venerdì 19 novembre 2021

Lo stridente piacere

di Eleonora Nucciarelli.

 





IL PIACERE NELLA CONCEZIONE FILOSOFICA


“Questa vita terrena , del resto, vi sembra da chiamar vita, se le si toglie il piacere?”

Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia (1)


Una ricerca ineludibile

Il più antico documento mitico del mondo greco risale a Esiodo il quale lega la genesi dell'Universo, la cosmogonia, all'origine degli Dèi: la teogonia. Secondo il racconto del poeta, dal caos avrebbero avuto origine terra e cielo e, successivamente, sarebbero nati tutti gli Dèi allo scopo di garantire l'armonia del mondo. Per lungo tempo i miti di Esiodo furono trasmessi oralmente dagli Aedi e dai Rapsodi, allo stesso modo i racconti concernenti Ulisse e la guerra di Troia confluirono nei poemi omerici (2), messi per iscritto intorno al VI secolo a.C. 

Nell’ambito delle prime scuole filosofiche, quella pitagorica si distingue per la condotta ascetica, ovvero per la rinuncia ai piaceri. Secondo i pitagorici la musica era in grado di esprimere in modo perfetto l'ordine matematico e l'armonia dell'universo; liberarsi da ogni condizionamento materiale condurrebbe dunque alla conciliazione di ogni contrasto e alla conquista dell’armonia. 

Nonostante Pitagora non abbia lasciato testimonianze scritte è possibile attribuirgli la dottrina della metempsicosi secondo la quale dopo la morte l'anima trasmigrerebbe da un corpo all'altro, reincarnandosi. Pitagora era venerato dai suoi allievi al punto che le sue affermazioni vennero ritenute verità assolute, come testimonia la formula ipse dixit (3), con cui veniva citato. 

Con Democrito e l’atomismo (4) giungiamo all’elaborazione di un’etica che prevede una riflessione sui piaceri dell'anima, dunque sull’interiorità della persona: “La felicità non consiste negli armenti e neppure nell’oro; l’anima è la dimora della nostra sorte” (5). 

Con i sofisti la riflessione filosofica si stacca dall' ambito cosmologico e si dipana nell’indagine del mondo umano. Secondo Protagora il bene non è assoluto ma variabile e si traduce in un'ottica utilitaristica in cui il vivere bene ad ampio raggio presuppone la cura della totalità della personalità in relazione agli altri e al mondo. 

Con Socrate e il sapere di non sapere, la ricerca si sposta nell’esortazione “Conosci te stesso” posta sul frontone del tempio di Delfi. La filosofia di Socrate nasce dalla riflessione sulla condizione umana che ha come fine la felicità, ma si traduce nel paradosso secondo il quale chi si fa trascinare dagli istinti e dall’intemperanza non può di certo essere felice.  

Per esplicitare il pensiero di Platone mi servirò della celebre allegoria della caverna, che rappresenta uno dei miti più celebri della Repubblica (6). Nella narrazione, Socrate invita Glaucone a immaginare dei prigionieri incatenati in una caverna che scambiano delle ombre evanescenti per la sola realtà esistente; nella seconda parte Platone immagina che uno dei prigionieri venga liberato e possa volgere lo sguardo verso la luce trovandovi adattamento e nuove risposte ma, nel tornare nella caverna a liberare i suoi compagni, troverebbe difficoltà e diffidenza. Il mito della caverna può essere paragonato alla vita di Socrate, il quale venne ucciso quando tentò di indirizzare i suoi seguaci, incatenati nel mondo dell’opinione, sul suo stesso sentiero.

Nel Fedro e nel Simposio (7) Platone definisce l'amore, eros, come fonte continua di ricerca e appagamento che si esprime nel desiderio di bellezza. In particolare, nel mito della biga alata, l’auriga (la ragione) guida due cavalli: uno nobile (l’anima irascibile), l’altro di razza inferiore (l’anima concupiscibile), utilizzati per descrivere l’essere umano come insieme di forze in contrasto tra loro. Nonostante la dottrina di Platone trasfiguri l’amore per la bellezza fisica in ricerca della bellezza delle idee, l’aspetto dell’amore fisico compare nel discorso di Aristofane presente nel Simposio (8).

Il dibattito sull’autentica natura dell’uomo è dunque antico e complesso come lo è quello che lega felicità, virtù e piacere. 

Le filosofie ellenistiche si rifanno principalmente alla concezione eudaimonistica (9) di Socrate in cui la felicità coincide con il bene, dunque la vita felice con la vita virtuosa. La differenza sostanziale è insita nel modo in cui si declina tale legame in quanto differisce a seconda della scuola di pensiero. In particolare: i cinici (10) fanno coincidere la virtù con la negazione di ogni piacere, i cirenaici (11) elogiano i piaceri particolari come strumenti per tendere alla felicità in una concezione edonistica, gli stoici (12) ritengono la ragione principio guida dell’azione e della liberazione dalle passioni, mentre gli epicurei (13) esaltano il piacere in quiete. 

Il pensiero greco, fino ad Aristotele, tendeva ad accostare il concetto di felicità a quello di piacere, il filosofo di Stagira ribalta tale visione affermando che per raggiungere la felicità occorre comprendere innanzitutto cosa sia, per farla poi coincidere con la piena realizzazione di se stessi.

Aristotele respinge le gerarchie ontologiche e gnoseologiche di Platone: nel suo filosofare tutte le realtà hanno dignità e tutti i saperi hanno pari rilevanza. Per Aristotele, perciò esiste una scienza che studia i caratteri generali dell’essere, tale scienza prende il nome di metafisica. 

All’origine dell’atteggiamento filosofico, non è un mistero, vi è la meraviglia. Aristotele, nel secondo libro della Metafisica (14), intende la meraviglia come lo sguardo di chi si sofferma sulle cose, provando stupore. Nella sua filosofia il bene sommo è rappresentato dalla felicità la cui indagine è allacciata alla virtù (15). Alla vita secondo virtù è congiunto il piacere che accompagna e perfeziona qualsivoglia attività umana, alimentandola e motivandola. 

Sull’etica di Epicuro sappiamo che il fine della vita è rappresentato dalla felicità che coincide con il piacere, inteso come equilibrio interiore e soddisfacimento dei bisogni primari. Epicuro distingue due tipologie di piaceri: quello stabile, che si manifesta come atarassia e aponia e quello dinamico, che non porta alla felicità e si manifesta come gioia o euforia. Ne consegue che la vera saggezza consiste nel calcolo razionale dei piaceri e dei bisogni. Felicità, piacere e bene nella filosofia epicurea si configurano dunque come sinonimi.

Con la radicalità dell’orientamento scettico tutte le dottrine filosofiche vengono messe nel banco degli imputati. Gli scettici, infatti, scorgevano nell’abbandono di tutti i dogmi filosofici la cosiddetta “liberazione dai timori della mente”.

Ci troviamo sempre in Grecia dove Pirrone di Elide propone una visione della realtà libera da giudizi che garantisce l'assenza di turbamento. La sospensione del giudizio in Pirrone prevede impassibilità dinanzi alle situazioni della vita e il giusto distacco che consiste nell’imperturbabile serenità della mente.

Plotino, personalità di maggior spicco del neoplatonismo, riprendendo la riflessione sull'essere elabora una metafisica che contempla l'esistenza dell'Uno, radice della realtà e principio di tutto, cui la persona deve tendere a congiungersi. Il ritorno dell'anima all’Uno si compie attraverso arte, amore e filosofia che consente di cogliere l'Uno con l’intelletto fino all'estasi: l'unione mistica con Dio.


Estratto dal saggio "Lo stridente piacere" di Eleonora Nucciarelli, Midgard Editrice 2021


http://midgard.it/lostridente_piacere.htm

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