venerdì 28 novembre 2025

Intervista a Egidio Burnelli

 






Buonasera, come nasce Nascondere un cadavere?

Sinceramente non so come sia venuto fuori il racconto. È una storia brutta, come ce ne sono tante anche nella realtà. L’ambientazione è personale, è intrisa dei luoghi che ho vissuto: come il quartiere in cui abito o i campi coltivati dietro al “Privilege” che sono luoghi da me frequentati in quanto lì vicino abita mio padre. Dopodiché, le storie che racconto nascono all’improvviso e io le butto giù su carta dando un contesto a me familiare.



Quali sono le tematiche principali di questa tua opera?

In una parola il racconto è pura “tensione”. Il protagonista si ritrova immerso in una situazione complicata e sgradevole in un istante. Da una tranquilla serata a guardate la TV, si ritrova coinvolto in un omicidio. Tutta la storia si incentra su come il povero protagonista riuscirà a cavarsela. Sul come farà, in una situazione tanto al limite, a trovare il modo di defilarsi e dare giustizia alla povera vittima. Perché alla fine il vero carnefice è solo uno, Michele, mentre Luca e il protagonista sono complici, più o meno, a loro malgrado. La parte finale del processo serve come una coscienza interiore. Serve per rivalutare tutto quello che è avvenuto a freddo; con mente lucida e non più sotto la pressione cosante del tempo e del pericolo. Qui il pubblico ministero agisce come un grillo parlante, mette in evidenza tutte le altre opzioni che il protagonista ha scartato o non ha nemmeno preso in considerazione. Il tutto serve a far vedere che spesso, anche quando si tenta di fare la cosa giusta, si può sbagliare. Il lettore dovrà alla fine decidere da che parte stare. Sarà chi legge a decidere se il protagonista ha agito bene o abbia sbagliato.

 

Ci sono scrittori o scrittrici che ti ispirano o che ti piace leggere?

Io sono un avido lettore e leggo tutto quello che mi capita a tiro. Però, se devo fare un elenco mi piace molto leggere i fumetti di Batman, i racconti di Stefano Benni e le poesie di Charles Bukowski. Credo siano stati proprio questi a darmi ispirazione per “Nascondere un cadavere”. C’è la componente Batman sul tentare di fare la cosa giusta anche andando oltre le regole. C’è la tipica tematica reale e cruda di Bukowski che non lascia spazio all’immaginazione, ma ti porta in una realtà sporca che comunque è intrisa di umanità. Infine, c’è la componete di Benni, nella forma di racconto breve come l’autore emiliano ha fatto per raccolte di racconti; ad esempio “Il bar sotto il mare” o “Cari mostri”. Il mio libro è proprio un racconto breve, in poche pagine espone una vicenda cruda e brutale, che però ha al suo interno un barlume di speranza.




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lunedì 24 novembre 2025

Intervista a Bruno Basentini

 





Buonasera, come nasce questa tua raccolta poetica?

I versi presenti in questa raccolta sono nati quasi per caso: una sera d’estate ero sul terrazzo ad ammirare il sorgere della luna pensando alle persone e agli eventi che avevano lasciato un segno profondo nella mia infanzia e nella mia adolescenza. Proprio in quel momento ho iniziato a mettere nero su bianco tutti i miei pensieri attraverso la poesia.



Quali sono le tematiche principali delle tue poesie?

Nelle mie poesie affronto tematiche come la memoria, l’amicizia, la sofferenza, la malinconia e l’amore. In ogni verso si intrecciano tutti questi sentimenti, proprio come accade nella vita di ognuno di noi. Così le mie emozioni diventano le emozioni del lettore.



Ci sono poeti che ti ispirano o che ti piace leggere?

Uno dei principali poeti a cui mi ispiro è Raffaele Carrieri per il suo stile molto versatile e la sua grande sensibilità, in particolare mi piace molto la poesia “Il verme e il frutto”. Poi sono un ammiratore di Giuseppe Ungaretti, infatti il mio stile si rifà molto al suo riguardo l’assenza totale della punteggiatura. Infine, William Shakespeare è uno dei primi poeti che ho letto e ammirato fin da subito e il suo sonetto più famoso, che si intitola “My mistress eyes  are nothing like the sun”, è uno dei miei componimenti preferiti in assoluto.




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venerdì 21 novembre 2025

Intervista a Chiara Cenci

 






Buonasera Chiara, come nasce il romanzo Il mistero dell’orafo Luigi?

La mia passione per il genere giallo ha da sempre alimentato il desiderio di mettere alla prova le mie capacità logiche, di osservare personaggi spesso imprevedibili, di soffermarmi sugli indizi e di formulare ipotesi. In sostanza, il mistero ha costantemente stimolato la mia curiosità. Per tale ragione ho, infine, deciso di dar vita a un romanzo in cui emergono personaggi tormentati da un passato complesso, coinvolti in una vicenda dai contorni oscuri e inquietanti.



Quali sono le tematiche principali dell’opera?

La tematica principale è, ovviamente, il crimine da risolvere, il mistero da svelare, ma ad occupare una parte rilevante del romanzo è l’analisi psicologica dei personaggi, alcuni dei quali nascondono delle verità, indossando maschere che il lettore dovrà decifrare.  Una delle caratteristiche più interessanti risiede nella varietà dei rapporti tra i personaggi. Le relazioni che si instaurano spesso emergono in contesti di forte tensione e mistero, rivelando lati inaspettati della personalità di ciascuno. In altri casi, legami significativi nascono tra individui profondamente diversi per temperamento e valori.


 
Ci sono scrittori che ti hanno ispirato nello scrivere o che ti piace leggere?

Certamente, Agatha Christie, in primis, la più grande tessitrice di trame avvincenti, un’autrice capace di penetrare nella psicologia umana fino a dar vita a personaggi e intrecci indimenticabili. La sua scrittura mantiene costantemente viva l’attenzione del lettore, grazie a una suspense sapientemente calibrata e all’immancabile colpo di scena finale. Tra i protagonisti dei suoi romanzi spicca Hercule Poirot, investigatore iconico, elegante e teatrale nei gesti, dotato di un intuito infallibile e di una straordinaria capacità di cogliere anche i più minuti dettagli, quelli che agli occhi degli altri sembrerebbero insignificanti.





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mercoledì 5 novembre 2025

La setta del drago

 di Stefano Lazzari.







L’uomo alto scese rapido le scalette viscide all’estremità meridionale del porto, si strinse ancora di più nel lungo soprabito grigio, e senza guardarsi intorno si avviò a passo svelto verso il molo, una propaggine di pietra dilatata su quel braccio solare del Mediterraneo e luogo di elezione per le meditazioni adolescenziali di Guglielmo. 
Da lì, nelle giornate chiarissime solcate dal vento dell’entroterra, emergevano nette le coste dell’Africa, un incastro mirabile dell’orizzonte schiacciato fra l’azzurro tenue del cielo del sud e il verde blu del mare. Tuttavia, in quell’alba livida e ventosa che stentava a farsi giorno, quelle
immagini rimasero lontane da lui e oscurate da una malinconia che fluiva lenta e dolorosa, come un rito dell’anima da esaurire senza opposizione per rinascere più forte e consapevole di sé; ed essere lì in quel momento non significava altro per Guglielmo, altro che non fosse offrire al dolore tutto lo spazio di sé, perché defluisse come un’infezione uccisa dalla sua stessa violenza… 
Si mantenne al centro del molo per schivare gli spruzzi delle onde sulla doppia fila di scogli parallela al lato sinistro ed evitare di avventurarsi lungo il lato opposto, irregolare e scivoloso come lui ricordava da sempre.
Potrebbero pure dargliela, una sistemata, pensò oziosamente, respirando a pieni polmoni le folate oblique ed irregolari che ora più intenso rimandavano l’odore del mare imbronciato. Dopo qualche minuto Guglielmo giunse finalmente a ridosso dell’estremità del molo e si sedette su una panchina di pietra, sbreccata e grigia come il cielo confuso su di lui, sul lato destro. Era sorprendentemente asciutta, il vento intanto era girato di colpo e ora, lui seduto, soffiava direttamente alle sue spalle. 
Accese una sigaretta, e con lo sguardo sballottato fra le onde ancora alte e l’orizzonte frastagliato nel suo ruvido chiaroscuro si permise di rivivere il tormento degli ultimi sette giorni.
Sua madre era morta il mercoledì precedente. 
In quell’ultimo anno Guglielmo aveva fatto la spola fra Roma e Sciacca per assisterla, sacrificando molti fine settimana, chiedendo ferie e cambi di turni di guardia in ospedale senza concedersi pause e sperando, pur medico lui stesso, in chissà quale evento miracoloso… 
E dopo tutto questo nemmeno sono riuscito ad arrivare in tempo perché morisse con me vicino, pensò amaramente tirando con forza la sigaretta celata dalle mani a coppa. 
La zia Elsa l’aveva avvertito il martedì mattina che la mamma era improvvisamente peggiorata durante la notte precedente, ma lui non ce l’aveva fatta a trovare un imbarco per quel giorno stesso e così era partito con il primo volo della mattina successiva. 
Poco dopo le nove a Punta Raisi e poi, correndo come un pazzo, alle dieci e venti era arrivato a Sciacca soltanto per scoprire che sua madre aveva resistito fino alle otto e quaranta, quando lui ancora sorvolava il Tirreno. Essere giunto troppo tardi e subire il tormento di vedere il volto di lei così fine e delicato devastato dalla malattia non fu tuttavia per lui la peggiore delle prove. 



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