lunedì 2 dicembre 2019

Il volto perduto

di Monica Pica





Era il 21 marzo 2001, festa di San Benedetto, primo giorno di primavera, anche se l’aria era ancora gelida a quell’ora della notte. Le Torri Gemelle erano ancora lì, al loro posto, Facebook non c’era, né WhatsApp o Instagram. Il mio cellulare aveva solo due funzioni, chiamata e sms e fu una vera svolta quando riuscii a comprarne uno di dimensioni più piccole rispetto a quello, enorme, che avevo acquistato di seconda mano nel ’99. Ero appena scesa dall’auto che avevo parcheggiato sotto casa, stavo frugando nella maxi borsa in cerca delle chiavi del portone.
“Prima o poi dovrò fare pulizia in questa borsa”, dicevo tra me e me.
Afferrai le chiavi che riconobbi al tatto nascoste sul fondo, quando mi apparve davanti lui. “Eccolo di nuovo”, pensai, e prima che potesse aprir bocca gli dissi «Senti, è tardi e fa freddo e sinceramente non ho voglia di parlare, anche perché credo che ci siamo detti tutto. Vai a casa».
Non rispose, stava lì, aveva perle di sudore che gli colavano dalla fronte, nonostante il freddo, i capelli arruffati. Continuava a fissarmi con quegli occhi rossi che mi raggelavano il sangue. Distolsi lo sguardo e infilai la chiave nella serratura, ma prima che riuscissi ad aprire mi disse «Aspetta … ti faccio vedere come si tratta una puttana».
Non so bene cosa sia successo dopo. Ricordo di essermi accasciata a terra, forse per istinto di auto protezione. Le orecchie mi fischiavano, i suoni erano grevi e lontani, tentai di urlare con quanto fiato avevo in gola, ma non usciva nessun suono, un dolore acuto e sordo iniziò a divorarmi il viso, sentivo i capelli scoppiettare come se stessero prendendo fuoco, ma non c’erano fiamme intorno a me e poi nulla più, solo quelle parole che mi risuonavano in testa “Ti faccio vedere come si tratta una puttana”. Tutto ciò che so della mia vita negli istanti e ore successive mi è stato restituito dai racconti di chi mi ha soccorso e assistito in ospedale.
Arrivò l’ambulanza e fui portata al reparto ustionati, accompagnata dai miei genitori che erano stati chiamati da un vicino giunto sul luogo poco dopo l’accaduto. Tolte le bende del primo soccorso, i medici diagnosticarono un’ustione da acido muriatico. La prima emergenza da affrontare fu l’occhio sinistro. Intervennero subito, ma non assicurarono un recupero completo della vista. Rimasi sedata per alcuni giorni, sopportare il dolore delle ustioni sarebbe stato intollerabile. In quell’innaturale dormiveglia continuavo a sentire il suono di quelle parole “Ti faccio vedere come si tratta una puttana”.
Quando tornai semicosciente avevo la bocca arsa, come se avessi attraversato il deserto a piedi, l’occhio sinistro era bendato e col destro riuscivo a malapena a distinguere luci ed ombre. Pian piano le immagini si fecero più nitide e i suoni più definiti. Sentivo la voce tremante di mia madre, continuava a soffiarsi il naso, stava piangendo. D’improvviso un dolore assordante mi attraversò la parte sinistra del volto. Urlai richiamando l’attenzione del medico e dell’infermiera che si avvicinò e iniziò a trafficare con la flebo per aumentare il flusso di antidolorifici.
«Sono morta?», sussurrai a mia madre. Non ebbi il tempo di ascoltare la sua risposta perché caddi di nuovo in un sonno senza sogni.

Estratto dal volume "Il volto perduto" di Monica Pica, Midgard Editrice 2019





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