mercoledì 4 novembre 2020

La Divina

 di Beatrice Massaini.





Cosa lascia detto una persona quando prende la decisione di morire? E io? Io cosa dovrei  scrivere? Ma, soprattutto, dovrei scrivere qualcosa? In fondo bisogna considerare che morirò d’infarto e che nessuno scrive un biglietto d’addio prima di un infarto. Oh cielo, la voglia disperata di non lasciare detto un bel niente e consentire che il mondo se la sbrighi un po’ come gli pare! Tuttavia la coscienza mi pungola e io sento il dovere morale di non lasciare questa terra senza prima metterti in guardia. 

Io non so chi tu sia, non so cosa ci fai in casa mia ma, se stai leggendo queste righe, probabilmente troverai anche il  foglio con la ricetta.

Ti prego, per amore di tutto quello che ti è più caro, stai lontano da quella maledetta ricetta! Non lasciare che i tuoi occhi nemmeno la sfiorino ma, al contrario, prendi quel foglio,  deponilo a faccia in giù in qualche angolino nascosto, e poi prega Dio che ti faccia la grazia di dimenticarti della sua esistenza.    

Sì, lo so, ti domanderai perché, se era così importante per me che nessuno lo leggesse,  io non l’abbia distrutto. Ci ho provato, credimi. Ho cercato di bruciarlo, di seppellirlo, di scioglierlo nell’acido e addirittura di ingoiarlo, ma aprendo gli occhi la mattina dopo, ogni volta me lo ritrovavo sul comodino perfettamente integro e senza il minimo segno di danneggiamento, neanche fosse stato appena scritto. Immagino che una cosa del genere sia dura da credere, vero? Ma è la pura verità, te lo giuro. 

Certo, mi rendo conto che  dire a una persona che non deve assolutamente fare una cosa è rischioso che, nella maggior parte dei casi, è come invitarla a commettere l’atto che la stai supplicando di non fare e poi, in fondo, perché dovresti darmi credito? Non sai nemmeno chi sono. Per questo ho deciso di lasciarti questo scritto. Lì troverai tutti i motivi che mi hanno spinta a inoltrarmi su una strada oscura e le ragioni per cui sto cercando di salvarti. Spero che tu lo legga con attenzione, spero che tu mi creda, spero che non strapperai questi fogli senza nemmeno leggerli per poi buttarli nel cassonetto dell’immondizia.   

Posso fidarmi di te?


Storia di Angelica de Patre

Per fortuna l’unica ad accorgersene, quando ero ancora piccolissima, era stata mia madre. Quando mi aveva vista gattonare verso il telefono, prima ancora che squillasse, e mi aveva intesa farfugliare il nome della persona che si apprestava a bussare alla nostra porta, aveva capito che la maledizione di famiglia si era perpetrata in me e, da quella donna saggia e avveduta che era, aveva cercato in tutti i modi di coprirmi, di  fare sì, insomma, che nessuno arrivasse a intuire quello che ero.

Poi, quando ero stata abbastanza grande da capire, mi aveva presa in disparte e mi aveva fatto un discorso, molto articolato, su quanto fosse poco opportuno che io manifestassi certe capacità, su quanto corressi il rischio di venire emarginata perché giudicata un fenomeno da baraccone e che “Quelle come me” (aveva detto proprio così “Quelle come te”) erano destinate a fare una brutta fine se non si davano una regolata. Dopodiché, tenendolo con la punta di due dita neanche fosse composto da materiale radioattivo, mi aveva allungato un libricino dalla copertina ammuffita e le pagine incartapecorite. “Questo è stato scritto da una tua antenata. Un cimelio di famiglia che tua nonna mi ha fatto promettere di conservare, mentre se fosse stato per me …” e qui aveva scosso la testa e atteggiato la bocca a una smorfia di disgusto per farmi meglio comprendere quanto la ripugnasse il vetusto libello che mi stava porgendo. “Io non so cosa contiene e, per dirtela tutta, nemmeno lo voglio sapere, comunque sia, se avrai la voglia di leggerlo, forse ti renderai conto di quanto disgraziata sia stata la vita di quella povera donna e di quanto essere quello che era, e non essere stata capace di nasconderlo, l’abbiano rovinata”.

Titubante avevo afferrato il piccolo quadernetto, ripensando a quello che avevo sentito dire sul conto di quella mia fantomatica ava. Qualcosa sul fatto che, dopo essere stata processata come strega, aveva incontrato una morte orribile bruciando sul rogo.

“Vuoi che capiti anche a te? Eh, lo vuoi?” la voce di mia madre, a quel punto, era diventata stridula e incalzante. Avevo scosso il capo vigorosamente. Non che io temessi di finire a mia volta su un rogo naturalmente, ma avevo capito il senso di quel discorso e i pericoli che correvo, se non avessi tenuto a bada certe “ manifestazioni”. 

E così avevo cominciato a soffocare il mio lato stregonesco. A ignorare le mie visioni, a non sussultare ogni volta che incontravo una persona di cui individuavo il destino infausto e a usare i miei poteri solo per avvantaggiarmi in piccole cose pratiche, tipo sapere in anticipo quando sarei stata interrogata a scuola e prepararmi di conseguenza o, più banalmente, a premurarmi di prendere l’ombrello quando prevedevo un acquazzone improvviso. Quanto al quaderno della mia trisavola, lo confesso, non avevo avuto il coraggio di leggerlo, tuttavia l’avevo avvolto in una custodia di cellophan e l’avevo riposto con cura in un cassetto in camera mia, presentendo che, presto o tardi, mi sarebbe tornato utile.

Credo che mia madre, col tempo, si fosse convinta che le mie capacità si fossero spente. Probabilmente nel vedere che mi comportavo come una normalissima ragazza di vent’anni che studiava con profitto, che frequentava gli altri ragazzi, insomma che dimostrava di essere bene integrata nel tessuto sociale, si era fatta l’idea che la mia diversità non fosse più presente, ed era stato probabilmente per questo motivo che non mi aveva dato ascolto quando le avevo detto di non andare a fare quel viaggio che lei e mio padre avevano programmato per festeggiare le loro nozze d’argento.

Forse avrei dovuto insistere di più, ricordarle che, anche se lei si ostinava a negarlo, io ero pur sempre quella che ero, descriverle nel dettaglio l’incidente che avrebbero avuto, così come l’avevo visto, ma non so se sarebbe servito. Come si suole dire: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire o peggior cieco di chi non vuol vedere o qualcosa del genere.

Comunque sia ecco come era stato che, a vent’anni, mi ero ritrovata orfana, con un misero gruzzoletto derivatomi dall’indennizzo che mi era stato corrisposto dall’assicurazione, una casa che non riuscivo più a mantenere e l’urgenza di trovarmi un lavoro.

Un lavoro, una chimera sarebbe stato più corretto definirlo. Un qualcosa di impossibile e inesistente, soprattutto per una che sul curriculum non è che ci potesse mettere chissà cosa: Diploma di liceo classico, un paio d’anni di università e, alla voce esperienze precedenti, un bello spazio bianco che più bianco non si poteva. In un mondo dove gente con due lauree e quattro lingue parlate e scritte faceva fatica a sistemarsi, figuriamoci una dalle scarse competenze come ero io.

A volte ero talmente disperata da accarezzare il pensiero di riempire le righe accanto alla dicitura: altre capacità e conoscenze, con l’elenco delle mie effettive doti. Come ci sarebbe stato un bel altre capacità: veggente, sensitiva, indovina, strega?

Non ne avevo fatto niente, naturalmente, lo spauracchio della fine orrenda che era occorsa alla mia antenata era sempre lì, presente e incombente. Nondimeno un’idea, frutto di tutte quelle riflessioni estenuanti, aveva cominciato a germinare nella mia mente.

Insomma come si nasconde una strega? Qual’era il modo migliore di sfruttare, perlomeno in minima parte, le mie capacità senza dare nell’occhio?

La trovata era talmente bislacca che poteva perfino funzionare. E poi, non era così che dicevano tutti quei depliant che mi avevano dato all’ufficio collocamento? Quegli opuscoli dove si invitavano i giovani a trovare delle occupazioni alternative, a diventare imprenditori di sé stessi?

Devo ammetterlo, gli inizi non erano stati confortanti. Nonostante il pretenzioso cartello, appeso fuori da casa mia, che riportava in lettere gotiche la scritta: “Madame Angelica- chiromante. Legge il passato, il presente, il futuro. Prezzi modici”  per almeno un mese nessuno si era presentato alla mia porta. Cominciavo già a disperare quando, un gruppo di ragazze commesse nel vicino centro commerciale, aveva deciso di regalarsi un pomeriggio divertente e così erano venute da me.


Estratto dal racconto "La Divina" di Beatrice Massaini, Vincitore Premio Giallobirra 2017, dall'ebook Giallobirra 4, Midgard Editrice 2020.

http://midgard.it/giallobirra4_ebook.htm

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