martedì 22 novembre 2022

La vita di Ferro

 di Roberto Todini.







Un corridoio lungo esattamente novanta metri, ampiamente finestrato, alto oltre quattro metri e largo cinque. 
Il pavimento finto veneziano anni '50, veniva tirato a cera due volte la settimana trasformando la tonalità ocra in un giallo pallido e luminoso. 
Sul lato sinistro una fila di porte; dodici, per essere esatti. 
Le prime dieci costituivano l'entrata di altrettante camerate, le ultime due, davano accesso ai magazzini della compagnia. 
Sul lato destro delle dieci porte erano seduti dieci reclute a piantonare le stanze. 
L'ordine che questi avevano ricevuto, oltre quello di non far passare gli sconosciuti, era di alzarsi in piedi e salutare ogni qual volta fosse passato di fronte a loro un graduato, o meglio ancora un ufficiale. 
Durante i primi giorni dal loro arrivo, alcune reclute, ancora inetti e impauriti della nuova vita, salutavano anche i militari semplici dimoranti al 'Quadro Permanente'.
In realtà, il Q.P. era la squadra formata da una dozzina di uomini o poco più, in ferma  tutto l'anno per svolgere i lavori nei tre reparti fondamentali della compagnia: fureria, magazzino e armeria. La camerata del Q.P. si trovava alla fine del lungo corridoio a destra, prima del ridicolo 'Plotone Atleti'.
Camminava lungo il corridoio al ritmo di due passi al secondo e il falsetto quasi afono di Ivan Graziani “ ...però,però,però, tu dirai di no … Che posso fare, tu che puoi fare, se navighiamo a senso inverso in mezzo al mare ...”. 
Sulla mano destra una catenella a sfere di circa quaranta centimetri voltava ad elica attorno al dito indice. 
All'apice di questa, un pesante mazzo di chiavi accelerava la rotazione e permetteva al laccio metallico di avvolgersi in maniera uniforme per tutta la lunghezza del dito. Questa azione era ripetuta nei due sensi di marcia, destrorsa e sinistrorsa, all'infinito,  provocando  inevitabilmente quel caratteristico sonaglio metallico che soltanto le chiavi sanno emettere.
Si trovava fra la quarta e la quinta camerata quando il piantone della sesta si alzò dalla sedia con fare piuttosto scomposto e impacciato. 
Lo sguardo della recluta si animò di una smorfia involontaria quando le sue braccia schiaffeggiarono i fianchi e il tacco della scarpa destra percosse forte il suolo. 
Tutti gli altri piantoni, dalla settima alla decima camerata, si alzarono in posizione di attenti, in attesa del suo passaggio.
"Todilli …" urlò quando già si trovava all'altezza dell'ultima stanza, "Todilli, hai insegnato tu a questi coglioni ad alzarsi quando passa un soldato semplice?"
Todilli era il magazziniere finito lì per caso visto che il suo incarico era un 'F60 scritturale', cioè, avrebbe dovuto far parte dei cinque o sei scribacchini della fureria. 
Per ragioni tecniche era “approdato” in quel magazzino e trovatosi bene aveva fatto di tutto per restarci.
"… eh Todilli? Hai insegnato tu a salutare ogni insetto che passa per questo corridoio?"
"Ohh, Ferro … vacci piano! Tu non sei un insetto … per lo meno, non sei un insetto comune."
Ferro Mauro. Soldato Ferro Mauro, Quadro Permanente Seconda Compagnia, Armiere.
"Sì, questo è vero: sono un insetto piemontese che nella vita precedente installava allarmi e provvedeva pure alla loro manutenzione. E' questo che mi ha fregato. Sono i trascorsi della vita precedente che ti fregano. Ricordati!"
"Già! Ma, allora, perché io mi trovo in questo magazzino appestato di naftalina, vecchi zaini di gente probabilmente morta e una ricca collezione di posate da ristorante?"
"Forse lavoravi in un negozio?" chiese Ferro riprendendo a far volteggiare la catenella che per qualche secondo aveva lasciato appesa sull'asola della tuta mimetica.
"Mia madre!" esclamò il magazziniere.
"Vedi?"
"Sì, mia madre ha un negozio di articoli da regalo ed elettrodomestici."
"Loro sanno tutto" poi, sorridendo leggermente, l'armiere aggiunse: "cosa credi? Loro sapevano del mio lavoro con gli impianti d'allarme … loro sanno che in armeria esiste un impianto d'allarme e sanno che “allarme” significa “alle armi” …" sorridendo della scadente battuta, "… piuttosto Todilli, dammi una sigaretta; so che ne hai tante dentro quel l'armadio" indicando l'anta chiusa alle spalle del magazziniere.
Todilli aprì il mobile e tirò fuori due gavette di acciaio colme di sigarette.  
"Eccole! Prendile un paio, anzi, prendile qualcuna di più. Domani si fa il cambio delle lenzuola e vedrai quante ne incasso" alludendo alle sigarette.
Accesero quasi in contemporanea le due 'bionde' scelte per marca e per tipo.
Quella del magazziniere era vecchia; sapeva di vecchio; aveva il tipico sapore di tabacco andato a male e rinvenuto; ammuffito.
"Che schifo!" esclamò Todilli continuando però a tirare e sputare fumo. 
Sapeva che soltanto durante la prima fase si sarebbe avvertito quel saporaccio stantio.
"Dovresti metterle sotto vuoto d'aria" disse Ferro.
"Dovrei fumare più spesso ed evitare che accadessero certe cose" puntualizzò il magazziniere prendendone altre sei dalla scodella e offrendole all’armiere.
"Grazie Tod, ne terrò conto per il prossimo carico di olio."
Todilli proveniva da una famiglia di cacciatori e lui stesso lo era. 
Possedeva una dozzina di fucili che dovevano essere puliti e lubrificati. 
L'olio che si usava in caserma era particolarmente buono e l'armiere provvedeva, di tanto in tanto, al rifornimento extra.


Estratto dal volume “La vita di Ferro" di Roberto Todini, Midgard Editrice. 


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