martedì 22 ottobre 2019

Aiko dagli occhi di Perla

di Rachele Tarpani





In un’isola sperduta nel Grande Oceano Celeste sorgeva il piccolo paesino di Jinsè, un nascosto e lussureggiante angolo di paradiso verde e bruno immerso nell’azzurro sconfinato. I suoi abitanti erano persone pacifiche e umili, dediti all’agricoltura e al culto del Sommo Drago di Perla. Egli, secondo i saggi del posto, era primo tra tutte le creature, il protettore della loro terra, l’imperatore incontrastato di dell’Oceano.
Ogni giorno veniva bruciato incenso in suo onore, canti e litanie sulla sua bontà si diffondevano per tutta la vallata, e danze di gioia e parate venivano organizzate a ogni luna piena, accompagnate da offerte di oro e pietre preziose estratti dalle miniere circostanti.
In cambio di quei doni, il Sommo Drago assicurava a Jinsè prosperità e materie prime per sopravvivere, che giungevano in abbondanza direttamente dal mare alle sue coste. Il pesce non era mai mancato, i campi erano sempre stati fertili e il cibo aveva abbondato nelle tavole di tutti.
Almeno fino ad ora.
Negli ultimi dieci anni, infatti, la presenza della divinità si era mitigata fin quasi a scomparire, il raccolto era diventato meno prospero e le risorse riuscivano appena a ricoprire il fabbisogno del villaggio.
Nessuno degli abitanti riusciva a spiegare quell’improvviso allontanamento; ma, nonostante tutto, nessuno se ne lamentava.
La vita continuava serena, non vi erano nemici né pericoli esterni. E tutto grazie al Sommo Drago che garantiva la pace di quelle terre.
La preghiera che più di tutte si sentiva riecheggiare a Jinsè in suo onore era:

“Oh Drago, oh Drago dal dorso di perla.
A te ci raccomandiamo noi tutti, tuoi figli adoranti, affinché il mare e la terra siano sempre nostri amici benevoli”.

In quel momento, quelle stesse parole venivano mormorate dalla principessa di Jinsè, Aiko Ho, rintanata come un topolino nel tempio di giada, luogo di culto principale a pochi passi dal palazzo reale. Si trovava ormai da ore prostrata davanti alla statua di creta della divinità protettrice, con gli occhi chiusi e la fronte corrugata dalla preoccupazione.
Tra meno di dodici ore, avrebbe compiuto sedici anni e suo padre, il re Zhong Ho, avrebbe iniziato a scandagliare ogni angolo dell’isola alla ricerca di un marito degno del loro regale lignaggio. E lei non gradiva una simile prospettiva.
Affatto.
Lei voleva essere libera, indipendente.
Dalla morte dell’adorata madre, era cresciuta con la voce della nonna che le narrava storie di prodi combattenti alle prese con mostri mitologici, nemici mortali e gesta eroiche da portare a termine. All’inizio, la principessa si era sentita infervorata da tutti quei racconti; poi, crescendo un po’, aveva iniziato a notare che c’era un particolare tanto costante quanto fastidioso che ricorreva in tutte quelle vicende: a finire in pericolo, puntualmente e per qualsiasi cosa, anche la più futile, era sempre la fanciulla di turno. O era vittima di qualche maleficio o sortilegio, oppure si ritrovava prigioniera di qualche sciocca imboscata.
E, altrettanto puntualmente, toccava all’eroe salvarla prima che fosse troppo tardi.
«Perché la ragazza si è comportata come una sciocca?» si lamentava ogni volta Aiko, troppo grande per passarci sopra, ma ancora troppo piccola per comprendere la complessità del mondo. «Perché non combatte per la sua libertà e non trionfa lei stessa, invece di raccomandarsi ad altri?»
E la nonna ogni volta rispondeva a quella sua lamentela con la stessa bonaria risata. «Perché nessuna di loro è te, mia preziosa perla.»
E le sfiorava il viso con la mano. «Perché nessuna è coraggiosa e battagliera come Aiko Ho, la guerriera. Tu sei padrona del tuo destino.»
La ragazza era cresciuta con l’animo prorompente di una combattente: nella sua storia era lei l’eroina, quella che si salvava da sola; mica un uomo qualsiasi venuto da chissà dove a reclamarla. Tuttavia, arrivata ormai alla soglia dei sedici anni, si era resa ben presto conto che la realtà dei fatti era molto più dura della sua immaginazione e che, alla fine dei conti, lei non era affatto una guerriera.
Era semplicemente la futura sovrana dell’isola sperduta di Jinsè, un paesino remoto disperso in chissà quale angolo di mondo, dove non succedeva mai nulla. Tutto ruotava sulle solite tradizioni ormai ossidate dal tempo: il figlio o la figlia del reale compiva sedici anni, i pretendenti si facevano avanti e uno di loro dimostrava il proprio valore, prevaricando su tutti gli altri.
I due si sposavano e generavano un erede, e la storia si ripeteva. Costantemente, ogni volta.
Sempre. Solo. Così.
«Come vorrei che qualcosa impedisse a questo destino di compiersi, almeno con me. Come vorrei non essere più una principessa destinata a un’esistenza di noia e immobilità.»
Furono quelle le ultime parole che proferì, prima di gettare una moneta nella fonte sacra e prima ancora di essere scoperta da Yun Shu, suo coetaneo e servo fidato, che la trascinò letteralmente per un orecchio a palazzo.
Se avesse prestato più attenzione agli insegnamenti dei Saggi del tempio, avrebbe ricordato che ogni desiderio, anche il più insignificante, era in grado di scatenare delle conseguenze impreviste inimmaginabili.
Il colpo di coda di un pesce si trasformava in un maremoto che si abbatteva dall’altra parte dell’oceano.
E la sua corda aveva appena sferzato contro i fluttui del mare, creando un turbinio di onde destinato a infrangere ogni cosa.

Estratto dal racconto "Aiko dagli occhi di Perla" di Rachele Tarpani, nell'antologia fantasy "Hyperborea 3" (Midgard Editrice 2019).



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