di Giulio Volpi
Anche
quell’estate era stata particolarmente calda e il fiume aveva rappresentato
come ogni anno il ritrovo ideale per gran parte della gioventù di Contea.
La zona dominata dal
grande scoglio, ribattezzata Sasso Beach,
con la cascatella ed il laghetto sottostante, era da sempre la meta preferita
dai ragazzi che rimanevano in città. Il tratto più a valle, invece, dove
l’acqua scorreva lenta ed il letto si allargava a formare una larga ansa, era
frequentato prevalentemente dai pescatori che si appostavano con le canne lungo
le sponde. Alcuni entravano anche in acqua con gli stivali alti, mentre altri
si spingevano nel mezzo del fiume con la barca.
Di là, sull’altra
sponda, dominava il verde intenso delle piantagioni di mais che ricoprivano
gran parte della pianura arrivando quasi fin sotto la montagna, dove iniziava
il bosco. Le turbine succhiavano di continuo dal fiume per irrigare i campi, ma
l’acqua non era mancata quasi mai in quella valle, e anche quell’anno le
abbondanti piogge invernali e la neve caduta sui monti avevano contribuito ad
alimentarlo.
I quattro amici
continuavano a ritrovarsi intorno al grande scoglio. Enzo e Maurizio erano
ancora liberi dagli impegni universitari e Toni lasciava la tipografia quasi
tutti i pomeriggi a suo fratello Paolo che restava a controllare la stampa e
chiudeva poi il laboratorio. Più tardi li raggiungeva anche Nino, nonostante il
lavoro all’officina lo impegnasse molto.
Si tuffavano come
consuetudine dal punto più alto, nuotavano a lungo, poi si sedevano sull’argine
a commentare gli eventi di quell’eccezionale estate, tenendosi però a distanza
dagli ultimi frequentatori del luogo.
Nessuno infatti
doveva sospettare quanto era successo poco tempo prima a pochi chilometri di
distanza.
I quattro si
incontravano poi quasi tutte le sere al barrino
della stazione e anche qui, dopo una partita a biliardino e qualche battuta di
sport con Marcello, il barista, si sedevano davanti a una bottiglia di birra e
riprendevano gli stessi argomenti: primo fra tutti il ritorno di Athyna sulla
Terra.
Era tornata da
Hoxbrado, quel lontano pianeta della nostra stessa galassia, per conoscere
meglio la Terra e studiare il comportamento dei suoi abitanti. Come l’anno
precedente la navicella di forma ovale si era posata al margine di quella
radura in cima a bosco, appena sotto la montagna ed era entrata di nuovo in
contatto con Enzo attraverso il computer. Nascosta tra due grossi massi ed un folto
gruppo di pini era praticamente invisibile, grazie anche ad una sofisticata
tecnologia.
Stavolta però Athyna
non era venuta da sola. Con lei c’era Lidhlo, un vecchio compagno di studi nei
confronti del quale, ricambiata, aveva riscoperto un sentimento particolare. Ad
Hoxbrado, dove la vita era caratterizzata da un’attività frenetica volta a
risolvere i problemi esistenziali del pianeta, coltivare rapporti affettivi era
diventato quasi impossibile, tanto che questi erano stati quasi del tutto e da
tempo abbandonati e dimenticati.
Nel precedente
viaggio sulla Terra, grazie al contatto con Enzo, Athyna aveva avvertito questa
mancanza e, una volta rientrata, aveva sentito il desiderio di riallacciare i
rapporti con questo compagno di gioventù, scoprendo così il piacere di stare
insieme a lui. Ritrovandosi poi colleghi di lavoro i due avevano avuto
l’opportunità di svolgere insieme questa seconda missione.
L’emozione per il suo
ritorno, oltre ai quattro amici e Paolo, fratello di Toni, aveva coinvolto
anche Don Lino e Beppe, lo scultore: tutti avevano potuto conoscerla in un
collegamento via computer organizzato appositamente da lei e da Enzo.
Si era poi verificata
una circostanza in cui l’intervento di Athyna era stato determinante per fare
uscire Toni dallo stato di coma in cui era venuto a trovarsi, a causa di un
incidente nel quale era rimasto coinvolto per soccorrere Enzo, aggredito da due
motociclisti.
I ragazzi parlavano a
lungo anche di questo cercando di comprendere i motivi di quell’aggressione e
quale collegamento poteva esserci con l’altra, avvenuta l’anno prima nei
confronti di Toni.
In quell’occasione,
con l’aiuto dello zio di Maurizio, ispettore di polizia, e la collaborazione di
Beppe, i responsabili erano stati individuati ed arrestati in una villa nelle
vicinanze di Contea.
Naturalmente i
ragazzi avevano dei sospetti. Lo stesso ispettore Sansoni metteva in relazione
questi fatti con l’attività di protesta dei ragazzi nei confronti dell’azione
inquinante della troppo vicina zona industriale, con particolare riferimento al
cementificio e alla discarica di là dal fiume. La manifestazione che avevano
promosso l’anno precedente e che aveva visto una larghissima partecipazione
degli abitanti della zona, aveva sicuramente disturbato grossi interessi
economici probabilmente poco puliti.
Anche la morte di
Fabio, quel ragazzo affogato al fiume, aveva suscitato l’interesse dei ragazzi
i quali avevano segnalato i loro sospetti al solito poliziotto, stimolando la
riapertura del caso. In seguito le indagini aveva portato alla scoperta che non
si era trattato di morte accidentale, ma di omicidio.
Erano pertanto molto
preoccupati: non avrebbero mai immaginato che la loro città, all’apparenza così
tranquilla, nascondesse queste brutte realtà.
Superata la metà di
agosto, i primi sporadici temporali pomeridiani annunciavano la fine ormai
vicina della stagione estiva ed i quattro amici cominciavano già a pensare alla
ripresa dei loro impegni di lavoro o di studio.
Quest’anno però, dopo
la festa del Patrono che ricorreva a fine mese, ci sarebbe stata ancora
un’occasione per far festa: le nozze dell’amico Beppe, lo scultore, che dopo un
lungo periodo di solitudine aveva ritrovato l’amore.
Estratto dal romanzo "Antares" di Giulio Volpi, Midgard Editrice 2018
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