Buongiorno Gino, come nasce questa tua raccolta poetica?
Caro Fabrizio, per essere più cool (uso gergale) ho intitolato il libro “Collected Poems”, alla Dylan Thomas. Sono sempre stato umile.
Tu hai rimesso il treno sui giusti binari chiedendomi lumi sulla mia “raccolta poetica”. Così facendo mi hai gratificato, ma nel contempo hai inquietato il nostro comune amico, il vecchio Hank, aka Charles Bukowski. Ricordi?
“Non pensate che io sia un poeta” rispose alle domande dei soliti critici che la sanno sempre lunga. Un po’ come Patrizia Cavalli quando rispose: “Le mie poesie non cambieranno il mondo? Certo che le mie poesie non cambieranno il mondo!”
Great!
Ora, tornando a bomba, il nostro Hank, così grande che il suo turpiloquio non infastidiva nemmeno le suore di clausura perché era vero, naturale, il peccatore non pentito a cui avevano concesso ugualmente la festa in cielo, talento puro, niente photoshop della vita reale, di animo buono, odiato dai comunisti perché non era un collettivista (fino a quando iniziò a stravendere e allora lo adottarono), un mago del dialogo alcolico, talento puro…basta, continuò: “Scrivo poesie per scopare!” e dopo dieci minuti nei reading era già ubriaco.
Nella mia breve sinossi in quarta di copertina praticamente c’è la risposta di come nasce la raccolta poetica, a tuo dire. Giocavamo, Massimo e io soprattutto, a scrivere qualcosa che somigliasse alle poesie-racconto di Bukowski per andare a donne, oggi tutti griderebbero al patriarcato: no, era solo testosterone e voglia di Sunset Boulevard lomellini! Massimo beveva di più ed era più bravo, io bevevo di meno ed ero meno bravo. Però ero più colto e optai per la “contaminazione”: OK Los Angeles, ma mettiamoci dentro un po’ di mammismo italico, un po’ di sarcasmo, molto disincanto, uno spruzzo di piùomenistica, il tutto shakerato con un’overdose di fancazzismo. A volte usciva dai tasti della macchina Olivetti anche qualcosa di aulico, (stiamo parlando di 40 anni fa), a volte riuscivamo nell’intento, (di “ammaliare” le donne), altre no.
P.S. Massimo è dopo Romeo Giovannini la seconda dedica in epigrafe mancante, la sola persona con cui riesco a dialogare stando zitto.
Se l’epigrafe manca e c’è solo la dedica secca, allora in esergo e terza c’è anche Donatella, grande lettrice, fanciulla di rara sensibilità, che si era incapricciata di me (non ricambiata). Mi hai chiesto la genesi della raccolta, vero? Allora non sono ancora andato fuori tema, perché mentre i fogli delle c.d. poesie aumentavano, Donatella li trafugò un giorno da sotto un sedile della mia auto e li portò a un grande toscano che era venuto a morire in Lomellina, Romeo Giovannini, scrittore, giornalista, critico letterario, amico di Bocca, Alfonso Gatto etc. e grande lettore di poesie e conoscitore di poeti. Per farla breve Donatella, che gli era amica, gli portò a mia insaputa il 90% di ciò che tu hai letto oggi. Egli scrisse una recensione su una vecchia busta da lettere, diventammo amici, continuò a dirmi di inviare le mie poesie a “Nuovi Argomenti”, cosa che io non feci mai e poi morì.
A distanza di 40 anni ho inviato a te il manoscritto e tu, “per intervalla insaniae”, lo hai ritenuto degno di considerazione. Tutto qui. Ti sembra un po’ banale la Genesi?
Avresti preferito anche Esodo, Numeri, Levitico e Deuteronomio?
Beh, allora rivolgiti a Mosè!
Procedamus con la seconda domanda.
Quali sono i temi che ami trattare nelle tue poesie?
Beh, bisogna citare Giacomo “dentro covile o cuna è funesto a chi nasce il dì natale!”
Come prequel non poetico, ça va sans dire, Schopenhauer.
Come sequel filosofico ovvio Emil Cioran.
Ergo, il primo tema, il tema dei temi, il pessimismo.
Vi ricordate il barbuto Marx che niente ha a che vedere col comunismo, il suo Capitale impolverato nelle case dei russi, come il Vangelo lo è nelle case dei cattolici? Disse. “La religione è l’oppio dei popoli”. Da allora è stato parafrasato in mille modi. La parafrasi migliore la scrive in una cartolina il grande Milan Kundera. La fa scrivere in realtà da Ludvik Jahn, studente ceco all’inizio degli anni Cinquanta, protagonista del suo magnifico romanzo “Lo scherzo”. Ludvik scrive una cartolina a una studentessa che gli piace: “L’ottimismo è l’oppio dei popoli!”. Viene espulso dal Partito e…leggete il libro!
Dal pessimismo al disincanto il passo è breve, forse sono solo varianti di uno stesso colore. Dicono il nero per convenzione, dicunt.
Il disincanto porta al sarcasmo, alla dissacrazione dei valori, compresi quelli nicciani transvalutati. Il sarcasmo è una forma di rimozione dell’infelicità, ma io non credo in Freud, credo in Darwin, in un Darwin modificato da Kerouac con la sua “dannazione della consapevolezza”.
Il mio mentore, Romeo Giovannini, scrittore, giornalista, critico letterario (andate su Wikipedia) a cui è dedicata insieme ad altri due la mia cosiddetta “raccolta poetica”, nel lontano 1987 recensì le mie poesie su una sgualcita busta da lettera usata, come solo i grandi sanno fare. Scrisse che io avevo un disgusto sincero da monaco medievale: il fetore della donna. Scrisse anche dietro questi versi il cenobio.
Sul disgusto e sul cenobio mi trova d’accordo, ma non associati al fetore della donna, bensì all’accidia, all’akedia greca, all’acedia latina, quella che assaliva i monaci nel primo pomeriggio, lo spleen che assaliva Baudelaire.
Indifferenza inerte, tristezza, malinconia.
Il fetore della donna è termine troppo forte, ma da qui possiamo passare all’onnipresente tema dell’amore.
Nelle mie poesie troverete soprattutto amori incompiuti, abbandoni, amori idraulici, perché in 70 anni non ho ancora capito che cosa significhi amore, se non chimismo cerebrale o, da giovane, testosterone testicolare.
E da qui il cinismo, quasi sempre terapeutico, menzognero.
Con che tema concludiamo? Ovvio, con quello della morte!
Permea tutto il libro, sotto forma di malattie, di vite sfatte, di vite vinte, di madri lontane, di padri stronzi, di tradimenti, di solitudini, di forme di esistenze mancate, di squallore andersoniano, di…non pensate di psicanalizzarmi, Freud l’ha già distrutto quel genio di Onfray!
Caro Fabrizio, vuoi una chiusa aulica?
Il fenomeno kantiano è percepito nella sua nudità, la fanciullezza è lontana, il mondo è presentato senza filtri e falsi miti.
Consigliato.
Quali poeti, antichi o contemporanei, ami?
Vado a braccio, a naso, come si faceva nelle osterie di una volta.
Comincio con quelli che non amo, i soliti greci liceali, non li cito perché tutti li conoscono, ma io non è che me ne intenda molto di poesia, non sono raffinato,
colto e classico. Andando un po’ indietro nel tempo, VIII sec a.C. forse, e quindi forse “Le opere e i giorni” di Esiodo, anche se la mena un po’ troppo con la necessità del lavoro per l’uomo.
Passiamo a Roma dimenticando la escort ade-purgatoriale di Dante e ricordando Orazio e il suo “est modus in rebus”, arriviamo a Lucrezio con il suo “De rerum natura”, siamo nel I sec. a.C., perché fa conoscere Epicuro ai Romani, che insieme a Eraclìto (o Eràclito a seconda dei giorni), è uno dei tre filosofi greci più fighi.
Il terzo è Parmenide.
Lasciate Platone nella caverna e Aristotele ad Alexander/Colin Farrell.
Della triade Leopardi, Foscolo, Pascoli tutti direbbero Giacomo, anche se Ugo con le sue tombe potrebbe insidiare chiunque. Io invece dico Giovanni, perché mi sono sempre piaciute le “urne molli e segrete.”
Dante, è ovvio, lo lasciamo a Benigni.
Avviciniamoci di più ai nostri giorni, bypassiamo i francesi con una menzione speciale per “Il vampiro” di Baudelaire, attraversiamo la Manica in direzione della perfida Albione, e arriviamo a uno dei più grandi poeti mai esistiti: Thomas Stearns Eliot, born in USA, Missouri nel 1888, ma naturalizzato britannico, terra d’adozione dove morì nel 1965. Di solito lo trovate scritto T.S. Eliot, ma è sempre lui. Ora provate a leggere, se non l’avete mai fatto, “Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock” e poi provate ancora a scrivere poesie se ne siete capaci! Se poi proprio volete suicidarvi, con “La terra desolata” erigerete la vostra forca!
Siamo in UK, Galles, Dylan Thomas citarlo è un must, anche se un po’ mi scoccia perché mi ricorda Zimmerman, premio Nobel che ora dipinge e che ha fregato il nome al giovane alcolista Thomas (gli apologeti smentiscono) e che a me non piace.
Prima di portarvi dal grande Hank, tre italiani, il già citato Pascoli, Giorgio Caproni che è una potenza e Camillo Sbarbaro un po’ misconosciuto, un po’ come Tenco.
Cercate anche Rocco Scotellaro e Bartolo Cattafi, da qualche parte.
Lasciate stare anche qui i soliti liceali: massì Montale è intoccabile, chi lo nega, ma a me è stato chiesto chi amo. Un omaggio a una donna però ci vuole: Patrizia Cavalli, morta purtroppo due anni fa, nata a Todi.
Di straforo Edgar Lee Masters e la sua “Antologia di Spoon River”. Così ricordiamo anche Faber e l’amica Pivano. E arriviamo in USA dal grande Charles Bukowski, di cui ho già detto sopra, l’uomo che ascoltava gli adagi mahleriani con una radiolina da un dollaro comprata dal robivecchi. Opera omnia, ovviamente. Insieme a John Fante e Raymond Carver, ma non sono poeti. Non è del tutto vero: Carver, il più grande raccontista breve del mondo e dialoghista slang (podio che condivide con Truman Capote), si è cimentato anche con la poesia. Gli apologeti dicono che sono belle, lasciate perdere, leggete Carver il narratore!
Non mi toccano più di tanto quelli della beat generation. Andate su Google.
Per ultimo ho lasciato un altro grande, ovviamente misconosciuto, di nicchia:
Pedro Pietri, nato portoricano nel 1944, morto statunitense nel 2004. Leggete le sue “Cabine telefoniche”. Ne cito una, a caso:
Cabina telefonica 48
cimiteri a sinistra
cimiteri a destra
cimiteri davanti
cimiteri dietro
miglia e miglia e miglia
di mute pietre tombali
è impossibile avere un’erezione
a Long Island.
Per palati non troppo fini!
Ciao a tutti, Fabrizio compreso.
Ordinabile anche su IBS, Mondadoristore, Amazon, nelle librerie Feltrinelli e nelle librerie indipendenti.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaPoesie in versi liberi, con un approccio che dal verismo si allunga fino al neorealismo, in un magma di vita, morte, solitudine, piccole verità e menzogne a se stesso: sarcasmo dissacrante! L’esame di realtà è spietato, l’autoironia come anestetico o assenzio, la lebensanschauung è schopenahueriana, non ci sono filtri colorati da applicare all’obiettivo, il mondo è quello visto dal primo insetto che aprì gli occhi. A volte traspare un desiderio larvato di ritorno alla fanciullezza, ma l’unica via percorribile a ritroso è quella che riporta dentro l’utero materno.
RispondiEliminaConsigliato!