martedì 12 novembre 2024

Collected Poems

 di Gino Celoria.






RIFT VALLEY


io sono questi

occhi di talpa che

fendono la nebbia

di gennaio


mio padre

- e fu la genesi -

un cristallo di quarzo


bevo l’ultimo bicchiere

salgo su per una scala-budello

portandomi di qualche metro

più vicino al cielo

della mia notte


(orme

di Laetoli

sui gradini)


si chiamava Kostya Ryabtsev

scrisse nel suo diario:

- Si vive per vivere -



CALEMBOURS 1


tu dici che ora

siamo molto più vicini

mentre ti accompagno al negozio

a ritirare le foto

e tutti e due abbiamo freddo

e di tanto in tanto

ci tocchiamo con le spalle

e con giochi di parole

di molto sotto lo zero

scherziamo sul fatto

che questo gennaio ci sorprende

discretamente invecchiati

e che un tempo siamo stati

ciò che gli altri chiamano

amanti


i nostri fiati

ci precedono quel tanto che basta

a ricordarci che il negozio chiude

alle diciannove e trenta



DALLE 8 ALLE 20


sera dopo sera

la donna viene

con seno grinzo

ad accendere le luci blu

del corridoio


volano i fantasmi

in questa notte di vento

rannicchiato sul fianco sinistro

tipo canedifucile

o attorcigliato quasi fetale

ascolto di un vecchio

la stanca pisciata

quasi nell’alto dei cieli

piangono gli angeli

in questa notte di pioggia

e disteso supino

m’impicco alla solita trave


e ancora si ferma

davanti all’orologiaio

il numero 6

che caricava il mio cappotto grigio

a 200 m dal Ponte di Pietra

e scaricava la mia disperazione

alla fermata di via Flarer

dove mai seppi dirle che l’amavo


mani che accendono candele

nelle notti di neve


mentre calano i sipari sulle lenti

e sul chiodo di Kirillov

a cui è appeso un febbraio di carta

segato in tot parti

da una penombra bluastra


e ancora mi appare

lo spiazzo e la Novalesa poco lontano

dove una donna triste

mi masturbò con mano secolare

mi disse che era un trattamento

di favore

e mi sorrise con lunghi canini

chiesi un tetto

prima di passare il Moncenisio

ma lei non si curò della bufera

e si pulì con un fazzoletto di carta


notte dopo notte

la donna dorme

sull’erba tenera dei suoi desideri

rammendi di paradiso

sul suo volto segnato

da antica voglia d’uomo

stantìo sugo di esami di coscienza

tra i bianchi peli delle ascelle

odor di lavanda sugli occhi

quando di nuovo viene

mattina dopo mattina

a spegnere le luci blu

del corridoio


Estratto dal volume "Collected Poems" di Gino Celoria, Midgard Editrice.


https://midgard.it/product/gino-celoria-collected-poems/


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mercoledì 6 novembre 2024

Intervista a Luca Tancetti

 




Buongiorno Luca, come nasce questa tua opera, Diario di randagismo?

Ciao Fabrizio. Il libro nasce circa due anni fa: il primo pezzo l’ho scritto nel febbraio 2022. 
In questi anni ho avuto modo di intraprendere viaggi un po' all’avventura: portando come me solo quello che uno zaino poteva contenere. Ho camminato lungo vari percorsi sui Sibillini e gli Appennini, lungo la ruta francesa del Cammino di Santiago, ho visto il mar Baltico, girato l’isola di Bornholm in bicicletta e ho camminato lungo la South-West Coast Path in Inghilterra.
Nella maggior parte dei casi, sono partito da solo: i percorsi mi hanno permesso di conoscere persone lungo la strada o mi hanno dato tempo e modo per scavare e vivere in silenzio e pace la mia solitudine.
Il libro nasce dall’esigenza di trasmettere emozioni e sensazioni provate in seguito a viaggi, e incontri fatti nel tempo, che mi hanno permesso di provare e sperimentare qualcosa che io stesso facevo fatica a spiegare razionalmente. O, per essere precisi, non volevo e non voglio spiegare razionalmente. Come diceva la mia professoressa di Letteratura italiana al liceo: “La Poesia è l’effimera espressione di un mondo meravigliosamente incomprensibile”
Il libro e i testi contenuti vogliono trasmettere la bellezza incomprensibile che ho provato in questo periodo di tempo, senza cercare di dare spiegazioni, giustificazioni o argomentazioni. Nasce per trasmettere qualcosa che, per me, è bello e potente in sé per sé e non ha bisogno di altro se non di sé stesso.
Riflettendoci bene: forse, il libro e la successiva decisione di pubblicarlo nascono  anche per esprimere un senso di paternità frustrato. Nasce dalla voglia di far conoscere al mondo una parte di me che solo io conosco e che ho custodito con cura per molto tempo.
Nasce anche come un tentativo, un esperimento. Nasce dall’esigenza di mettere al mondo, nero su bianco, questo lato di me e questo mio sentire. Solo per vederlo camminare con le sue gambe e vedere che strade prenderà.



Quali sono le tematiche più importanti del libro?

La tematica più importante del libro è per l’appunto il tema del viaggio unito alla voglia di perdersi nel viaggio, cercando sempre nuove mete e nuovi orizzonti.
Contrapposto a questa voglia, si presenta però il desiderio di restare, di costruire un posto da poter chiamare casa. In un libro a me molto caro è riportata la frase: “La vita non è una montagna da scalare, un treno da non perdere o un obiettivo da centrare, ma è una piccola stanza da arredare con cura” (“Un Posto in cui fermarsi” Matteo Bussola). Grazie alla mia amica Irene, che me lo ha regalato.
Per dare un’idea di quello che sto dicendo, porto quest’esempio: l’ultima mia tappa del Cammino di Santiago è stata Finisterre (o Fisterre) in Galizia. Ho raggiunto la città, che un tempo si credeva fosse l’angolo più ad ovest di tutta Europa, dopo 35 giorni di cammino, attraversando tutto il nord della penisola iberica a piedi. Sicuramente, è una delle emozioni più forti che un essere umano possa provare: ci si sente liberi mentre si cammina e si conduce una vita fatta di semplicità, amicizia e conoscenza di sé stessi. Arrivati a Finisterre, molti sono colti da un forte senso di malinconia e tristezza.
Ma sul muro di un bar, all’ingresso della città, è riportata la seguente frase: “Il vero Cammino comincia alla sua fine”. La vera sfida sta nel riportare quell’esperienza di incomprensibile bellezza a casa. Il Cammino è completo quando si riporta a casa la libertà, l’indipendenza e la fierezza che si sono provate perdendosi lungo i sentieri del Nord della Spagna. Del resto, “Così gli Dei hanno decretato: che, nel perdersi, ciascuno possa ritrovare sé stesso.”
Rimane centrale la bellezza di sentirsi perso, viaggiatore, libero. Ma rimane anche, sempre presente, forse un po' velato o mascherato, il desiderio di vivere una casa e il focolare domestico.
Da qui il titolo: il randagismo di colui che non sa prendere parte, che non sceglie. Il randagio come colui che vive ai bordi, che viaggia sempre, sempre in movimento e sempre da qualche parte, ma che non si allontana mai veramente.



Ci sono poeti e scrittori che ti ispirano?

Sono vari i libri da cui ho preso spunto o che mi hanno ispirato, tra tutti sicuramente devo riconoscere una grande importanza a Hesse, che mi ha accompagnato per gran parte dell’adolescenza con “Il Lupo della Steppa”, “Siddhartha”, “Demian” e “Narciso e Boccadoro”. Con ancor maggiore certezza, posso dire che il primo di questi è quello che mi ha colpito più di tutti: nelle prime pagine viene riportato una sorta di manifesto le cui parole sono mi rimaste impresse: “L’uomo non è una forma fissa e definita, ma è un ponte stretto e pericoloso fra la natura e Dio” (frase che poi ho visto comparire anche in “Così parlo Zarathustra”): la contrapposizione mi ha colpito, insieme alla spinta verso un Oltre non ben definito che però sembra essere radicato nell’uomo.
Mi hanno inspirato i libri di Jack London, tra cui “Il Richiamo della Foresta”. Mi ha ispirato Antoine de Saint-Exupéry quando nel libro “Terra degli Uomini” scrive: “Ma laggiù non possedevo più nulla al mondo. Non ero altro che un mortale smarrito tra la sabbia e le stelle, consapevole della sola dolcezza del respirare”. 
Mi sono emozionato, poi, leggendo le parole di Khalil Gibran che, nel libro “Il Profeta”, parlando delle case, scrive: “La Brama di comodità uccide la passione dello Spirito e va ridendo al suo funerale. Ma Voi, figli degli spazi, irrequieti nella quiete, non cederete all’insidia né sarete domati”.
Mi ha ispirato la figura di Ulisse nell’Inferno dantesco: me lo immagino mentre si eccita e si infiamma ancora mentre dice “Dei remi facemmo le ali al folle volo”.
In sintesi, mi hanno inspirato tutti quegli autori che, con un linguaggio non puramente descrittivo, hanno raccontato verità con immagini e simboli: simboli e immagini che mi hanno catturato, mi hanno colpito e mi hanno fatto meditare per la loro natura allo stesso tempo profondamente artistica e semplicemente umana.






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martedì 29 ottobre 2024

L’angelo accorre allo spettacolo

 di Rita Morandi.








Scompaiono

All’alba tacevano gli uccelli 
Ascoltai la sua agonia 
cantò finché ebbe fiato
Poi silenzio
Riprese poi il canto un altro
ma non era il solito canto di ogni alba



E questa terra che geme tremando, buio esce dallo scheletro
del palazzo dalle finestre senza più vetro 
come fluido oscuro che avvolge 
i fantasmi di questi corpi vuoti le città vuote dietro le porte
Memoria
Ma nulla ho visto né sentito



La luce del mattino grida 
potente come raggio precoce 
nel vicolo ancora buio
che già tutta la notte ha visto 
Fugge una folla di uccelli
in mistico volo 
faticano a stare uniti 
sbattono contro i muri
si scontrano e non sanno
che là in fondo il Cielo li aspetta 
nello splendore mistico del sole 
Affondano e periscono
nel buio dell’inferno



Ecco che tutti gli uccelli
se ne vanno per sempre da quei Cieli 
Il nibbio dopo che tutto ha visto 
accuratamente controllato 
appoggiato al palo
Ancora uno sguardo intorno preciso e fondo 
Tutto era a posto
Anch’egli se ne va per non più tornare 
L’acqua di sotto come il cielo
di verde liquido velenoso 
dove l’animale tenta di fuggire
scivola dalle mani ma è ripreso 
per la cena serale



Estratto dal volume "L’angelo accorre allo spettacolo" di Rita Morandi, Midgard Editrice.




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venerdì 18 ottobre 2024

Intervista a Fausto Minnetti

 





Buongiorno Fausto, come nasce questa tua nuova opera, La storia infinita?

Buongiorno Fabrizio. In realtà già da diverso tempo avevo sentito parlare della parabola buddhista chiamata "Alla Ricerca del Toro" e avevo letto qualcosa riguardante l'argomento su di un testo di Yoga scritto, intorno agli anni '80, da Carlo Patrian, uno tra i più importanti Insegnanti di Yoga di quel periodo. Dopo diversi anni, circa nel 2015, ritrovai un accenno a questa storia, con le indicazioni editoriali del libro con lo stesso titolo in un testo che trattava delle filosofie orientali e quindi mi decisi di acquistare il libro suddetto.
Con grande sorpresa mi trovai tra le mani un libretto nel quale vi erano soltanto delle chiose, molte chiose suddivise in capitoli, collegate a delle immagini di antichi quadri pittorici.
Rimasi quindi abbastanza meravigliato accorgendomi che mai nessuno aveva fatto un commento a questa parabola, perlomeno  in tempi recenti, parabola che è ritenuta una tra le più importanti testimonianze collegate al Taoismo e allo Zen.
Ciò che sicuramente mi colpi fu che, tra le chiose e i dipinti, vi fosse un forte legame a testimoniare il fatto che, anticamente, qualcuno aveva avuto l'intuizione di mettere delle immagini che aiutassero l'interpretazione del racconto. Era un po' come se, molti e molti secoli fa, fosse stata scritta una "storia a fumetti", una lunga parabola, evidenziata da splendide immagini, da meravigliosi quadri poi, purtroppo, andati perduti.



Quali sono le tematiche più importanti del libro?

Siccome tra i miei interessi particolari  c'è anche una ricerca inerente il Taoismo e lo Zen ed una curiosità  spirituale riguardo  la lettura  e l'interpretazione  dell'Oracolo  cinese, l'I Ching,  mi  venne subito l'intuizione  di scrivere un libro nel quale, commentando  la Ricerca del Toro,  avrei potuto inserire  conoscenze  e  orientamenti  riguardanti  le  principali  filosofie  orientali,  dallo Yoga  al Taoismo  Contemplativo  passando  per  l'Alchimia  e lo Zen,  senza  ovviamente  trascurare  le mie conoscenze  sulle  antiche  Filosofie  dell'India.  
Inoltre, facendo  riferimento  ai miei  studi  classici, sono  ritornato,  dopo  diversi  anni,  ripensando  al  Liceo,  a rielaborare  più  approfonditamente la visione  presente  nella  Filosofia  greca  in  cui,  personaggi  come:  Platone,  Eraclito,  Democrito, Leucippo ed altri sono stati, non solo dei grandi filosofi ma dei grandi Saggi, dei Risvegliati, degli esseri Illuminati, uomini cioè che, attraverso una "visione apparentemente  solo  filosofica"  ci hanno trasmesso le basi per andare ben oltre le filosofie con l'intento di approdare ad una Conoscenza dell'Essenza della Vita tipica di quella Spiritualità che l'essere umano  ricerca  da sempre. 
E così e stato.
C'è voluto del tempo, chiaramente, per intessere argomenti aventi pari importanza e consistenza, pur provenendo da culture apparentemente diverse, ma sono certo che il lettore riuscirà ad apprezzare questo mio lavoro di sintesi tra le varie visioni riguardanti comunque la millenaria Ricerca della Via e della Verità da parte di ogni essere umano.



Oltre che essere uno scrittore di saggi sulla spiritualità sei anche un insegnante di Yoga da molti anni, ci vuoi parlare di questa tua attività?

Sì, in effetti, ho iniziato la pratica dello Yoga quando avevo solo 19 anni ed ebbi la fortuna di conoscere e seguire gli insegnamenti di Andre Van Lisebeth, il Maestro di Yoga belga che, per primo, intorno agli anni '60 del secolo scorso, introdusse in Europa la teoria e la pratica dello Yoga, dello Hatha Yoga in particolare. Ho conosciuto infatti personalmente i suoi due figli, Francoise Berlette e Willie Van Lisebeth dei quali ho seguito la Scuola per diventare Insegnante ed i loro Seminari di approfondimento. 
Poi, insieme ad un gruppo guidato da Giorgio Astolfi, Presidente per diversi anni della Federazione Italiana Yoga, (anche lui uno tra i miei insegnanti), durante uno dei miei viaggi in India, ebbi modo, a Rishikesh, di entrare nei sancta sanctorum dello Yoga, cioè nell'Ashram di Swami Shivananda e poi, a New Delhi, in un altro luogo leggendario il Vishwayatan Yogashram di Dhirendra Brahamachari, il Maestro di Yoga che  preparò  gli astronauti russi per i viaggi nello spazio. 
È importante ricordare che 30/40 anni fa, la pratica dello Yoga, nella sua veste originale ed antica, era molto diffusa anche in Italia, soprattutto a Roma e Milano. 
Col passare del tempo pero, tale veste, pur rimanendo fedele a se stessa, ha subito delle variazioni fisiologiche le quali, senza snaturare la disciplina, consentono tuttora di proseguire una pratica corretta seguendo le direttive originali di essa. 
Lo Yoga infatti permette, a chi Io pratica, di acquisire una conoscenza e una percezione di sé che va ben oltre il piano fisico elevando gradualmente il praticante verso nuovi orizzonti per acquisire la possibilità di espandere la propria Coscienza verso nuove frequenze e nuove sensazioni interiori.




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sabato 12 ottobre 2024

La Tana di Venere

 di Stefano Giometti.








Avevano deciso di percorrere l’Appia.
O meglio, così aveva deciso Sbaffo anche per conto degli altri tre cazzari.      
- Perché non abbiamo fatto la Pontina?  - chiese con il consueto garbo Milorde, per la seconda volta, non avendo ottenuto risposta dieci minuti prima.
- Perché l’Appia è più bella… e mo’ basta! E nun rompe più li cojoni! - replicò scocciato Sbaffo, che di quella scorreria nelle terre pontine, di quell’avventura alla ricerca dell’oro in quel decantato Klondike del basso Lazio, era stato l’organizzatore.
Un Klondike identificato nelle campagne circostanti Sabaudia, dove era l’anguria, o meglio er cocommero, a incarnare l’oro.  
Fu Franchino, di due anni più grande, pluribocciato, a far circolare in classe, con insistenza, quei racconti a lui riportati da amici a suo dire fidati, di arricchimenti veloci, facili, dati dalla raccolta delle angurie a Sabaudia.  In una settimana si potevano guadagnare ottanta, novanta, fino a centocinquantamila lire a testa. Uno sproposito, in quarta superiore.
Un’occasione irripetibile, unica, da non lasciarsi sfuggire.
Sbaffo, che pretendeva di elevare al rango di baffi una peluria ispirante un’inestinguibile tenerezza, oltre ad avere già ispirato un soprannome oramai consolidato, si dibatté a lungo fra sogni e inquietudine, ma poi prese la decisione.
Doveva farlo, dovevano farlo, dovevano andarci.
Convinse, per sfinimento, quattro compagni di classe.
Per la fine di giugno dovevano partire, essere presenti prima di altri, sgobbare, raccogliere, lavorare per tre, quattro settimane, guadagnare, senza far circolare troppo la voce, non bisognava farlo sapere in giro.
Convinse, allora, Milorde, Cagnara, Abbiocco e Martufagno.
A parte quest’ultimo, fisicamente ben strutturato, il solo fra tutti abituato a sporcarsi le mani con la terra perché figlio di agricoltori, proveniente da un sobborgo al di fuori del Grande Raccordo Anulare, e per questo chiamato Martufagno, che aveva soppiantato il soprannome di Cicorione a partire dal secondo anno di Istituto Tecnico, gli altri erano soltanto semplici figli delle periferie urbane di Roma, dal fisico ancora acerbo, ragazzinesco, senza la minima ombra di calli sulle mani.
Milorde, di poche parole, si distingueva per un portamento distinto e per un linguaggio pulito, lineare, che filtrava a monte, apparentemente senza difficoltà, i vocaboli romaneschi, presumibilmente per un fatto di coerenza, per far risultare credibile il suo portamento signorile. 
Cagnara era il più irrequieto, il più vivace, non stava fermo un attimo, rissoso, logorroico in alcune giornate, il primo ad avere conseguito la patente per guidare, essendo nato a gennaio. Sbaffo l’aveva convinto a prendere la sua macchina, una Fiat 850, per andare a Sabaudia.  Lui accettò subito, a patto di costituire, prima di partire, un fondo cassa per la benzina “Sennò ‘sti cazzi”. 
Abbiocco, agli antipodi di Cagnara, era il più bonario, pacioccone fino al midollo, indolente, non rinunciava mai alla pennichella, dovunque si trovasse nella fascia oraria post-prandiale. Aveva accettato di far parte di quella squadra di avventurieri non per intima convinzione, ma solamente per non contrariare Sbaffo e per rimanere in amore e in accordo con tutti gli altri.
- Ma dove kaiser se deve gira’?...Borgo Hermada, borgo qui, borgo là… nun ce sto a capi’ un kaiser de gnente. Porca troia! - sbottò Cagnara, che da poco aveva lasciato l’Appia e si era ritrovato su rettilinei tutti uguali che incrociavano altri rettilinei tutti uguali, in mezzo a campi tutti uguali.
- Devi tornà verso Borgo Vodice, poi prendi la Migliara 49.  Borgo lì, borgo là… nun sapete un cazzo de storia! Qui c’è stata la bonifica delle paludi pontine durante il Ventennio e hanno dato ai borghi i nomi di battaglie della Prima Guerra Mondiale.  
- Tutta opera del grande Benito! Ignoranti! - stabilì con veemenza Sbaffo, che oltre ad essere, da sempre, un saputello, si stava rivelando, negli ultimi tempi, come un manifesto simpatizzante del Movimento Sociale Italiano, come granitico assertore del quanto di buono avesse fatto il Duce durante il Ventennio, andando così incontro a discussioni, anche violente, con la maggioranza dei compagni di classe, apertamente schierati col PCI e con la Sinistra extraparlamentare.
- Vaffanculo a te e a ‘sto fascista der cazzo! -  gridò Cagnara, esasperato più dalle due ore consecutive di guida che dalle precisazioni storico-politiche di quel coglione che sedeva dietro a lui, e che gli allungò un frontino dopo essersi sollevato di un palmo dal sedile di similpelle rossa.
- Ma che cazzo fai? - s’indignò Cagnara, che fu lesto a governare la macchina durante l’accenno di sbandamento che seguì a quello schiaffo in fronte - Ho capito, mejo che ce fermamo…
La Fiat 850 si accostò all’imbocco di un vialetto sterrato accompagnato in tutta la sua lunghezza da eucalipti smisurati. 
Scese per primo Cagnara, svelto a inclinare il suo sedile, impaziente di far scendere Sbaffo, di affrontarlo al più presto.
Sbaffo esitò prima di uscire, poi si decise, se lo trovò di fronte, ché lo aspettava al varco, si scambiarono uno sguardo minaccioso.  
Una spinta con entrambe le mani allontanò il torace altrui, senza che parola venisse proferita.  Finì lì.
Si distaccarono per sgranchirsi le gambe e buttare giù, nel profondo, l’odore pungente degli eucalipti, comunque non sufficiente a sostituire un caffè bollente che loro due, già fuori, e gli altri, ancora dentro, avrebbero, a quel punto, desiderato. 
Nel frattempo, anche gli altri due erano scesi dalla macchina.
- Quanto manca ancora per Sabaudia? - chiese Milorde.                            
Nessuno si degnò di dargli una risposta.
Cagnara, intanto, aveva sollevato il cofano per prelevare dal suo zaino una delle pagnottelle che la madre gli aveva preparato. Scostò dalla ruota di scorta la lattina dell’olio che il padre di Milorde aveva affibbiato loro per permettere di cucinare qualcosa di decente, snodò i lacci dello zaino di tela grigioverde che aveva acquistato qualche giorno prima al mercato dell’usato di Via Sannio e agguantò un cartoccio che scoprì, svoltolandolo, contenere una pagnottella con la frittata. 
Abbiocco, in quel mentre, con un prezioso lavoro nell’ombra, controllava a uno a uno i ganci delle corde elastiche che serravano al portabagagli la grande tenda da campeggio, forse pregustandone l’allestimento per poterci entrare e fare quanto prima una pennichella.
- Daje, ché manca poco. Sabaudia è laggiù - disse Sbaffo, allungando un braccio verso il mare, rinfrancando Milorde con uno stacco di tempo comunque ingiustificabile. 
Rimontarono in macchina, rincuorati. 
L’atmosfera all’interno dell’850 si era fatta tranquilla.
- Fai tutta la Migliara, sempre dritto. Arriviamo a Sabaudia, poi il campeggio dovrebbe trovarsi vicino al mare, sulla destra. Comunque chiederemo, appena arrivati in paese - indicò Sbaffo in modo sereno, pianamente, rivolgendosi in primis a Cagnara, che era il guidatore, e poi di rimbalzo agli altri due, per fare tabula rasa dei nervosismi e delle piccole incomprensioni che fino a quel momento avevano inficiato un’aspettativa che invece doveva rimanere pura e inscalfibile, agguantabile a piene mani da quei diciottenni, in modo palese affamati di esistenza, di soldi nelle indoli esuberanti di Sbaffo e Cagnara, mentre Abbiocco e Milorde andavano a rimorchio, rivestiti da una patina di inintelligibilità riguardo a eventuali aspirazioni e sentimenti, ma non per questo, molto probabilmente, meno affamati di vita. 


Estratto dal volume "La Tana di Venere" di Stefano Giometti, Midgard Editrice.




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martedì 8 ottobre 2024

Intervista a Rita Morandi

 





Buongiorno Rita, come nasce questa tua nuova opera, L’angelo accorre allo spettacolo?

Questo nuovo libro nasce da una necessità di rinascita in seguito ad un lutto anzi due: mia madre e il mio compagno. Questi versi sono la testimonianza di un processo interiore. Nella mia pratica poetica scrivere è come l'atto di qualcosa che andrò a capire soltanto in un secondo momento. Non si tratta in realtà neanche di comprendere ma di lavorare sulla forma affinché il messaggio possa raggiungere il lettore senza che debba necessariamente decifrarlo, anzi, che sia libero di interpretarlo attraverso i propri filtri emotivi e intellettivi purché se ne faccia qualcosa! 



Quali sono le tematiche più importanti del libro?

In questo libro, così come nella mia precedente trilogia : Verso l’altrove / Rinascita / La caduta degli Angeli ricorre la tematica della morte e della rinascita. Questo ossimoro accompagna tutto il libro in un clima onirico, surreale, inquieto in cui gli opposti si toccano e si sale verso i cieli in una spinta dove le acque si confondono verso un destino nostalgico che porterà alla fine del libro i due a ricongiungersi e fare Uno. Pensando a come rispondere a questo quesito  mi sono tornate a mente, non a caso le parole di Freud secondo cui: “la meta di tutto ciò che è vivo è la morte e che gli esseri privi di vita sono esistiti prima di quelli viventi”. A mio avviso, la poesia non è una pratica dell’io, forse per questo motivo mi sto appellando a Freud per restituire una qualche chiave di lettura per addentrarsi nel testo. Si tratta forse di tentativi incessanti di nascere ancora   lungo processi che non si compiono mai del tutto se non in quello “spazio intermedio” segnalato da Rilke in “Rilke e la natura dell’oscurità” Flavio Ermini. Spazio, tra vita e morte, dove compare il terzo, un Angelo testimone.



Hai dei poeti e degli scrittori che ti ispirano?

Poeti che mi ispirano no. Ho dei poeti che amo…come R. M. Rilke o Paul Celan…il grande visionario William Blake, Holderlin, Saint John Perse…e tanti altri.
Forse c’è un autore che, in qualche modo, mi ha ispirato…il filosofo francese Gaston Bachelard con le sue poetiche del fuoco, dell’acqua, della terra e del riposo, dell’aria dello spazio etc.
Sono ispiranti e influenzanti su di me comunque anche le letture di filosofia e psicoanalisi.




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mercoledì 2 ottobre 2024

Intervista a Michela Cinque

 




Buongiorno Michela, come nasce questa tua nuova opera, Le bambole di Jenny?

Buongiorno direttore Fabrizio. Le bambole di Jenny, è un progetto che nasce dal desiderio di avvicinare alla lettura un segmento particolare di lettori, quello compreso tra i 10 ed i 15 anni circa. A loro mi sono ispirata per dare vita al personaggio di Alessandra, una ragazzina come tante, che va a scuola, pratica sport, studia musica, ha un rapporto privilegiato e confidenziale con la mamma e si appresta a vivere un momento particolare della vita, la pre-adolescenza, con tutto ciò che essa comporta. La formula utilizzata è quella del romanzo fiabesco che mi permette di inserire, in una trama verosimilmente reale, elementi magici e garantire sempre e comunque un lieto fine anche di fronte a situazioni problematiche e complesse.



Quali sono le tematiche più importanti del libro?

Dai primi capitoli quella narrata può sembrare la storia di Natale di una famiglia felice, amante e rispettosa delle tradizioni, con un’inaspettata sorpresa: una ricca eredità. Il vero lascito testamentario, invece, consiste in una missione molto impegnativa: aiutare cinque bambole di porcellana a prendere vita. Alessandra, la predestinata, per riuscirci si imbatterà in tematiche sociali di grande attualità quali: i disturbi alimentari, il bullismo, la fuga dalla guerra, l’identità di genere e le malattie genetiche. Queste “storie di bambine coraggiose” vissute e raccontate da Charlotte, Akanke, Nuri, Giselle e Donatella accompagneranno e coinvolgeranno il lettore per tutta la seconda parte del libro.



Hai degli scrittori che ti ispirano?

Nessuno in particolare, sebbene negli ultimi tempi leggo molto. Il mio autore di fiabe preferito però è il grande ed impareggiabile Hans Christian Andersen. 




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