martedì 12 luglio 2022

Radici indogermaniche

 di Marco Alimandi e Maria Sofia Rebessi.






L’arco e le frecce nel mondo scandinàvo

L’arco è l’arma caratteristica del dio Ullr, detto pertanto boga-áss  - dio dell’arco. Per questa ragione egli ricopre la «funzione di dio luminoso del cielo che nell’esercizio di quest’attività rivela la sua qualità fondamentale, dardeggiando, come fa il sole, le forze oscure e distruttrici» . Oltre che dio dell’arco, Ullr è anche ǫndur-áss - dio degli sci - e veiði·áss - dio della caccia.
L’incisione posta al centro della pietra runica di Böksta  rappresenta una scena venatoria dove un uomo armato di arco su degli sci osserva un cavaliere barbuto armato di lancia che, assieme ai suoi due segugi, insegue un animale che è attaccato da uno dei due volatili presenti sulla scena - l’altro volatile è appollaiato sull’anello runico che circonda l’incisione. Si è soliti identificare l’arciere sugli sci con Ullr, il cavaliere armato di lancia con Óðinn accompagnato dai lupi Geri e Freki e dai suoi due corvi, Huginn e Muninn . Sia questa una fattuale rappresentazione del dio Ullr, sia questa una semplice scena di caccia, in entrambi i casi l’incisione della pietra di Böksta mostra come la combinazione ‘sci e arco’ sia strettamente legata a un contesto venatorio.
All’arco si lega indissolubilmente la freccia. Simbolo divino e maschile, la freccia è emblema del superamento del materiale, di elevazione, di scelta avvenuta, di decisione immediata ed è per questa ragione che spesso le frecce vengono associate ai raggi del Sole e alle fiamme. Strali ineluttabili, le frecce nella mitologia germanica sono solite causare una morte immediata, basti pensare al fato di Baldr : «Hǫðr tók mistiltein ok skaut at Baldri at tilvísun Loka. Flaug skotit í gǫgnum hann ok fell hann dauðr til jarðar. Ok hefir þat mest óhapp verit unnit með goðum ok mǫnnum». (cfr. S. Sturluson, Edda - Gylfaginning, par. 49) 
In traduzione: «Hǫðr prese il vischio e al cenno di Loki lo scagliò contro Baldr. Il colpo lo trafisse ed egli cadde morto a terra. Si verificava allora la maggiore sciagura mai accaduta fra dei e uomini». Seppure qui non si parli di archi o di frecce, il verbo usato da Sturluson per descrivere il gesto di Hǫðr  viene spesso utilizzato per indicare il tirare una freccia con un arco.
Anche Skaði, moglie del dio Njǫrðr, è una dea cacciatrice armata di arco (cfr. S. Sturluson, Edda - Gylfaginning, par. 23).


L’arco e le frecce nel mondo indiano

Gāṇḍīva è forse l’arco più noto dell’epica vedica. Creato da Brahmā su richiesta del dio del fuoco Agní, fu da quest’ultimo donato all’eroe Arjuna allo scopo di assoldarlo per la conquista della foresta di Khāṇḍavaprastha. Arjuna continuò a servirsene durante la guerra di Kurukshetra di cui tratta il poema epico detto Mahābhārata ma fu da questi restituito agli dèi alla fine del Dvāparayuga.
Un diverso tipo di arco realizzato in canna da zucchero e capace di far innamorare le persone è quello di Kāma, dio dell’amore - è questo un leitmotiv proprio della mitologia indoeuropea, basti pensare al dio greco Eros e al suo equivalente romano Amor.
Il significante ‘arco’ viene poi menzionato nel canto XLII del Mārkaṇḍeya Purāṇa tramite le parole dell’avatara Dattātreya: 

Non appena la sillaba Om pronunciata raggiunge la mente, lo yogin  che è assorto nella meditazione dell’Om diviene un tutt’uno con Brahmā, lo spirito supremo. La vita è il suo arco, lo spirito la sua freccia: Brahmā è il sublime bersaglio e può essere colpito solamente da colui che è vigile - così facendo il suddetto riesce a entrare in comunione con Brahmā alla stregua di come la freccia si incunea nel bersaglio . 

Tramite la metafora dell’arco viene rappresentato il superamento di tutto ciò che è materiale e l’elevarsi della persona, nello specifico dello yogin. Ricordiamo che fu proprio Brahmā a realizzare l’arco Gāṇḍīva.

Estratto dal volume "Radici indogermaniche" di Marco Alimandi e Maria Sofia Rebessi (Midgard Editrice 2022).


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