lunedì 4 maggio 2020

Natale 1832

di Roberto Cipolato





Era la vigilia di Natale del 1994. Fausto camminava lentamente, confuso nella nebbia lungo l’argine del naviglio vecchio infagottato in un pesante cappotto che aveva conosciuto tempi migliori.
Qualcuno quella sera gli aveva offerto da mangiare, tastò soddisfatto la tasca gonfia di pane.
Nell’altra mano stringeva una bottiglia di birra doppio malto, la sua coperta per quella notte.
Camminò a lungo verso la vecchia casa abbandonata alla periferia di Milano. Nessuno vedendolo avrebbe detto che sotto quei panni luridi si celava un laureato alla Sorbona, esperto letterato e prestigioso quanto conteso invitato dei salotti buoni, barbone per destino nel giro di qualche anno per via di un paio di disgrazie ben azzeccate dal fato.
Salì il primo dei tre gradini della casa diroccata quando senti una risata di donna giungere dall’interno. Sbirciò dentro dalle fessure dell’ uscio malandato: non era sola, con lei c’era un vecchio, cercavano di scaldarsi vicino a un paio di candele accese sul pavimento. Aprì la porta, bofonchiò un mezzo grugnito, probabilmente un buonasera, ma i convenevoli erano ormai parte del suo passato.
Quella era la sua casa da almeno tre mesi, l’aveva trovata lui e il senso del privato può essere feroce per chi ormai non ha più niente. Guardò negli occhi quei due sconosciuti e perse di colpo tutta la sua animosità, l’idea di cacciare quelle persone, all ’apparenza disperate quanto lui svanì in un attimo.
Attraversò l’ampia stanza dirigendosi verso una credenza malandata, l’aprì, infilò dentro la bottiglia di birra e richiuse rumorosamente lo sportello con fare da padrone. La donna sorrise notando che dell’anta era rimasta sola la cornice, ma il gesto era stato compreso. Da un angolo Fausto trascinò uno sgabello sfondato sedendosi vicino ai due estranei. Nessuno parlava, si sfregò le mani intirizzite sopra la fiamma della candela, il lieve tepore gli tolse per un attimo quel fare incarognito, cucito addosso come una seconda pelle. La donna lo guardò: “… è un pezzo che giriamo, e vista l’ora tarda, nella notte di Natale un ricovero sicuro è già un regalo. Mi chiamo Bianca e lui è Leonardo” disse la donna indicando il vecchio.
“Io sono Fausto, e da quasi cinque anni faccio questa vita che…” si meravigliò della sua stessa confidenza, fece per prendere la pagnotta ma poi, ripensandoci, ricacciò fuori la mano dalla tasca, quel tipo di vita non ti rende particolarmente generoso con gli altri. La donna si alzò lentamente dirigendosi verso la scala che portava al piano superiore. La maggior parte degli scalini era ormai sconnessa e il vecchio solaio di legno per lo più sfondato. Le stelle facevano capolino dagli ampi squarci del tetto ma almeno quella notte non sarebbe piovuto. Solo un angolo del piano superiore era riparato, dove Fausto aveva il suo rifugio notturno. Il letto, probabilmente vecchio quanto la casa aveva un materasso sudicio e diverse coperte piene di buchi disposte a strati. Bianca aveva lo sguardo perso chissà dove, si avvicinò nel buio all’imponente testata di ferro accarezzandola. Poco dopo scese con un borsone di tela, rimestò dentro prendendo alcuni involti. Leonardo non aveva ancora spiaccicato una parola, si dondolava lentamente fissando un punto del soffitto. La donna dispose alcune vivande vicino al tavolo davanti alla grande finestra centrale, l’unica con i vetri ancora intatti, vi stese sopra un canovaccio, tirò la tenda sudicia di panno pesante fissata a degli anelli arrugginiti. Lisciò con la mano due pieghe invisibili drappeggiandola alla bene e meglio. Fausto in quei mesi non l ’aveva mai notata una tenda la dentro, quei gesti di Bianca che ingentilivano l’ambiente gli fecero tornare in mente sua madre.
Bianca aveva modi umili e dignitosi nello stesso tempo, chissà chi era si domandò. Lei si girò, i suoi occhi avevano una malinconia di fondo in contrasto con la loro luminosità, le rughe agli angoli della bocca non sminuivano il sorriso piegato perennemente in una smorfia di mille tristezze, l’età era indefinita come di chi ne aveva passate tante. “Se hai della legna per far fuoco possiamo mangiare qualcosa di caldo” disse Bianca. Fausto uscì di nuovo scendendo in riva al naviglio, le piene di quell’inverno oltre alla solita spazzatura avevano portato gi ù parecchie cose che si potevano bruciare. Si incamminò lungo le sponde, le case erano rare in quella zona e le sterpaglie avevano la meglio ricoprendo ogni cosa lungo il canale. Raccolse un paio di casette di legno e qualche cartone.
Vi era un silenzio quasi innaturale, fuori del tempo, poi all'improvviso un lieve sciabordio provenì dal centro del canale, la nebbia che fluttuava leggera per un attimo si diradò, un piccolo barcarizzo con una lanterna a prua comparve sulla scena venendo pian piano verso di lui. Un omone, coperto da un pastrano d ’altri tempi stava in piedi a poppa, con una pertica spingeva l ’imbarcazione con gesti lenti e regolari.
“Bianca è già arrivata?” chiese l’uomo con una voce baritonale..
Fausto impaurito e sorpreso balbettò un sì.
Lo sconosciuto prese l ’affermazione come un invito, trascinò la barca sulla riva scoscesa, staccò dalla prua la lanterna e si diresse senza esitazioni verso la casa seguito da Fausto. La lanterna lanciava sciabolate di luce lungo il sentiero che Fausto seguiva meccanicamente sovrapensiero...
Non era abituato a passare la notte con tanta gente, e soprattutto, chi erano? Che ci facevano là, in effetti Bianca sembrava conoscere bene il luogo, ma cosa volevano da lui? In quella notte gelida la luna illuminava il vecchio edificio diroccato, per la prima volta lo osservò in maniera diversa. Nonostante le ingiurie del tempo non aveva l ’aspetto anonimo che hanno tante case abbandonate, le sue mura raccontavano una storia. A ricordo delle vestigia del passato rimaneva una torretta con i merli quasi intatti, un vezzo delle case padronali dell’ultimo secolo.

Estratto dal racconto "Natale 1832" di Roberto Cipolato, vincitore del Premio Giallobirra 2012, dall'antologia "Giallobirra 2012", Midgard Editrice



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