mercoledì 26 ottobre 2022

Intervista a Roberto Lazzari

Intervista a Roberto Lazzari, autore del volume "Il mio lamento in danza", edito nella Collana Poesia della Midgard Editrice.






Buongiorno Roberto, parlaci della tua opera, come nasce?

Buongiorno Fabrizio. In estrema sintesi, “Il mio lamento in danza” nasce da una doppia constatazione: la centralità, più o meno avvertita, del concetto di morte, non soltanto nella discettazione filosofica, ma anche in ambiti molto più pragmatici e quotidiani, appartenenti alla nostra comune esperienza; le molteplici sfaccettature di questo concetto, le quali consentono a diversi soggetti di approcciarlo in modi differenti, tutti comunque ragionevoli e in qualche modo giustificabili. Come bene annota Sandro Allegrini nella sua prefazione al libro: ”Inutile fare esempi: ciascuno si dimensiona col proprio universo ed elabora ipotesi congrue col suo modo di stare al mondo.”


Quali sono le tematiche più importanti del libro?

Riflettere sul concetto di morte e provare a farlo senza restringere l’indagine a una predefinita posizione ideologica, consente di spaziare in molti campi, collegati non soltanto alla morte, ma anche e soprattutto alla vita. Ho avuto così modo di parlare, ad esempio, della ricerca di un elemento spirituale nella realtà, della differenza che passa tra vivere e sapere di vivere, del superamento mistico delle proprie barriere di fisica consapevolezza, della ricerca della conoscenza attraverso l’intima comprensione di singoli frammenti significanti, della speranza e del dono supremo di sé, del rimpianto per non essere riusciti a fare qualcosa di importante, della quieta rassegnazione, ... Il comune contesto interpretativo di ogni riflessione proposta nell’opera consiste nella semplice constatazione che il nostro concetto di morte dipende strettamente dal nostro concetto di vita, il quale, a sua volta, si forma in base alla nostra sensibilità, alle nostre esperienze e ai nostri convincimenti interiori più profondi: da tale constatazione di fondo, il libro prende la sua struttura, come raccolta di immagini e di riflessioni, proposte da persone che hanno sperimentato, anche grazie alla loro “professione”, percorsi esistenziali diversi. 


Ci sono poeti contemporanei o antichi che ispirano in modo particolare la tua opera?

Leggendo il libro, è quasi impossibile non ravvisare l’influenza di Edgar Lee Masters e della sua “Antologia di Spoon River”, almeno per quanto riguarda l’idea di fondo e la strutturazione generale dell’opera. Entrando tuttavia nel merito dei singoli componimenti, si possono cogliere anche altre influenze ugualmente significative, prima fra tutte quella biblica, a cominciare dal titolo stesso dell’opera, tratto (così come anche la dedica) dal Salmo 30 del Salterio, ma anche in alcune costruzioni linguistiche particolari, come quella dei proverbi numerici e soprattutto in molti riferimenti, più o meno espliciti, disseminati un po’ in tutto il libro. Infine, ho recentemente scoperto sorprendenti assonanze di alcuni passi dell’opera con la teoria del frammento monadistico, sviluppata dal professor Aurelio Rizzacasa.  




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