sabato 5 agosto 2023

Intervista a Stefano Giometti

 




Buongiorno Stefano, parlaci della tua nuova opera, come nasce?

Nasce dalla voglia di raccontare una storia vissuta in prima persona, con la consapevolezza che, sebbene l’adozione rappresenti un’esperienza non comune, il tema trattato può essere di interesse generale.  Nella prima parte del libro ho preferito utilizzare la struttura canonica del racconto, mentre nella seconda quest’ultimo lascia il testimone alla quotidianità, alla forma diaristica, appunto. 



Che messaggio intendi dare con questo libro?

In verità, vorrei dare più di un messaggio.  Il primo messaggio, quello principale, è voler denunciare il Pregiudizio, con la p maiuscola, nei confronti dei bambini adottati e, di riflesso, verso i genitori adottivi.  Pregiudizio originato essenzialmente dalla mancanza di consanguineità tra genitore e figlio, che provoca uno spostamento della considerazione sociale verso elementi di selezione zootecnica, a scapito di una normale identificazione genitore- figlio, essere umano-essere umano, a prescindere dal legame di sangue. 
Altri messaggi, comunque non meno importanti, sono quelli relativi all’egoismo, alla tolleranza e, in definitiva, alla frequente assenza di una visione allargata.



Che scrittori ti piacciono e ti ispirano?

Sostanzialmente sono un onnivoro, ma da qualche anno sto cercando di convogliare la mia curiosità sui grandi autori che in passato non ho letto, per irrobustire la mia cultura e per cercare di assimilare elementi utili alla mia scrittura, in termini di introspezione del personaggio, di complessità nello sviluppo del periodo, e così via. 
Quindi è un alternarsi di Dostoevskij, Joyce, Proust.  Tra gli italiani, ha lasciato un profondo segno Giuseppe Berto, con “Il male oscuro”. 



Qual è il rapporto fra la scrittura e il resto della tua vita?

La scrittura è in osmosi col resto della vita: l’indignazione è il fulcro dell’ispirazione. 




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