giovedì 2 aprile 2020

Il mistero di Artesia

di Lorenzo Paoli e Serena Biagini






Il vetro leggermente appannato rifletteva l’immagine di Lucia, una ragazzina di quattordici anni, il viso rotondeggiante attraversato da un’impressione di stupore, non si stancava mai di guardare e rimirare il paesaggio che vedeva dalla finestra della sua camera, al 150° piano di un modernissimo palazzo, le cui finestre restavano sempre ermeticamente sigillate.
La meraviglia sul volto riguardava la straordinaria tecnologia di cui era impregnata la sua città, palazzi altissimi, strade sopraelevate che si intersecavano tra loro in un groviglio armonico, dando a Lucia, da sempre, una sensazione di stabilità e d’inquietudine allo stesso tempo.
Veicoli volanti fluttuavano come grandi sciami, in un cielo terso, senza nuvole. In lontananza, all’orizzonte di questa grande metropoli, s’intravedevano le sagome delle montagne.
Un tempo sua nonna le raccontava di antiche storie dove si diceva che il verde dei boschi e delle colline degradava sino alla pianura e nella città vi erano delle oasi naturali, dove le persone andavano a passeggiare.
Verde, foreste, erba, parole difficili da comprendere per Lucia, che era sempre vissuta in questa incredibile città tecnologica, dove tutto era composto da acciaio, leghe speciali, cemento e schermi digitali che promuovevano continuamente i più innovativi prodotti presenti sul mercato.
Nessuno aveva più desiderio di andare in quei luoghi, in montagna, perché la città offriva già tutti i confort desiderabili.
Lucia però, si era ripromessa un giorno di visitarli, quei boschi, insieme ai suoi amici.
Lo sguardo della ragazza, che scorreva lungo il panorama, si soffermava spesso sui cumoli delle antiche rovine che contrastavano con la perfezione e l’ordine del paesaggio circostante.
La maggior parte di questi edifici demoliti erano stati una volta Musei d’Arte, teatri, antiche biblioteche.
Lucia soffriva tutte le volte che li guardava, perché avrebbe desiderato vivere al tempo in cui essi erano ancora uno splendore.
Nell’anno Galattico 3050, l’Arte stava scomparendo definitivamente dal pianeta Terra e Lucia non voleva rassegnarsi a questo evento.
Era una ragazzina prossima ai quindici anni alla quale piaceva molto fantasticare ad occhi aperti, a volte perdeva la dimensione del tempo che passava, come adesso.
Mentre era persa nei suoi pensieri, accovacciata sul letto vicino alla finestra, fu scossa dalla squillante voce di sua madre: “Lucia, alzati, sono le sette e mezzo!”
Lucia rispose: “Accidenti, farò di nuovo tardi a scuola!”
La ragazza balzò giù dal letto trafelata e corse in bagno a lavarsi i denti: “Due secondi e arrivo!” disse a sua madre, che era in cucina a preparare delle omelette.
Lucia cercava di recuperare il tempo perduto, uno spazzolino volante si era posizionato davanti a lei per pulirle i denti, mentre una modernissima spazzola, fluttuava nell’aria, pettinandole, velocemente i lunghi capelli castani che lambivano le spalle, contemporaneamente il piumino robotico della cipria aveva inondato di polvere il suo naso, sollevando una nuvola rosa tutto attorno.
La ragazza starnutì più volte, mentre inciampava in tutti gli oggetti robotici che le giravano attorno come il mini Hair Dryder, un moderno asciugacapelli di forma circolare che si era sollevato da terra pronto per la sua mansione.
Lucia, fissandolo imbronciata, esclamò: “Non ho proprio tempo di lavarmi i capelli adesso, sono molto molto in ritardo!”
Al suono della sua voce il minirobot tornò ubbidiente alla sua postazione.
“Uffa.. ma perché devo sempre fare queste corse? Non riesco proprio ad essere puntuale la mattina! Accidenti!” proseguì, mentre dava gli ultimi comandi vocali ad alcuni dei suoi oggetti da toilette, che come un esercito di soldatini si ricollocarono sugli scaffali del bagno.
Si diresse poi precipitosamente verso l’armadio di camera, per scegliere la tuta scolastica da indossare, mentre la spazzola robotica dal bagno la inseguiva per terminare il suo lavoro.
Davanti allo specchio, in mutandine e reggiseno, scrutava timidamente i cambiamenti del proprio corpo e si compiaceva delle prime curve che si accennavano sui fianchi; da qualche tempo si era accorta che i ragazzi la guardavano in modo diverso e questo la turbava.
L’occhio le cadde sullo schermo digitale inserito nella parete dove, tra le varie news, era pubblicizzata l’immagine della coppia dell’anno, secondo il famoso computer centrale che, ormai, da lungo tempo, elaborava dati per formare le varie coppie del pianeta.
“Chissà dove sarà la mia anima gemella? Forse anch’io dovrei passare dal mega cervellone per qualche dritta!” si chiese, sorridendo e arrossendo involontariamente..
L’uniforme spaziale scolastica era molto simile a quelle impiegate negli uffici di lavoro, una tuta intera aderente, con pantaloni e maniche lunghe, a collo alto, bianca, con delle grosse bande laterali nere o blu.
Se esposta al sole questa brillava, come se fosse tessuta con dei materiali anch’essi metallici; in vita, un’ampia cintura scura, mentre ai piedi portava degli stivali neri, lunghi fino alle ginocchia.
Ad ogni modo quelle moderne divise rendevano piuttosto asettici ed uniformi gli esseri umani, tanto da sembrare tante piccole formiche identiche fra loro; la logica delle praticità dominava sovrana e soltanto in occasioni speciali, quali, feste, celebrazioni, private e pubbliche, era usanza indossare, tute di forma e colore diverso.
“Buongiorno mamma, buongiorno papa!” disse Lucia entrando in cucina e baciando suo padre frettolosamente sulla fronte, mentre stava bevendo il caffè, e la madre sulla guancia, mentre programmava Charly.
Debby Hoffman, la madre di Lucia, era una donna di media statura, dal volto sereno e dai lunghi capelli ondulati castani, dal carattere dolce, comprensivo, paziente, ma anche tenace, proprio per queste sue qualità era stata scelta come segretaria di Roger.
Taylor, presidente dell’Istituto Rosental, il Centro di Raccolta Dati di tutta la City.
Era risaputo che Taylor aveva un pessimo carattere e licenziava continuamente tutte le assistenti che lo affiancavano, la signora Hoffman si compiaceva quindi di detenere il primato come segretaria più longeva, infatti erano già tre anni che lavorava al suo fianco.
Il lavoro che svolgeva le piaceva, ma doveva stare sempre molto attenta a come si rapportava con il capo per non compromettere la sua posizione, come quando veniva rimproverata senza ragione, e durante gli scatti improvvisi di lui; in quei momenti si sentiva incompresa e alzava spesso gli occhi al cielo, pensando al viaggio premio che la sua azienda riconosceva come bonus alla fine di ogni anno agli impiegati più meritevoli.
Debby stava introducendo, su uno schermo digitale olografico sospeso nel vuoto della stanza, le informazioni per la cucina ovvero il programma che gestiva tutti gli elettrodomestici e le loro mansioni.
“Stasera Charly vorrei un paio di uova ben cotte, siamo d’accordo? E niente scherzi, ti tengo d’occhio, intesi?” disse, rivolgendosi al computer di casa.
Questo rispose con voce robotica: “Sì, d’accordo Signora Hoffman, come desidera...”


Estratto dal romanzo "Il mistero di Artesia. Il Risveglio dei Cavalieri dell'Arte", Midgard Editrice 2020



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