Intervista a Roberto Lazzari, autore del libro “Enrico
Marsicano e l’incredibile varco”, edito nella Collana Narrativa della Midgard
Editrice.
Buongiorno,
siamo arrivati al secondo volume di Enrico Marsicano, com’è nato questo seguito
del primo volume?
Tutti i romanzi di Enrico Marsicano vanno inquadrati
in un medesimo contesto narrativo, quello della pentalogia Cassiopea: per tale
ragione, essi sono stati concepiti in modo unitario, organico e quello che
appare inevitabilmente come un seguito è in realtà un’altra sezione di un
unico, ampio racconto interconnesso, opportunamente sezionato in fase
editoriale, per garantire al lettore leggibilità e suspense.
Quali
sono le tematiche più importanti della tua opera?
Ci sono molti piani di lettura nel ciclo di Enrico
Marsicano e credo che vari tipi di lettori possano scegliere quello - o quelli
- che maggiormente li interessano. C’è senz’altro il thriller noir, l’intreccio poliziesco, ambientato
nella Perugia dei nostri giorni, che costituisce un po’ la linea conduttrice
dell’intera opera: è una vicenda plausibile, ma sotto la maschera
dell’ordinario nasconde elementi inquietanti, che si svelano via via in questa
vicenda e in quelle successive. C’è poi la questione etrusca, che parte in
sottofondo, ma che gradualmente si colora di attualità e acquista importanza
nell’economia della storia: per tale componente, mi sono ispirato all’opera di
un caro amico, l’ing. Luciano Vagni, il quale, grazie alla sua prolungata
frequentazione con la materia, ha saputo organizzare una teoria davvero
suggestiva intorno al cosiddetto
principio di corrispondenza. E poi tanti altri temi: amore, più o meno
felice e contrastato, amicizia, enigmistica, originali ipotesi sulla struttura
della materia e un incombente segreto, che sempre più spesso riaffiora nelle
ricorrenti inquietudini dei vari personaggi e che sarà svelato soltanto negli
ultimi due romanzi della pentalogia, i primi in ordine cronologico.
Qual
è il rapporto fra la scrittura e il resto della tua vita?
Di certo, chi mi conosce ritrova tanti tratti
autobiografici nelle mie opere e nei miei personaggi – indipendentemente dalla
loro età, sesso e condizione sociale – e, allo stesso modo, coloro che hanno
letto le mie opere non si meravigliano della mia costante predilezione per
certi argomenti di conversazione, nelle occasioni di incontro della mia vita
reale. Esiste senza dubbio un substrato comune, che è andato via via
connotandosi e definendosi sempre meglio nel corso degli anni, di modo che scrittura
e resto della mia vita dimostrano significativi caratteri di somiglianza e, in
qualche modo, di ispirazione reciproca: almeno per il momento, tuttavia, non
esiste un consapevole processo di convergenza, verso una finale identità.
Che
scrittori ti piacciono e ti ispirano?
Gli scrittori che mi piacciono sono molti, ma in
alcuni sento vibrare maggiormente una sensibilità che riconosco più affine alla
mia: è il caso di Calvino, Buzzati, Kafka, Borges, Lovecraft. Se devo provare a
identificare un elemento comune in questi scrittori, una nota che in qualche
modo li avvicina e che probabilmente risuona con il mio sentire e con ciò che
veramente mi interessa, è forse l’incombente sensazione di una realtà nascosta
al di là di quella fenomenica più vistosamente apparente, trascendente rispetto
a essa, ma non meno concreta. Una realtà che si coglie da minuscoli, ma
inequivocabili segni e che sono sempre più spesso tentato di considerare più
vera ed essenziale di quella che abbaglia e ottenebra a un tempo i nostri
sensi.
Progetti
futuri?
Molti e la maggior parte, temo, destinati a rimanere
tali. Al di là della rifinitura dei capitoli mancanti della pentalogia
Cassiopea, da molti anni vorrei scrivere un lungo racconto simbolico, ispirato
a un’antica vicenda biblica, legata alla morte annunciata di un giovane
principe del Regno del Nord. Più recentemente, ho accarezzato l’idea di un
romanzo storico, ambientato nell’Italia Centrale dal 1848 al 1859, nel pieno
dei moti risorgimentali, intrecciato con la storia d’amore di due ragazzi di Perugia.
Per entrambe queste opere ho già tracciato un canovaccio piuttosto dettagliato,
ma devo trovare il tempo di scriverle. Ultimamente, poi, mi è capitato di
leggere un bellissimo libricino, “L’uomo che piantava gli alberi” di Jean
Giono, e mi è nato l’irresistibile desiderio di provare a scrivere una parabola
moderna, un racconto molto semplice, che sappia trasmettere un senso di gioioso
stupore, di meraviglia attonita di fronte alla grandissima e misconosciuta potenza
dell’amore, che sa confondere i superbi
nei pensieri del loro cuore: l’impresa, tuttavia, mi sembra ben al di là
delle mie modeste risorse.
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