lunedì 13 settembre 2021

La scommessa con il demone

 di Lorenzo Peka.




Trina saltò giù da cavallo, atterrando con i grezzi stivali di capra sulla ghiaia dell’altura. Proseguì a piedi verso la cima, dove aveva scorto il segnale di Siella.
Ormai il pericolo era passato, una calma desolazione si era posata sul pianoro martoriato; tuttavia Trina aveva ordinato alla sua pupilla di restare di guardia e avvisarla al minimo segno insolito, mentre lei si allontanava a caccia.
La notte precedente era apparso un altro dei demoni giganteschi. 
Il cielo era stato riempito da un grappolo di nuvole nere, in cui balenavano innaturali lampi rossi, carichi di minerali vaporizzati. 
I poteri dei demoni erano tali da influenzare perfino il clima e gli elementi. 
Trina aveva visto il colosso dibattersi: le sue immani braccia uncinate spazzavano l’aria, sollevando raffiche di polvere, come se cercasse di allontanare qualcosa
Una scheggia luminosa, indistinguibile da lontano, come un minuscolo insetto che appariva e spariva a intervalli attorno al demone. 
Boati e stridori avevano riempito l’aria: suoni che parevano appartenere al ventre della terra. Infine, il colosso era stato inghiottito dalla polvere.
Al mattino, le due guerriere avevano trovato solo i resti carbonizzati della disgraziata creatura – relativamente piccola – che il demone aveva posseduto. 
Il resto del colossale abominio si era polverizzato nel manto di ceneri che ora ricopriva la valle.
Trina poteva ancora sentire l’odore di zolfo nell’aria, mentre scalava l’altura.
In cima, Siella era accovacciata sui talloni, la sottile lancia in pugno e i capelli color segale che svolazzavano piano, mentre guardava davanti a sé.
Trina le si accostò. 
Stava per chiederle spiegazioni, ma si bloccò. 
Ai piedi della collina c’era un uomo. 
Pallido e bruno, con indosso una tuta azzurro stinto e guarnizioni di canapa e di bronzo. 
Il suo yak nero si abbeverava alla polla muschiosa che sgorgava in fondo alla conca. 
Alla sella erano assicurate borse e coperte arrotolate, un’asta ricurva, e una spada corta.
«Da quanto è qui?» chiese Trina.
«Ho fatto il segnale appena l’ho visto» disse Siella. «È venuto da ovest, dalla Lunga Strada. Credo che mi abbia vista, ma non mi ha badato. È rimasto lì tutto il tempo.»
Trina mugugnò. 
Attese per qualche minuto, piegata sulle ginocchia, torcendosi nervosamente i capelli color rame. 
Poi si alzò schioccando le labbra.
«Cosa fai, Trina?» sussurrò Siella.
Trina la ignorò. 
Discese verso la conca dal sentiero laterale, senza staccare gli occhi dallo straniero. 
Lui la guardò e subito indietreggiò verso lo yak, tendendo la mano alla spada; ma vedendo che la guerriera non aveva intenzioni ostili, lasciò l’arma dov’era.
«Le stelle ti guardino, donna» la salutò in tono neutro.
Trina si fermò a pochi passi da lui. 
«Hai ucciso tu il colosso?»
Studiò lo straniero da capo a piedi. 
Era inferiore a lei per statura e corporatura; aveva barba stentata e occhi scuri e magnetici, cerchiati dall’insonnia.
«Non l’ho ucciso. L’ho liberato.»
Trina lo seguì con lo sguardo mentre lui si accostava allo yak, montava in sella e prendeva le briglie.
«Sei diretto a Vissentia?»
«No, ma la strada vi passa attraverso.»
Trina corrugò la fronte. 
Si chiese dove mai fosse diretto quel viandante venuto dal nulla.
Senza dare più attenzione alla guerriera, lo straniero fece voltare lo yak tirando le redini e prese il dolce sentiero che aggirava la collina.
Trina risalì in fretta il cammino di ghiaia. 
Senza fermarsi, fece cenno a Siella di seguirla e scese verso i cavalli.
«Secondo te è stato lui ad abbattere il colosso?» le chiese a bassa voce la ragazza, tenendole dietro.
«Non credo.» 
Trina salì a cavallo.
 «Lo hai visto? È gracile e scavato dalla fame. O è un monaco, o un pazzo. Questo io credo. Yah!»
Batté i calcagni sui fianchi del cavallo, spronandolo verso la strada.
La pianura si piegava in larghi avvallamenti bordati da dune e pietraie. 
Sui declivi le ceneri cristalline brillavano al sole e gruppetti di uccelli frullavano sugli steli di aconito.
Trina raggiunse lo straniero dove le piste si congiungevano e affiancò il proprio cavallo allo yak.
«Se sei soltanto di strada, forse la damaguerra ti concederà di passare. Tutti i viandanti che entrano in città devono renderle visita.»
Lo straniero accennò un sorriso ironico. 
«Non preoccuparti, non ho intenzione di trattenermi. So che voi vissentine non amate gli
stranieri.»
«Tzeh! Se non li amassimo, saresti già piantato a terra, sotto la punta della mia lancia» disse Trina in tono sprezzante.
«Trina! I sauriani!»
La guerriera si voltò di scatto, richiamata dal grido di Siella. 
Scandagliò il paesaggio punteggiato di rocce. 
«Feccia della terra!» esclamò.
I rettili stavano sciamando dalla collina alla loro destra, armati di fionde e di lame sottili. Senza dubbio erano in cerca di minerali, come sempre facevano dove cadeva un colosso, ma ora avevano fiutato carne umana. 
Trina si maledisse per essersi distratta. 
Sguainò la spada e incitò il cavallo, mentre già pioveva una gragnola di pietre.
La torma di uomini lucertola si disperse al suo passaggio. 
Trina caricò verso quelli armati di fionde e iniziò a menare fendenti. 
Un paio di pietre la colpirono, ma la guerriera le ignorò. 
Con un colpo di spada spaccò in due la testa di un fromboliere, e con il successivo affondo ne trafisse un altro. 
Quando i sauriani presero a fuggire in tutte le direzioni, Trina li inseguì uno alla volta, mulinando la spada.

Estratto da "Hyperborea 5" AA.VV., Midgard Editrice 2021

http://midgard.it/hyperborea5.htm



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