lunedì 15 gennaio 2024

La torre echeggiante

 di Rocco Di Campli.







Correva l’anno del Signore 1189 quando il Barbarossa si recò in Terrasanta, alla testa dell’esercito, per guidare la Seconda Crociata, che si risolse in una drammatica sconfitta per le milizie Cristiane, anche a causa del fallimento dell’assedio di Damasco. 
Il condottiero svevo vi tornò anche in quella successiva, due anni dopo, combattendo al fianco di altri forti e audaci cavalieri. 
Tra coloro che presero parte alla Terza Crociata c’era anche Riccardo Cuor di Leone (così chiamato in base al soprannome coniato dal menestrello Ambroise nel cantarne le gesta), che accompagnò Federico nel suo viaggio in Oriente. 
Ma per il Barbarossa la nuova impresa cavalleresca avrebbe rappresentato anche l’ultimo viaggio terreno. L’imperatore svevo, infatti, annegò nelle acque poco profonde del fiume Saleph, che scorreva in Turchia, forse a causa del peso dell’armatura o per un congelamento o per via di qualche oscuro incantesimo. 
Una leggenda narra che la sua misteriosa morte fosse legata alla Lancia del Destino, l’arma con la quale il soldato romano Longino aveva trafitto il sacro costato del Messia. 
Forse il destino aveva deciso che la preziosa reliquia appartenuta al legionario dovesse restare in Oriente. 
Qualunque fosse stata la causa (naturale o soprannaturale) del decesso dell’imperatore, il Barbarossa non ritornò dalla crociata.
Riccardo aveva dunque proseguito il suo viaggio alla volta del Santo Sepolcro, arrivando a destinazione e scontrandosi con l’esercito del prode Saladino, che dominava su un vastissimo regno, i cui confini si estendevano dall’Egitto fino all’Armenia. 
Durante l’assedio di Giaffa il sovrano Saraceno, stupito dal coraggio dimostrato dal Plantageneto nel corso della battaglia, di fronte alla temerarietà del nemico, avendo notato che il suo avversario era rimasto privo di cavalcatura, per consentirgli di combattere gli fece consegnare due destrieri bardati e protetti dall’armatura. Non poteva permettere, infatti, che un guerriero simile fosse spazzato via da una morte indegna del suo valore.
Il Sultano tributò così a Riccardo quel meritato onore, un solenne riconoscimento che il destino assegna e concede ai veri guerrieri, per consegnarli all’eterna memoria scritta nel libro della storia.
La guerra, come accade quasi sempre, rimase senza un vero trionfatore. Non furono decretati né vincitori né vinti e la pace fu sancita con un trattato tra Riccardo e i consiglieri del Saladino. 
Il re d’Inghilterra tornò a casa sano e salvo dalla spedizione, seppur molto provato, e contribuì a riportare dalla crociata un bottino misterioso, che faceva parte del carico dei beni confiscati in Oriente. Dunque, i cavalieri Cristiani, al ritorno in patria dopo l’impresa militare, non avevano condotto soltanto ori, denaro, spezie aromatiche e dolorosi (ma solenni) ricordi di gloria, bensì anche un affascinante mistero, legato ad un’arcana magia. 
Il sangue versato nella cosiddetta Guerra Santa era stato copioso.  L’alto tributo di vite umane, pagato e offerto come sacrificio in nome della causa, aveva macchiato la terra straniera e le metaforiche pagine della storia. Al di là dei clamori della gloria, sarebbero rimasti nella polvere e nella sabbia gli stendardi strappati e i cavalieri caduti, sepolti o lasciati marcire al sole. 
Numerosi Templari e Cavalieri dell’Ordine degli Ospitalieri erano periti nell’impresa della tentata conquista del Sepolcro.
Quelle gesta avrebbero trovato posto nei libri di storia e sugli arazzi. Sarebbero stati narrati e celebrati nei poemi, nei romanzi e nelle ballate, riverberando attraverso i secoli.


Estratto dal romanzo "La torre echeggiante" di Rocco Di Campli, Midgard Editrice 2023




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