venerdì 26 aprile 2019

Quiver

di Stefano Pagnotta




Un nuovo giorno stava sorgendo ad Undoniél; alle prime luci dell’alba Ethir era già pronta per la giornata che l’attendeva. 
Fece colazione, sbocconcellando del pane tostato e sorseggiando un infuso elfico dal colore bluastro, il trinel, ricavato dalle foglie essiccate di un fiore che gli umani conoscono come “acquabruma” proprio a causa del suo colore. Finito di consumare il suo pasto, Ethir si allacciò il corpetto della sua armatura in pelle, riempì la faretra e, avvoltasi nella cappa cerimoniale color cremisi, si recò verso la piazza grande del villaggio.
Undoniél era una tra le più grandi città elfiche che, nell’era d’oro dell’impero, aveva svolto un importantissimo ruolo di snodo commerciale e di conseguenza anche culturale, nonostante fosse avvolto dalla foresta, come la stragrande maggioranza del resto delle città.
Con la caduta dell’impero, Undoniél aveva comunque conservato una vasta estensione e, come tutti i più grandi centri abitati elfici, era finita per diventare una città stato indipendente, che riusciva nel proprio sostentamento nonostante il commercio con gli umani fosse ormai raro.
Ad Ethir piaceva ascoltare le storie riguardanti il mondo esterno e, ogni volta che uno straniero giungeva alla locanda di suo padre, non faceva altro che fare un mucchio di domande su quali fossero le usanze e le culture al di fuori del mondo elfico.
Ma, oramai che la guerra era dilagata, non giungeva più nessun visitatore e le uniche occupazioni della giovane elfa erano quelle di raccogliere erbe per aiutare la madre alchimista e dedicarsi al tiro con l’arco.
Fu proprio per questa sua abilità di arciere, che Ethir uscì di casa quella mattina. Quello infatti era un giorno speciale, poiché sarebbe stata nominata capo degli Haruneth, il miglior esercito di sentinelle mai conosciuto in tutta la storia elfica, il cui compito era quello di salvaguardare l’indipendenza ed i confini della città.
Era una fresca mattinata di inizio primavera, la brina aveva già lasciato il posto alla rugiada e, nonostante l’ora fosse ancora abbastanza presta, la vita a Undoniél era già iniziata da un pezzo e parecchi elfi si affannavano tra le strade pavimentate in pietre bianche che conferivano un aspetto quasi etereo alla città, rendendola elegante ma ineffabile allo stesso tempo.
Ethir si appoggiò ad una statua di marmo bianco raffigurante l’antica dea Daelnaranai che si ergeva fiera nell’area limitrofa alla piazza principale, dove a breve si sarebbe tenuta la cerimonia. Le colonne del palazzo erano adorne di stendardi dai colori cangianti, nei quali spiccavano il blu e l’oro separati da una sottile linea nera e con sopra l’elaborato ricamo a forma di albero bianco, simbolo della città.  Il suono dei corni richiamò la sua attenzione, si affrettò verso il palazzo principale e raggiunse Calaras, il governatore che aveva il compito di officiare la cerimonia.
Dopo le parole ed i cerimoniali di rito, che durarono per un’ora buona, Ethir venne accompagnata alla caserma, dove le venne mostrato il suo nuovo alloggio. Le nuove mansioni non erano troppo impegnative poiché, nonostante la guerra infuriasse a sud, di rado i conflitti giungevano fino a Undoniél, e, quando ciò accadeva, l’unica minaccia era costituita da esploratori in cerca di informazioni, che venivano in fretta dissuasi ad addentrarsi oltre dalle frecce degli Haruneth.
Questa nuova occupazione lasciava ad Ethir molto tempo libero, poiché spesso non doveva andare di pattuglia e questo le permetteva di affinare le abilità di alchimista apprese dalla madre.
Un giorno, giunse in città un viandante umano in cerca di un aiuto, che riuscì a malapena e trascinarsi verso Ethir, in quel momento di guardia. L’elfa poté constatare come quell’uomo fosse ricoperto da profonde ferite e decise di portarlo dal guaritore Delfias, il solo a poterlo salvare.
Con il passare del tempo, il ragazzo si rimise in sesto ed Ethir ebbe così modo di approfondirne la conoscenza: -Allora- chiese la giovane elfa, -potresti dirmi chi sei e cosa ti ha portato oltre i confini della foresta?- dopo alcuni secondi di silenzio ed incertezza, l’uomo si decise finalmente a rispondere: -Mi chiamo Gilnas e mi sono trascinato oltre confine per avere una speranza di salvezza. Non volevo certo violare le vostre terre…- si interruppe, gettando un’occhiata all’uniforme dell’elfa. -Continua pure, se avessi avuto intenzione di farti del male non ti avrei di certo fatto curare, non trovi?-
-Immagino che tu abbia ragione… comunque non avevo alternative, sono stato colpito da un dardo goliath e non riesco ancora a capacitarmi di come sia possibile che sia ancora vivo, dato che nessuno dei nostri guaritori, chierici od alchimisti, sia riuscito ancora a trovare l’antidoto al loro maledetto veleno.-
-Goliath?- l’elfa era stupefatta -pensavo che la loro esistenza fosse solo una leggenda!-



Estratto del racconto "Quiver" di Stefano Pagnotta, in AA.VV., Hyperborea, Midgard Editrice 2017





Nessun commento:

Posta un commento