venerdì 5 luglio 2024

Il segreto di Cardano

 di Carlo Pedini.







Ad Almarelle una vera scuola non c’era. 
A dirla tutta non c’era nemmeno un vero paese dal momento che si trattava piuttosto di un toponimo, un’area geografica un po’ dispersa di ottocento anime o giù di lì, con le abitazioni disseminate lungo la provinciale e la vasta rete di strade vicinali che da essa si snodavano. 
Anche gli abitanti non si riconoscevano in una qualche automa identità che potesse ricondursi a quel luogo: appartenevano per lo più a quelle antiche famiglie di contadini che fiorivano in tutto il viterbese, come anche nelle colline lì intorno, umbre e toscane, che guardano il Lago di Bolsena. 
La “Regia Scuola Rurale” era stata portata su quei monti ai tempi del Duce: era a classi miste, maschi e femmine, che frequentavano tutti assieme la prima, la seconda e la terza classe elementare. 
Chi avesse voluto proseguire con la quarta e la quinta doveva necessariamente andare a Boschetto, il paese vero e proprio, sei chilometri prima del bivio per Almarelle; o ad Acquapendente, alla “scuola urbana”, ma qui la distanza sarebbe stata più che doppia. 
In povere parole era una delle tante scuole di campagna disperse per il territorio, a quasi seicento metri di altitudine, sulle colline a nord del lago, a venti minuti di cammino dal capolinea delle corriere.
La scuola era sistemata in un modesto edificio, un vecchio casale dove abitava la proprietaria, la sora Lorenza, una donna probabilmente ancora giovane ma dall’età indefinibile, vedova, che viveva con la figlia, la piccola Agnese che tutti chiamavano Luna, una bimbetta piccina e paffutella di sei o sette anni, sempre sorridente, dal viso pallido e tondo ma con due belle gote rubiconde. 
Agnese era la sola rimasta in casa, dopo che i due fratelli maggiori si erano trasferiti a Roma per lavorare come domestici presso qualche famiglia altolocata, e aveva appena cominciato a frequentare la prima classe elementare. 
La sora Lorenza gestiva una piccola rivendita di generi di ogni necessità, attigua alla propria abitazione, come spesso capitava di trovare nelle piccole frazioni di campagna. 
Le due parti, negozio e abitazione, così come la grande stanza adibita a magazzino, erano comunicanti, così che la proprietaria alla fine della giornata poteva chiudere tutto dall’interno, passando dal luogo di lavoro a quello domestico senza uscire in strada.
Il casale era collocato su un poggetto un po’ rialzato rispetto alla strada provinciale, da cui si scostava poche decine di metri, e insieme ad un pugno di altre piccole abitazioni costituiva un po’ il centro della vita sociale di Almarelle. 
Il Comune di Acquapendente nel 1938, per trecento lire all’anno, aveva preso in affitto il secondo piano e ci aveva sistemato l’aula scolastica e l’abitazione dell’insegnante. 
C’era anche una cucina che veniva utilizzata non solo dal maestro, ma anche dalla sora Lorenza per preparare i pasti del piccolo refettorio, a cui erano ammessi gli alunni più bisognosi e quelli che giungevano dalle frazioni più lontane che non avevano modo di tornare a casa per il pranzo, quando era previsto il rientro pomeridiano. 
I servizi igienici erano fuori, sistemati in un casotto di mattoni intonacati, e, cosa insolita per l’epoca, erano in due stanzini, distinti in maschili e femminili, con una latrina alla turca per i primi e un water in ceramica nuda per le seconde. 
Da allora poco o nulla era cambiato, se non l’intitolazione della scuola: da un’ormai inopportuno “Arnaldo Mussolini” – il fratello del Duce, che in gioventù era stato insegnante elementare – si era passati dopo la guerra ad un molto più rassicurante “Edmondo De Amicis”.
La stanza utilizzata come aula era ben alta, come in tutti i casali, 
ed era molto spaziosa: più che sufficiente per gli alunni che la frequentavano. 
Era anche ben illuminata, con due grandi finestroni che guardavano a sud, in direzione del lago. 
Nell’aula c’era un grande camino, che d’inverno ogni mattina veniva acceso dagli alunni con la legna che portavano da casa, o con qualche ramoscello che potevano aver raccolto lungo la strada. 
Purtroppo, per le sue dimensioni, non riusciva mai ad essere ben riscaldata e spesso, nei giorni di gran freddo, bambini e maestro dovevano indossare sciarpe e cappotti durante tutta la lezione. 
Questi piccoli lavori, di cui ci occupavamo noi alunni, facevano parte delle materie imparate a scuola: il maestro, oltre a leggere, scrivere e contare, ci insegnava anche tutte quelle attività che appartenevano alla vita quotidiana e per le quali tutti erano chiamati a dare il proprio contributo. 
Come fare legna e accendere il fuoco, ma anche andare a prendere l’acqua alla fontana, o spazzare la stanza alla fine della lezione per raccogliere i tanti trucioli delle matite temperate via via durante la giornata.
Bisogna dire che l’aula, se pur arredata modestamente, risultava funzionale alle esigenze scolastiche: un grande armadio a vetri raccoglieva i materiali di cancelleria, con quaderni a righe e a quadretti, matite, gomme, penne, pennini, inchiostro e qualche calamaio di riserva. 
Conteneva pure qualche straccio, gessetti bianchi e colorati, fogli bianchi da disegno, elastici e qualche vasetto di “coccoina”, una colla bianca e liscia, dal dolce sapore di mandorla, che il maestro per prudenza riponeva sempre sul piano più alto, per evitare che i bambini se la mangiassero di nascosto, come spesso accadeva. 
Alle pareti alcune mensole servivano per riporre altro materiale, mentre un lungo asse di legno con dei ganci attaccati ad altezza di bambino fungeva da attaccapanni. 
C’era anche qualche quadretto disegnato dagli alunni, che abbelliva la stanza, mentre due nuovissime carte geografiche dell’Italia fisica e politica avevano preso il posto della vecchia carta del Regno e dell’Abissinia. 
I vecchi ritratti del Re e del Duce erano spariti da tempo, sostituiti da quello del Presidente della Repubblica, un uomo occhialuto, dallo sguardo simpatico, con un paio di baffetti ingrigiti sopra due labbra appena accennate, tirate all’indietro e allargate a disegnare un sorrisetto spiritoso, quasi beffardo, che disponeva l’animo al buonumore. 
Invece il crocifisso al centro della parete, dietro la cattedra, era sempre lo stesso. 
Era l’unico arredo appeso che non fosse cambiato dai tempi del Re, a ricordarci – erano parole del maestro – che «…cambiano gli uomini e cambiano i governi, ma il Padreterno resta sempre al suo posto.»



Estratto da "Il segreto di Cardano" di Carlo Pedini, Midgard Editrice.


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