giovedì 11 luglio 2024

Il volo dell’airone

 di Giacomo Villa.







Apparirono di nuovo, all’improvviso, due occhi gialli, freddi e crudelmente minacciosi che bucarono il buio silenzioso della notte cupa e gelida e, fiammeggiando come lame incandescenti nella loro luce abbagliante, spuntarono come sbucati dal nulla in fondo alla strada annerita dal silenzio delle tenebre che sembrava stendersi sull’oscurità fredda e inconsistente con la tetra consapevolezza d’un soffocante sudario che ghermisce la vita con le sue dita impalpabili. 
Ebbe di nuovo come l’impressione di tendere alla sommità d’un onda crescente, sempre più alta, come un’esile imbarcazione che mira alla punta di un flutto capriccioso senza mai valicarlo perché l’onda maligna continua a crescere allontanandosi e, alla fine, sembra di essere risucchiati in un mondo di lacerante sofferenza, quasi di semi-follia nel quale si è vagato rotolandosi inconsapevolmente nel fumigare di una pazzesca ossessione. 
Premette il viso nel cuscino sprimacciato e si sforzò di serrare le palpebre con forza, quasi con rabbiosa violenza, in un futile tentativo di riacquistare il sonno improvvisamente lacerato, ma l’incombente immagine non solo non scomparve, ma accentuò anzi il proprio incalzante incedere insinuandosi con maligna insistenza in quei meandri dell’anima dove niente e nessuno avrebbe mai potuto cacciarla via. 
Quando i vitrei barbagli dell’ingannevole fata Morgana scemarono con la struggente lentezza di una piuma che si muove nella melassa, l’attimo onirico sembrò dilatarsi fino a restituirle un misto di puro terrore e sfrenata eccitazione rinchiusi dentro un gigantesco shaker. 
Quando, madida di sudore, si ritrovò a balzare seduta nel letto e scoprì che, boccheggiando dolorosamente, riusciva ancora a respirare, il suo stesso ansito le rimbombò nelle orecchie assordandola mentre la lingua rovistava con ansia incontrollabile come una lima nella ruggine di una bocca secca e asciutta lasciandole solo il gusto che sa d’aceto della propria paura.
“Mamma!” Mormorò.
Solo allora parve accorgersi di aver istintivamente allungato la mano destra verso il comodino in legno di palissandro alla ricerca della abat-jour in vetro di Murano. 
Le era parso di avvertire un urlo improvviso salire dal profondo della sua stessa angoscia e, per un lungo, interminabile istante, fu invasa dalla paura di aver lacerato inconsapevolmente il gelido silenzio della notte. Solo dopo alcuni istanti lunghi come l’eternità, si rese invece conto di essere sola, circondata unicamente dall’assordante silenzio della propria camera da letto che, ancora una volta, aveva fatto da sfondo al suo incubo più ricorrente e si ritrovò con gli occhi angosciosamente sbarrati che piroettavano nelle orbite spalancate come navigli che avessero rotto gli ormeggi e, finalmente, calde lacrime silenziose presero a scorrere luccicando sulla pelle vellutata come gocce di rugiada che sfiorano i petali di un fiore, scintillanti perle di fiume che consegnavano  un sapore di acqua salmastra agli angoli della bocca. 
Con l’ansia che, sebbene attutita, continuava a martellarle in petto con la violenza di un maglio impazzito, abbandonò lentamente il letto, mosse sul parquet in rovere antico i pochi passi che la separavano dalla porta, la dischiuse frenando a stento l’agitazione che sembrava essersi impadronita dei suoi movimenti più comunemente banali e si accorse con sollievo che tutto il reparto notte della elegante villetta era immerso nel più totale silenzio. 
Sempre a piedi nudi, tornò verso il letto disfatto, spense l’abat-jour e uscì di nuovo muovendosi silenziosamente nel buio in direzione del bagno, vi entrò e, sempre in compagnia delle tenebre della notte, si sedette sullo spigolo della grande vasca idromassaggio in corian, la testa parzialmente china sul giovane petto ancora impetuosamente squassato da un fremito che solo ora sembrava accennare a placarsi un po’, le lunghe mani dalle belle dita affusolate tuffate nei capelli scompigliati. 
Quando si alzò e andò a cercare l’interruttore della specchiera sopra il lavabo in porcellana, quella che le fu restituita dall’illuminazione improvvisa fu l’immagine di un giovane viso scosso dal poco sonno e dalla troppa inquietudine.


Estratto da "Il volo dell’airone" di Giacomo Villa, Midgard Editrice.


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