni rivolto al suo superiore.

Gli agenti della scientifica, diretti dal Dottor Reni, stavano ancora perlustrando il luogo alla ricerca di indizi: avevano raccolto i mozziconi di sigaretta dal posacenere che stava sul tavolino e altri oggetti trovati lì intorno, al fine di rilevare eventuali impronte e tracce di DNA, sistemando ogni cosa in piccoli contenitori di plastica.  

“Strano” disse Sansoni, “il cane era libero e quindi deve aver assalito l’intruso che gli ha sparato uccidendolo. A questo punto però la vittima avrebbe dovuto essersi allertata e di conseguenza cercato di difendersi. Sul bordo della piscina però non c’è nessun elemento che possa far pensare ad una colluttazione o comunque ad un tentativo di difesa, anzi sembra che sia stata colta di sorpresa e colpita con un solo colpo, preciso, alla tempia.”   

Dopo aver dato ordine agli agenti di chiudere e sigillare l’abitazione e di accompagnare la colf in commissariato per la deposizione, i due salirono sull’Alfa parcheggiata poco distante per rientrare al distretto.

“Ci mancava proprio quest’omicidio adesso!” esclamò Sansoni mentre stavano tornando in auto. “Impegnati come siamo a seguire le tracce di quel Bardassini! Sembra che siamo sempre sul punto di beccarlo, ma scivola via come un’anguilla e la droga intanto continua a girare in città: anche sabato notte abbiamo fermato dei ragazzi fatti e con la roba in tasca. Deve avere degli informatori quello: non può essere solo per fiuto che evita tutti gli appostamenti, che finiscono sempre con un niente di fatto… i ragazzi sono delusi e stanchi.”

“Lo farà prima o poi un passo falso!” esclamò Cantoni.

“Non c’è giorno poi che il questore non chiami…” continuò il Commissario… “per conoscere gli sviluppi dell’indagine sul giro di tangenti che pare coinvolga anche alcuni politici. Non vede l’ora di venirne a capo per togliersi questa spina e chiede in continuazione se ci sono novità…”

In centro il traffico era intenso: sembrava che i fiorentini quell’estate non avessero proprio intenzione di andare in vacanza e i turisti erano quelli di sempre. La colonna di auto avanzava lentamente in via Pisana e Sansoni decise di fermarsi per andare a fare colazione. Accostò l’auto in Piazza Pier Vettori, poi i due si avviarono a piedi verso il Bar più vicino. 

“Hai visto mio nipote di recente?” domandò Sansoni al giovane commissario, mentre girava lo zucchero nel caffè.  

“Ultimamente no, sta concludendo l’ultimo anno di specializzazione e quindi è molto impegnato. Ci sentiamo però spesso al telefono e siamo d’accordo di tornare a Contea insieme non appena sarà possibile.”

Il Commissario Sansoni e il giovane collega Cantoni, di fresca nomina, si conoscevano da diversi anni, da molto prima che Enzo, allora studente di Scienze Politiche, entrasse in Polizia. La decisione era maturata dopo la perdita della giovane fidanzata, ma già da allora il ragazzo aveva mostrato predisposizione per il lavoro investigativo. Il suo intuito, insieme ai tre amici di sempre, tra cui Maurizio, nipote del Commissario, aveva portato a scoprire un giro malavitoso. I ragazzi erano stati in seguito presi di mira per questo ed erano stati anche oggetto di attacchi intimidatori per aver favorito l’intervento dell’allora Ispettore Sansoni.  

Enzo aveva superato brillantemente il Corso di Scuola di Polizia ed era stato destinato alla sede di Firenze, dove il Sansoni aveva il ruolo di Commissario Capo, con una brillante carriera alle spalle e la imminente nomina a Vicequestore. Aveva voluto Enzo nella sua squadra e non perdeva occasione per portarselo appresso e fargli fare esperienza.   

Alto, sulla cinquantina, Andrea Sansoni conservava un fisico atletico, risultato di una intensa attività sportiva praticata in gioventù e frequentava ancora la palestra di judo. La barba, sale e pepe, corta e curata contribuiva a dare al suo aspetto un’aria elegante e il suo modo di fare, calmo e pacato, faceva trasparire sicurezza trasmettendo all’interlocutore rispetto e fiducia. La sua rapida carriera era stata favorita da diverse indagini brillanti con le quali aveva risolto casi importanti, alcuni anche piuttosto intricati. 


Estratto del romanzo "La colpa imperfetta" di Giulio Volpi, Midgard Editrice 2020


http://midgard.it/lacolpa_imperfetta.htm

martedì 15 dicembre 2020

Intervista a Oscar Bigarini

Intervista a Oscar Bigarini, autore del romanzo “La soluzione estrema”, edito nella Collana Narrativa della Midgard Editrice.






Buongiorno, parlaci del tuo nuovo romanzo, come nasce?

“La soluzione estrema” nasce con l’intenzione, già presente nei miei due precedenti romanzi “Il bracciale e il pozzo etrusco” e “L’enigma di Bernard Morris”, di far conoscere le ricchezze culturali, artistiche e naturali di Perugia e l’Umbria attraverso storie dove fantasia e realtà si incontrano. Il tentativo è di coinvolgere il lettore nel racconto invitandolo così ad approfondire la storia dei personaggi e dei luoghi trattati. Ma la novità assoluta del romanzo “la soluzione estrema” è che questo si distacca dai temi storici ed archeologici oggetto dei precedenti romanzi per trattare un problema attuale quale è quello ambientale.

Attraverso una vera e propria provocazione fantascientifica il racconto propone una soluzione surreale e provocatoria per eliminare l’inquinamento che ogni anno di più minaccia l’esistenza della vita sulla terra. 

La storia nasce da una mia preoccupazione e da una mia convinzione. 

La preoccupazione è per lo stato di degrado del nostro pianeta.

La convinzione è che per arrestare il crescente inquinamento che affligge la terra non è sufficiente fare appelli alla gente di tenere comportamenti virtuosi e agli stati di promuovere e attuare azioni eticamente accettabili, ma serve qualcosa di più forte e deciso.

Da queste considerazioni trae origine la storia narrata nel romanzo “la soluzione estrema” un “alto là” immaginario indirizzato ai potenti della terra affinché facciano qualcosa di concreto per salvare il nostro pianeta dal degrado ambientale. 


Quali sono le tematiche più importanti di questo romanzo?

Come detto in precedenza, la tematica principale del romanzo è lo stato di degrado che affligge la natura causato dal comportamento scellerato dell’umanità. Gli stati sostanzialmente fanno poco o nulla per arrestare lo scarico in atmosfera dei gas serra con il conseguente innalzamento della temperatura del pianeta. 

Le grandi nazioni sono le maggiori responsabili di questa situazione, al termine dei meeting internazionali sull’ambiente, si dichiarano disponibili ad azioni virtuose per eliminare o quantomeno ridurre l’innalzamento della temperatura terrestre che poi non si traducono mai in fatti concreti. 

Chi può combattere questo fenomeno sono i grandi assorbitori naturali di gas serra, vale a dire le foreste e gli oceani, ma la superficie delle prime si va ogni anno riducendo a causa di incendi catastrofici e delle indiscriminate attività di disboscamento industriale, la superficie dei secondi è invece sempre più interessata da isole di plastica grandi anche quanti nazioni se non continenti. 

Va inoltre considerato che di recente gli scienziati hanno portato all’attenzione che le recenti pandemie in parte possono avere origine anche dal continuo disboscamento e che l’inquinamento atmosferico è un fattore che può aumentare la diffusione delle malattie. 

Questa situazione deve essere al più presto risolta attraverso una progressiva riduzione dell’inquinamento generato dall’umanità, ma per raggiungere questo scopo non bastano proclami ma azioni forti e concrete che gli stati devono mettere subito in atto. 

“La soluzione estrema” è un invito forte e provocatorio, anche se surreale, rivolto ai grandi della terra di muoversi per salvare la terra, non rimane molto altro tempo prima che la situazione ambientale degeneri irreversibilmente.


Pensi che la letteratura possa ancora avere un ruolo pedagogico e morale per nostra società?

Assolutamente sì. Per raggiungere questo scopo è però necessario che il lettore possa avvicinarsi e magari riconoscersi, per vissuto o luoghi frequentati, ai temi trattati nei romanzi, siano essi storici o attuali. 

 Il linguaggio dello scrittore deve essere accessibile a tutti e non solo ad una ristretta cerchia di intellettuali. Mi sono posto questo problema quando ho iniziato a scrivere romanzi: ho pensato che forse un metodo per avvicinare i ragazzi e gli adulti allo studio della nostra storia e del nostro patrimonio culturale poteva essere quello di scrivere romanzi di fantasia che traevano origine da episodi realmente accaduti e luoghi realmente esistenti nei quali il lettore poteva in qualche maniera ritrovarsi. 


Progetti futuri?

Quello di seguitare a scrivere storie dove il confine tra la fantasia e la realtà non è ben definito, basato in parte su avvenimenti realmente accaduti e luoghi esistenti dove si muovono personaggi immaginari.


http://midgard.it/la_soluzione_estrema.htm


giovedì 10 dicembre 2020

Intervista ad Alberto Conti

Intervista ad Alberto Conti, autore dell'opera "Dopo l'inverno", edita nella Collana Poesia della Midgard Editrice.






Buongiorno, come nasce la sua opera?

Premesso che sia convinto che la quasi totalità degli adolescenti, me compreso, abbia composto almeno una "poesia",  nell'ormai lontanissimo 1958, in occasione della mia prima mostra di quadri in Spoleto, una amica di Roma mi regalò "I quaderni di Malte Laurids Brigg " di Rilke. A quella " folgorazione" segui la scoperta  della sua poetica "Poesie sparse ed ultime" della Vallecchi (per inciso in edizione numerata) che diede il colpo di grazia all'innamoramento. Da lì tutto inizia, anche se, come notato dalla curatrice della mia precedente raccolta dell 2010  A. Leonardi "versi  leopardiani e foscolani... erano rimasti nell'orecchio interno come imprinting incancellabile e irrinunciabile...". Così ho continuato a scrivere e pubblicare nel 1988-2003-2010 ed oggi.


Quali sono le tematiche più importanti nella sua poesia?

Via via, negli anni, da temi generali,  sulla condizione umana ed anche politici (fra le liriche non pubblicate " Le due torri-Beslan-Lo tsunami") c'è stato un ripiegamento o una riscoperta dell'indagine su me stesso, su i miei scopi esistenziali, sulla casualità o misterica necessità della mia esistenza. In questi ultimi scritti molto verte sull'amore di coppia, ormai in vista di un addio ineluttabile. Insegnava Kierkegaard che "la sofferenza spinge un uomo a guardarsi dentro".


Qual è il rapporto fra la scrittura e il resto della sua vita?

Non è diventato mai un obbligo. Tutto si accumula nel tempo dentro fino a raggiungere un punto di rottura di cui non ho mai concepito le conseguenze perché ho avuto la possibilità di servirmi dello scrivere come una valvola di sfogo che mi permettesse di continuare in una esistenza, in qualche modo, accettabile, sopportabile. 


Che scrittori le piacciono e la ispirano?

Sono sempre stato un lettore onnivoro e, talvolta, compulsivo. Ho dimestichezza con i più vari stili di scrittura ed ogni libro diviene per me un regalo ed in ogni autore trovo qualcosa che mi affascina. In questo ultimo negativo anno ho letto e riletto: Sepulveda,  Hannah Arendt, Odifreddi, Mancuso, Galimberti ma anche Don Milani, Machiavelli e Papa Francesco. Sono facile agli "innamoramenti" e tutti lasciano un sedimento che può riaffiorare e riflettersi sulle mie cose.


http://midgard.it/dopo_linverno.htm









mercoledì 2 dicembre 2020

Sconfinamenti

 di Gianluca Ricci




Fiabe svoltate (ovvero all’incontrario)

Prendete una fiaba qualsiasi, fatela finire all’incontrario con il cattivo che vince ed il buono che muore come un inetto, oppure calatela in un altro contesto, modernizzatela, cambiatene il tempo o lo spazio in cui si svolgono, ricamateci intorno, leggetela metaforicamente o come più vi piace. Svoltatele anche voi. 


Un moderno Barbablù

“Ti avevo ordinato di non aprire quella porta, donna! – tuonò con voce alterata Barbablù facendo rabbrividire la povera sposina, – Adesso dovrai morire!”

“Non posso, mio signore, non posso proprio e poi a te non conviene”, replicò la giovane sommessamente.

“E perché mai, sciagurata?” 

“Perché mi sono appena loggata in Twitter  e Facebook ed i miei fratelli sono già qua sotto, pronti a salvarmi.”

“Twitter? – grugnì il mostro – Ah, davvero? Facebook ed anche Instagram?”

“Sì, è tutto così facile!” provò a scherzare la moglie, rincuorandosi. 

L'energumeno a quelle parole si calmò di botto. Temeva soprattutto per il suo buon nome e non voleva passare alla storia come il primo femminicida della famiglia. 

“Va bene. Adesso cerco sulle Pagine gialle on line una ditta di pulizie che ci sgombri la cantina e faccia ordine a casa nostra una volta per tutte... Sai che ti dico? I nostri problemi sono risolti per sempre!”

“Allora, caro, – suggerì la donna – prenotiamo anche una vacanza ad Antigua e Barbuda? Dovremmo mettere ordine anche nel tuo conto corrente. Mi servirebbero un po’ di bitcoin.”


Cenerentola, ovverosia un'avventuriera a corte

La ragazza per tutta la sera non aveva fatto altro che sgomitare per mettersi in mostra. Rassettava in continuazione il proprio abito da sera ed ogni volta che incrociava uno specchio si fermava per controllare la propria immagine, lo stato del trucco, la tenuta dell'acconciatura.

Finalmente ce l'aveva fatta! Il suo primo ballo a corte con invito ufficiale! Schiattassero pure di rabbia le sorellastre che, per partecipare al Gran gala di beneficenza, si erano dovute sacrificare per più di un anno come crocerossine! Ora aveva tutta la corte ai suoi piedi: mai un ballo, che dico, una mazurca, una polca o un tango senza che il suo carnet rimanesse vuoto.

Sì, quella era vita! Ed anche il principe che la stringeva nel vortice delle danze non sembrava avere altri occhi che per lei. Che bello, il principe, l'erede al trono, era innamorato di lei. Di nuovo la favola di Cenerentola.

Mezzanotte! Per farsi desiderare di più decise di scappare al compiersi delle ore, scivolando a piedi nudi sui tappeti. L’avrebbero cercata in ogni dove, ormai ne era convinta.

“Ah, la piccola intrigante!” bisbigliò appena il principe, scansando con la punta delle sue scarpe di vernice quelle abbandonate a bella posta dalla dama.


Biancaneve

“No, dottore, no! Proprio non possiamo darglielo, il permesso all'espianto! Vede, non è la prima volta che nostra sorella Biancaneve cade in coma profondo, ma dopo si è sempre risvegliata. La prima volta è successo quando si era persa nel bosco dietro casa. Sa, noi abitiamo in campagna. La seconda, è stato quando stava per strozzarsi per la mania di indossare nastri colorati. E chi li porta più oggi, i nastri? Poi si è presa una setticemia per un piercing fatto chissà dove. E l'intossicazione per l'hamburger mangiato al fast food?

Vede, dottore, l'importante è che ci sia qualcuno quando si risveglia, che la sappia tranquillizzare con una carezza, un bacio, una coccola. Lei non sa che miracoli possa fare l'affetto, il semplice affetto! Rimette in vita, ci creda. Cerchi di capirci, dottore! Cosa? Vuole chiedere l'autorizzazione ai nostri genitori? Ma papà è sempre in viaggio per affari anche molto importanti e nostra madre è morta. Viviamo con la nostra matrigna, ma lei se ne sta sempre seduta davanti alla televisione e qualche volta ci parla pure...”


Cappuccetto rosso

“Non ne posso più! – disse il vecchio lupo tra sé e sé, mentre finiva di misurare nervosamente e per l'ennesima volta il tragico perimetro in cui era stato rinchiuso. – Fino ad un mese fa ero libero. Capite? Libero, me ne andavo di notte per le forre e le gole dell'Appennino. Cacciavo, facevo all'amore, guidavo il mio branco, ululavo a piacimento alla luna o contro le luci della città degli umani, quelle costruite a schiera a fondovalle. Loro avevano paura, stavano alla larga. Non si sentiva neppure l'odore di un cacciatore per miglia e miglia. E noi lupi, in compenso, non aggredivamo nessun gregge a patto che fosse ben custodito. Adesso sono qui, schiavo tra gli schiavi, a mangiare carne putrida ed avanzi di polpette del supermercato.

Puah! Ma ciò che sopporto di meno è quella stupidina con la pellegrina rossa, tutta smorfiosetta, vestita come una damina d’altri tempi. Se ne viene qui con la nonna tutti i giorni e, non appena la vecchia si volta, con la mano libera mi tira una manciata di ghiaia e mi colpisce sempre al muso.

Come la odio! Giuro che sarei ancora capace di farmela in un solo boccone!”


Il Gatto con gli stivali

SEGRETISSIMO – URGENTISSIMO

Oggetto: Rapporto informativo a S.E. il Presidente del Consiglio dei Ministri, agli On. Ministri della Difesa, di Grazia e Giustizia e degli Affari interni, al Capo di Stato Maggiore delle FF.AA. e ai sigg. Dirigenti degli altri Servizi Segreti e Forze di Polizia.

Si trasmette per competenza e per i dovuti provvedimenti nota riassuntiva sulle attività e carichi pendenti dell'ex-agente Doppio-Zero Doppio-Zero, conosciuto con il nome in codice di Gatto con gli stivali soprattutto per la sua abilità a muoversi in pressoché tutti gli ambienti politici europei ed oltremare.

Si precisa che, nonostante iniziali e presunte simpatie democratiche ed animaliste, a suo carico risultano i seguenti capi d’incriminazione:

a) millantato credito;

b) sostituzione di persona;

c) falsa attestazione sulla propria e altrui identità;

d) caccia di frodo continuata;

e) diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico;

f) abuso della credulità altrui;

g) circonvenzione d'incapace con conseguente orchicidio e vilipendio di cadavere;

h) costrizione fraudolenta al matrimonio;

i) appropriazione indebita.

Vuolsi che tali reati siano stati perpetrati con, e a favore del sedicente Marchese di Carabas, noto affarista, correo ed oggetto delle brighe del suddetto Gatto con gli stivali allo scopo di sollevarlo fino al trono del suo Paese con interruzione innaturale della legittima linea ereditaria.

Pregasi dare massima diffusione presso i propri collaboratori et attivare massima vigilanza.



Pelle d'asino

Stimato professore e caro collega,

non è la prima volta che richiamo alla Tua intelligente attenzione la complessità della fiaba che tutti si ostinano a chiamare Pelle d'asino. È un errore sesquipedale e frutto di una madornale incapacità d'analisi considerarla come un racconto unitario, fantasticamente godibile. Possiamo notare invece tre nuclei, che sintetizzano l’evoluzione delle forme matrimoniali tra il periodo neolitico e l’età antica.

Ti riassumo la mia teoria. All'inizio abbiamo un primo nucleo solo apparentemente incongruente con i successivi: si tratta del tema del matrimonio incestuoso tra parenti, all'interno dell’orda, e poi solo della famiglia reale, ma che vuoi, niente di eccezionale, basti pensare a quanto avveniva nell'antico Egitto. Poi c’è la fuga, la sottrazione all’unione endogamica delle nuove classi d’età, il rifiuto dell’incesto, perché viene percepito proprio così, come immorale, ed infine l’istituzione di nuove regole sociali per un giusto matrimonio geneticamente corretto. Difatti, il motivo finale, il corteggiamento tra i due giovani principi, ostacolato dalle convenzioni, non è che la descrizione di come vennero legittimate le nuove unioni matrimoniali. Con l’illustrazione di ciò che è conveniente o sconveniente. Tra l’altro hai notato che qui l’anello ha la stessa funzione della scarpetta di Cenerentola?

Stammi bene, tuo,

Vladimiro.


Il tenace soldatino di piombo

“Dear John, – digitò sulla tastiera Elisabeth, – preferisco mandarti una email piuttosto che telefonarti: così mi leggerai senza interrompermi. Ti amo, lo hai sempre saputo, ma ora comincio quasi a pentirmene, perché ferisci la mia sensibilità di donna innamorata. 

Riesco a perdonarti solo quando penso che così facendo tu credi di proteggermi. Da chi o cosa poi? Chi ti dà il diritto di considerarti il soldatino di piombo difettato, buono solo per completare la collezione? Davvero sei l'unico che ha sofferto sul suo corpo per una guerra tanto stupida ed ingiusta come quella dalla quale siamo appena usciti? E da quanto tempo, ormai, ti comporti così! Ma le guerre continueranno sempre a ripetersi ed altri soldati ancora vi moriranno o vi resteranno feriti come è successo a te.

Tu sei sempre l'uomo meraviglioso, buono e dolce che ho conosciuto fin dal primo giorno. Mi deludi quando pensi di non essere degno d'amore, quando credi di essere un peso per me. E poi tutto il tempo che mi/ci rubi con quelle stupide gare di sport estremo, di manifestazioni da baraccone che ti servono a dimostrare quello che non sei mai stato. 

Non mi sfuggire, fatti raggiungere: del resto anche io ho il tempo che ho. Oggi alla Scala, domani all'Opera, poi ancora al Bolshoi. A volte mi sento come un frammento di carta trascinato dal vento della vita e bruciata da un'unica cocente e sfortunata passione.

Quella che nutro per te. Da sempre.

La tua ballerinetta”.


Hänsel e Gretel

“I cinesi, i cinesi!” gridò istericamente una donna con voce querula, come se stesse recitando una parte in un vecchio film, solo che questa volta non si trattava di un lamento né di una richiesta d'aiuto. Segnalava ai giornalisti appena arrivati perché mai ci fosse un gran movimento di polizia attorno alla villetta costruita proprio in fondo al paese. Le guardie portavano su dal seminterrato scatoloni pieni di rocchetti di filo, pezze di stoffa colorata, campionari, faldoni d'archivio. A prima vista sembrava che gli agenti fossero stati mandati per procedere alla chiusura di un laboratorio tessile clandestino. Ed era proprio così.

In disparte, in un cantuccio, guardati a vista, perché ancora non si era potuto procedere alla loro identificazione, un gruppo di bambini dalle fattezze orientali rimaneva silenzioso ed impaurito. Un agente controllava che i fotografi non rovinassero i pochi documenti sequestrati, mentre li fotografavano con il flash appoggiandoli al cofano di un gippone.

“Che cosa vuole, dottò? – interloquì bonariamente il poliziotto, – 'ste carte neanche sono loro. Spesso se le passano tra parenti, amici o le comprano come se ci fosse un mercato, un grande mercato nero dei documenti. Vede? Questi due si chiamano Hänsel e Gretel. Dovrebbero essere tedeschi, invece sono dei poveri cinesi e non si sa neppure da che parte del Celeste Impero provengano. Sa cosa le dico? A me sembra come il gioco dello schiaffo del soldato. Sì. Ieri i nostri bambini andavano a mendicare all’estero con la marmotta ed oggi loro sono qui a tessere ventiquattro ore su ventiquattro. Certe storie non finiscono mai di ripetersi, come le fiabe. E sembrano sempre nuove”.


La Sirenetta

Fu sotto il sole d'agosto, quando l'astro al tramonto sembrava sciogliersi come cera rossa sopra l'acqua e sotto il cielo, che la bella Sirenetta, comodamente seduta al bar della spiaggia, le lunghe gambe abbronzate e pareo trasparente, vide prendere terra il suo ultimo, instancabile corteggiatore.

Costui balzò giù agilmente dalla propria, relativamente modesta imbarcazione, tenendo in mano le pinne e la maschera da sub che la ragazza aveva dimenticato poco prima a bordo.

“Di solito – sbuffò l'uomo riprendendo il fiato (in verità non era più giovanissimo né magrissimo) – sono le scarpette di vetro, quelle che si perdono... Comunque non dirmi che ho fatto tutto questo senza avere la possibilità di invitarti a cena!”

“Grazie per avermele riportate, ma non credere che alla cena segua la discoteca e poi a casa mia o a casa tua...”

Al che l'uomo lasciò cadere gli oggetti ancora bagnati e si voltò bruscamente senza salutare.

“Preferirei – esclamò la Sirenetta molto in fretta e ben certa di farsi sentire, – quel motel là, appena fuori costa...”


La Principessa sul pisello

Un quarto alle due capì che anche quella notte non sarebbe riuscita a dormire sufficientemente. Maledetta vita da giornalista specializzata! Sempre in giro per affibbiare stelle, forchette o cappelli a questo o quell'albergo, provando questo o quel ristorante. Forse era colpa della cucina di mare troppo speziata che aveva delibato poco prima a cena, forse era il letto duro come un tavolaccio e foderato di spifferi. Dalle persiane della finestra sul cortile interno filtravano le luci di servizio sempre accese nonostante fosse bassa stagione. E sì che le aveva provate tutte: chiamato al cellulare il suo amore lontano, letto almeno cinquanta pagine dell'ultimo libro di Baricco, ascoltato più volte i brani preferiti in cuffia. Niente da fare.

“Ciro, – disse il direttore al portiere di notte, tornando nella hall per ritirare i giornali del giorno prima – vuoi vedere che quella giornalista della Guida Tutti so’… ffritti! neanche 'sta notte s'addorme? Proprio come cinque anni fa, che poi se la piglia con noi. Mannaggia a lei, pensava che non l'avessimo a riconosce? Ma ci portò fortuna allora, perché tutti vennero a vedere se poi ’st'albergo era proprio ‘o cesso che era annata dicenno!”


I vestiti nuovi dell'imperatore

Le modelle, le attricette, le stelline scendevano una ad una dalle lunghe e lucide automobili di rappresentanza. Mostravano generosamente scollature da capogiro e spacchi inguinali da infarto. Ne risaltava a tutto tondo la loro superba natura, appena velata da un'ombra di vestito, da ricami impudicamente intessuti su chiffon e da veli lievemente drappeggiati sui corpi.

Al braccio di cavalieri altrettanto noti o in attesa di diventarlo, salivano lentamente la scalinata del Palazzo del Cinema per assistere alla presentazione dell'ultimo film di successo. Si fermavano un attimo appena per la gioia dei propri fan, dei fotografi e dei teleoperatori. Un diluvio di flash trasformava seta, lycra e nylon in una cascata di riflessi cangianti, in lampi di luce assoluta.

All'improvviso, come spesso accade in una situazione di grande confusione, tutti i rumori si placarono e si generò all’improvviso un attimo di imbarazzatissimo silenzio.

“Mamma mia, - ed era una vocina infantile, esile ed appena sospesa nell’aria - guarda quella là, laggiù. Ma quanto è grassa!”


Il brutto anatroccolo

“Non si comincia mai a scrivere senza prima impugnare una penna, senza accostare la mano al foglio, senza vivere da qualche parte nel mondo anche molto a lungo, senza poi cambiare i propri orizzonti, quante più volte sia possibile...”

Con queste parole aveva cominciato a sporcare l'ennesimo foglio bianco. Eppure, di fronte a lui, il più grande e gettonato scrittore del momento, non si accumulavano più parole e frasi, ma ghirigori e tratti confusi, segni di correzioni senza fine. La crisi dello scrittore. L’essere, cioè, su un argomento, ma non crederci. Essere persuasi di poter scrivere, ma non aver nulla da dire. E questo perché ancora non si è chiarito in noi lo scandalo e la complessità del mondo, della vita.

Un anno, era giusto passato un anno, da quando, abbandonate le brume e le asfaltate vie della sua città, al Nord, si era lasciato catturare dall'effluvio salino del mare, dal sottile profumo della vegetazione mediterranea. Aveva conosciuto la vita dei pescatori e ne aveva condiviso il cibo. La notte dormiva sotto le stelle facendosi mangiare vivo dalle zanzare. Il suo volto, cotto dal sole, era diventato una ragnatela. Sorrideva per primo se qualcuno notava il suo accento da forestiero, ma fuggiva a gambe levate all'annuncio dell'arrivo di nuovi visitatori.

Finché un giorno, vicino alla foce, là dove cresceva un folto canneto, vide un cigno sollevarsi in volo sul pelo dell'acqua, grazie al violento sbattere di due ali enormi e sgraziate. Perché il cigno che vola non è bello, come quando scivola con nonchalance sulla superficie dei laghi e dei fiumi. In aria è solo un tozzo siluro che sbatte le proprie ali a ritmo forsennato. 

“Ah! – si sorprese a mormorare, – lui ci riesce...” e qualcosa in lui si spezzò all'improvviso.


La piccola fiammiferaia

Nadia si considerava una figlia d'arte e non a caso. Il padre, esponente di spicco dei Rivoluzionari Duri e Puri, era morto orribilmente dilaniato ai piedi di un traliccio dell'alta tensione, che aveva appena finito di minare. La madre, incarcerata in attesa di giudizio per una serie di incendi appiccati ai negozi della catena di fastfood Non solo ciccia, si era lasciata morire d'inedia per forzare il nuovo Capo dello Stato a firmare l'amnistia per tutti i terroristi detenuti, quale che fosse stato il loro residuo di pena da scontare.

Allevata al di fuori di una vera e propria famiglia, Nadia capì ben presto che sarebbe dovuta crescere con l’obbligo di dimostrare continuamente le sue vere capacità, non potendo contare sull'indulgenza di chi le stava vicino. Così il suo carattere divenne determinato, asciutto e poco espansivo. S’impegnò negli studi e riuscì brillantemente nelle discipline tecniche. Si laureò in Architettura civile con una tesi in Arte e tecnologia delle grandi costruzioni.

La fortuna le arrise presto, perché riuscì vincitrice del concorso per la realizzazione della nuova sede centrale della First National Bank. Un edificio davvero megalitico, solido a vedersi e stupefacente per le inedite soluzioni tecniche adottate. Mai prima di allora la ricchezza di uno Stato veniva ad essere così degnamente rappresentata.

E la fortuna arrise per la seconda volta alla ragazza, quando per un banale sovraccarico di rete si sprigionarono fiamme così voraci, che, canalizzandosi quasi obbligatoriamente nei giganteschi condotti d'aerazione, ridussero la modernissima costruzione in un mucchio di cenere in brevissimo tempo.

    

 Estratto dal volume "Sconfinamenti" di Gianluca Ricci, Midgard Editrice 2020


http://midgard.it/sconfinamenti.htm





giovedì 26 novembre 2020

Intervista a Giordano Gerundio

Intervista a Giordano Gerundio, autore del volume illustrato “La banda del vecchio orologiaio e altre storie d’amicizia”, edito nella Collana Fiabe della Midgard Editrice.







Buongiorno, parlaci della tua opera, come nasce? 

I racconti che formano la raccolta hanno genesi diverse: ad esempio Nerone è una storia autobiografica; si racconta del forte legame tra mio nonno e un puledro, Nerone appunto. Una storia tante volte raccontata da mio nonno, che in questo modo teneva vivo il ricordo del suo cavallo e di quel legame che lo aveva segnato profondamente. Anche le immagini del racconto, a differenza delle altre, sono aderenti alla realtà come la vecchia foto dell’ultima pagina che sta a testimoniare la veridicità dei fatti narrati. Pure “Il vecchio pittore” nasce da una mia lontana esperienza di vita. Da bambino, un pittore era venuto ad abitare in una bella villa proprio accanto alla mia casa. Dopo diversi anni ho scoperto per caso che quel pittore, che io non ho mai conosciuto, ma di cui conservo per un caso fortuito alcuni bozzetti, era un pittore famoso. Mentre “Di mestiere faccio ridere” si ispira alla straordinaria esperienza del clown Miloud e dei suoi ragazzi divenuti ormai famosi in tutta Europa grazie ai loro spettacoli, che io sono fiero di aver conosciuto. Quei ragazzi, come il mio personaggio Thomas, erano ragazzi di strada che prima di conoscere Miloud vivevano di elemosina ed espedienti e si rifugiavano nel sottosuolo della loro città, vicino alle fogne. Ma forse la domanda fondamentale non è tanto come nasce una storia ma perché abbiamo bisogno di nutrirci di storie. La risposta la dà mio nonno con le parole della grande scrittrice Karen Blixen: “Le storie si raccontano da sempre, e senza storie gli uomini sarebbero morti come sarebbero morti senza acqua”.    



Quali sono le tematiche più importanti dei tuoi racconti?

 Ho la profonda convinzione che scrivere come leggere debba essere un’esperienza significativa, che permetta di arricchirsi e modificarsi: non amo la letteratura di puro intrattenimento. Le tematiche a me care si possono identificare con ciò che credo nella vita di un uomo come già di un bambino conta: l’amore in tutte le sue forme, l’amicizia, la fratellanza, la curiosità di conoscere e comprendere il mondo che ci circonda. 



Come è stata la collaborazione con le illustratrici?

La collaborazione con le illustratrici, con Alessandra e Cinzia ci conosciamo da tempo e insieme abbiamo collaborato a diversi progetti, si è basata sulla stima e fiducia reciproca. Io ho esposto loro le mie idee riguardo alle immagini da illustrare, ma poi ho lasciato ampia libertà creativa, sicuro del fatto che le immagini abbiano la stessa rilevanza e dignità delle parole. 



Che scrittori ti piacciono e ti ispirano?

Sono tanti gli scrittori che amo e a cui idealmente mi ispiro: anche un maestro ha bisogno di maestri. Tra questi vorrei sicuramente ricordare Luis Sepulveda ma anche David Grossman con la sua invidiabile capacità di scrivere libri per bambini, ragazzi e adulti e il suo pacato ma instancabile impegno civile. Come non menzionare poi la straordinaria collaborazione tra Gianni Rodari e Bruno Munari e ancora Roberto Piumini e le bellissime rime di Bruno Tognolini e di Gek Tessaro. In ultimo vorrei ricordare il capolavoro di Jiuri Norstein “Il riccio nella nebbia” che con disarmante semplicità arriva dritto al cuore di bambini e adulti per parlarci del bisogno fondamentale dell’amicizia.   

 

http://midgard.it/labanda_delvecchioorologiaio.htm

 

martedì 24 novembre 2020

Intervista a Margherita Merone

Intervista a Margherita Merone, autrice del volume illustrato “Le divertenti storie della stella Luce”, edito nella Collana Fiabe della Midgard Editrice.








Buongiorno, parlaci della tua nuova opera, come nasce? 

Ciao Fabrizio, la mia opera nasce come sempre avendo come musa ispiratrice mia sorella Cecilia, che è venuta a mancare per colpa di una brutta malattia quando era piccola. Quando penso a lei  mi vengono in mente sempre tante storie, ti dico solo che prima di morire mi ha regalato una penna, per questo ho sempre pensato che desiderasse che scrivessi delle favole per i bambini. Anche se adesso certamente i tempi sono cambiati i bambini amano sempre ascoltare delle belle storie. Le avventure della stella Luce sono sempre divertenti. 



Quali sono le tematiche più importanti dei tuoi racconti?

Sono tutte storie che hanno un carattere pedagogico, parlano dell’amore, dell’amicizia, della famiglia, dei rapporti tra le persone, di tutto ciò che riguarda la nostra vita. La stella Luce insegna ai bambini a fare il bene e a comportarsi sempre in modo esemplare. Fa capire loro quando sbagliano ma in un modo sempre allegro e delicato. Solo i bambini possono vedere la stella Luce perché hanno un cuore puro e buono.

 

Come è stata la collaborazione con l’illustratrice Valeria Bucefari?

Valeria non è solo una grandissima disegnatrice, è un’amica e una donna stupenda.
Grazie ai suoi disegni tutte le storie acquistano valore e danno prestigio al libro. La stimo molto perché è veramente bravissima.



Progetti futuri?

Nel futuro conto di scrivere altre storie per i bambini perché mentre le scrivo mi emoziono e spero che questo accada anche ai bambini che le leggono.
Ciao Fabrizio ti ringrazio tanto. 

venerdì 20 novembre 2020

L'eco delle mie emozioni

 di Andrea Troiani





A qualunque costo


Ho scelto la tempesta,

disertando la quiete...

Mi sono innamorato delle spine,

ancora prima della bellezza...

E se il tuo amore fosse inferno,

che io sia dannato.



Il vaso rotto


Se dovessi scegliere un vaso...

Beh sceglierei un vaso rotto...

Esteticamente è bello uguale e in Giappone ha un significato che va ben oltre l’usanza.

Viene riparato con venature dorate che uniscono i pezzi frantumati…

Kintsugi, è il nome di questa tecnica…

la tecnica che chiude le cicatrici con l’oro.

Queste “cicatrici” sono metaforicamente il nostro cambiamento,

la nostra crescita e valorizzano la nostra vita.

Un vaso rotto è già caduto più volte e ormai sa come affrontare il dolore...

Non si aspetta nulla,

non chiede niente,

anche se ne vorrebbe di carezze e sorrisi dopo tutte quelle sofferenze.

Vorrei vedere le crepe del nostro cuore,

quanto hanno resistito nei momenti difficili,

anche lui è stato spaccato più volte,

ma come il vaso si è rinsaldato con più forza e con più coraggio.

Se dovessi scegliere...

Sceglierei un vaso rotto.



Perso di te


Ho perso quel volo…

Non sono arrivato in tempo alla stazione e ho perso quel treno…

Ma non mi sono dato per vinto…

Sto arrivando a piedi

e se non ti avrò amato a vent’anni.

lo farò a trenta.

Avremo tante cose da fare e tutte insieme,

ma sarò perso di te come un adolescente.



Ti sento vivere


Una rosa è molto più di un fiore…

È vedere il tuo volto meravigliarsi…

È uscire dalle giornate frenetiche e dedicare tempo alla tua felicità…

È sentirmi più sicuro davanti al tuo sorriso disarmante…

Una rosa è un modo per dirti,

che nella quotidianità,

ti sento vivere.


Estratto dalla raccolta poetica "L'eco delle mie emozioni" di Andrea Troiaani, Midgard Editrice 2020


http://midgard.it/leco_dellemieemozioni.htm




mercoledì 18 novembre 2020

Intervista a Giulio Volpi

Intervista a Giulio Volpi, autore del romanzo “La colpa imperfetta”, edito nella Collana Narrativa della Midgard Editrice.





Buongiorno Giulio, parlaci della tua nuova opera, come nasce? 

Nel mio terzo romanzo “Antares” avevo creato le premesse per poter iniziare a scrivere qualcosa di giallo facendo nascere, in uno dei miei personaggi, il desiderio di entrare in polizia. Così Enzo, protagonista dei miei primi tre racconti, è diventato il giovane Commissario Cantoni, impegnato a risolvere il suo primo caso a Firenze, una città che conosco bene per averci abitato diversi anni. 


Questa volta hai scritto un romanzo prettamente giallo, come è stato confrontarsi con il genere?

Ci ho messo un po’ ad entrare nella giusta atmosfera ma poi tutto è diventato facile e mi sono divertito molto a scrivere. 


Ci sono alcuni scrittori di romanzi gialli e noir che ti hanno ispirato nello scrivere questa tua nuova opera?

Ho letto molti gialli, Camilleri, Manzini, Malvaldi e tanti altri. Adesso sto leggendo Jo Nesbo, ma quando scrivo non mi riferisco a nessuno in particolare. Vorrei creare un mio genere personale in cui poter inserire anche personaggi improbabili per il genere giallo classico.  


Progetti futuri?

Per ora un altro giallo, poi forse anche qualcosa di nuovo.


venerdì 13 novembre 2020

Isabel. Meraviglia e dramma

 di Paola Micoli e Corrado Solari.





Da ragazza mi ero coricata, più o meno come farfalla, (ma le farfalle non si coricano, posano) pensai. Così posai io, fra il tenero cespugliame, a foglia larga, del mio bosco, ad aprirmi l’anima, da dove si entra, per viaggiare e cercare nei paesaggi interiori color pastello, a me tanto familiari, le persone che mi avrebbero chiarito disarmonie sentimentali o incomprensioni lasciate in sospeso. Che bel pensare. Quel giorno ero sull’albero dell’altalena, “mastro albero”, che sapeva così bene come cullarmi, mentre nel cuore mi dondolava una domanda: “Perché ho sempre aiutato a viaggiare gli altri e non l’ho mai fatto per me?”

Pencolando avanti e indietro mi ricordavo le parole di mamma che severamente accorata mi avvertiva: “Isabel, non andare oltre mi raccomando! Il tuo posto è qui e il posto “loro” è là!

Non devi disturbare le anime in travaglio! Se tu lo fai per il solo scopo di alleviare la fatica, i torti o le amarezze di persone che conosci, in modo di acquietarne i tormenti per il resto della vita, è una cosa benevola e la puoi fare. Ma astieniti dal portarci qualcuno tanto per portarlo e nemmeno tu dovrai passare di là se non per motivi veramente importanti!”

Mi guardavo i piedi, che dondolavano, fra tante riflessioni, volti accennati, sentimenti, fantasie...

Quanto riflettevo sulle cose che non c’erano più e sui nuovi modi di bisticciare o non bisticciare, sul dire o meno a mamma, anzi di non dirle più; piuttosto a Eveline... o forse a mamma... o forse meglio Eveline... uffa che fatica decidere! Mi ciondolavo avanti e indietro, ero smarrita, mentre il corpo oscillava in avanti, l’anima andava indietro. E non si incontravano mai... c’era il rischio di non rientrare più o di trovarsi dissociati come se l’anima prima rincorresse e poi sfuggisse il corpo: “Ehilà dove corri, fermati, devo rientrare! Non sono ancora morta!” Mi ripresi subito da questa grulla immaginazione e tornai a riflettere se “addentrarmi” o meno “nel di là”.

Chiusi gli occhi: “Cosa potrebbe succedermi se io ora volessi andare oltre, così, solo per curiosità? È cosa ben fatta, giudiziosa, avventata... destinata?” Mi domandai.

Eveline... magari ci fosse ancora fra noi, avrei potuto chiedere a lei cosa ne pensasse, lei che aveva una risposta a tutto. Se adesso lo rivelassi a mamma che desidererei andare oltre mi sgriderebbe di santa ragione?

Don, don... e poi don, don... don-do-la-vo sull’altalena a macerarmi dubbiosa.

Cosa faccio? Vado non vado, mi stavo agitando. Dio mio, era come se una vocina dentro mi stesse chiamando: “Prenditi coraggio, vieni, vieni!”

Cosa era quella voce di vento o di bimba, dolce bimba, che sentivo in me? Non saprei dire da dove sentivo chiamarmi, dalla mente, dal cuore o dallo stomaco. Mi dondolavo sempre più lentamente fino a fissarmi in un torpore ipnotico, curioso, presa com’ero dal diavoletto dell’incanto. E precipitavo nel pensiero del viso di una donna dalla pelle candida, di pallor celeste, con gli occhi invasi di sorridenti lacrime, discrete ma gonfie.

“Quante volte ho sognato quel viso! Ma ora basta” mi dissi. Balzai dall’altalena, che continuava a roteare sbilenca, e mi piantai a terra. Con un silenzioso fervore gridai dentro di me: “Voglio scoprire quello che ancora non so! Non so il perché ma ora devo decidermi e correre a scoprirlo.”

Ero tutta protesa, con tutti i miei pochi anni, con tutti i miei pensieri, tutta intera. Ero quella che sogna, lo volevo fare con tutta me stessa.

Mi precipitai saltellando da un sasso all’altro sull’acqua, fino a salire i pioli della mia casetta sul fiume. Entrai, presi fiato, anzi lo feci scorrere fino a quietarsi. Mi sdraiai come sapevo fare, con la testa leggermente ripiegata all’indietro. Stesi teneramente le mani sul pavimento di legno, chiusi gli occhi e portai la mia mano destra sul mio petto, dove mi concentravo sul respiro e sul cuore.

Ad occhi chiusi respiravo profondamente, piano piano, sempre più flebile, quasi apnea, fino quando il respiro, andava a dissolversi, mentre mi vedevo salire. “Vi è mai successo di staccarvi e di guardarvi dall’alto?”

La mia anima si sollevava in una atmosfera ovattata, quasi rosa e luminosa, in qualcosa che preludeva lo svelarsi di cose segrete. Il corpo invece rimaneva lì, come abbandonato sul pavimento della mia casina.

Fluttuai lentamente giù ai piedi dell’albero, e poi al torrente, il mio Carezza, luogo da dove il sogno, l’intento, mi trascinava come sempre, come per tutti coloro che portavo con me verso il viaggio, che ora, almeno per una volta, lo dedicavo a me, irrefrenabile e acceso.

Osservavo i miei piedi, che volavano lenti, aerei, controcorrente alle acque del fiume, fino a giungere a quella grande fenditura, una delle magiche fenditure: ingressi misteriosi fra il mondo fisico e il di là, nell’albero magico, nelle radici o nella roccia incorniciata di muschio, accogliente, dolce guardiana dei miei “ingressi” verso il trasparente, il nulla, l’oltre. Albero protettore, entità sempre auspicante di buone cose.

“Coraggio Isabel, ora tocca a te!” mi dissi.

Entrai cauta e guardinga. Quanta luce!

Dopo essere barcollata più volte, mi trovai alla spiaggetta, che a vederla era fatta di morbida sabbia e a camminarci sopra si faceva d’erba. Era qui che facevo incontrare tutti con i loro amati. Ma ora non c’era nessuno per me. Vi ero giunta che non volavo più ma camminavo, senza lasciare orme sulla sabbia. Da lontano vidi un essere che emanava dei colori, stava di spalle, vestiva una mantella chiara da monaco cappuccino.

Mi avvicinai e trovai la forza di toccare lievemente la sua schiena, ma le dita non sentirono nulla poiché il corpo era fatto di luce. Lo attraversavo!

Nello stesso istante l’essere si voltò: era Eveline!


Estratto dal romanzo "Isabel. Meraviglia e dramma" di Paola Micoli e Corrado Solari, Midgard Editrice 2020.


http://midgard.it/isabel.htm

mercoledì 4 novembre 2020

La Divina

 di Beatrice Massaini.





Cosa lascia detto una persona quando prende la decisione di morire? E io? Io cosa dovrei  scrivere? Ma, soprattutto, dovrei scrivere qualcosa? In fondo bisogna considerare che morirò d’infarto e che nessuno scrive un biglietto d’addio prima di un infarto. Oh cielo, la voglia disperata di non lasciare detto un bel niente e consentire che il mondo se la sbrighi un po’ come gli pare! Tuttavia la coscienza mi pungola e io sento il dovere morale di non lasciare questa terra senza prima metterti in guardia. 

Io non so chi tu sia, non so cosa ci fai in casa mia ma, se stai leggendo queste righe, probabilmente troverai anche il  foglio con la ricetta.

Ti prego, per amore di tutto quello che ti è più caro, stai lontano da quella maledetta ricetta! Non lasciare che i tuoi occhi nemmeno la sfiorino ma, al contrario, prendi quel foglio,  deponilo a faccia in giù in qualche angolino nascosto, e poi prega Dio che ti faccia la grazia di dimenticarti della sua esistenza.    

Sì, lo so, ti domanderai perché, se era così importante per me che nessuno lo leggesse,  io non l’abbia distrutto. Ci ho provato, credimi. Ho cercato di bruciarlo, di seppellirlo, di scioglierlo nell’acido e addirittura di ingoiarlo, ma aprendo gli occhi la mattina dopo, ogni volta me lo ritrovavo sul comodino perfettamente integro e senza il minimo segno di danneggiamento, neanche fosse stato appena scritto. Immagino che una cosa del genere sia dura da credere, vero? Ma è la pura verità, te lo giuro. 

Certo, mi rendo conto che  dire a una persona che non deve assolutamente fare una cosa è rischioso che, nella maggior parte dei casi, è come invitarla a commettere l’atto che la stai supplicando di non fare e poi, in fondo, perché dovresti darmi credito? Non sai nemmeno chi sono. Per questo ho deciso di lasciarti questo scritto. Lì troverai tutti i motivi che mi hanno spinta a inoltrarmi su una strada oscura e le ragioni per cui sto cercando di salvarti. Spero che tu lo legga con attenzione, spero che tu mi creda, spero che non strapperai questi fogli senza nemmeno leggerli per poi buttarli nel cassonetto dell’immondizia.   

Posso fidarmi di te?


Storia di Angelica de Patre

Per fortuna l’unica ad accorgersene, quando ero ancora piccolissima, era stata mia madre. Quando mi aveva vista gattonare verso il telefono, prima ancora che squillasse, e mi aveva intesa farfugliare il nome della persona che si apprestava a bussare alla nostra porta, aveva capito che la maledizione di famiglia si era perpetrata in me e, da quella donna saggia e avveduta che era, aveva cercato in tutti i modi di coprirmi, di  fare sì, insomma, che nessuno arrivasse a intuire quello che ero.

Poi, quando ero stata abbastanza grande da capire, mi aveva presa in disparte e mi aveva fatto un discorso, molto articolato, su quanto fosse poco opportuno che io manifestassi certe capacità, su quanto corressi il rischio di venire emarginata perché giudicata un fenomeno da baraccone e che “Quelle come me” (aveva detto proprio così “Quelle come te”) erano destinate a fare una brutta fine se non si davano una regolata. Dopodiché, tenendolo con la punta di due dita neanche fosse composto da materiale radioattivo, mi aveva allungato un libricino dalla copertina ammuffita e le pagine incartapecorite. “Questo è stato scritto da una tua antenata. Un cimelio di famiglia che tua nonna mi ha fatto promettere di conservare, mentre se fosse stato per me …” e qui aveva scosso la testa e atteggiato la bocca a una smorfia di disgusto per farmi meglio comprendere quanto la ripugnasse il vetusto libello che mi stava porgendo. “Io non so cosa contiene e, per dirtela tutta, nemmeno lo voglio sapere, comunque sia, se avrai la voglia di leggerlo, forse ti renderai conto di quanto disgraziata sia stata la vita di quella povera donna e di quanto essere quello che era, e non essere stata capace di nasconderlo, l’abbiano rovinata”.

Titubante avevo afferrato il piccolo quadernetto, ripensando a quello che avevo sentito dire sul conto di quella mia fantomatica ava. Qualcosa sul fatto che, dopo essere stata processata come strega, aveva incontrato una morte orribile bruciando sul rogo.

“Vuoi che capiti anche a te? Eh, lo vuoi?” la voce di mia madre, a quel punto, era diventata stridula e incalzante. Avevo scosso il capo vigorosamente. Non che io temessi di finire a mia volta su un rogo naturalmente, ma avevo capito il senso di quel discorso e i pericoli che correvo, se non avessi tenuto a bada certe “ manifestazioni”. 

E così avevo cominciato a soffocare il mio lato stregonesco. A ignorare le mie visioni, a non sussultare ogni volta che incontravo una persona di cui individuavo il destino infausto e a usare i miei poteri solo per avvantaggiarmi in piccole cose pratiche, tipo sapere in anticipo quando sarei stata interrogata a scuola e prepararmi di conseguenza o, più banalmente, a premurarmi di prendere l’ombrello quando prevedevo un acquazzone improvviso. Quanto al quaderno della mia trisavola, lo confesso, non avevo avuto il coraggio di leggerlo, tuttavia l’avevo avvolto in una custodia di cellophan e l’avevo riposto con cura in un cassetto in camera mia, presentendo che, presto o tardi, mi sarebbe tornato utile.

Credo che mia madre, col tempo, si fosse convinta che le mie capacità si fossero spente. Probabilmente nel vedere che mi comportavo come una normalissima ragazza di vent’anni che studiava con profitto, che frequentava gli altri ragazzi, insomma che dimostrava di essere bene integrata nel tessuto sociale, si era fatta l’idea che la mia diversità non fosse più presente, ed era stato probabilmente per questo motivo che non mi aveva dato ascolto quando le avevo detto di non andare a fare quel viaggio che lei e mio padre avevano programmato per festeggiare le loro nozze d’argento.

Forse avrei dovuto insistere di più, ricordarle che, anche se lei si ostinava a negarlo, io ero pur sempre quella che ero, descriverle nel dettaglio l’incidente che avrebbero avuto, così come l’avevo visto, ma non so se sarebbe servito. Come si suole dire: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire o peggior cieco di chi non vuol vedere o qualcosa del genere.

Comunque sia ecco come era stato che, a vent’anni, mi ero ritrovata orfana, con un misero gruzzoletto derivatomi dall’indennizzo che mi era stato corrisposto dall’assicurazione, una casa che non riuscivo più a mantenere e l’urgenza di trovarmi un lavoro.

Un lavoro, una chimera sarebbe stato più corretto definirlo. Un qualcosa di impossibile e inesistente, soprattutto per una che sul curriculum non è che ci potesse mettere chissà cosa: Diploma di liceo classico, un paio d’anni di università e, alla voce esperienze precedenti, un bello spazio bianco che più bianco non si poteva. In un mondo dove gente con due lauree e quattro lingue parlate e scritte faceva fatica a sistemarsi, figuriamoci una dalle scarse competenze come ero io.

A volte ero talmente disperata da accarezzare il pensiero di riempire le righe accanto alla dicitura: altre capacità e conoscenze, con l’elenco delle mie effettive doti. Come ci sarebbe stato un bel altre capacità: veggente, sensitiva, indovina, strega?

Non ne avevo fatto niente, naturalmente, lo spauracchio della fine orrenda che era occorsa alla mia antenata era sempre lì, presente e incombente. Nondimeno un’idea, frutto di tutte quelle riflessioni estenuanti, aveva cominciato a germinare nella mia mente.

Insomma come si nasconde una strega? Qual’era il modo migliore di sfruttare, perlomeno in minima parte, le mie capacità senza dare nell’occhio?

La trovata era talmente bislacca che poteva perfino funzionare. E poi, non era così che dicevano tutti quei depliant che mi avevano dato all’ufficio collocamento? Quegli opuscoli dove si invitavano i giovani a trovare delle occupazioni alternative, a diventare imprenditori di sé stessi?

Devo ammetterlo, gli inizi non erano stati confortanti. Nonostante il pretenzioso cartello, appeso fuori da casa mia, che riportava in lettere gotiche la scritta: “Madame Angelica- chiromante. Legge il passato, il presente, il futuro. Prezzi modici”  per almeno un mese nessuno si era presentato alla mia porta. Cominciavo già a disperare quando, un gruppo di ragazze commesse nel vicino centro commerciale, aveva deciso di regalarsi un pomeriggio divertente e così erano venute da me.


Estratto dal racconto "La Divina" di Beatrice Massaini, Vincitore Premio Giallobirra 2017, dall'ebook Giallobirra 4, Midgard Editrice 2020.

http://midgard.it/giallobirra4_ebook.htm

venerdì 30 ottobre 2020

Intervista a Gianluca Ricci

Intervista a Gianluca Ricci, autore del volume “Sconfinamenti”, edito nella Collana Narrativa della Midgard Editrice.





Buongiorno, parlaci della tua opera, come nasce? 

Sconfinamenti è innanzitutto una raccolta di racconti nati da suggestioni, echi di letture fatte nel corso degli anni, esperienze personali più o meno sublimate, esigenze religiose, esercitazioni scolastiche nel corso della mia attività professionale, provocazioni ed altro ancora. Quando ho visto che il materiale raccolto cominciava ad avere un certo peso, in carta o in bit non importa, mi sono chiesto se non valeva la pena di pubblicare il tutto. L’alternativa sarebbe stata il caminetto di casa o il tasto canc. Meglio il giudizio degli altri.


Quali sono le tematiche più importanti di questi racconti?

Una è indubbiamente quella religiosa e non si evince dal primo racconto che è di tipo burlesco, poi il fantastico, le culture degli altri, il senso della storia, la comunicazione tra gli individui, l’ucronia, il fiabesco, l’anti-animalismo ovvero il contrasto al bestialitarismo. 


Dopo tanti libri di poesia sei passato a pubblicare un libro di narrativa. C’è un motivo particolare dietro questa scelta?

No, i racconti sono nati come autentico passatempo, più ironicamente, e non come alternativa alla poesia, di cui ho sempre sentito il bisogno in modo più urgente, quasi una terapia.


Ci sono degli scrittori che ti hanno ispirato nella redazione di questi racconti? 

A posteriori direi di sì. Da Edgar Allan Poe, Honoré de Balzac, Fëdor Dostoevskij, Dino Buzzati, George Orwell, Ray Bradbury a Jorge Luis Borges, da Isaac Asimov a Philip K. Dick en passant per Fredric Brown. Poi i miei studi storici e l’interesse per le origini dei testi e delle esperienze religiose: per questi indichiamo il campo e non i contadini, che sono molti e notevoli.


http://midgard.it/sconfinamenti.htm