venerdì 13 settembre 2024

Intervista a Stefano Giometti

 





Buongiorno Stefano, come nasce questa tua nuova opera?

Nasce da un racconto scritto nel 2002 (La Tana di Venere), che dà il titolo all’opera, e al quale ho aggiunto altri sei racconti creati in questi ultimi mesi. 



Qual è il filo conduttore dei sette racconti? 

È un filo conduttore contrassegnato da due convinzioni: la prima riguarda la labilità del confine tra il Bene e il Male; la seconda contempla, parallelamente, la precarietà della condizione umana, con l’imprevisto, con lo squarcio di impensato che possono stravolgerla.  Lo scenario spesso prevede la presenza di mondi che non esistono più o in via di estinzione, e la figura del perdente , che soccombe al Male o diventa un tramite di esso in frangenti dettati dall’imprevisto. 



Quali impressioni emergono dal panorama della letteratura italiana contemporanea? 
  
Non sono impressioni esaltanti: tranne poche eccezioni, spesso ci troviamo di fronte a una frequentazione di generi che seguono le mode del momento (genere investigativo-meridionalistico, il Ventennio, il secondo Dopoguerra, rapporto figlio-padre, figlio-madre, e vari, possibili incroci tra di essi) e le regole del marketing.         
Nel mio piccolo, con questo libro ho cercato di fare “letteratura”, ovvero cercare di scrivere testi originali, magari con un incipit accattivante, ricercando aggettivi, verbi, sostantivi anche inconsueti, adatti per quella proposizione, a volte provando a dilatare a dismisura il periodo, disseminandolo di virgole o privandolo di punteggiatura, per sfidare la forma ma senza perdere di vista il significato.                    
Spero, almeno in alcune pagine, di essere riuscito nel tentativo di creare emozione, e di essermi tenuto alla larga da noia e piattezza: saranno i lettori a giudicare.  




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