sabato 12 luglio 2025

Il segreto di Miravet

 di Giuseppe Liccardo.







Perugia, Dicembre 1308 

Era ormai sera, la luce già pallida del sole lentamente cedeva il posto all’oscurità della notte. 
All’orizzonte una residua luminosità disegnava il contorno dei monti che sembravano profili umani. 
Dalla sommità di una radura Ramon de Saguardia, girando lo sguardo, riusciva ancora a scorgere dietro a sé, raggiunte dagli ultimi raggi del sole, le cime innevate del monte Vettore alla sua destra, il profilo del monte Acuto e davanti a sé l’inconfondibile dorso del Monte Subasio. 
In lontananza si stagliavano le sagome dei Monti Sibillini, in basso tutto intorno un manto grigio a tratti bianco si stendeva tra le valli come un lago limaccioso e da queste isole nere si ergevano.  
Un vento ululante e gelido alzava cumuli di foglie scure e marce.
Aghi di ghiaccio sferzavano il viso e la barba unta e incolta, insinuandosi sotto le umide vesti ormai ridotte a cenci. 
“Forza Lampo! Ormai manca poco”. 
Disse al fedele cane aggrappandosi al suo bordone di castagno.
Accipe hunc baculum sustentacionem itineris ac laboris ad viam peregrinationis tuae ut devincere valeas omnes catervas inimici. 
“Prendilo! questo bastone Ti sia di sostegno durante il tuo pellegrinare e per difenderti dai nemici!” 
Gli disse con un filo di voce il frate poco prima di esalare l’ultimo respiro. 
Lo teneva stretto tra quelle mani sporche e rugose che lui dolcemente aprì. 
Mani che baciò, prima di piegarsi sul suo corpo immobile prorompendosi in un pianto disperato. 
Scacciò questi pensieri con un movimento della mano come per fermare qualcuno davanti a sé.
“Brrr…Maledetto freddo!” 
L’uomo con un po’ di alito cercò di scaldare la punta delle dita delle mani avvolte in sudice bende, brividi e tremori lo tormentavano. 
Camminava ormai da molti giorni.
Aveva attraversato boschi e valli perdendo e poi ritrovando i sentieri che a volte smarriva e a volte doveva lasciare per la paura di fare brutti incontri. 
Certi giorni non riusciva più a capire dove poteva essere, aveva dormito in grotte, anfratti persino su un albero come quella volta che si trovò faccia a faccia con un branco di lupi. 
La sua spada aveva fatto strame delle fiere ma non riuscì a salvare il cavallo. 
Rovi e sterpaglie avevano strappato quelle povere vesti e quel mantello ultimo segno di una qualche forma di civiltà che orma gli sembrava persa da molto troppo tempo. 
Non riusciva neppure ad immaginare come era il suo aspetto. 
Ora però Perugia era davanti a sé, discese dal colle fino a raggiungere le immense mura etrusche che si ergevano minacciose sopra la sua testa. 
Le guardie di ronda cominciavano ad accendere grossi bracieri in vista della notte. 
Affiancò la strada che cingeva le alte mura dirigendosi verso nord. 
Doveva affrettarsi prima che il manto nero della notte coprisse ogni cosa. 
Si girò un’ultima volta, alzando gli occhi intravide il monte del sole come gli era stato descritto, aprì un pezzo di carta pecora ormai logora con un abbozzo di cartina disegnata con inchiostro di calamaro: Mons Solis ۞ђ il monte del sole e sotto di sé verso nord il Mons lux †۩: devi andare verso il monte della luce seguire la luce. 
Tenendosi alle spalle il Mons Solis continuò verso nord attraverso campi di olivi. 
Da un cielo plumbeo cominciavano a cadere grossi fiocchi di neve. 
Un vento gelido li faceva vorticare e come aghi di ghiaccio impazziti tormentavano il volto dell’Uomo. 
Doveva affrettarsi, la tormenta di neve poteva, da un momento all’altro, coprire ogni cosa e perdere l’orientamento sarebbe stato fatale. 
Giunse infine ai lati della grande chiesa. 
Il portale era ormai chiuso. 
Ramon si guardò intorno. 
Il buio era totale solo una fioca luce fuoriusciva da una feritoia di un muro di cinta, si diresse verso di essa cercando di non inciampare. 
Come pensava al di sotto della feritoia c’era una porta in legno massiccio rinforzata da grosse fasce di ferro. 
Utilizzando il bordone bussò. 
Aspettò paziente. 
Poi si accorse che a lato della porta da un foro penzolava una 
corda che tirò verso il basso più volte generando in lontananza 
il suono di una campana. 
L’uomo sentiva che le forze stavano per venirgli meno quando finalmente si aprì una finestrella a sua volta chiusa da una croce di ferro battuto. 
Ramon de Saguardia dovette portare una mano a coprire gli occhi dall’improvvisa luce che lo accecava. 
Non una parola giungeva dall’altra parte. 
Abbassò il cappuccio che ne copriva le fattezze e con un braccio alzò il logoro mantello di lana appesantito dalla neve. 
Dal collo di una veste, bianca e sporca fuoriusciva il copricapo di una cotta di maglia in ferro. 
I fianchi erano cinti da un grosso cinturone di cuoio borchiato dal quale pendeva una spada e all’altezza della spalla sinistra era ricamata una croce patente. 
“Ho con me ciò che cercate!” 
Le porte di San Bevignate si aprirono allo straniero.


Estratto dal libro Il segreto di Miravet di Giuseppe Liccardo, Midgard Editrice.


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