di Monica Pica.
Il
giorno prima dell’inizio delle vacanze di Natale della quinta elementare, mi
avvicinai alla cattedra dove la maestra stava correggendo i nostri compiti di
matematica. C’era un libro appoggiato sopra, dal titolo strano che non sapevo
pronunciare. Provavo a ripetere il titolo sottovoce e quando la maestra se ne
accorse mi disse: «Si pronuncia Gein Eir».
«E
cosa significa?» le chiesi.
«È il nome di una donna. Il libro racconta la sua vita in Inghilterra. È la storia di una donna forte e coraggiosa», rispose, poi aggiunse «prendilo, leggilo durante le vacanze. Io l’ha già letto molte volte».
«E
perché continua a leggerlo se conosce già la storia?» le chiesi con tono
curioso.
«Per
ricordare a me stessa che non bisogna mai arrendersi, anche quando la vita è
difficile». Presi il libro tra le mani come fosse un lingotto d’oro, lo misi
nella cartella e passai il resto della mattinata in attesa di poter tornare a
casa ed iniziare a leggere. Camminai con passi veloci, tanto che le mie sorelle
più piccole non riuscivano a starmi dietro.
Quel
pomeriggio toccava a me badare al piccolo gregge. Mi sedetti sull’erba ed
iniziai a leggere. La lettura mi prese completamente e non mi accorsi che mio
padre era sopraggiunto alle mie spalle. «Come fai a badare alle pecore se hai
la faccia coperta dal libro?» mi disse con voce severa e per nulla accomodante.
Non ebbi il tempo di rispondere, mi strappò il libro dalle mani e se ne andò.
Quella sera stessa, quando eravamo tutti a tavola per la cena, mio padre disse
che aveva preso una decisione. «Finita la scuola, resterai a casa ad aiutare
tua madre e tua nonna. Cinque anni di scuola sono sufficienti. Io ne ho fatti
solo due e so badare a me stesso e a tutti voi».
Mi
crollò il mondo addosso. Avevo gli occhi pieni di lacrime, ma non avevo il
coraggio di rispondere a mio padre. Caterina e Matilde iniziarono a ridacchiare
tra i baffi, finché lo sguardo fulminante di mio padre non le fece smettere.
Aiutai
mia madre a sistemare la casa e me ne andai in camera. Mi nascosi sotto le
coperte ed iniziai a piangere, cercando di non farmi sentire dalle mie sorelle,
mentre nella stanza accanto sentivo mia madre parlare con mio padre, ma non
riuscivo a capire quale fosse l’argomento della discussione.
Quando
mi svegliai, la mattina dopo, trovai sul comodino il libro che mi aveva dato la
maestra.
Andai
in cucina e trovai mia madre che pelava le patate per il pranzo.
«Ho
parlato con tuo padre. L’ho convinto a farti continuare gli studi. Annesi non
ha le scuole medie. Dovrai andare a Parto con l’autobus. Ho dovuto promettergli
che non trascurerai le faccende domestiche e le tue sorelle sono abbastanza
grandi per poterti aiutare». Non sapevo se crederle. Mamma Teresa, sempre
silenziosa e ubbidiente, era riuscita a far cambiare idea a mio padre e a farmi
restituire il libro.
«Ora
vestiti e vieni ad aiutarmi». Passammo le ore successive in cucina, l’una
accanto all’altra, in silenzio. La stanza era riempita solo dalla voce di Carlo
che si buttava addosso al povero Baldo che cercava un po’ di calore davanti al
camino.
La Vigilia e il giorno di Natale le mie sorelle ed io eravamo sollevate dalle faccende domestiche. La Vigilia di Natale decidemmo di preparare dei biglietti di auguri per mamma, papà, nonna, Carlo e Baldo. Nonna Elvira non si era ancora alzata e mamma si recò nella sua stanza per assicurarsi che fosse tutto a posto. La sentimmo urlare e chiamare nostro padre che era fuori in cortile e non poteva sentirla. Uscii di corsa a chiamare papà che si precipitò in camera di nonna Elvira ed iniziò a chiamarla: «Ma’, mamma, ma’, mamma».
Nonna
non poteva rispondere perché era morta. Si era dolcemente addormentata e non si
era più svegliata. Il giorno di Natale ci fu un andirivieni di persone che
venivano a porgere le condoglianze.
In
occasione della morte di nonna Elvira, tornò ad Annesi zia Angela, sorella
maggiore di papà che non avevo mai conosciuto. Zia Angela se ne era andata da
Annesi molti anni prima per lavorare come governante in una famiglia di Roma. A
volte veniva a casa nostra l’oste del paese ad avvisarci che zia Angela avrebbe
chiamato ad una certa ora al telefono dell’osteria. Mamma e papà andavano insieme
a salutare zia Angela e nonna diceva sempre loro: «Dite ad Angela di tornare a
casa prima che muoia», ma questo non accadde. Era molto bella ed elegante.
Quando vide noi bambini ci abbracciò forte e consegnò ad ognuno di noi un
piccolo regalo. Ero affascinata da mia zia, dal suo sorriso, dalla collana di
perle che portava al collo. Quando ripartì per Roma provai una profonda
tristezza, perché era come se stessi perdendo l’unico legame della mia vita col
mondo esterno, l’unico segnale che provava l’esistenza di una realtà fuori dai
confini di Annesi.
Per
tre sere, dopo il funerale che fu celebrato il 26 dicembre, tutto il paese si
riunì in casa nostra e nel cortile per recitare il rosario.
«Finalmente
Elvira ha raggiunto il suo amato sposo ed ora vivono nella Gloria del Signore»,
disse il prete durante l’omelia.
Cercavo
di immaginare cosa si provasse a vivere nella Gloria del Signore. Immaginavo
nonna Elvira e nonno Sergio mano nella mano mentre passeggiavano in un immenso
prato verde e questo pensiero mi dava serenità.
Papà
fu triste e taciturno più del solito per alcuni giorni, poi riprese la sua
routine, un po’ meno taciturno. La stanza di mia nonna fu liberata da tutte le
sue cose. Nel comò trovammo una scatola di legno con vecchie foto in bianco e
nero, e tra queste ce n’era una in cui nonna posava con papà e zia Angela.
Chiesi a mia madre di poter conservare la scatola e le foto di mia nonna. La
riposi gelosamente nell’armadio e da quel giorno la scatola mi avrebbe seguito
ovunque, insieme ad un altro piccolo tesoro.
Estratto dal volume "Jane Eyre ed Io" di Monica Pica, Midgard Editrice 2021
Il libro si può ordinare online su Mondadoristore, IBS e sul sito della Midgard Editrice, nelle librerie indipendenti e nelle librerie Feltrinelli.
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