giovedì 30 settembre 2021

Il segno della riscossa

 di Alexandra Fischer.








Lo scultore dà un ultimo ritocco all’opera, ritira la mano e si volta verso il suo mecenate incappucciato: − Spero siate soddisfatto del lavoro.

L’altro gli tende una borsa: − Eccome. Tenete.

Lo scultore la prende, conta le monete a occhi sbarrati: − La vostra è la munificenza di un principe. Io non posso.

L’incappucciato gli stringe la mano coperta da un guanto e ornata da un nastro rosso: − Dovete. Avete compiuto un lavoro sbalorditivo.  

Lo scultore si preoccupa: − Come la porterete? Voi siete solo. La statua è di bronzo. 

L’altro si abbassa il cappuccio e sogghigna: − Esistono molte magie per farlo. Non ci crederete, ma nel campo ho visto aggirarsi di notte un’ombra e sottrarre le armi rotte della mia gente.

Gli stringe il polso e riduce la voce a un sussurro: − Sì, Stahlvir, sono io, Norsker. Continuiamo questa farsa, perché qui fuori ci sono molte orecchie indiscrete.

Stahlvir accarezza la propria opera e sussurra a sua volta: − Ho dovuto. Sarebbero finite nelle mani di quegli orribili uomini dalle armature bianche.

L’incappucciato tira indietro la testa in una risata a piena gola che lascia scoperta una cicatrice va dal collo alla mandibola bisbiglia: − Quelli li chiami uomini? Non lo sono. Lasciamelo dire−. Si porta le dita alla cicatrice: − Non dopo che mi hanno lasciato un ricordo del genere senza che io potessi fare nulla per ucciderne anche uno solo.

Lo scultore mette il serpente di bronzo in una sacca e lo chiude con una corda robusta intrecciata di metallo: − Ma come è possibile? Ho visto braccia e gambe sparpagliate e teste, per non tacere di mani e piedi.

L’incappucciato gli fa un cenno di assenso: − Eh, sì. Purtroppo li si può solo mutilare, ma tu credi che siano morti? Pensaci bene.

Lo scultore distoglie lo sguardo e ripensa ai lamenti nel campo; non osa domandargli altro, perché ormai è certo di dover ricorrere ancora a luoghi infestati dalla morte per rifornirsi di materia prima.

Se solo la guerra non avesse disperso i minatori e fatto chiudere le cave. Ma, e anche in quel caso, se è come sostiene quest’uomo, soltanto qualcuno in possesso di grandi difese contro la magia nera potrebbe lavorare laggiù. E può farlo solo chi ha una mente sgombra dal loro influsso. Io ho dovuto mentire a me stesso, scendere a patti con quegli individui.

Il suo capo chino e la luce disperata nei suoi occhi colpiscono l’incappucciato, il quale usa un tono basso, venato di complicità: − Sì, ti ho tenuto d’occhio, ma sono stato zitto perché siamo dalla stessa parte. Ora ti chiederai dove sono finito per tanto tempo.  Guarda−. Si apre il mantello e lo scultore, indietreggia davanti all’uniforme di un nero scolorito e dai fili dorati strappati in alcuni punti; il dettaglio che lo colpisce di più, tuttavia, è la cintura con appeso un fodero lungo e sottile e un paio di sacchetti; la bocca gli si spalanca in un’espressione di sorpresa, ma l’incappucciato si porta l’indice al labbro e la mano alla tasca.

Lo scultore indietreggia, ma l’incappucciato lo afferra per la destra e gli mette in mano un nastro rosso: − Legatelo intorno al polso, ovunque andrai nessuno di loro ti molesterà.

Lo scultore gli obbedisce, e poi torna a fissare l’uomo che gli sta davanti; all’ingresso, lo aveva scambiato per un giovane nobile, invece ha il volto solcato da rughe dovute alle fatiche e alle intemperie: − Tu non dovresti essere qui. Risulti morto in guerra.

L’uomo si rimette il cappuccio e sussurra triste: − Certo, e tu invece sei uno scultore per la corte della Voce di Solbedio, per quanto, a volte, ti rammenti bene il mestiere di fabbro insegnatoti da tuo padre −. Abbassa ancora il tono: − Smettiamola di fingere almeno fra noi: vuoi sapere cosa ne è stato della Voce di Solbedio? Guarda il nastro. 

Lo scultore lo fa e trasalisce: − Lei è davvero ridotta così? Consumata dalla magia?

L’incappucciato bisbiglia: − Sì. Ma può ancora aiutarci a resistere, se io sarò al suo fianco insieme a te.

Lo scultore annuisci: − Conta pure su di me fin da ora.

L’incappucciato gli mette una mano sulla spalla: − Verrò da te molto presto. 

Lo scultore si copre il nastro rosso con la manica della maglia da lavoro: − Volentieri. Mi dispiace solo di non avere poteri magici.

L’incappucciato replica: − Oh, sì, invece, hai scolpito qualcosa che è sfuggito ai nostri nemici ed è proprio come lo desidera la destinataria. Non posso dirti di più. Ora, riposa la mente. Oggi non è venuto nessuno che tu conoscessi −. Gli sfiora la fronte e alza la tenda della bottega; ne esce così come ne è entrato, a cappuccio abbassato e schiena dritta.

L’incappucciato stringe a sé la borsa con dentro la scultura quando la donna gli taglia la strada.

È giovane, ma i suoi occhi contengono la saggezza di un’età molto avanzata; lui si sofferma sul medaglione bianco al collo di lei e riconosce l’abito grigio orlato di palline di stoffa verde.

Non proietti alcuna ombra e porti la veste della tua prima dama di compagnia, ma so chi sei. Hai avuto un bel coraggio a seguirmi fin qui, malgrado gli assedianti siano entrati.

Tende la mano verso quella della donna, anche se il braccio gli trema.

Lei si porta la mano al petto: − Sì, sono io. Mi è stato difficile contrastare il loro potere, ma ho usato le mie ultime forze per venire apposta da voi. Avete la scultura? −. Stringe il cerchio traforato fatto d’osso ingiallito e ansima di fatica. 

Lui alza il sacco e lei la sfiora: − Ora vi ho trasferito la mia forza, ma non credo che vi basterà contro quella gente. Avete altre armi con voi?

Lui estrae una lama di metallo, tanto flessibile da frustare l’aria come il fuscello di un giovane albero: − Sì e viene dalla stessa mano che ha fabbricato la statua. Oh, non spalancate gli occhi in quel modo. Ha solo riparato un oggetto artistico che ho trovato per caso accanto al campo di battaglia, proprio come avvenne a voi e al medaglione che portate al collo. Suvvia, tornate a palazzo, ora, prima ci vedano insieme. Altrimenti, qualcuno riferirà a quella gente di chissà quali intrighi da parte nostra.

Lei solleva la mano: − Non accadrà. Voglio fare da tramite fra Nigromalajo e Solbedio, ma di certo vi sarete accorto che cosa ho mandato al posto della vera me stessa. − China la testa, si sfiora il medaglione e sussurra: − Tutta questa forza appesa al mio collo mi ha indebolita così come un albero marcisce per gli anni e l’umidità, sapeste quanta fatica mi è costata venire qui a impartirvi le ultime istruzioni. Ora tocca voi, Nosker, prendere il mio stesso potere. Mi ricordo che già una volta prendeste il nastro rosso e ne faceste buon uso, prima che fossi costretta a farlo riparare dopo l’ultimo scontro.

L’incappucciato si apre l’abito: − Ho fatto del mio meglio per evitare che arrivasse questo giorno. Sono arrivato a imitare i nostri nemici. Guardate qui −. Dalla cintura grigia gli pende una lama sottile; lui la tira fuori dal fodero e la scuote; dall’arma stillano gocce di un liquido che cade sulle mattonelle della strada: il delicato verde acqua si riempie di crepe e un fumo dall’odore di miele irrancidito sale fino alle narici dei tre.

Lei si si tura il naso, ma l’uomo aspira quel vapore a fronte corrugata e occhi stretti.

Norsker ride, ma lei è seria: − Avete preso anche troppo sul serio l’incarico che vi assegnai, trasferendovi dalla stanza di meditazione al capo battaglia.

L’incappucciato scuote la testa e assume un’espressione distaccata: − Si cambia spesso ruolo a Solbedio. Prima per educazione, ora per necessità−. Scopre una manica e lei vede il nastro rosso avvolto intorno al polso dell’uomo e indietreggia, con aria smarrita: − Perdonatemi, volevo solo assicurarmi che aveste svolto il vostro incarico per bene.

L’incappucciato si trattiene dall’inginocchiarsi solo per evitare di passare da folle davanti ai passanti: i suoi sensi abituati alla magia gli dicono che si trova davanti a un’ombra −. Ritira l’arma e stringe a sé il sacchetto; lo sguardo gli si intristisce: − Ora avete visto cos’ho fatto e mi avete donato la vostra ultima scorta di energia, perché non cercate subito l’oblio? − China la testa: − Voi non potrete nulla contro le armate d’osso.

La Voce di Solbedio lo guarda con gli occhi velati di lacrime: − Lo so bene, Norsker, ma sono venuta a dirvi addio, perché voi siete il mio elemento migliore. Sappiate che nella stanza che si affaccia sulla terrazza vi ho lasciato il quartetto di paraventi e i mobili. Usateli pure per mostrare ad amici e nemici che Solbedio è viva proprio come il mio spirito.

La vede allontanarsi lungo la strada, nel mantello verde con il quale si è affacciata alla terrazza del palazzo subito dopo l’inizio delle ostilità con Nigromalgajo.

L’immagine della giovane donna, di bassa statura ed esile, diventa sempre più evanescente e il cuore gli si stringe.

Dunque, le voci sulla tua malattia erano vere. È stato per questo che hai permesso ai nostri nemici di occupare Solbedio.

Norsker stringe gli occhi e riconosce, dagli aloni di luce bianca intorno alle porte, le protezioni che lui stesso ha lasciato prima di infiltrarsi fra i nemici e ne prova grande sollievo, perché il rumore di passi alle sue spalle lo inquieta.

La ricognizione oggi è in anticipo. Molto bene, era quello che volevo. Venite pure, vi ho aperto la breccia apposta, così ora ci confronteremo.

Stringe a sé il sacco e si allontana nella viuzza laterale con un sorriso e le sue dita accarezzano il nastro rosso.

Costeggia i retri delle case e ogni tanto cede il passo a qualcuno che deve spostarsi con un carro; non ha fretta.


Estratto dal racconto "Il segno della riscossa" di Alexandra Fischer, dall'antologia "Hyperborea 5" (Midgard Editrice).




Nessun commento:

Posta un commento