martedì 20 agosto 2019

Lisola che non c'era

di Virio Cau





Mancavo da quasi vent'anni dal mio Paese, e la telefonata del mio amico Rinaldo, che a dire il vero mi era risultata alquanto strana, mi aveva indotto alla decisione di prendermi un anno di aspettativa sia dall'Università nella quale insegnavo, sia dall'Istituto di Ricerche scientifiche controllato dal Governo all'interno del quale dirigevo un importante quanto segreto programma di esperimenti su materiali e propulsori.
Rinaldo era perfettamente al corrente del lavoro che svolgevo, dato che eravamo stati compagni di studi a Pisa per i primi anni di ingegneria. Io avevo lasciato quasi subito l'Italia per proseguire la mia formazione negli Stati Uniti, mentre lui si era accontentato di una semplice laurea in ingegneria meccanica, che peraltro non utilizzava neppure, se non per esercitare un minimo di competenza nei riguardi delle numerose fabbriche metalmeccaniche di cui la sua famiglia era proprietaria.
Eravamo però rimasti in contatto, e quindi conosceva perfettamente come si era svolta la mia carriera, quali erano le mie competenze, e come gli sarei potuto essere utile nel caso avesse avuto bisogno. C'è da dire che Rinaldo viveva di rendita. La sua famiglia, ricchissima, oltre alle fabbriche a cui ho già accennato, possedeva anche numerosi immobili e forse, ma non sono sicuro, anche qualche albergo nei luoghi di vacanza più esclusivi. Ma Rinaldo non era il tipico rampollo miliardario che si godeva la vita in giro per il mondo frequentando il jet-set internazionale.
Era un amante della pace e della natura, e si era riservato di svolgere i pochi impegni che gli derivavano dall'amministrazione delle sue fortune, vivendo in una gigantesca tenuta che aveva acquistato in Sardegna, centinaia di ettari di bosco, sughereti ed olivi che circondavano una bella villa, neanche troppo lussuosa, ma completa di tutte le comodità necessarie per continuare ad essere comunque collegato al resto del mondo.
Ma come mai la telefonata del mio amico mi aveva fatto prendere la decisione di interrompere le mie attività per tornare dopo tanti anni alla mia terra natale? Non è facile da spiegare. Noi due ci sentivamo spesso, e tante volte Rinaldo era venuto a trovarmi in America, e tra noi due posso dire che si era creata un'intesa profonda che ci permetteva di captare reciprocamente i pensieri e le sensazioni. Infatti non furono le parole o l'argomento della telefonata a farmi prendere quella decisione. Fu quello che sentivo fra le righe, qualcosa di sottinteso che avevo intuito non volesse dirmi per telefono. Altre volte mi aveva chiesto di tornare, almeno in vacanza, ma questa volta non si trattava di un vero e proprio invito: sentivo che c'era sotto qualcosa, e fu quel “qualcosa” che mi indusse a prendere la decisione.
«Caro amico – dissi a conclusione di quella telefonata – dammi il tempo di risolvere alcuni problemi burocratici, e sarò lieto di venire a trovarti!».
A dire il vero non erano tantissime le cose che avrei dovuto sbrigare. La mia esistenza si svolgeva in maniera quasi monotona, alternandosi tra l’Istituto presso il quale svolgevo le mie ricerche ed i miei studenti.
La prima cosa che feci fu proprio di interrompere le lezioni, e adducendo la scusa che ero costretto a questa scelta da non meglio identificati motivi personali, chiesi che mi venisse concesso un anno sabatico e la cosa finì lì.
Poi dovetti affrontare il mio capo per poter interrompere il mio lavoro all’Istituto.
Non avrei mai creduto che sarebbe stato così facile, perché il capo mi concesse quasi subito, senza alcuna obiezione, il permesso di raggiungere la mia famiglia, in Italia, da dove ormai mancavo da tantissimi anni.
Incontrai i miei collaboratori più stretti e li istruii su alcune faccende di cui già ci stavamo occupando, ma sapevo bene che non ce ne sarebbe stato bisogno, dato che mi fidavo ciecamente della loro competenza e professionalità. Ma mi serviva per poterli salutare ed abbracciare prima del distacco.
Non avevo nessun’altra faccenda da sbrigare, e come ebbi i biglietti partii, accompagnato da una leggera sensazione di angoscia.

Estratto dal romanzo "L'isola che non c'era" di Virio Cau, Midgard Editrice 2019


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