martedì 21 ottobre 2025

Intervista a Oscar Bigarini

 





Buonasera, come nasce Il Bosco dell’Alce?

Devo fare una breve premessa: il Bosco dell’Alce” è il mio sesto libro. 
I precedenti quattro sono romanzi di fantasia che si sviluppano su base storica reale, cioè su episodi realmente accaduti, oppure narrano vicende immaginarie che si svolgono su luoghi e/o monumenti realmente esistenti. 
Il quinto “la soluzione estrema”, è di fantascienza pura su base ecologista.
 Dopo questi romanzi è nato in me, lettore anche di opere ambientate nel Nord Europa, a sfondo inquietante, che tengono il lettore con il fiato sospeso, il desiderio di cimentarmi su una tematica estremante diversa dalle precedenti quale è appunto il genere thriller, e quindi è nato “Il Bosco dell’Alce.” 



Quali sono le tematiche principali dell’opera?

“Il Bosco dell’Alce”, come sopra detto è del genere thriller, ma con alcune sue peculiarità. 
Innanzitutto, come nelle mie opere precedenti, non manca un pizzico di scienza e tecnologia, di facile comprensione a chiunque, poi ho provato a narrare una storia alla portata di tutte le età, nel senso che, pur non mancando in essa suspence e brivido, non vi sono presenti situazioni atte a nuocere la sensibilità dei più giovani. 
Altra tematica importante è l’ottimismo che deve deriva nel credere in sé stessi, nel non arrendersi alle prime difficoltà della vita, argomento che trova la sua collocazione in alcune figure positive del romanzo.

 
Progetti futuri?

Di recente mi sono iscritto alla Facoltà di Fisica. 
Ho fatto questo passo per il desiderio di aggiornarmi sulle frontiere di questa scienza, in particolare la rivelazione delle onde gravitazionali e gli ultimi sviluppi della meccanica quantistica. 
Ho in mente di scrivere una storia che racconti le vicende umane, come aspettative, timori, delusioni ed esaltazioni, di personaggi impegnati nello studio e la ricerca nei nuovi orizzonti di conoscenza che si stanno aprendo nei nostri giorni.



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lunedì 20 ottobre 2025

Intervista a Bianca Nannini

 




Buongiorno, come nasce Assenze?

Assenze è nato dal desiderio di onorare la famiglia di mio padre, di cui ho sempre sentito parlare più attraverso giudizi che ricordi. Quelle voci, spesso filtrate da sguardi severi o mezze frasi, mi hanno accompagnata a lungo, lasciando un vuoto e al tempo stesso una curiosità profonda. Ho sentito il bisogno di guardare oltre le etichette e restituire umanità a quelle figure. Scrivere questo libro è stato un modo per dare dignità e voce a chi non ha potuto raccontarsi da sé e per intrecciare la mia storia con la loro.



Quali sono le tematiche principali dell’opera?

Le tematiche centrali di Assenze ruotano attorno alla memoria familiare, a ciò che si tramanda attraverso racconti, silenzi e sguardi. Il libro è anche un viaggio nelle radici, nella ricerca di un’identità che si costruisce non solo attraverso ciò che ricordiamo, ma anche attraverso ciò che ci manca e continua, in qualche modo, a parlarci.



Ci sono scrittori o scrittrici che ti hanno ispirato nello scrivere o che ti piace leggere?

Non mi sono ispirata a nessun scrittore o scrittrice consapevolmente, però sicuramente mi è affine quella narrazione intima e psicologica, diretta e densa che vuole trasformare una memoria intima in racconto universale: Natalia Ginzburg, Annie Ernaux.




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venerdì 17 ottobre 2025

Riflessi di Tolkien. Saggi Hobbit

 di Edoardo Ferri.







Le donne, i cavalier, l’armi e gli amori
le cortesie, l'audaci imprese io canto.

Con questi famosi versi si apre l’Orlando Furioso, il poema cavalleresco di Ariosto, gemma del Quattrocento italiano e punto fermo dei programmi scolastici nostrani. Come ogni proemio che si rispetti, presenta fin da subito l’argomento: amore e guerra. Donne e amori si intrecciano a cavalieri e armi, in una struttura chiastica da manuale. In questo proemio si possono rintracciare le origini della figura canonica dell’eroe fantasy. L’eroe che “saves the day and gets the girl” (o the boy nel caso di protagoniste femminili). Nel canovaccio classico del fantasy, infatti, il tema bellico è spesso inframmezzato agli interessi sentimentali dei protagonisti. Insomma, pensiamoci seriamente: Harry Potter sarebbe piaciuto tanto a orde di ragazzine senza le storie adolescenziali del protagonista? E come avrebbe fatto Licia Troisi, se non avesse potuto descrivere l’amore di giovani ragazzine per uomini maturi e figure paterne?
In questo archetipo narrativo, tuttavia, Tolkien sembra caratterizzarsi come eccezione. Infatti, i suoi romanzi sono spesso noti (molte volte a torto) per la scarsità delle figure femminili e la secondarietà del tema amoroso. In questa osservazione c’è del vero. I protagonisti dei due romanzi tolkieniani più celebri, Bilbo e il nipote Frodo, non presentano interessi sentimentali. Nel romanzo de Lo Hobbit, poi, non compaiono proprio vicende amorose, al punto da costringere il regista Peter Jackson a “metterci una pezza” con il triangolo amoroso tra Kili, Tauriel e Legolas nell’adattamento cinematografico. Anche nel Signore degli Anelli non si può dire che il tema amoroso sia centrale; è vero che qua e là ci sono degli spunti sentimentali (con Eowyn come principale protagonista), ma sembrano relegati dal Professore allo sfondo. Insomma, Tolkien sembra poco interessato alle vicende amorose e, di conseguenza, pare avere poco da dire su questo tema.
In realtà, come spesso succede con Tolkien, le cose non sono come sembrano. Se è vero che il tema amoroso non è dominante nei suoi romanzi più celebri, è altrettanto vero che essi presentano notevoli ed interessanti spunti di riflessione su questo tema e che, ad ogni modo, l’amore ha un ruolo molto più forte se si considera il legendarium nel suo complesso, abbracciando anche quel mare sconfinato di leggende, confluite poi nel Silmarillion. Se si legge con attenzione Il signore degli anelli e si tengono in considerazione anche le storie del Silmarillion, allora, è possibile avere un’idea piuttosto chiara della concezione dell’amore di Tolkien.
Per approfondire questo tema, si possono seguire le storie d’amore di cinque coppie tolkieniane illustri: Beren e Luthien, Turin e Finduilas, Aragorn e Arwen, Aldarion ed Erendis e Faramir ed Eowyn. Tratteggiando queste coppie nel loro percorso amoroso, Tolkien rivela qual è la sua concezione amorosa. Scopriamola insieme.
Eros e innamoramento
Un primo elemento che balza agli occhi leggendo le vicende amorose presenti in Tolkien riguarda il modo in cui l’amore nasce. L’innamoramento in Tolkien è una realtà in cui la componente erotica, per quanto non assente, non ha un ruolo preponderante. Tutti i sintomi fisici che nel nostro mondo (il mondo primario come lo definirebbe Tolkien) caratterizzano l’innamoramento e il desiderio fisico passano in secondo piano. Quell’amore bruciante, paragonato a una fiamma interiore, non è presente in Tolkien. In Tolkien prevalgono invece l’apprezzamento estetico per la bellezza dell’amata, e sentimenti di affetto e tenerezza.



Estratto da "Riflessi di Tolkien. Saggi Hobbit" di Edoardo Ferri.


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mercoledì 8 ottobre 2025

Intervista a Silvana Di Girolamo

 





Buongiorno Silvana, come nasce Racconti di strada?

Le sollecitazioni che mi hanno indotto a scrivere il libro sono molteplici: ho sempre nutrito un grande interesse per le tematiche relative al disagio e alla marginalità sociale e, soprattutto, ho sempre provato una grande simpatia per i losers, i perdenti, gli sconfitti dalla vita. Si tratta quasi sempre di persone portatrici di svantaggi multipli, quelli economici che generano quelli educativi e  la scarsa istruzione, a sua volta, genera la povertà, un piano inclinato sul quale si scivola sempre più in basso, anche perché spesso ci sono fragilità connaturate che impediscono qualunque percorso di risalita.
Col libro, ho cercato di dare luce ai tratti più nascosti di queste persone che, quasi sempre, vengono identificate con il loro problema, che sia la tossicodipendenza o la malattia mentale, trascinano il fardello di uno stigma sociale che oscura tutte le numerose sfaccettature dell’umano.


Quali sono le tematiche principali della tua opera?

L’ambizione è stata quella di percorrere un vero e proprio itinerario nei luoghi dell’emarginazione della città, usando un linguaggio inclusivo, rispettoso e tollerante nei confronti di coloro che tali luoghi “abitano”.
Nel libro, ad esempio, parlo di villa Nanni che per molto tempo ha occupato le pagine di cronaca locale, quale emblema di degrado urbano; è stata sicuramente una sacca di miseria, percepita come luogo pericoloso, in realtà, si trattava più che altro di un’umanità più arresa e meno resiliente, e questa è una delle tante ingiustizie della vita, ci sono i combattenti che si rialzano sempre e ci sono i soccombenti,  quelli di villa Nanni, che al protagonista del libro sembrano creature notturne.
Nel libro dedico poi molto spazio alla stazione: anche quella di una città piccola come Perugia, al calare della sera subisce una mutazione antropologica, spariscono i viaggiatori e il popolo della strada si riappropria del luogo, qualcosa di simile ad una casa per la maggior parte di loro.
Un altra tematica che ho affrontato è quella della tossicodipendenza, e ho provato a descrivere il percorso che porta uno dei protagonisti all’abuso di sostanze, il “piano inclinato” di cui parlavo all’inizio; poi  parlo di prostituzione, di quella più miserabile, che è contigua alla povertà e alla tossicodipendenza, legate da un circolo vizioso che difficilmente può essere interrotto.
Uno spazio molto ampio lo dedico alla malattia mentale. Attraverso le vicende di uno dei personaggi ho voluto rendere omaggio a Mario Tobino, scrittore e psichiatra, direttore del manicomio di Lucca per più di 20 anni, dai primi anni ‘50. Tobino era uno psichiatra gentile che rifiutava i metodi coercitivi e nel libro ho immaginato che venisse ricordato come una figura salvifica.
La collocazione temporale di parte del racconto mi ha consentito anche di descrivere il clima politico pesante degli anni di piombo, in realtà, anche questo è un espediente letterario che mi ha permesso di parlare dei lasciti del ‘68, prima di tutto la legge 180, il superamento del manicomio e la nascita della psichiatria di territorio.
Infatti, oltre ai luoghi bui dell’emarginazione, il libro ospita anche dei punti di luce, i luoghi dell’accoglienza e della solidarietà, la progettualità degli operatori sociali e dei medici non ancora disincantati, ma anche il percorso di riscatto di coloro che avevamo dato per persi. Gli ospiti delle “Nuvole” che riseminano il loro giardino sono una metafora delle possibilità insospettate che possono essere espresse, bisogna saperle cercare e soprattutto saperle vedere.


Ci sono scrittori o scrittrici che ti hanno ispirato nello scrivere o che ti piace leggere?

Questa è la domanda più difficile, per una lettrice compulsiva scegliere alcuni Autori piuttosto di altri è una pratica dolorosa; potrei dire tutti, tutto quello che ho letto in modo famelico già dall’adolescenza. Sicuramente, dei contemporanei, amo molto Donatella Di Pietrantonio che, oltre tutto è una mia corregionale, mi piace molto il suo stile scabro e tuttavia molto impattante e viscerale, quanto ad esserne influenzata, mi piacerebbe moltissimo, ma ne sono ben lontana.
Degli Autori del passato, sono molto affezionata ai Naturalisti francesi, il Zola di “Germinale”, l’epopea dei minatori che si ritrova anche nella “Cittadella” di Cronin, altro autore che ho molto letto; naturalmente la corrente Verista, non tanto Verga, fin troppo noto, quanto quelli considerati di secondo piano come Luigi Capuana, nel suo “Marchese di Roccaverdina” la protagonista è una domestica che riunisce in sé un doppio svantaggio, quello dell’appartenenza di genere e quello dell’appartenenza sociale.
Poi Cesare Pavese, specialmente quello di “ Paesi tuoi”, il primo dei suoi romanzi. Infine, amo molto gli Autori americani contemporanei: lo Steinbeck  di “Furore” con le migrazioni  dei contadini scacciati dalle loro terre desertificate dalle tempeste di polvere, ma anche Faulkner in “Luce d’agosto” il protagonista è un nero nel sud razzista, ne “L’urlo e il furore” l’io narrante è il ragazzino debole di mente della famiglia.
Poi, non posso non ricordare il grandissimo Cormac Mc Carthy, che ci ha lasciato da due anni e ci mancherà sempre: di lui voglio menzionare non tanto “La trilogia della frontiera”, quanto quelli meno noti come “Il buio fuori”, la protagonista è una ragazza che vaga nei villaggi del Tennessee negli anni della Grande Depressione, reduce da un parto incestuoso.
Questi sono solo alcuni del mio pantheon personale, li ho menzionati soprattutto perché sono legati da un filo rosso, quello di dare una ribalta agli “ultimi”.  



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mercoledì 1 ottobre 2025

Intervista a Stefano Lazzari

 





Buongiorno, come nasce questa tua raccolta poetica?

In realtà, la raccolta nasce in modo estemporaneo, su riflessioni sparse nel mezzo inverno: momenti esistenziali, ma anche vita di tutti i giorni… e queste meditazioni sono poi state ordinate in un alfabeto, per avere poi agio a formulare il titolo adatto, appunto “L’ALFABETO DELL’ANIMA”. Evidentemente, queste riflessioni fermentavano da tempo nella mia mente: poiché il tempo di scrittura si è rivelato imprevedibilmente rapido, 50 poesie in 37 giorni… 



Quali sono le tematiche principali delle tue poesie?

Ho raccolto momenti di vita ordinaria, modi di essere, vizi e virtù: che, in vario equilibrio, sono patrimonio di ognuno di noi… ma evitando, per quanto possibile, coloriture didascaliche e/o moralistiche, e mantenere toni sereni, giudiziosi ma neanche troppo, e qualche sorriso di cauta indulgenza: anche riferito ai peccati capitali, dai quali, dopo tutto, ci si può anche emendare… 


 
Ci sono poeti che ti ispirano o che ti piace leggere?

Hesse, Goethe, Rilke, Coleridge, Byron, Leopardi… anche se poi, nessuno di questi  influenza in modo determinante e visibile le mie poesie .




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lunedì 29 settembre 2025

Stato infiammatorio cronico e spopolamento

 di Paolo De Bernardi.








Anche per l'acqua vale il discorso fatto per i cibi; la visione chimica dell'acqua non coglie neppure un decimo delle sue valenze reali. Per comprendere le quali, anche qui, ci dobbiamo rivolgere alle medicine tradizionali, dette anche spregiativamente "popolari", al fine di insinuare la loro superstiziosità e antiscientificità. Senonchè una medicina "popolare" come quella dei Celti aveva una grande stima delle acque, al punto da potersi parlare di vero e proprio culto delle sorgenti, ognuna delle quali veniva riconosciuta nella propria specificità terapeutica: fonti "sacre" che guarivano le nutrici, fonti sacre che giovavano ai lottatori, fonti sacre che guarivano gli scrofolosi, fonti sacre che guarivano la scabbia, fonti sacre, che guarivano il fegato, ecc. Che vuol dire che queste fonti sono "sacre", tali da meritare un culto? L'acqua, come scoprono (ancorchè in ritardo) i paesi occidentali, ha una "memoria", ossia riceve, conserva e trasmette una certa frequenza vibratoria (vedi esperimenti di Masaru Emoto), la cui caratteristica può essere evidenziata da un esperimento cimatico, nel quale si fornisca ad una certa quantità di acqua una vibrazione, che viene subito tradotta in certe increspature che sono dei veri  mandala; ancor meglio la cosa si vede se dopo aver fornito una vibrazione all'acqua la facciamo congelare; le formazioni cristalline sono diverse a seconda della frequenza  ricevuta in precedenza. L'acqua dispone se stessa a secondo della frequenza vibrazionale che le fornite, allo stesso modo di una ballerina che balli e si muova a seconda della musica che viene messa in onda. Questi esperimenti ci fanno capire come l'acqua di ciascuna fonte sia improntata di un marchio energetico che essa riceve dalla terra,  una frequenza vibrazionale, che essa porta con sè quando sgorga dalla roccia. Quando un vivente si bagna in questa acqua sorgente riceve su di sè l'impronta vibrazionale che quell'acqua ha memorizzato e conservato durante il suo percorso per venire fuori dalla terra. L'elemento "sacro" dunque di questa acqua è quella sua frequenza, che trasmessa al vivente, lo guarisce da questa o da quella malattia (perché anche il nostro organismo vibra a certe frequenze, e c'è una frequenza della malattia, che va contrastata e abolita con la frequenza biocompatile, che si chiama guarigione e "miracolo"). Il culto delle fonti "sacre" praticato dalla medicina celtica, e non solo, non ha nulla di superstizioso o di antiscientifico (o di "popolare"). E anche qui siamo vittime di una visione rovesciata della realtà, ossia anche qui siamo stati indotti ad una visione paranoide.
Tutti i templi, chiese e cattedrali della cristianità sono in realtà edifici dedicati al culto delle fonti sacre. Noi siamo abituati e indotti a pensare che la santità del luogo  e dell'edificio  siano dovuti alla presenza del Santo in esso; o perché questi avrebbe in quel luogo operato miracoli, o perché avrebbe in quel luogo ricevuto le stimmate, o perché in quel luogo egli pregava e meditava assiduamente, o perché in quel luogo egli è stato sepolto e sono visibili le sue reliquie, ecc. Quindi crediamo che l'edificio sia stato costruito lì perché il luogo sarebbe stato reso "sacro" dall'operare o dalla presenza del Santo. E invece le cose non stanno così. Questa cui abbiamo accennato è l'opera di occultamento e sostituzione.
 La vera sacralità del luogo è data dalla fonte o dal pozzo contenente delle acque (queste sì) "sacre", la cui sacralità è da sempre consistita nella loro capacità di effettuare "miracoli", ossia guarigioni che avvenivano per trasmissione di una frequenza vibrazionale unica, che solo quell'acqua aveva e che i druidi, e i medici-sacerdoti in generale sapevano decodificare. E' questo fatto primario, anzi originario, che legittimava l'edificazione di un tempio, col quale si doveva innanzitutto sancire pubblicamente la sacralità della sorgente o del pozzo (che noterete non mancano mai in tutti i templi e chiese cristiane) e istituzionalizzare l'utilizzo di quel luogo per finalità terapeutica, come la incubatio in loco. Il tempio, infatti, non solo sanciva e riconosceva la sacralità del luogo, bensì ne amplificava e potenziava le capacità terapeutiche e miracolose, con una edilizia, che oggi diciamo esoterica, ma che in realtà era scientifica, in quanto con le tecniche cimatiche si costruivano rosoni e anche strumenti musicali, quali gli organi, che potenziavano la frequenza vibrazionale di quella fonte sacra, in modo da renderla fruibile a quante più persone possibili si recassero in quel luogo, alla ricerca di quella vibrazione, idonea a quella guarigione specifica. La presenza degli ex voto, sia nei templi cristiani e prima ancora pagani, sono la testimonianza di questa pratica terapeutica, che è poi stata soppiantata e occultata con la pratica religiosa, questa intesa come culto del Santo.



Estratto da Stato infiammatorio cronico e spopolamento, Paolo De Bernardi, Midgard Editrice


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lunedì 22 settembre 2025

Intervista a Emma Mariani

 





Buongiorno, come nasce Memorie di una MILF?

Nasce da un desiderio molto semplice: raccontare la vita di una donna over 40 senza veli e senza cliché. Volevo dare voce a quella zona grigia in cui non sei più una ragazza, ma neppure una “signora” pronta a spegnersi con la tisana e i calzini di lana. La MILF del mio romanzo non è un’etichetta volgare, ma un modo ironico e sincero per esplorare le contraddizioni, le paure e le rinascite di una donna che decide di non smettere di sentirsi viva. È un libro che nasce dal bisogno di ridere di sé stesse, di riconoscersi, ma anche di riflettere sul desiderio, sull’identità e sulla libertà.



Quali sono le tematiche principali del romanzo?

Le tematiche centrali sono il corpo, il tempo e la ricerca di autenticità. Attraverso Elisa, la protagonista, ho voluto raccontare cosa significhi sentirsi osservata come “MILF” e trasformare questa definizione in una forza, non in un limite. Il romanzo parla di amore e sesso, certo, ma soprattutto di amicizia femminile, resilienza, autoironia e del coraggio di reinventarsi anche quando sembra troppo tardi.
Il messaggio del libro è semplice e diretto: non c’è un’età per sentirsi vive, desiderabili e libere. Essere una MILF non è un insulto, ma un superpotere: la capacità di accettare le rughe senza rinunciare al desiderio, di ridere delle proprie cadute e rialzarsi più forti.
Il romanzo è pensato per tutte le donne che hanno superato i quaranta e si riconoscono nelle fatiche quotidiane, ma anche per le più giovani, perché possano guardare a questa fase della vita senza paura e con più ironia. È un libro che parla alle lettrici, ma può divertire anche i lettori uomini, soprattutto quelli che vogliono capire meglio cosa si nasconde dietro l’etichetta “MILF”.



Ci sono degli scrittori o delle scrittrici che ti ispirano e che ami leggere?

Sì, moltissimi, perché credo che la lettura sia la vera linfa di chi scrive. Amo scrittrici che sanno mescolare ironia e profondità come Helen Fielding, con Il diario di Bridget Jones, e Nora Ephron, che con il suo sguardo pungente ha firmato pagine indimenticabili oltre a film iconici come When Harry Met Sally.
Tra le grandi voci internazionali, Isabel Allende è per me un punto di riferimento: da La casa degli spiriti a Violeta, ha saputo dare voce a generazioni di donne con forza e poesia. Margaret Atwood, con Il racconto dell’ancella e I testamenti, ha dimostrato come il romanzo possa essere insieme visione politica e letteratura di altissimo livello. Adoro anche Elizabeth Strout, capace con Olive Kitteridge e Mi chiamo Lucy Barton di raccontare le relazioni e le fragilità umane con una delicatezza unica.
Mi ispirano poi autori come Nick Hornby (Alta fedeltà, Un ragazzo), maestro dell’umorismo intelligente, e David Nicholls, che con Un giorno ha creato una delle storie d’amore più amate degli ultimi decenni. Infine, apprezzo molto Joël Dicker, che con La verità sul caso Harry Quebert ha dimostrato come un romanzo possa tenere insieme intrigo, emozione e successo internazionale.
In generale, mi guidano le voci che sanno far ridere e riflettere, che raccontano la vita nelle sue contraddizioni senza rinunciare all’ironia e all’intensità.




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