giovedì 18 aprile 2019

Libellula

di Lisa Bresciani






Era pomeriggio, ed io come sempre mi trovavo strapiena di lavoro. In redazione, alle sei non c’è quasi mai nessuno, resta soltanto accesa la luce dell’ufficio di Alberto, assistente mio e di altri giornalisti come me. 
Mi piace lavorare a quell’ora, nessuno che ti disturba, o che ti chiede il favore di dare uno sguardo al suo articolo. 
Guardai  fuori dalla finestra e vidi una mamma e la sua bambina entrare dal fornaio. 
Mi ricordarono le cure affettuose che mia madre riservava sempre a me e mio padre. 
Quando un genitore ci lascia per sempre, avvertiamo impotenti la nostra mortalità, pensai. 
Un nodo allo stomaco mi costrinse a volgere lo sguardo in alto, e lì tra i verdi e morbidi colli si ergeva San Luca. 
Per molti bolognesi era simbolo di protezione e spiritualità, per me era solo San Luca. 
Avevo smesso di credere, molto tempo prima. 
Qualcuno bussò alla porta del mio ufficio interrompendo quelle riflessioni prima che sfociassero in lacrime. 
Padre Mattia si fece largo nella stanza, superando Alberto che stava per annunciare il suo arrivo. <<Mi dispiace, Cami. Gli ho detto che eri impegnata, ma ha insistito per entrare.>>
Mi spiegò dispiaciuto il mio assistente. 
Feci cenno al prete di sedersi, e poi liquidai Alberto rassicurandolo che era tutto apposto. 
<<Padre, sarei venuta da voi domani come ogni sabato mattina! Scusate se non ho risposto alle vostre chiamate ma non …>>
Lui mi bloccò subito dicendo a bassa voce :<< Non è per questo che sono qui, ma per una questione più importante.>>
Gli suggerii di continuare: <<Un mio collega, Padre Francesco, parroco presso il piccolo borgo di Castiglioncello, non risponde più da un mese alle mie telefonate. Ho parlato con alcune persone che hanno famigliari che vivono in quel paese, ma anche a loro non rispondono.>> 
Sembrava preoccupato. 
Ma non capivo cosa volesse da me, inoltre gli chiesi: <<Ma Castiglioncello non è stato abbandonato da anni ormai? Sapevo che era disabitato!>> 
Si passò una mano tra i capelli bianchi, come a trovare la forza di andare avanti nella spiegazione. 
<<No, in realtà circa una decina di famiglie vivono lì. Sono tutti pastori e contadini, e i bambini vanno a scuola in un paese vicino. Tempo fa Padre Francesco, mi aveva avvisato di una ragazzina che stava manifestando segni di una forte possessione demoniaca. Temo per le vite di quelle persone. E ora entri in scena tu, mia cara.>>
Scossi la testa con fare deciso, sapeva che odiavo immischiarmi nelle questioni di Chiesa. 
<<Non credo che potrei esserti di aiuto, sai che non sopporto queste cose!>> 
Padre Mattia mi prese la mano, e la strinse forte alla sua. Vidi una lacrima solcargli la guancia destra. 
<<Ti prego ascoltami, poi sarai libera di fare ciò che vuoi come hai sempre fatto. Tu mia piccola e forte libellula.>> 
Erano anni che non mi chiamava così. 
Sapendo della mia sofferenza, mi aveva cresciuta come una figlia, e era solito descrivermi libera e allo stesso tempo fragile come una libellula. 
Prese fiato, e continuò dicendomi :<<Dobbiamo andare in quel paese insieme, e tu con la scusa di essere una giornalista potrai fare qualche ricerca. 
Se troviamo veramente una ragazzina posseduta, dovremo unire le forze>>. 
Quello che gli risposi, fu semplicemente un no secco, chiedendogli perdono per non credere ancora alle storielle dei demoni. 
A quelle mie parole, il suo sguardo divenne malinconico, si alzò e fece per andarsene. 
Quando aprì la porta, si voltò e senza insistere ulteriormente, con voce debole mi disse: <<Domattina alle sei, ti aspetterò per dieci minuti all’istituto, e poi se non verrai andrò da solo.>>
Non riuscii a replicare. 
Ero talmente scossa, che corsi subito da Alberto per raccontargli la cosa. 
Scoprii che lui, a differenza mia, era credente ma che comprendeva a pieno i miei dubbi visto il mio passato. 
Tornai a casa in fretta quella sera, e attaccandomi a una bottiglia di assenzio, decisi di impostare la sveglia per le sette e mezza, come ogni mattina. 
Fu il mio più grande rimpianto. 
Il giorno dopo al lavoro, verso l’ora di pranzo, il mio telefono squillò e quando lessi che la chiamata proveniva dall’istituto, un oscuro presentimento si impossessò del mio cuore. 
Era il guardiano, che mi avvisava della morte di Padre Mattia. 
In preda al panico, gli domandai cosa gli fosse successo. 
Dall’altra parte la voce mi rispose affranta:<<Un infarto. Hanno trovato il suo corpo nella macchina alle porte di un paese, mi pare si chiamasse Castiglione o Castiglioncino.>>
Lo corressi meccanicamente:<< Castiglioncello. Il paese si chiama Castiglioncello.>> 
Sentii gli occhi riempirsi di lacrime, e offuscarsi la vista. 
Lasciai cadere il cellulare a terra. 
Mi sentii mancare, e per quanto volessi gridare dal dolore, la voce mi si spezzava in gola. 
Era soltanto colpa mia. 
Non sapevo se fosse vera o no quell’assurda storia di possessioni, ma pensavo che se fossi andata con lui avrei potuto fare almeno qualcosa per salvargli la vita. 
E invece no, io l’avevo lasciato andare via da solo. 
E ora avevo perduto il mio amico per sempre. 
Non credevo che avrei riprovato la stessa sensazione di smarrimento e perdita, che provai quando vidi portare via i corpi esanimi dei miei genitori. 
Non credevo, eppure successe e fu lacerante. 
Di nuovo.

Estratto dal racconto "Libellula" di Lisa Bresciani, in Hyperborea 2, Midgard Editrice 2018







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