Novembre 2016
Il passato [1]: Visita
al reparto di psichiatria
«Mi spiace ma provo solo affetto per
te».
«Dopo tutto questo tempo,dopo cinque
anni, solo affetto?»
Intanto la stanza si fa buia, la testa inizia a girare forte,
il cuore sembra accelerare al massimo dei battiti per poi esplodere.
«Non può essere in questo modo, è solo
questione di una giornata no, non mi dire così amore, ci sto già male, non
vedi?»
«Marco io non ti amo più e non ho
altro modo per dirtelo, vorrei amarti ma non ci riesco. Mi sento come bloccata
da qualcosa, anzi non sento proprio niente e non so cosa fare. Marco mi hai
sentito? Marco?»
Intanto io già mi ero accasciato al suolo, semisvenuto per la
scioccante ed inaspettata notizia.
Nel giro di poche ore mi ritrovo nel reparto di psichiatria:
certo, non si va in psichiatria per essere stati mollati dalla ragazza,
nonostante i cinque anni di fidanzamento, eppure ero lì.
Infatti dopo aver ricevuto quella notizia pesante come un
treno e dopo essere collassato a terra, Sara, decise finalmente di chiamare mia
madre e anche l’ambulanza.
I ricordi di come arrivai in ospedale sono sfumati,
scoloriti.
L’unica cosa che sentivo e vedevo era il volto di Sara che
pronunciava quelle fatidiche parole che mi rimbombavano nella testa sempre più
forte, quasi come un mantra: «Non provo più nulla per te, mi
dispiace».
Una volta arrivati al pronto soccorso mi ero un po’ ripreso
anche se pallido in volto e con le lacrime agli occhi.
Insieme a me c’era mia madre che aspettava con ansia che i
medici mi facessero delle visite di controllo.
Fuori dalla porta del pronto soccorso vedevo far capolino
anche la testa calva di mio padre che, immediatamente avvisato del mio malore
era uscito fuori dal lavoro.
Dopo una estenuante ora di attesa e dopo molte proteste da
parte mia sul fatto di volermene andare da quel luogo di dolore, arrivarono i
medici per farmi tutti gli accertamenti necessari: «Stai tranquillo, è stata solo ansia e un forte attacco di
panico», così mi disse il dottore.
Dopo qualche altro accertamento venni dimesso dall’ospedale
ma in me cresceva di secondo in secondo una furia cieca, paragonabile all’ ira
di Achille per la morte di Patroclo.
Una volta saliti in macchina iniziai quasi involontariamente
a dibattermi sul sedile posteriore, non riuscivo a stare fermo: la rabbia era
troppo forte e troppo suadente in quel momento di dolore e allora la lasciai
uscire in tutta la sua forza.
Feci fermare la macchina di papà in mezzo alla strada e come
un pazzo mi lanciai fuori dall’auto in cerca di aria pura e di un qualcosa da
demolire sotto le mie mani che non la smettevano di tremare: mi sentivo come un
animale feroce senza catene.
Imboccata una via qualunque iniziai a correre fino a
ritrovarmi in un parcheggio condominiale dove erano parcheggiate tre macchine e
dove si trovavano due bidoni della spazzatura.
Non riuscivo a controllarmi e pur sapendo in una parte remota
della mente di sbagliare, che non era quello il modo di reagire, iniziai a dare
calci e pugni ai secchi della spazzatura che ovviamente immobili subivano la
mia furia irrefrenabile.
Mio padre, che era anche lui sceso dalla macchina e mi aveva
inseguito fino al parcheggio rimase a debita distanza, spaventato dalla mia
rabbia che mi possedeva il corpo e la ragione.
Ad un certo punto, non pago di acciaccare quei maledetti
bidoni iniziai a scalciare e a scavalcare una rete metallica che separava due
appartamenti confinanti.
In quel momento mio padre intervenne e tentò con tutte le sue
forze di calmarmi e riportarmi alla ragione che in quel momento era volata
sulla Luna.
Cercò di bloccarmi le mani ma io lo allontanavo coi piedi
fino a che non caddi a terra per un
altro malore.
Papà sempre più spaventato chiamò nuovamente l’ambulanza ma
questa volta c’era una sorpresa: visto che ero uscito nemmeno due ore prima
dall’ospedale e che in quel momento stavo per rifinirci dentro avrei dovuto
seguirli per forza altrimenti sarebbe scattato il trattamento sanitario
obbligatorio.
Dopo varie storture da parte mia decisi di seguirli con la
speranza che tutto finisse là e che avrei dovuto solo fare altri controlli in
ospedale; ma ovviamente non fu così.
Una volta tornato dentro i medici vollero internarmi nel
reparto di psichiatria senza dire nemmeno quando ne sarei uscito e che ormai
non potevo farci nulla né io né i mie genitori: è in questo modo che io iniziai
la mia gita in quel di psichiatria, un luogo che non ha parole per essere definito
in maniera esaustiva e dunque non sarò io a fornirle.
Di quella prima sera passata all’ospedale mi ricordo solo che
ripensai così forte a Sara che la sognai di notte: lei era venuta a trovarmi
nel reparto ma non aveva né un sorriso benevolo né alcun rimorso.
Mi svegliai
a notte fonda con un grido.
Sei di nuovo qui, ma senza un rimorso
non sono mica un pronto soccorso.
Avanti bevi che ti farà bene
Siedi lì.
Trastullandoci il tempo è passato,
nel lentischio dei sì e dei no,
tanto è vero che l’amore è ferito
trastullandosi si allontanò.
Estratto dal volume "Le rivolte di Amore" di Marco Canonico, Midgard Editrice 2019
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