mercoledì 29 agosto 2018

I Verdognoli da Gubar

di Francesco Dozzini





“Correte, sacchi di letame, correte!” incitò Raskik gridando ai suoi amici, mentre correvano a rotta di collo verso la porta della città.

Nell’aria si poteva udire il corno della vigilanza suonare, chiaro ed inequivocabile segnale per le guardie di bloccare ogni uscita della città.

I tre poveretti affamati, stanchi e sporchi correvano zoppicando, a volte inciampando, cadendo e rialzandosi, lasciandosi dietro una scia puzzolente di fogna.

Non erano molto distanti dalla porta che dava accesso alle campagne circostanti, ma arrivare a destinazione era comunque un’impresa. Carri di mercanti di ritorno dopo una dura giornata di lavoro, trainati da grosse bestie pelose, creature mastodontiche come i Troll, intralciavano il passaggio. La calca era tale da costringere il trio a passare per un vicolo dove incontrarono qualche ratto scorazzare tra la sporcizia che era un po’ ovunque.

“Siamo scesi laggiù e niente: ora qui in superficie ce ne sono a volontà?!” disse Azag.

“Vuoi forse fermarti a catturarne qualcuno?” lo rimbeccò il Goblin.

“Sono quasi tentato di farlo…” disse il giovane ansimante per la corsa.

“Fai pure, ma consideralo il tuo ultimo pasto!”

“Cosa succedere se noi catturare sorci adesso?” chiese Spurgo.

“Succede che perdiamo tempo, ci catturano e poi ci uccidono…” rispose Raskik.

Rimasero tutti muti.

L’estremità opposta del canale si affacciava su un’altra via quasi deserta. Usciti dal vicolo con la guida di Raskik, si precipitarono nella direzione designata senza incontrare ostacoli. Dopo aver trottato per circa due minuti svoltarono l’angolo e si ritrovarono in un ennesima viuzza che conduceva alla grande porta Nord. Ma era troppo tardi perché era già stata sprangata poco prima del loro arrivo.

Azag cadde in ginocchio rassegnato mentre Raskik e Spurgo si strappavano i capelli. Era solo questione di tempo, le pattuglie reali li avrebbero intercettati e fatti a pezzi.

“Deve esserci un’altra via di fuga.” gridò il Goblin. “Dopo tutto quello che abbiamo passato, non può finire così!” E come una saetta si fece largo a furia di spintoni tra la bizzarra folla che ricambiò con insulti e calci.

Arrivato alla porta, cominciò a tirare l’anello di ferro sperando di riuscire a spostarla quel tanto che bastava per passare.

Ma qualcuno gridò: “Idiota! La porta è serrata, non lo vedi?”

Raskik alzò di scatto la testa e vide un enorme trave, sorretta da due possenti grappe. Nemmeno Spurgo sarebbe riuscito a sollevarla con tutta la sua forza! Poi il giovane Goblin notò le feritoie ai lati dei cardini dove la trave, oliata abbondantemente, veniva fatta scorrere.

Azag si era fatto largo tra la folla e raggiunse l’amico che era intento a spostare l’enorme pezzo di legno nella feritoia e tanta era l’apprensione che non badò nemmeno al dolore causato da alcune schegge gli si conficcavano sotto le unghie.

Correndo in suo soccorso, il giovane Orco si unì nella disperata opera, ma invano. Il blocco era perfettamente incastrato tra le due feritoie ed era impossibile smuoverlo.

“Questa volta siamo davvero fregati!” saettò Raskik.

“Che cosa facciamo ora?!” urlò Azag impaurito.

Tutto sembrava perduto, allorquando un rumore bestiale, un intenso grido giunse dalla folla, un grido pungente, da pelle d’oca. La gente spaventata si disperse…

Spurgo stava caricando come una mandria impazzita e mentre la terra tremò, nella foga assunse una posizione da sfondamento aerodinamica.

A contatto con quella immane spallata, il legno del portone esplose in un boato secco frantumando in due tronconi le travi, e le graffe schizzarono via come proiettili precipitando sulla folla sempre più sconcertata. L’urto fu talmente potente da abbattere le ante del portone che ricaddero verso l’esterno della città mentre i sudditi di sua maestà fuggivano in tutte le direzioni urlando oscenamente.

Ora avevano una via di fuga e senza indugio fuggirono verso i campi.

Frecce gli sibilarono a fianco, scoccate da una guardia di Ghrodigad mentre alcuni paesani li inseguivano per spellarli vivi.

Più oltre c’era la boscaglia, lì sarebbero stati al sicuro. Nessuno si sarebbe addentrato nella macchia con il buio, ma la paura fa novanta e i tre vi penetrarono correndo, travolgendo siepi e arbusti, inciampando e a volte cadendo.

Infine, quando il vociare si smorzò, poterono rallentare e fermarsi su di un piccolo spiazzo coperto di foglie da dove si intravedeva una porzione di cielo. 

Estratto da "I Verdognoli da Gubar - La terra non è piatta” di Francesco Dozzini, Midgard Editrice 2018



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