martedì 16 luglio 2024

Le ombre del passato

 di Maria Teresa Pellegrini.







Il padrone di Penna in Teverina aveva lo sguardo rivolto verso la parte in cui si trovava Celeste. 
Evidentemente era preso dalla bella visione, la stava osservando.
Filippo intuì il pensiero dietro quello sguardo. 
In poco più di un attimo interruppe quell’interesse.
“La donna che vedete viaggia con noi, è mia moglie, siamo sposati da pochi mesi. 
Insieme al Barone ho deciso che poteva unirsi alla guarnigione e affrontare il viaggio con il sottoscritto, suo marito”.
Con un cenno della mano Filippo la chiamò per farsi raggiungere e Celeste fu subito al suo fianco, prendendogli la mano.
Lei aiutava il cuoco, era brava a cucinare ma soprattutto conosceva l’uso delle erbe medicinali, sapeva medicare ferite e curare i malanni.
Era un’arte che la moglie del Barone aveva preteso che molte giovani del castello imparassero dalla sua amica guaritrice.
“Lei e l’intera guarnigione sono sotto la mia protezione”.
Asserendo quelle poche parole con tanta autorità, Filippo mise subito in chiaro che quella donna meritava rispetto quanto lui stesso e l’intera guarnigione.
Con un cenno e lo sguardo puntato sul volto di Filippo, il signore di Penna in Teverina fece intendere di aver capito. 
Ora toccava a lui rispondergli, specificare chi fosse e quali fossero le sue intenzioni riguardo a loro. 
Aprire le porte oppure rifiutarli, mandandoli altrove a cercar rifugio.
Nel frattempo, al signore se ne era raggiunto un altro molto più giovane ma come il più attempato aveva la postura fiera ed era elegantemente vestito. 
Stava con le gambe leggermente divaricate, le mani giunte dietro le spalle e girandosi verso il primo disse “padre chi è questa carovana di 
gente davanti a noi? Quale motivo li ha portati a Penna? Ma soprattutto, cosa vogliono?”.
Si capiva che erano padre e figlio.
I cavalli intanto erano stanchi di quel forzato riposo, scalpitavano inquieti, i cavalieri con addosso le loro armi sudavano sotto l’armatura.
Celeste, il cuoco e il resto della compagnia ogni tanto si guardavano facendosi delle domande.
Il padre alzò una mano verso il figlio che capì di aspettare e di non intromettersi. 
Rilassato il signore, rivolto a Filippo e all’intera guarnigione, indicando con il braccio come per mostrare il luogo, disse “siete a Penna 
in Teverina e in me è la figura del signore e padrone, rappresento un ricco casato dalle gloriose e antiche origini. 
Siamo i Serravalle, valorosi soldati, guerrieri e condottieri”.
Filippo, con al fianco Celeste, guardò padre e figlio, ovvero i padroni del paese.
Il padre, abbassandosi in un mezzo inchino, disse il suo nome con l’intera investitura.
“Sono Augusto Serravalle, signore di Penna in Teverina, poi si rivolse al figlio, “alla mia destra c’è il mio unico figlio, Giuliano Serravalle, cavaliere e capo del nostro esercito”.
Nel sentire il suo nome anche il giovane fece un breve cenno, abbassando la testa in segno di rispetto.
Augusto Serravalle aggiunse che Penna in Teverina era un luogo assai importante proprio per la sua posizione strategica, infatti, fungeva da controllo della via fluviale del Tevere e della valle sottostante.
Spostandosi di lato, insieme al figlio, col garbo del signore qual era, allargando le braccia verso la piazza li invitò ad entrare. 
Disse, in modo che tutti lo potessero sentire, “in pace siete venuti, in pace andrete via. Sarà un onore per noi Serravalle ospitare voi, capitano Filippo Demetri, e l’intera guarnigione unita alla graziosa signora vostra moglie, con l’intenzione di porre in questo modo le basi per un nuovo rapporto di amicizia e collaborazione col Barone di Montevalle, signore di Amelia e Alviano”.
Udendo tali parole, Filippo e la sua gente tirarono un grande sospiro di sollievo. Finalmente avrebbero avuto tre o forse quattro giorni di meritato riposo così come freschi rifornimenti per tornare a viaggiare, sia per gli uomini che per gli animali.
Il borgo venne allertato dell’entrata della carovana.
Augusto Serravalle ordinò come ogni cosa dovesse essere gestita, fatta e organizzata al meglio.
I servi erano pronti ad esaudire tutti i suoi comandi.
Augusto e il figlio Giuliano erano ansiosi entrambi di conoscere il motivo che avesse spinto quel contingente del Barone di Montevalle in giro per quelle terre, spesso in contrasto tra di loro.
Vennero tutti condotti in un sontuoso palazzo, contornato da un ricco giardino.
Scesi da cavallo, Filippo e Celeste, seguiti dai cavalieri, camminarono guardandosi intorno in silenzio, dietro ai due uomini e osservarono con piacere quanto quel palazzo fosse ben disposto, situato poco lontano dalla grande porta.
In uno spazio chiuso, recintato e protetto da alte mura, in modo che gli estranei difficilmente potessero penetrarvi, Celeste si muoveva piano, incantata da tanto splendore. 
Lungo il breve percorso erano disposte siepi ben curate di Bosso e Tasso, le piante in fiore erano piccole rose dai colori chiari che andavano dal bianco al rosa pallido. I pergolati di uva facevano ombra. 
Lungo il cammino si incontravano anche cespugli di gigli e di giaggioli.
Grandi orci di terracotta erano sparpagliati ai lati del breve viale.



Estratto dal libro "Le ombre del passato" di Maria Teresa Pellegrini, Midgard Editrice.


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