mercoledì 5 novembre 2025

La setta del drago

 di Stefano Lazzari.







L’uomo alto scese rapido le scalette viscide all’estremità meridionale del porto, si strinse ancora di più nel lungo soprabito grigio, e senza guardarsi intorno si avviò a passo svelto verso il molo, una propaggine di pietra dilatata su quel braccio solare del Mediterraneo e luogo di elezione per le meditazioni adolescenziali di Guglielmo. 
Da lì, nelle giornate chiarissime solcate dal vento dell’entroterra, emergevano nette le coste dell’Africa, un incastro mirabile dell’orizzonte schiacciato fra l’azzurro tenue del cielo del sud e il verde blu del mare. Tuttavia, in quell’alba livida e ventosa che stentava a farsi giorno, quelle
immagini rimasero lontane da lui e oscurate da una malinconia che fluiva lenta e dolorosa, come un rito dell’anima da esaurire senza opposizione per rinascere più forte e consapevole di sé; ed essere lì in quel momento non significava altro per Guglielmo, altro che non fosse offrire al dolore tutto lo spazio di sé, perché defluisse come un’infezione uccisa dalla sua stessa violenza… 
Si mantenne al centro del molo per schivare gli spruzzi delle onde sulla doppia fila di scogli parallela al lato sinistro ed evitare di avventurarsi lungo il lato opposto, irregolare e scivoloso come lui ricordava da sempre.
Potrebbero pure dargliela, una sistemata, pensò oziosamente, respirando a pieni polmoni le folate oblique ed irregolari che ora più intenso rimandavano l’odore del mare imbronciato. Dopo qualche minuto Guglielmo giunse finalmente a ridosso dell’estremità del molo e si sedette su una panchina di pietra, sbreccata e grigia come il cielo confuso su di lui, sul lato destro. Era sorprendentemente asciutta, il vento intanto era girato di colpo e ora, lui seduto, soffiava direttamente alle sue spalle. 
Accese una sigaretta, e con lo sguardo sballottato fra le onde ancora alte e l’orizzonte frastagliato nel suo ruvido chiaroscuro si permise di rivivere il tormento degli ultimi sette giorni.
Sua madre era morta il mercoledì precedente. 
In quell’ultimo anno Guglielmo aveva fatto la spola fra Roma e Sciacca per assisterla, sacrificando molti fine settimana, chiedendo ferie e cambi di turni di guardia in ospedale senza concedersi pause e sperando, pur medico lui stesso, in chissà quale evento miracoloso… 
E dopo tutto questo nemmeno sono riuscito ad arrivare in tempo perché morisse con me vicino, pensò amaramente tirando con forza la sigaretta celata dalle mani a coppa. 
La zia Elsa l’aveva avvertito il martedì mattina che la mamma era improvvisamente peggiorata durante la notte precedente, ma lui non ce l’aveva fatta a trovare un imbarco per quel giorno stesso e così era partito con il primo volo della mattina successiva. 
Poco dopo le nove a Punta Raisi e poi, correndo come un pazzo, alle dieci e venti era arrivato a Sciacca soltanto per scoprire che sua madre aveva resistito fino alle otto e quaranta, quando lui ancora sorvolava il Tirreno. Essere giunto troppo tardi e subire il tormento di vedere il volto di lei così fine e delicato devastato dalla malattia non fu tuttavia per lui la peggiore delle prove. 



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